19
Vincere le paure
I respiri si sono placati, adesso.
Mi sollevo sul gomito e guardo Kilian, rischiarato solo dal cereo chiarore di una luna piena, che dorme serenamente. Il volto è disteso, non afflitto da quell’aria crucciata che spesso distorce il suo bel viso.
Mi sollevo in piedi, mi sento spossata nonostante mi sia appisolata tra le sue braccia. Mi ha risucchiato via le energie e ora mi sembra quasi di respirare dal naso di una persona nuova.
Mi incammino fino al bagnasciuga dove mi godo delle onde che vengono a solleticarmi i piedi scalzi. Non posso ancora credere a ciò che è successo. È vero, l’ho sperato, ultimamente spesso, ma mi ero vietata di guardarlo con occhi pieni di concupiscenza.
Accantono per un attimo questa riflessione, per soffermarmi invece su un altro pensiero: dove diamine ha imparato a far così bene l’amore?! Cioè, porca vacca, non è così facile trovare un uomo che con un solo dito ti fa informicolire le dita dei piedi. Le cose sono due: o Kilian è il Dio del sesso o io sono stata solo con uomini meno che mediocri. So che non può essere la seconda opzione – nemmeno la prima, certo – perché sono stata a letto con uomini anche navigati, non mi sono certo preservata nel corso degli anni e la mia vita sessuale è sempre stata attiva. Pensavo fosse Simon, il mio ex, quello irraggiungibile, quello che nessun uomo sarebbe mai stato capace di eguagliare. Adesso so che non è lui; forse non è bravura, è più semplicemente quel che si chiama chimica ed evidentemente tra
me e Kilian ce n’è parecchia, è innegabile. Incendi quando battibecchiamo, ma non è che una fiammella a confronto delle lingue di fuoco che si accendono quando ci uniamo.
No, dai, okay la chimica, è innegabile che ci sia, ma lui sapeva esattamente dove mettere le mani e come muoverle. Sapeva bene ciò che stava facendo, mentre mi maneggiava sapiente, facendomi percorrere la strada per il Nirvana. Non è umano, quante donne ha “amato” per aver questa destrezza non così scontata?! D’un tratto mi rendo conto di voler sapere tutto di lui, ogni cosa lo riguardi, anche l’inezia più irrilevante.
Conosco il suo profumo, conosco come cambia la sua voce quando si prende una donna, conosco le sfaccettature dei suoi occhi quando ti guarda e ti desidera… Non mi basta. Voglio sapere chi è davvero Kilian, nella vita privata, chi è stato quand’era bambino, chi vuole essere quando “sarà grande”. Voglio sapere, soprattutto, cos’ha provato lui.
Il mio sguardo è incatenato sui corrugamenti del mare che si estende a perdita d’occhio e ora mi fa più paura questa voragine che Kilian mi ha aperto nel cuore di quanto non mi intimorisca il mare aperto.
«Ti sei svegliata?» La sua voce arriva all’improvviso, assieme alle sue braccia che mi avvolgono da dietro.
«Ehi» Piroetto per ritrovarmelo di fronte. Vorrei dire qualcosa di intelligente, di brillante, ma non sono sicura di quali parole usare. Lo guardo, scissa tra l’imbarazzo e l’impellenza di bombardarlo di domande, ma non credo gradirebbe l’interrogatorio. Un’altra cosa so di Kilian: è evasivo quando si tratta di parlare di lui.
«Guardi il mare?» Annuisco, mi volto di nuovo, tornando a dargli le spalle ma trattenendolo a me, intrecciando le dita alle sue, posate sul mio ventre. Non riesco nemmeno a sostenere il suo sguardo.
«Sei in imbarazzo?» Con indice e pollice mi obbliga a guardarlo
ancora.
«Forse…» ammetto. «Magari, solo un po’.» Attento un sorriso, lui inarca solo un angolo delle labbra e diventa subito di nuovo così maledettamente attraente.
«Ho sbagliato?»
«Cosa?!» grido, incerta di aver capito.
«Non lo so, ti sei pentita.»
«No!» Lo asserisco con decisione e torno a fissarlo per dar intensità alle mie parole. Lo vedo annuire, i suoi capelli sono mossi dalla brezza leggera che accarezza l’isola avvolta dal silenzio e in cui il rumore dei flutti canta senza impedimenti.
«Hai mai fatto il bagno di notte?»
«Ho paura del mare aperto…»
«Ma qui si tocca» mi fa notare.
«Lo so, ma non riesco a vedere cosa c’è attorno a me; il principio è similare.»
Kilian schiocca la lingua e scioglie l’abbraccio, mi sorpassa con un passo lento e cadenzato.
«Ti fidi di me?»
«L’ultima volta l’ho fatto e questo è il risultato» rispondo prendendomi gioco di lui. A quanto pare l’ironia è ancora la mia più efficace arma di difesa.
«Lo ripeterò» dice inclinando il capo di lato, «ti fidi di me?» Mi porge la mano grande, il palmo verso l’alto e, dopo un attimo di esitazione, so qual è la risposta; stringo la sua mano e lascio che mi guidi nell’abbraccio dei cavalloni bassi e pigri. L’acqua è deliziosamente calda, si vede solo la luna rispecchiarsi con la sua luce vaporosa sulla cresta.
Poi mi guarda e i suoi occhi di ghiaccio sono ancora più belli, con questo gioco di chiaroscuro.
«Tutto bene?» domanda.
«Insomma…» Appena mi guardo attorno, inizio a sentire dentro di me l’agitazione.
«Aggrappati a me.»
«L’acqua ci arriva alle caviglie, perché devo aggrapparmi.»
«Meno domande e fallo.»
«Sissignore» scherzo, ma obbedisco e allaccio le braccia attorno al suo collo, sui suoi deltoidi gonfi.
All’interno delle sue braccia robuste il cuore si tranquillizza, ci fissiamo e, lento, si avvicina a baciarmi ancora, facendomi percepire un sollievo che non credevo possibile.
Mi lascio andare a lui, penso solo alle sue labbra da cui sto creando una sorta di strana dipendenza.
«Guarda dove sei» mormora a un tratto, distanziandosi un poco dal mio volto, ma senza smettere di stringermi.
Abbasso lo sguardo e mi accorgo che l’acqua mi arriva al seno.
«Oh mio Dio!» Non so se essere felice o nel panico, ma mi guardo attorno e tutte le paure svaniscono come vapore quando lui mi guarda e mi tiene la mano.
«Non è bellissimo?» domanda con un largo sorriso ad abbellirgli il volto.
«Oddio, sono nell’acqua di notte!» ripeto come una bambina.
«Hai vinto la paura.» Il suo tono è allegro, frizzante; mi prende dal busto, mi solleva e mi fa volteggiare a metà strada tra cielo e mare.
«È bellissimo» esclamo felice. «Hai ragione.»
Vedo un lampo birichino nel suo sguardo e da lì si trascende nella follia. Quella follia sana di cui solitamente solo i bambini sono capaci. Ci spruzziamo l’acqua, mi solleva e mi getta con sé sott’acqua e quando riemerge mi spruzza, mi bacia e mi spruzza. Una battaglia fatta d’acqua in cui ridiamo spensierati, in un momento che so non dimenticherò mai. Sospesi tra realtà e sogno.
Giochiamo insieme e mi sembra incredibile di riuscire ad aver
questa leggerezza, immersa come sono in una delle mie fobie.
Poi mi bacia, e mi bacia ancora e mi prende di nuovo, tra le piccole onde del mar dei Caraibi.
Per poi tornare all’asciutto, quando il piacere ci ha di nuovo travolti, e ci sediamo per riprendere fiato.
«Da quant’è che siamo qui?» Sollevo la testa dalla sua spalla e mi volto a guardarlo, seduti attorno ai carboni di un fuoco per asciugarci. «Un mese?»
«Più o meno sì» conferma, mentre rigira un sassolino tra le dita.
«Bene.» Faccio una pausa e poi riprendo di getto. «E io non so quasi nulla di te.»
Mi guarda con un sopracciglio sollevato, perplesso. «Non sai niente di me?»
«No! Affatto!» Mi metto dritta sulla schiena per guardarlo in faccia. «Nemmeno che lavoro fai.»
«Che ero un marine lo sai.»
«Sì, sei un veterano, okay, ma ora chi sei
?» insisto. «Perché sei tanto evasivo con le domande? Hai qualche scheletro nell’armadio?»
Lui ride. «Sono riservato.» Torna serio e ricambia la mia occhiata. «Adesso sono solo un civile che gestisce un bar di Chicago.»
«E dov’è? Magari ci sono stata!»
«In che quartiere di Chicago vivi?» chiede di rimando.
«Hyde Park.»
«Io vivo dalla parte opposta, a River Grove, ma il bar che gestisco è nel quartiere di Belmont Cragin.»
«Hai sempre voluto lavorare in un bar?» Sono sempre più incuriosita da quest’uomo, non lo vedevo come gestore di un bar.
«Non proprio, ho sempre voluto arruolarmi nei Marines, ma poi ho abbandonato e dopo è capitata quest’occasione ed è un bel bar, così ho accettato di gestirlo, anche se vorrei rilevarlo.»
«Come mai hai lasciato il corpo dei Marines?» tento la domanda,
lui si rabbuia all’istante.
«La guerra è qualcosa che non potevo più fare.»
«Certo, posso immaginare.» Annuisco e cala il silenzio. «No, in realtà non credo che sarò mai capace di immaginarlo. Non ho idea di che possa voler dire vivere la guerra, l’ho solo letta nei libri o vista nei film. Viverla dev’essere del tutto diverso e non posso immaginare, ma posso capire come mai hai mollato i Marines.»
«Sei la prima che non ha la presunzione di sapere che cosa sia. Ti auguro di non scoprirlo mai.»
Davanti a me, adesso, c’è un Kilian diverso: più fragile e gli accarezzo la guancia ispida.
«La tua ultima storia seria?» Cambio argomento e tono, non voglio vederlo così e spero che la nuova domanda lo allontani da ricordi poco piacevoli.
«Questa è proprio una domanda da donna.» Ridacchia.
«Lo sono, se non te ne fossi accorto…» Lo guardo storcendo le labbra e lui mi pizzica la guancia.
«Me ne sono accorto, me ne ero accorto anche prima.»
«Quindi, accertato il mio sesso, vuoi rispondere ora alla domanda?»
«Dallo scorso anno.»
«Porca miseria, certo che non ti sprechi in dettagli.»
«Che devo dire? Mi hai chiesto da quanto e te l’ho detto.»
«Perché è finita? Quanto tempo siete stati insieme? Lasciata tu o lei?»
«Mi ha lasciato lei, siamo stati insieme un anno e mezzo e alla fine si è portata via persino il nostro cane, Whiskey.»
«E come mai ti ha mollato?» Lui rotea gli occhi al cielo.
«Perché litigavamo sempre.»
«Quindi eri antipatico anche con lei, interessante…» Mi gratto il mento.
«Sarà meglio dormire» sentenzia, rompendo la filiera di domande, ma non sono arrivata nemmeno a un quarto di tutte quelle che vorrei fargli.
«Già terminato di rispondere?» Mi alzo in piedi e lo seguo sino alla capanna, lui avanti a me si stende sul giaciglio di foglie.
«Ho sonno e dovresti dormire pure tu» mi rimprovera, nemmeno fosse mio padre.
«Non sei curioso di sapere qualcosa su di me?»
«No.» Mi spiazza e mi ferisce. «Preferisco conoscerti in modo naturale. Siamo su un’isola deserta, non ci sono molte distrazioni.»
«Okay» mormoro e annuisco. Nascondo dietro un’espressione neutra quanto, con queste parole, mi abbia ferita.
Io vorrei saper tutto di lui, lui non è interessato a saper niente di me. Non ci sono altre distrazioni e questo mi imprime nel cervello una certezza: mi ha scopata perché non aveva nient’altro di meglio da fare… o da farsi.