22
Unknown
Il suo passato è dannatamente fumoso.
«Secondo te perché ha sempre gli occhi velati di malinconia?» Osservo Crusoe che mi squadra incuriosito, ma a parte qualche verso non ottengo granché. «Incredibile, sei diventato il mio confidente» borbotto divertita, mentre lo guardo in quella posizione spanciata, con la schiena poggiata a una palma.
Mentre me ne sto qui a raccogliere ramoscelli per andare a inspessire il segnale di soccorso, attualmente di un’utilità pari all’appendice umana, penso a Kilian e a quanto so di lui.
È un ex marine, questo è chiaro ed è proprio il dettaglio che probabilmente mi ha tenuta in vita; senza di lui forse sarei morta in mare. Una vocetta mi dice che, senza di lui, in mare non ci sarei affatto caduta, ma la ricaccio presa dal mio spirito magnanimo e generoso nei suoi riguardi. So che adesso gestisce un bar a Wicker Park. So che è single da un paio di anni e che nella crociera era in compagnia di un’amica particolare. So che è un uomo taciturno nella maggior parte delle occasioni, che è arguto e la sua lingua è tagliente come la lama di una katana. So che i suoi occhi diventano di un turchese più profondo quando è preso dalla passione e si fanno simili al ghiaccio quando si chiude nei suoi pensieri.
Conosco di lui molte sfaccettature, eppure non so niente. Conosco le sue espressioni, riconosco le tonalità della sua voce, so com’è fatto il suo corpo… tuttavia non so quasi niente del suo passato se non queste poche informazioni. Non parla mai di quel che c’è dietro la sua strada, non ha mai menzionato la sua famiglia, mentre io ho raccontato di Hellen, di quanto i miei genitori l’abbiano sempre preferita a me e di come questo ci abbia allontanate. Gli ho raccontato delle vacanze estive al lago, dei viaggi che ho intrapreso in Europa e in Asia, conosce la storia fallimentare con Simon, quantomeno i dettagli più importanti. Lui può raccontare ad altri qualcosa di me, io al contrario non posso raccontare alcunché, avvolta nell’ignoranza di ciò che è stato e se non sai chi fosse una persona, non sai nemmeno chi è adesso.
Lo cerco tra il paesaggio illuminato da un sole caldo e iridescente e lo metto a fuoco qualche metro più in là, al limitare della baia, mentre sdraiato gioca con un mango, lanciandolo in aria e riprendendolo al volo.
«Vorrei aprire quella testa dura e vedere che ci nasconde dentro!» dico infervorata a Crusoe che fa un suono simile a una risata. La sua bellezza adamantina si adegua bene alla sua personalità e mi ritrovo a voler intaccare il diamante per poterne vedere l’interno.
Storco le labbra, afflitta per questa consapevolezza maturata di quanto poco sappia di lui davvero.
È Crusoe a distrarmi dal mio rimirare da lontano, strilla e mi si avvicina per tirarmi per il braccio.
«Che c’è, Crusoe?» chiedo, riscuotendomi. Lui continua a strillare e a tirarmi così mi volto nella sua direzione e, con la coda dell’occhio, vedo una lingua rossa alzarsi di fronte a me.
«Oh merda!» Arranco all’indietro con occhi spalancati su cui si riflettono le fiamme che stanno divorando la capanna.
«Kilian! Kilian!» urlo, con tutta la forza dei miei polmoni, mentre prendo una grossa foglia che inizio a sbattere sulla fiamma.
«Che diavolo succede?!» Kilian arriva di corsa e per un attimo si immobilizza davanti al fuoco, Crusoe continua a urlare agitato.
«Sta andando a fuoco!» strepito nel panico agitando la foglia ancora di più, ma lui me la strattona via dalle mani.
«Così peggiori tutto, ci vuole l’acqua e la sabbia.» Resta calmo e invidio questa sua impassibilità, questo sangue freddo, mentre afferra la sacca che abbiamo preparato per prendere l’acqua alla sorgente per poi correre verso il mare. Quando torna di corsa, la getta sul fuoco e mi guarda, ancora immobile e spaventata.
«Prendi qualcosa e aiutami, Renée!» Il suo tono è imperativo e riesce a riscuotermi dalla trance, così afferro ciò che trovo, delle noci di cocco vuote, e inizio ad aiutare questa staffetta dal mare all’incendio che sta divorando la nostra “casa”.
«Devi buttarla sull’origine» mi ordina. «Non sulle fiamme sparse!» Annuisco e cerco di riprendere il controllo delle mie azioni.
Merda!
Non so quante volte ho corso con quella misera noce vuota, ma dopo un po’, finalmente, le fiamme si sono spente e ora nell’aria c’è solo un fumo acre che graffia la gola.
Io e Kilian siamo qui in piedi, l’uno accanto all’altra, mentre Crusoe viene a prendermi la mano a guardare anche lui il disastro. La nostra capanna è distrutta.
«Com’è successo?» domanda greve.
«Io volevo solo scaldare dell’acqua per depurarla.»
«E perché hai acceso il fuoco qui e non dov’è stato fatto il falò?» I suoi occhi glaciali mi congelano all’istante e mi sento una stupida.
«I-io non lo so. Ho pensato fosse più comodo.» Mi mordicchio le labbra, nervosa, divorata dal senso di colpa.
«È colpa mia…» mormora coriaceo. «Colpa mia che ti ho insegnato come si accende un cazzo di fuoco!» esplode all’improvviso, come un fiume in piena che, dopo aver trovato un debole tappo, lo fa saltar via con la sua devastante potenza.
«Mi dispiace, io…»
«Hai acceso uno stramaledetto fuoco a due passi dalla capanna, non hai pensato che è fatta di rami e foglie?»
«Non mi è venuto in mente, credevo fosse controllato.»
«Non devi essere ingegnere per sapere che legno e foglie prendono fuoco e tu ne hai appiccato uno, sottovento, a un passo!» Cammina avanti e indietro, furibondo.
«Mi dispiace» urlo di rimando, rossa in volto e con le lacrime agli occhi.
«Ti dispiace?!» In poche falcate mi è a pochi centimetri e alzo la testa per guardare i suoi occhi incendiari. «Devo rifare tutto quanto. Tutto!» Me lo sbatte in faccia, per poi guardare il disastro consumatosi.
«Ti aiuterò, faremo presto» provo a dire.
«Vuoi aiutarmi? Ma per favore.» È paonazzo, la vena sul collo si gonfia di rabbia. «Sei un dannato peso morto! Sarebbe tutto più facile se tu non fossi qui a rovinare ogni cosa.»
Sussulto a queste parole, ferita. Maledettamente ferita. Ciononostante non ho la forza di replicare e rispondere a questo affondo che mi ha spezzata; ha ragione, sono un maledetto peso morto che rovina ogni cosa lui faccia.
Ingoio la frustrazione e dalla mia bocca non esce che un lieve lamento: «Mi dispiace.»
Lascio dietro di me impronte che si allontanano dal lui, lo sento trafficare tra ciò che rimane e mi sento una cretina. Come posso sbagliare sempre tutto? Sto rendendo questo disastro ancor più complicato, non riesco a farne una buona e mi par quasi di essere io la vera calamità di quest’atollo.
Mi stringo il petto con le braccia alla ricerca di un po’ di ombra, Crusoe mi segue come fosse un prolungamento di me e aumenta il suo passo molleggiato per raggiungermi e prendermi la mano. Gli sorrido, grata a questa scimmietta che sembra mi abbia adottata.
Trovo un giaciglio in cui posare quest’ammasso di ossa e carne che portano in sé il seme della devastazione, Crusoe mi asciuga una lacrima, ma un pianto inconsolabile mi singhiozza fuori. Non riesco a trattenermi, non posso fermare questa pioggia di stille che cadono sulla sabbia facendola raggrumare in piccoli cerchietti.
La scimmia, a un tratto, comincia ad agitarsi, richiama la mia attenzione, ma in questo momento sono così affranta che faccio fatica a darle udienza, tuttavia faccio uno sforzo e sollevo il capo verso di lui che se ne sta lì, con quel che sembra l’intento di consolarmi.
«Meno male ci sei tu» mormoro grata, lui apre la sua bocca e poi corre via, ripercorrendo all’indietro il tragitto fatto assieme. Il mio tragitto della vergogna. «Bene, te ne vai pure tu…» Una brezza che odora di salsedine mi lambisce il viso e lo nascondo di nuovo tra le mie braccia.
Non mi riconosco più; da quando sono così? Sono sempre stata una donna forte, temprata nella determinazione, eppure mi accorgo di non aver abbassato la saracinesca solo sul negozio, ma di averla tirata giù anche su di me. Ho chiuso la saracinesca della mia autostima, che è scesa ai minimi storici quando ho fallito anche col mio piano b , il negozio di musica; al mio vero sogno ho detto addio quando ho rinunciato a scrivere. Ecco qual era il mio sogno! A dire la verità, non posso affermare di aver rinunciato perché non ho mai nemmeno tentato.
La testa vortica appena, ma dopo poco tutte le angosce che annebbiavano la mia vita si dipanano e torno a vedere ciò che ho sempre voluto fare. Mi ricordo!
Mi sollevo in piedi con un balzello agile e mi tergo decisa la lacrima sulle gote. Basta piagnucolare, basta star qui a brancolare nell’autocommiserazione, devo reagire adesso e ora! Semmai tornerò a Chicago riprenderò in mano la mia vita, ma adesso sono stufa di fare la combinaguai, di essere colei che rende tutto difficile.
Animata da freschi propositi, mi inizio a guardare attorno alla ricerca di legna e foglie che possano tornare utili a costruire la nostra casa di fortuna e inizio a metterne da parte un po’ con l’intento di portarli a Kilian e aiutarlo a ricostruire il disastro. Non voglio essere un cazzo di peso morto!
E mentre sono concentrata ad ammassare legnetti e foglie, sento Crusoe in lontananza che si avvicina.
«Sei tornato, traditore!» esclamo, voltandomi a guardarlo, ma sobbalzo appena quando, attaccato alla sua mano, vedo anche Kilian che si lascia trainare da quella scimmia testarda.
Resto in silenzio, finché Crusoe non mi arriva davanti con Kilian e si arresta.
«Pare che questa scimmia impicciona voglia farci far pace» esordisce lui, si gratta la barba incolta e guarda Crusoe con un affettuoso sguardo di finto rimprovero.
«Sono una frana. Mi dispiace per ciò che ho fatto» inizio a dire, ma lui agita le mani e mi fa segno di tacere.
«Shh, lascia stare» dice. «Sono stato troppo duro. Tendo a credere che tutti conoscano le basi della sopravvivenza, non è in questo modo ed è giusto così.» Con un passo mi è a pochi centimetri, abbassa il volto verso il mio. «Dispiace a me per ciò che ti ho detto.» Lo ha detto davvero? Kilian sa chiedere scusa?
«Aspetta, aspetta!» Porto una mano sulla fronte, con l’altra cerco un appiglio a cui trattenermi.
«Ehi, ti senti poco bene?» Preoccupato, mi si avvicina per sostenermi e gli poso le mani sulle spalle massicce.
«Mi hai davvero chiesto scusa?!» Sgrano gli occhi incredula, lui fa una smorfia e abbozza un sorriso sghembo.
«Ti sorprende?»
«Mi sorprenderebbe da qualsiasi uomo, figuriamoci da te!» esclamo con enfasi.
«Sei una dannata combinaguai.» Le sue mani mi incorniciano il viso e vengo travolta dall’azzurro del suo sguardo. «Ma sai farti perdonare» aggiunge, ammiccando con il capo verso le scorte che ho recuperato.
«Non accenderò più un fuoco» dico con una solennità posticcia.
«No, sarà meglio che col fuoco ci armeggi il sottoscritto.» Sorride ancora e poi mi bacia. Crusoe si copre gli occhi con le mani e ridiamo divertiti.
Quella piccola scimmietta è riuscita in un miracolo… e torno a baciare quest’uomo dai modi bruschi ma con un animo gentile.