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Di chi è questa “voce”?
Ho perso il conto dei giorni trascorsi in mezzo a questa trappola paradisiaca. Per quanto mi riguarda, potrebbero essere passati mesi, forse anni, addirittura, ma in realtà sono solo 23 giorni, seguendo lo schema delle tacche che Kilian ha inciso su un albero come fosse un calendario casereccio e rurale.
Mi sembra un’eternità.
«Renée! Renée!» Mi sento chiamare dalla spiaggia e interrompo la realizzazione di cucchiai, anch’essi rurali, composti da conchiglia e stecchi. «Oggi si mangia!» Dalla sua mano che innalza verso il cielo, pende un pesce piuttosto grande e il mio stomaco fa un gorgoglio. Cibo! Che non sia frutta!
«Oddio! È fantastico!» Schizzo in piedi e inizio a mostrare il mio entusiasmo, saltellandogli incontro con un sorrisone che mi illumina il viso. «Crusoe, guarda! Finalmente si mangia» esulto e guardo la scimmia urlatrice, che abbiamo scoperto essere un maschio, che continua a venirmi a trovare quasi ogni giorno. Crusoe alza le braccia al cielo, come mi ha visto fare poc’anzi, e si esibisce in un canto selvaggio.
«Finalmente ce l’ho fatta!» afferma gongolante Kilian. «Ho perfezionato la tecnica di pesca.»
«Ti adoro!» dico in uno slancio di gioia dettato dalla fame e gli getto le braccia al collo, costringendomi a sollevarmi sulle punte, essendo quasi venti centimetri più bassa di lui.
Lui mi guarda stranito e mi rendo conto all’improvviso che potrei essere stata un pelo fuori luogo.
«Scusami, la fame mi rende espansiva.» Mi metto sulla difensiva e torno a debita distanza. Ciononostante, restiamo a guardarci e Kilian ha sempre la sua tipica espressione arcigna e imperscrutabile che lo caratterizza, ma all’improvviso un sorriso raggiante gli trasforma il volto e le sue braccia si chiudono di nuovo attorno a me e mi solleva da terra facendomi roteare.
«Dobbiamo gioire! Abbiamo un enorme tonno!» La sua voce è allegra, esultante e mi stranisce questa versione di lui, sono abituata ai battibecchi, alle nostre piccole lotte in cui punzecchiarci a vicenda pare essere il nostro hobby preferito, ma mi ritrovo a pensare che mi piace questo lato umano dell’ex marine.
«Preparo il fuoco» dice quando mi rimette con i piedi a terra. Annuisco e mi propongo di andare a preparare un trito di aromi che crescono spontaneamente in quest’isolotto. Crusoe mi segue implacabile e mi sembra quasi di vivere un momento di vita quotidiana.
In effetti, in queste settimane, ci siamo arrangiati decisamente bene. In vero il merito va a lui, lui ha costruito una capanna che ha tutte le sembianze di una casetta, gli ha appeso persino delle mensole. Ha costruito una sorta di doccia fai da te con il materiale trovato, ovviamente c’è da riempire la sacca contenitiva e la pioggia in questo si dimostra un ottima alleata e c’è persino l’angolo “cottura”, nient’altro che un buco sul terreno, circoscritto da sassi e una struttura sopra a cui infilzare i pesci o a cui appendere le nostre “pentole” – gusci di noce di cocco – per depurare da batteri e parassiti l’acqua della fonte che beviamo.
Mi sento quasi a mio agio, adesso che mi sto adattando a quest’assurda situazione, e vivo quest’angolo che ci siamo costruiti come fosse effettivamente casa nostra; fa tanto Laguna blu [9] . La differenza è che tra me e Kilian non c’è un’idilliaca storia d’amore e non siamo qui dall’infanzia. Grazie a Dio, aggiungerei.
Sto qui a sminuzzare le foglie di spezie aromatiche e a pulire il pesce, Kilian prepara il fuoco e fermo le mani che lavorano per osservarlo meglio, di nascosto; le sue spalle muscolose si muovono agili, spostano tronchi come fossero piume e ammiro il deltoide, il trapezio che si gonfia a ogni movimento. Deglutisco con fatica quando lui si terge la fronte con il braccio. Ha trovato il modo di accorciare la barba, anche se è sempre un po’ disordinata; i suoi occhi gelidi, sotto al sole, ricordano quasi il colore azzurro degli iceberg e poi si alza e il suo sedere di marmo è il punto su cui catalizzo i miei occhi.
«Basta, Renée» mi rimprovero a bassa voce e mi costringo a tornare a fissare le meno attraenti budella del pesce che sto eviscerando.
Mi concentro così tanto a ripulirlo dalle squame e le interiora che nemmeno mi accorgo di Kilian che mi arriva alle spalle.
«Uhm, stai facendo un ottimo lavoro!» Si lecca il labbro superiore, lo odio per questo perché adesso vorrei solo prendergli quel labbro succoso tra i miei denti, mentre il suo peso mi schiaccia e mi fa urlare il suo nome verso il cielo. Che diavolo mi prende?! Cos’è quest’improvviso interesse sessuale che mi destabilizza?!
«Già, diciamo che ho fatto di necessità virtù.» Mi schiarisco la gola e mi obbligo a non guardarlo, mi fa un effetto sconcertante quest’uomo che ho odiato dal primo istante sulla nave. Lo guardo di sottecchi andare a sciacquarsi le mani sporche nel secchio che ha realizzato e dove teniamo l’acqua dolce.
«Non vedo l’ora di assaggiare» Me lo soffia all’orecchio, il suo alito smuove appena i miei capelli sciolti e un brivido percorre tutta la mia schiena.
«Beh, è pra-praticamente pro-pro-nto.» Che diamine faccio adesso? Mi metto a balbettare?! Non ho mai sofferto di balbuzie in tutta la mia vita e Kilian mi fa iniziare? Prendo gli odori con un gesto agitato e li spalmo sul pesce pulito, ma le mie mani si muovono nervose, il mio respiro si fa fitto e faticoso e le mani di Kilian, grandi e rovinate dai lavori manuali, ma per questo così dannatamente mascoline, vanno a coprire le mie.
«Delicata, cerca di massaggiare il pesce come fosse il tuo amante.» Questa metafora che partorisce non mi aiuta e le sue mani mi danno la scossa che si dirada in tutto quanto il mio corpo. Non mi tiro indietro e lascio che lui mi guidi, le sue dita sono intrecciate alle mie, seppure aperte per insaporire il tonno, e si spostano delicate e armoniose. Il suo petto è incollato alla mia schiena, sento persino il suo sudore e il mio mescolarsi assieme; di norma mi risulterebbe fastidioso, adesso, con lui, mi risulta solo maledettamente eccitante.
«È pronto» annuncia con quel tono suadente e grondante di carisma. Dov’è finito il Kilian scontroso?
«Se lo avvolgessimo in qualche foglia di banano e lo interrassimo sotto al fuoco?» propongo, meglio distrarsi a pensare a qualche ricetta isolana, piuttosto che ai suoi pettorali gonfi.
«Oggi mi sorprendi con le tue ottime idee! Che succede?»
«So cucinare…» Più o meno.
Lui si adopera subito a scavare una buca nella rena, mentre io raccolgo le foglie e le uso per rivestire il pesce.
«Quanto ci metterà a cuocere, secondo te?» Osserva la fiamma, seduto tra i granelli che gli si appiccicano sui polpacci tirati. Mi sistemo accanto a lui e getto lo sguardo sul forno improvvisato, scrollando le spalle.
«Non ne ho la minima idea» ammetto con un tono incolore.
Fisso la fiammella, attizzata dal venticello che scivola sull’atollo come un alito gentile, e sento gli occhi riempirsi di lacrime.
«Torneremo mai a casa, a Chicago?» La mia voce fuoriesce in un soffio, arrochita dalla tristezza che mi ha assalito in un battito di ciglia. Lui si volta verso di me lesto, mi osserva e io continuo a mostrargli il profilo, ferma e immobile come una statua di sale; ho paura che, se facessi anche un solo, impercettibile movimento, potrei crollare in un pianto infinito e prosciugarmi di lacrime prima del tramonto.
«Ehi…» A chi appartiene questa voce così carezzevole e rassicurante? Mi volto appena, incredula che sia proprio lui ad avere questa voce gentile, quando non è incazzato col mondo intero. «Certo che ci ritroveranno, serve solo avere pazienza.»
La sua mano copre la mia e col pollice accarezza il dorso.
«Come fai a esserne certo? È passato quasi un mese e ancora nessuno è sbarcato qui per riportarci a casa.»
«Devono solo trovarci, dobbiamo dargli tempo. Intanto qui ci siamo sistemati benino, no?» Fa una panoramica col braccio teso dietro di sé, a racchiudere la nostra “casa” di fortuna.
«Io inizio a credere che morirò qui, in mezzo al nulla e non sentirò mai più le fusa di Nanà.»
«Ormai si saranno certamente accorti che non siamo a bordo, la crociera è terminata, l’allarme è stato lanciato, arriveranno!» esclama con maggior forza. «Non morirai su quest’isola.»
«Ne sei certo?»
«Assolutamente.» Annuisce, poi mi asciuga le lacrime e si dipinge sul volto un mezzo sorriso. «Morirai nella tua fredda Chicago, dopo aver bloccato le file di ogni esercizio, commerciale e non dell’Illinois.» Sbuffo e gli tiro un leggero schiaffo sulla mano che ancora stava sulla mia gota.
«Quanto sei stronzo» borbotto, ma poi lo guardo nei suoi occhi chiari e gli sorrido. «Grazie» mormoro soltanto.
«Mi ringrazi?» Sgrana gli occhi in modo esasperato e poi balza in piedi.
«Dove vai?!»
«Devo segnarlo sul calendario» dice, mostrandomi la sua tavoletta di legno. Scuoto il capo e quando torna da me mi mostra, sotto la tacchetta che indica questo giorno, l’incisione di una parentesi orizzontale e due piccoli fori che somigliano a uno smile.
«Ah-ah, davvero molto divertente.» Gliela rubo dalle mani e la poso a terra, lui si siede di nuovo e allora torno a guardarlo seria. «Dico seriamente: grazie.»
«E per che cosa?»
«Perché hai saputo cogliere il momento giusto per sdrammatizzare e mi hai tirato su di morale.»
«Quindi mi credi?» Si accovaccia e si protrae verso il pesce che ha dissotterrato solo in parte e sbircia sotto la foglia di banano. «Magari ti sorprenderà e arriveranno prima di quanto pensiamo; come questo pesce, che è già pronto.» Mi mostra il nostro pasto, perfettamente cotto.
Ci troveranno.