Mise a bollire dell’acqua, poi prese una tazza dalla credenza e una bustina di tè nero.
Seduta al tavolo controllò i quotidiani sul cellulare: tutte le edizioni online parlavano dell’omicidio, ma di quanto trovato nella casa sul monte Cavo non c’era traccia.
C’erano invece alcuni dettagli sul ritrovamento nel sito del Lapis Niger sparati nei titoli, e un’intervista al professor Luca Caroleo, ordinario di Archeologia e Storia dell’arte romana presso l’Università di Roma La Sapienza. Qualcuno ipotizzava una pista satanica. Altri parlavano di un regolamento di conti. Una cosa era certa: la città aveva paura di quell’orrore che sembrava emergere dal fondo della propria storia.
Il bollitore emise un fischio.
Giulia spense il fuoco e versò l’acqua nella tazza.
Mosse leggermente la bustina tenendola per il filo: il tè nero cominciò a diffondere le sue spire scure nell’acqua.
Posò la tazza sul tavolo e si sedette.
Nel corso dell’intervista il professor Caroleo ricostruiva la scoperta archeologica del Lapis Niger, avvenuta il 10 gennaio 1899, a opera di Giacomo Boni, per poi soffermarsi sul valore simbolico del luogo. “La pietra, come ricorda Festo nel De lingua latina, indica un luogo funesto, probabilmente destinato alla sepoltura di Romolo.” L’articolo era accompagnato da un’antica litografia in cui si vedeva il ministro Baccelli davanti alla tomba di Romolo, dopo il ritrovamento.
Ma la parte più interessante era dedicata all’iscrizione che si trovava sul cippo mutilo sotto il Lapis Niger, vicino a cui era stato ritrovato il cadavere.
Giulia l’aveva vista, ma non era stata in grado di decifrarla. L’articolo riportava la trascrizione dell’iscrizione.
Giulia la osservò attentamente.
Non era neppure in grado di distinguere le lettere.
Ma quello era il messaggio che il killer aveva lasciato per loro.
La più antica iscrizione monumentale latina.
Incisa sulle quattro facce di un cippo in tufo.
Cippus antiquissimus.
Alfabeto arcaico, di derivazione greco-etrusca.
Caratteri irregolari, di difficile lettura.
Scrittura bustrofedica: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, a simulare l’andamento dei buoi durante l’aratura dei campi.
Una scrittura magico-sacrale con uno scopo ben preciso: incutere timore.
“Si tratta di una delle più antiche e oscure iscrizioni latine, risalenti al VI secolo a.C., a un’epoca in cui Roma era un villaggio sulle sponde del Tevere” diceva Caroleo nell’intervista. Poi il professore procedeva a una traslitterazione dell’iscrizione. “QUOI HON / SAKROS ES / ED SORD OKA FHAS / RECEI IO / EVAM / QUOS RE KALATO / REM HAB / TOD IOUXMEN / TA KAPIAD OTAV M ITER PE / M QUOI HA / VELOD NEQV / IOD IOUESTOD LOVQVIOD QO.”
Giulia la lesse con attenzione: corrispondeva esattamente a quella trovata sul profilo Instagram di Romulus.
“Si tratta di una maledizione rivolta a chi viola il luogo sacro, ma resta a tutti gli effetti un enigma, anche perché sono state decifrate solo poche parole del testo originario inciso sul cippo” proseguiva Caroleo.
Giulia ripensò alla scritta incisa sulla schiena della vittima, SAKROS ESED, contenuta nell’iscrizione del cippo, ma di cui i giornali non parlavano, perché l’informazione non era trapelata.
Doveva saperne di più.
Perché incidere una maledizione di quel tipo sulla schiena della vittima? Aveva forse violato in passato quel luogo?
Insieme alla testa di lupo indossata da Romulus, la scritta sul corpo della vittima era un elemento che non era mai comparso negli omicidi del Romulus che Giulia aveva studiato.
Giulia riprese il suo dialogo con il killer.
“Che cosa vuoi dirci?”
Aprì la posta elettronica.
Trovò l’indirizzo del professor Caroleo sul sito dell’università. Scrisse una breve mail chiedendogli un incontro.
Inviò e si mise il cellulare in tasca.
In quell’istante suonarono alla porta.