Giuseppe Puricelli Guerra, Frate Paolo Sarpi visitato dal Consiglio dei Dieci dopo l’attentato, 1875-1885 ca., Castello Sforzesco, Milano

1. Giuseppe Puricelli Guerra, Frate Paolo Sarpi visitato dal Consiglio dei Dieci dopo l’attentato, 1875-1885 ca., Castello Sforzesco, Milano.

Teologo e canonista della Serenissima, ne difese la causa durante la controversia che la opponeva a Paolo V in merito a due preti arrestati per reati comuni, che le autorità veneziane rifiutavano di affidare al giudizio del tribunale ecclesiastico secondo i dettami del Papa. Nella vertenza Sarpi, appoggiato dal doge Leonardo Donato, sostenne il principio della piena autorità dello Stato, denunciando «l’inconciliabilità di uno Stato libero e di una società ordinata e civile col cattolicesimo della Controriforma». Poiché la scomunica papale delle autorità di Venezia non modificava la situazione, che anzi andava facendosi ancora più tesa in seguito alla condanna da parte di un tribunale veneziano di alcuni sacerdoti, Paolo V proibì di officiare riti religiosi nelle chiese. La reazione del governo della Repubblica e di parte del mondo ecclesiastico veneziano disattese l’interdetto papale, ribadendo il principio dell’autonomia dell’autorità civile. Il caso assurse alla ribalta europea, dove Inghilterra e Olanda si schierarono dalla parte di Sarpi, il quale nell’autunno 1607 fu oggetto di un attentato da parte di alcuni sicari armati dalla Santa Sede.

Charles-Gustave Housez (1822-1880), Assassinio di Enrico IV re di Francia e arresto di François Ravaillac, Musée du Château, Pau (Francia)

2. Charles-Gustave Housez (1822-1880), Assassinio di Enrico IV re di Francia e arresto di François Ravaillac, Musée du Château, Pau (Francia).

Re di Francia in seguito alla conversione al cattolicesimo, Enrico IV procedette rapidamente alla pacificazione religiosa, realizzata con l’editto di Nantes (1598), alla quale seguì una intensa politica di consolidamento del Regno mediante la creazione di un corpo di funzionari pubblici legati alla Corona. Ricorrendo alla vendita degli uffici (la cosiddetta «Paulette»), si venne a costituire un nuovo ceto, la nobiltà di toga, a cui il sovrano ricorse puntualmente per affidare l’amministrazione dello Stato e per rintuzzare le spinte autonomiste della grande aristocrazia. L’opera di Enrico IV fu bruscamente interrotta dal pugnale del monaco Ravaillac, e probabilmente dai gesuiti che l’armarono; tuttavia «le esequie del Re dimostrarono da quale successo la sua opera pacificatrice era stata coronata […] tutta Parigi seguì in lutto il suo feretro e tutta la Francia – cattolica e ugonotta – lo pianse».

Václav Brožík (1851-1901), La defenestrazione, National Gallery of Victoria, Melbourne

3. Václav Brožík (1851-1901), La defenestrazione, National Gallery of Victoria, Melbourne.

La costituzione da parte di Ferdinando II di un consiglio di reggenza in Boemia a forte maggioranza cattolica che non rispettava le libertà di culto dei protestanti, garantite dalla Littera Maiestatis di Rodolfo II del 1609, sollevò la ferma opposizione boema. I rappresentanti degli Stati del Regno boemo irruppero nella sala consiliare del castello di Hradčany guidati dal conte von Thurn nel maggio 1618, bloccarono i due reggenti imperiali e il loro segretario e li gettarono fuori dalla finestra: «I tre fecero un volo di quindici metri, ma restarono illesi perché ebbero la fortuna di cadere su un mucchio di rifiuti». Nondimeno però la cosiddetta «defenestrazione di Praga» segnò l’inizio del conflitto che imperversò per trent’anni nell’Europa centrale, lasciando in eredità devastazioni senza precedenti, descritte con amarezza e realismo da Hans Jakob Christoffel von Grimmelshausen nel suo Avventuroso Simplicissimus del 1668.

Bernard Finegan Gribble (1872-1962), Partenza dei padri pellegrini da Plymouth nel 1620, collezione privata

4. Bernard Finegan Gribble (1872-1962), Partenza dei padri pellegrini da Plymouth nel 1620, collezione privata.

Avversi al sistema episcopale e alla supremazia del Re sulla Chiesa, i puritani furono duramente perseguitati in Inghilterra a partire da Elisabetta I. Quando poi al loro rigorismo religioso si intrecciò sempre più la crescente opposizione all’assolutismo messo in atto dalla dinastia Stuart, le oppressioni nei loro confronti crebbero. Proprio per fuggire alla repressione del governo regio un gruppo di puritani abbandonò l’Inghilterra a bordo del vascello Mayflower per sbarcare sulle coste dell’odierno Massachusetts, a Cape Cod, dove fondarono la città di Plymouth «col fermo proposito di costruire un mondo nuovo, non già a immagine e simiglianza della madrepatria, ma anzi in contraddizione a essa e alle sue ingiustizie».

Justus Sustermans (1597-1681), Ritratto di Ferdinando II de’ Medici, Palazzo Pitti, Firenze

5. Justus Sustermans (1597-1681), Ritratto di Ferdinando II de’ Medici, Palazzo Pitti, Firenze.

Nel 1620 successe al padre Cosimo II de’ Medici, ma data la sua età l’esercizio del governo fu assicurato dalla nonna, la granduchessa Cristina di Francia, e dalla madre, Maria Maddalena d’Austria. Otto anni più tardi prese le redini del Granducato di Toscana, ma «non aveva la stoffa politica dei suoi grandi antenati, la diplomazia l’annoiava, era refrattario all’economia e detestava la guerra»; sono questi gli anni in cui la Toscana conobbe un sensibile peggioramento delle condizioni economiche e sociali, mentre politicamente vide rafforzarsi l’influenza spagnola. Agli impegni governativi, Ferdinando II preferì di gran lunga quelli dell’agricoltura e delle scienze al punto che nel 1657 istituì l’Accademia del Cimento, prima accademia di scienze naturali d’Europa.

Caravaggio (1571-1610), Ritratto di Maffeo Barberini, Urbano VIII, 1598, collezione privata

6. Caravaggio (1571-1610), Ritratto di Maffeo Barberini, Urbano VIII, 1598, collezione privata.

Uomo dal temperamento autoritario, il Papa si occupò attivamente tanto degli interessi temporali della Chiesa, estendendone i confini (mediante l’annessione del Ducato di Urbino; il tentativo di fare lo stesso con quello di Castro fallì invece per la resistenza dei Farnese), quanto di quelli spirituali, con l’istituzione del Collegio Urbano per la diffusione della fede, la riforma della procedura di canonizzazione, la difesa dell’ortodossia cattolica contro Galileo e il giansenismo. Nel contempo, Urbano VIII fu il grande mecenate della florida stagione barocca di Roma, al cui servizio operarono architetti d’altissimo livello, quali Carlo Maderno, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini. Le committenze artistiche tuttavia contribuirono a dissanguare le finanze dello Stato quanto la pratica del nepotismo condotta su vasta scala a beneficio di diversi membri della famiglia Barberini. Quest’ultimo aspetto spiega perché «i nipoti […] piansero amaramente [la sua morte]. Lo zio li aveva colmati d’ogni sorta d’onori, prebende, privilegi. Fu calcolato che nelle loro tasche finirono la bellezza di centocinque milioni di scudi».

Philippe de Champaigne (1602-1674), Ritratto di Richelieu, Museo del Louvre, Parigi

7. Philippe de Champaigne (1602-1674), Ritratto di Richelieu, Museo del Louvre, Parigi.

«Alto, fragilissimo, esangue, egli godeva di una pessima salute, di un cervello limpido, di una volontà d’acciaio e di uno smisurato orgoglio»: divenuto nel 1624 Primo Ministro di Luigi XIII perseguì l’affermazione dell’assolutismo monarchico e la centralizzazione del potere; a tal fine soppresse ogni ostacolo che potesse inficiare l’affermazione del potere sovrano. Il primo passo consistette nel muovere contro gli ugonotti, che in un periodo di torbidi cospiravano ancora contro il Re; il Cardinale concesse il diritto di esercitare la loro religione (editto di grazia, 1629), ma li privò di ogni fortezza così da non rappresentare un corpo separato all’interno della monarchia. Quindi, Richelieu si affrettò a stroncare ogni velleità di autonomia della grande nobiltà e ne soffocò le congiure. Forte di questi successi, il Cardinale poté passare al secondo atto del suo progetto, ridimensionare il ruolo europeo degli Asburgo e soprattutto rilanciare il Regno sulla scena internazionale. La partecipazione diretta e vittoriosa alla fase finale della Guerra dei Trent’anni in funzione antiasburgica assicurò alla Francia l’inizio dell’egemonia sul continente.

Scuola tedesca, Gustavo Adolfo, re di Svezia, Castello di Ambras, Innsbruck

8. Scuola tedesca, Gustavo Adolfo, re di Svezia, Castello di Ambras, Innsbruck.

Sovrano energico, deciso a rintuzzare i propositi asburgici di espansione verso il Mar Baltico che avrebbero minacciato l’indipendenza del suo Regno, Gustavo II Adolfo sbarcò nel 1630 in Pomerania presentandosi come il campione della causa protestante. Nell’intraprendere l’avventura in terra tedesca il sovrano svedese era forte di un esercito che aveva innovato nell’organizzazione (con la creazione di unità leggere, le brigate, che potevano essere manovrate sul campo di battaglia con più agilità dei pesanti tercios spagnoli), nella capacità di fuoco (superiore alla norma mediante lo schieramento di due-tre file di moschettieri che assicurava un tiro micidiale e il supporto assicurato dall’artiglieria reggimentale) e nel ruolo offensivo assegnato alla cavalleria. Una vera e propria «rivoluzione militare» che innovò radicalmente l’arte della guerra del diciassettesimo secolo. «L’idolo dei suoi soldati, che trattava da commilitoni, condividendone i triboli, le fatiche, i repentagli» in breve tempo ribaltò le precarie sorti dei protestanti, vincendo gli Imperiali prima a Breitenfeld e poi a Lützen, dove però trovò la morte: disarcionato, «fu investito da una selva di lance e il suo petto ridotto un crivello».

Joseph Clerian (1796-1842), Galileo Galilei davanti al Tribunale dell’Inquisizione, Musée Granet, Aix-en-Provence

9. Joseph Clerian (1796-1842), Galileo Galilei davanti al Tribunale dell’Inquisizione, Musée Granet, Aix-en-Provence.

Riprendendo e confermando la teoria eliocentrica elaborata da Copernico e da Keplero, grazie anche alla recente scoperta del cannocchiale di cui fece un sapiente impiego, Galileo dovette far fronte alla reazione della Chiesa, ben decisa a difendere il geocentrismo contenuto nella Bibbia. Dopo un primo minaccioso invito nel 1616 da parte del Sant’Uffizio ad abbandonare teorie chiaramente eretiche, nel 1633 fu chiamato a comparire a Roma davanti al Tribunale dell’Inquisizione in seguito alla pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, avvenuta l’anno precedente. Riconosciuto colpevole, allo scienziato, che aveva sempre dato prova di credere in una conoscenza acquisita mediante la sperimentazione e nel rifiuto di accettare verità rivelate, fu imposto di rinnegare quanto sostenuto nel suo scritto poiché era fallace rispetto alle Sacre Scritture. Così «per quell’uomo orgoglioso dovett’essere terribile pronunciare, inginocchiato, l’atto di ritrattazione: “Con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie…”. Dopodiché il Tribunale gl’inflisse la prigione». La condanna non fu comunque sufficiente a far tacere la sua voce; il Dialogo conobbe una rapida e incredibile diffusione in tutta Europa e contribuì direttamente alla successiva elaborazione delle teorie di Newton.

Ritratto del filosofo René Descartes, copia da Frans Hals, 1650-1699 ca., Museo del Louvre, Parigi

10. Ritratto del filosofo René Descartes, copia da Frans Hals, 1650-1699 ca., Museo del Louvre, Parigi.

Autore nel 1634 del Discorso sul metodo, Cartesio introdusse il dubbio come strumento d’analisi per pervenire alla verità e il metodo per guidare l’intelligenza alla conoscenza della realtà che ci circonda. In questo modo con Galilei prima e con Cartesio poi la scienza e la filosofia si affrancarono del tutto dall’aristotelismo e dal dogma, sottoponendo ogni asserzione alla verifica dell’esperienza, senza accettare nulla che non fosse stato dimostrato. Ma di Cartesio altrettanto importante fu lo studio che fece in ambito scientifico, «che offriva un terreno molto più congeniale al suo sperimentalismo, e soprattutto [in] geometria. Portò a fondo i calcoli per il raddoppio del cubo e la trisezione dell’angolo, e dette avvio a quelli del calcolo infinitesimale […]. Cartesio non conta tanto per le sue scoperte quanto per quelle ch’egli ha permesso di fare ai suoi successori, indicandogliene la strada».

La battaglia di Rocroi, stampa da dipinto di François-Joseph Heim, XIX secolo

11. La battaglia di Rocroi, stampa da dipinto di François-Joseph Heim, XIX secolo.

Lasciate le Fiandre, l’armata spagnola che doveva minacciare la Francia nord-occidentale entrò nelle Ardenne dove pose d’assedio la piazzaforte di Rocroi, posta sulla strada che conduceva a Parigi. Per sventare la manovra condotta dal generale Francisco de Melo, il giovane Luigi duca d’Enghien, futuro Gran Condé, alla testa di un esercito addestrato secondo gli innovatori principi svedesi affrontò gli Spagnoli tra il 18 e il 19 maggio 1643. Nel momento culminante dello scontro, già vittorioso sull’ala sinistra spagnola ma seriamente minacciato sul lato sinistro del proprio schieramento, il Duca operò una memorabile carica che lo portò dietro l’intero schieramento nemico fino ad attaccarne e sbaragliarne l’ala destra. A questo punto i lenti tercios spagnoli, ormai privati della protezione della cavalleria, furono alla mercé dei Francesi: nonostante la disperata resistenza furono costretti alla resa in seguito al devastante cannoneggiamento ravvicinato. La schiacciante vittoria permise alla Francia di supportare attivamente i Principi protestanti tedeschi e gli Svedesi contro gli Imperiali in Germania.

Micco Spadaro (1609-1675), La rivolta di Masaniello, Museo di San Martino, Napoli

12. Micco Spadaro (1609-1675), La rivolta di Masaniello, Museo di San Martino, Napoli.

L’imposizione il 7 luglio 1647 di una nuova gabella sulla frutta, che rientrava nel processo di inasprimento fiscale messo in atto dalla Spagna impegnata nella Guerra dei Trent’anni, fu la scintilla che fece esplodere la rivolta napoletana, che comunque non fu mossa esclusivamente da fini antifiscali. La sollevazione guidata dal pescivendolo Masaniello, il quale «scalzo, sbracato, in preda a frenesia tribunizia […] arringava la folla, distribuiva ordini a destra e a manca, sbraitava, minacciava, accusava il Viceré d’aver tentato di corromperlo e i nobili di campare a sbafo della plebe», era coordinata dalla vera mente del moto, l’avvocato salernitano Giulio Genoino. Questi, particolarmente attento a rivendicazioni di natura politica, richiese alle autorità vicereali la parità tra il «popolo» e la nobiltà nell’ambito dell’amministrazione del comune di Napoli. L’atteggiamento di Masaniello, caratterizzato da sempre più evidenti segni di squilibrio che davano luogo ad atti inconsulti, ne decretarono l’abbandono da parte dei suoi sostenitori, e il 16 luglio l’uccisione nella chiesa del Carmine.

Gerard ter Borch (1617-1981), La cerimonia della firma della pace di Münster, 1648

13. Gerard ter Borch (1617-1981), La cerimonia della firma della pace di Münster, 1648.

La sede dove fu discusso dal 1644 il trattato di pace tra la Francia e l’Impero fu la città di Münster, mentre a Osnabrück furono avviate le trattative tra Francia, Impero e Svezia. Alla fine d’interminabili discussioni fu firmata il 24 ottobre 1648 la pace di Westfalia, che pose fine alla devastante Guerra dei Trent’anni: «Nessun conflitto come quello dei Trent’anni impoverì e insanguinò tanto la Germania e l’Europa, nessuna pace fu sudata e sospirata di quella di Westfalia. Il 1648 chiuse l’epoca delle guerre di religione e aprì quella, non meno cruenta, delle guerre nazionali. Al fanatismo teologico e ideologico si sostituì un altro tipo di fanatismo, non meno esiziale». L’Europa che usciva dalla pace di Westfalia, e poi dalle successive dei Pirenei (1659) e di Oliva (1660), consacrò l’egemonia francese sul continente ma delineò pure un’Europa multipolare e interdipendente: mediterranea, il cui perno era per l’appunto la Francia; centro-settentrionale, con l’ascesa della Prussia, mentre Inghilterra e Olanda costituivano il vero centro propulsore dell’economia europea; settentrionale, con la potenza svedese nel Baltico; infine, con la Russia a Nord-Est in fase di affermazione quale potenza politica negli equilibri europei.

Luigi XIV e la sua Corte sostano davanti alla Grotta di Teti nei giardini di Versailles, stampa da facsimile da dipinto del XVII secolo

14. Luigi XIV e la sua Corte sostano davanti alla Grotta di Teti nei giardini di Versailles, stampa da facsimile da dipinto del XVII secolo.

Nel villaggio di Versailles Luigi XIII, che prediligeva i boschi della regione per condurre le sue cacce, fece edificare nel 1624 un padiglione di caccia. L’edificio divenne in seguito il fulcro del palazzo reale voluto da Luigi XIV, i cui lavori furono avviati nel 1661. Nella direzione del cantiere si succedettero gli architetti Louis Le Vau, François Dorbay e Jules Hardouin-Mansart, al quale si deve la realizzazione della sontuosa Galleria degli specchi, illuminata da diciassette finestroni ad arco, alta tredici metri e dalla copertura a volta; la grande scalinata; il colonnato; nonché il padiglione del Grande Trianon. L’esterno della reggia fu invece oggetto dell’intervento del maestro di giardini André Le Nôtre, che realizzò i grandiosi giardini, disposti secondo un ordine razionale e simmetrico, caratterizzati da interminabili viali che si intersecano, impreziositi con fontane e statue mitologiche, tutte opera del pittore e decoratore Charles Le Brun. La Corte francese si recò a Versailles una prima volta nel 1674 e poi definitivamente nel maggio 1682, per rimanervi fino all’ottobre 1789.

L’assedio di Vienna, stampa su disegno di Jean Matejko, XIX secolo

15. L’assedio di Vienna, stampa su disegno di Jean Matejko, XIX secolo.

Allo scadere della tregua ventennale sancita tra l’Impero e gli Ottomani con il trattato di Eisenburg, il gran visir Qara Mustafā spinse il sultano Mehemed IV a riprendere la guerra contro gli Asburgo e puntare alla conquista di Vienna e dell’Europa centrale. Fu questa l’ultima grave minaccia che la Sublime Porta arrecò all’Europa. I Turchi furono indotti ad avviare le operazioni militari dalla rivolta antiasburgica in Transilvania e dall’incoraggiamento francese; con una travolgente avanzata giunsero fin sotto le mura di Vienna, che assediarono senza successo dal 15 luglio al 12 settembre, allorché le circostanze volsero a loro sfavore. L’intervento di un’armata polacco-tedesca, guidata dal re Giovanni III Sobieski, dal duca Carlo di Lorena e da un giovane Eugenio di Savoia li sbaragliò nella battaglia di Kahlenberg. In balia dell’inarrestabile controffensiva cristiana, i Turchi persero dapprima i territori ungheresi, poi quelli transilvani, quindi la Croazia, la Slovenia e infine Belgrado; a questi si aggiunse la momentanea occupazione della Morea e di Atene a opera dei Veneziani.

Veduta del Castello Sforzesco di Milano, XVII secolo, Palazzo Arese-Borromeo, Cesano Maderno (Monza e Brianza)

16. Veduta del Castello Sforzesco di Milano, XVII secolo, Palazzo Arese-Borromeo, Cesano Maderno (Monza e Brianza).

Durante la dominazione spagnola il Castello Sforzesco accoglieva «una guarnigione di cinquecento uomini, le sue mura si snodavano per un miglio e mezzo cingendo case, palazzi, botteghe, cinque pozzi, un ospedale, un mulino, una chiesa […]. Nella sua piazza si potevano schierare fino a seimila soldati, e sui bastioni c’era posto per duecento cannoni». La fortezza, difesa da poderosi bastioni triangolari edificati nel 1658 oltre che da un fossato, costituiva una delle tappe obbligate sulla strada che conduceva i tercios in Valtellina, «corridoio strategico che collegava la Lombardia all’Austria», nelle Fiandre, in Germania. Una piazzaforte dunque cruciale per l’Impero spagnolo, che contribuì a fare di Milano e del Ducato per tutto il Cinquecento e il Seicento il vero cuore della monarchia, la chiave di volta per il controllo politico-militare dell’Italia e il punto strategico della politica europea asburgica.