Amanda giunse le mani in grembo e atteggiò il viso a un sorriso cordiale. Era su un divano della casa di Bedford Square. Davanti a lei c'erano sei donne sulle sedie poste ad arco. Continuavano a guardarla chiacchierando, ma la ragione di quell'incontro non era trovarsi per conversare. Il vero motivo era la sua presenza, e Amanda non capiva perché.
La governante portò dei dolcetti da mangiare con il tè, il caffè, e anche sherry e vino. Se gli occhi non la ingannavano, c'era anche del whisky. Fino ad allora solo Lady Farnsworth aveva bevuto del liquore. Due volte.
Lady Grace, una donna che Amanda non aveva mai visto, prese un dolce. Era una bella bruna con occhi azzurri e l'incarnato di alabastro, e un fisico snello e flessuoso che le permetteva di mangiare quanti dolci volesse.
Lady Grace era rimasta in silenzio, come altre due donne, anche loro mai viste prima. Mrs. Dalton, una corpulenta matrona con una massa eterea di capelli chiarissimi e abiti sobri e severi, ascoltava attentamente. Un'altra, Mrs. Clark, chiaramente di ceto sociale inferiore rispetto alle altre, seguiva i discorsi restando in secondo piano.
La Duchessa di Stratton era seduta proprio di fronte ad Amanda e la osservava con attenzione. Era lei l'editore della rivista di cui le aveva parlato Lady Farnsworth.
Doveva avere circa venticinque anni ed era in stato interessante; la gravidanza era tanto avanzata che Amanda si meravigliava del fatto che fosse riuscita a uscire di casa. Aveva i capelli castani con riflessi ramati e occhi azzurri che scrutavano Amanda mentre Lady Farnsworth parlava di una proposta di legge recentemente presentata in Parlamento. Accanto alla duchessa era seduta Mrs. Galbreath, che dirigeva il giornale.
La duchessa sorrise a Mrs. Galbreath quando Lady Farnsworth tacque finalmente per riprendere fiato. «Credo che sarà una soluzione ottimale, non trovi, mia cara?»
«Se non fossi d'accordo, non ti avrei mai chiesto di venire, nelle tue condizioni...»
«Non cominciare, mi è sufficiente Adam con la sua preoccupazione! Ha fatto riempire la carrozza di così tanti cuscini che non ho avvertito neanche uno scossone, anche se salire e scendere è stato comico.» Si voltò a guardare Amanda. «Lady Farnsworth ci ha parlato profusamente dei vostri talenti. Abbiamo una proposta da farvi e speriamo che vogliate ascoltarla.»
«Certo, Vostra Grazia.»
«La rivista ha avuto un'inaspettata popolarità nell'ultimo anno e stiamo pensando di aumentare la tiratura e passare dalla pubblicazione trimestrale a bimestrale, però non sarà fattibile se Mrs. Galbreath continuerà a fare tutto da sola come ora. In altre circostanze l'aiuterei io, ma in questo stato...» Posò le mani sul ventre tondo che tendeva la mussolina giallo chiaro dell'abito. «Cerchiamo qualcuno che aiuti Mrs. Galbreath. Lady Farnsworth ha proposto voi.»
«Detesto occuparmi della contabilità» le spiegò Mrs. Galbreath. «Perciò continuo a rimandare l'incombenza ma ormai non posso più evitarlo e i conti sono in una tale confusione per la mia trascuratezza! Lady Farnsworth ha accennato alla vostra bravura nel seguire la sua gestione domestica e abbiamo pensato di proporvi di fare altrettanto per la rivista.»
Amanda non sapeva che cosa dire. Era rimasta altrettanto allibita quando Lady Farnsworth le aveva affidato la contabilità domestica. Se quelle donne avessero conosciuto il suo passato non le avrebbero mai affidato la gestione delle finanze. Anzi, si sarebbero rifiutate di stare addirittura nella stessa stanza.
Si era detta più volte che il passato era appunto tale... passato, e quel pensiero le aveva permesso di accettare l'incarico che le aveva affidato Lady Farnsworth. Però ora non era più tanto passato.
«Immagino che v'impensierisca l'interferenza con le vostre responsabilità» disse Lady Farnsworth. «Non dovete preoccuparvi. Non vi occuperà troppo tempo e potrete seguire la contabilità da casa mia. Destineremo qualche ora alla settimana a tale scopo. Non intendo farvi lavorare troppo.»
«No, non lo permetterei mai» le diede man forte la duchessa. «Miss Waverly, se non potrete far rientrare questo incarico nelle ore che destinate a Lady Farnsworth, o troveremo un'altra soluzione o vi compenseremo per il lavoro in più. La decisione sarebbe vostra. Che ne dite?»
«Mi sembra interessante» rispose Amanda. Avrebbe pur sempre avuto a che fare con i numeri, ma vedere come funzionava la contabilità di una rivista sarebbe stato più interessante che esaminare i conti del macellaio e del cartolaio.
«Siete disposta a fare un tentativo?» domandò la duchessa.
«Volentieri, visto che Lady Farnsworth accetta di dividermi con voi.»
«È un gran sollievo» intervenne Mrs. Galbreath. «Vogliamo brindare al vostro ingresso nella nostra sorellanza letteraria?» Si sporse a prendere la caraffa dello sherry e lo versò nei bicchierini.
Amanda prese il suo e bevve un sorso, assaporando il liquore che la riscaldava mentre scendeva in gola. Era dolce ma con una punta di aspro, molto piacevole.
«Ora, mia cara, c'è un'altra cosa importante» disse Lady Farnsworth. «La duchessa ha insistito per incontrarvi, ed è comprensibile, tuttavia non dovrete fare parola con nessuno del fatto che finanzi la rivista. In autunno verrà pubblicato ufficialmente il suo nome e il suo ruolo come editore, ma per il momento è ancora un segreto.»
«Veramente non è proprio un segreto» la corresse Mrs. Galbreath. «Tuttavia l'anno scorso c'è stata una certa questione e abbiamo ritenuto che fosse meglio aspettare qualche tempo prima di essere più esplicite.»
«A sentire te sembra così scandaloso!» rise la duchessa. «Miss Waverly, un anno fa Parnassus ha pubblicato una storia riguardante la mia famiglia. Abbiamo omesso di citare il mio coinvolgimento come finanziatrice per evitare che si pensasse che le informazioni rese note fossero state censurate a causa della mia presenza. Sono certa che comprendiate.»
«Secondo me potreste evitare del tutto di fare il vostro nome se preferite. Non è cosa che riguardi i lettori» osservò Amanda.
«Invece credo che sia giunto il momento di prendere posizione e rivendicare la mia proprietà. Sono molto fiera di Parnassus. Mi manca l'emozione che abbiamo provato nel creare i primi numeri con Althea, cioè Mrs. Galbreath, solo noi due... trovare gli articoli, correre in stampa, implorare i librai di distribuire la rivista.» La duchessa sorrise con affetto a Mrs. Galbreath. «Hai più successo da sola che con me, Althea, devo dire. L'idea è stata mia, ma la bravura tutta tua, amica mia.»
Mrs. Galbreath arrossì. «Sei troppo generosa, ma poco obiettiva.»
«È sempre stata un'impresa collettiva, e dev'essere conosciuta pubblicamente come tale» sentenziò Lady Farnsworth. «Le donne unite possono raggiungere qualsiasi obiettivo.»
«E ora vi unirete anche voi a noi» disse Mrs. Galbreath ad Amanda. «Sono certa che ci sarete di grande aiuto.»
Amanda lo sperava. Stimava quelle donne, e le trovava simpatiche, nonostante le sembrasse strano trovarsi in un salotto con una duchessa, la vedova di un barone e la sorella di un conte. Era ancora più strano che la trattassero come loro pari benché fosse destinata a essere solo una dipendente.
Si guardò intorno in quel gruppo tutto al femminile, mentre le altre, compresa Mrs. Clark, parlavano del numero successivo della rivista. Erano amiche e si vedeva. Una sorellanza, aveva detto la duchessa.
Dopo un quarto d'ora si scusò e prese commiato. Mrs. Galbreath l'accompagnò alla porta.
«Dicevo sul serio riguardo alla vostra partecipazione, Miss Waverly. Questa casa è come un club, e voi siete la benvenuta. Dopo che sarete andata via si voterà se accettarvi ma è già chiaro che potrete farne parte. Dovrete considerarla la vostra seconda casa e sentirvi libera di venire a trovarci ogni qual volta sarete in questa zona della città.»
«Un club? Come quelli degli uomini? Vi sono grata dell'invito, ma purtroppo devo rifiutare. Non credo di potermi permettere la quota e...»
«Abbiamo delle signore che non pagano alcuna quota per il club. Non lo sa nessuno perciò non dovete temere di essere considerata diversa dalle altre.»
«Siete veramente molto gentile. Dubito che avrò molte occasioni di approfittare di questo dono che mi lusinga moltissimo, ma lo apprezzo veramente.»
Mrs. Galbreath inclinò il capo di lato. «Non è un regalo. Il vostro aiuto sarà un contributo di gran lunga maggiore di quello di molte di noi. È giusto che diventiate socia del club.»
Lo stupore di Amanda si era abbastanza dissipato quando uscì in strada, ed era stato soppiantato dalla sensazione di essere divisa in due, come se dentro di lei ci fossero due persone: una che discorreva con delle nobildonne e accettava di lavorare in un giornale, l'altra che intendeva farsi sedurre da un uomo per avere la possibilità di commettere un crimine per cui avrebbe rischiato di essere impiccata.
Quella sera, quando tornò a casa, Amanda versò con il mestolo la zuppa dal pentolone che ribolliva sempre appesa a un gancio sopra il focolare, poi tagliò un pezzo di pane e si sedette al tavolino di legno grezzo per cenare. Lady Farnsworth le offriva sempre il pranzo a mezzogiorno, e questo le era di grande aiuto per risparmiare.
Dopo avere mangiato, si fermò a guardare il fuoco mentre racimolava il coraggio necessario per leggere l'ultima lettera ricevuta, che aveva trovato da Peterson lo stampatore quando vi era passata quella sera. Da anni sua madre usava la bottega come punto di consegna della posta e, saputo che Amanda sarebbe andata a stabilirsi a Londra, le aveva scritto di continuare a usare lo stesso nome in modo che lei potesse scriverle a quel fermo posta.
Tirò fuori la lettera dalla borsetta. Indirizzata a Mrs. Bootlescamp, era vergata nella scrittura di sua madre.
Non è mia intenzione turbarti né assillarti, ma sta diventando impaziente. Gli ho spiegato che la sua nuova pretesa è molto più complicata della prima, e forse neanche fattibile. Non ti vedo da quasi dieci anni, e non so se ciò che ti è richiesto possa essere troppo al di sopra delle tue capacità.
Mi duole riferirti che purtroppo lui non si è lasciato convincere dalle mie rimostranze. Anche in questo momento, giacché legge da sopra la mia spalla ciò che scrivo, sostiene che tu stia temporeggiando di proposito.
Perdonami, Amanda, se ti chiedo troppo quando invece tu non puoi aspettarti in cambio niente da me. Quando avrai portato a termine la missione lasciami un messaggio come l'ultima volta, tramite il nostro fermo posta, ma indirizza la lettera a Mr. Pettibone.
Era impaziente, dunque?, pensò Amanda digrignando i denti. La indignava profondamente il fatto che uno sconosciuto mai visto potesse influenzare fino a quel punto la sua vita.
Ovviamente parte della colpa era da attribuire a sua madre. Non le dispiaceva che si aspettasse così tanto da lei, ma era risentita per l'inevitabile conclusione a cui era giunta, cioè che se quell'uomo teneva la madre in suo potere era perché lei aveva cercato di derubarlo. Inoltre lui non sarebbe mai venuto a conoscenza dell'esistenza di una figlia se la madre non gliel'avesse detto nel tentativo di salvarsi.
Era un ricco nemico, forse anche potente. La madre non si prendeva mai il disturbo di derubare un altro genere di uomo. Forse era anche il tipo che pretendeva giustizia e voleva che i ladri fossero impiccati senza mostrare pietà.
Fece una risata carica di amarezza. La sua era una famiglia di ladri, era inutile negarlo. I suoi genitori erano stati particolarmente scaltri ma, per quanto fossero stati audaci e sofisticati, erano pur sempre dei truffatori, c'era poco da girarci intorno.
E le avevano insegnato a essere una ladra come loro.
Mise la lettera nel cassetto del comodino, poi scelse degli abiti ben diversi da quelli della sera prima e li posò sul letto. Si spogliò e li indossò. Quella sera sarebbe uscita di nuovo, ma prima avrebbe dovuto esercitarsi.
Non sapeva se aveva ancora le capacità fisiche per portare a termine la missione, come aveva messo in dubbio sua madre. Non avrebbe potuto saperlo se prima non ci avesse provato. Però avrebbe potuto fare pratica per cercare di non fallire. Non aveva dimenticato l'addestramento ricevuto, anche se non lo considerava più un gioco come quando era bambina.
Si piazzò su uno dei segni tracciati con il gessetto sul pavimento, si piegò accovacciandosi e mise un piede dietro l'altro per darsi lo slancio, poi fece un balzo poderoso.
«Chi stai cercando?» chiese Brentworth a Gabriel mentre attraversavano Hyde Park a cavallo.
«Nessuno.»
«Tu dici? Hai insistito per uscire a quest'ora quando tutti sono in giro a fendere la calca, anche se so che di norma lo eviti. Da quando siamo arrivati non fai che sbirciare furtivamente a destra e a sinistra. Devo concludere che tu voglia vedere qualcuno... o qualcuna, per puro caso, ovvio.»
Gabriel guardò dritto davanti a sé, indispettito per essersi fatto scoprire.
«Non sarà la pastorella?»
Accidenti. Da due giorni non faceva altro che scrutare bocche femminili nella speranza di riconoscere dei tratti familiari. Se scorgeva delle labbra rosse guardava con maggiore attenzione per accertarsi se fossero dipinte. Però non era quello il motivo dell'uscita a cavallo. In verità voleva distrarsi per non pensare con eccessiva trepidazione all'appuntamento di quella sera. Al solo pensiero aveva già un principio di erezione.
Era strano che fosse tanto affascinato da quella donna misteriosa. Forse parte del suo interesse era la sua presunta mancanza di esperienza. Le sue amanti erano quasi tutte navigate, e l'idea di fare da guida e iniziare una bella fanciulla ai piaceri della carne era allettante.
Fece una risata falsa e forzata. «La pastorella? Come ti viene in mente di fare un'insinuazione tanto assurda?»
«Al ballo sei scomparso in sua compagnia per un bel po'.»
«Ah, l'hai notato?»
«Sì, e non sono stato il solo. Direi che molti si sono tenuti alla larga da quel particolare angolo del giardino per evitare di sorprenderti con le natiche al vento e i pantaloni abbassati fino alle caviglie.»
«Visto che non sto cercando nessuno... o nessuna, puoi essere sicuro che non è la pastorella. E comunque non potrei cercarla, perché se la incontrassi non la riconoscerei.»
Brentworth si limitò a sorridere enigmatico.
«Però di solito riconosco tutti al ballo, anche se sono mascherati. Per caso hai capito chi sia?» gli domandò Gabriel affettando un tono noncurante.
«Ho cercato d'individuarla ma non ci sono riuscito. Come ho detto, forse è una cortigiana, magari arrivata da poco a Londra.»
«Non credo. Secondo me è più probabile che fosse una donna sposata in cerca di avventure per sfuggire a un marito che la trascura o, peggio, che la maltratta.»
Brentworth gli lanciò una lunga occhiata eloquente. «Hai dedotto tutta una storia in base a un breve incontro casuale. D'altronde non oserei mai mettere in discussione la tua esperienza in materia.»
«No, forse non un marito...» continuò Gabriel ignorando il suo commento. «Vuole sfuggire a un padre severo o a un fratello prepotente. Ho notato che aveva paura. Era veramente terrorizzata al pensiero di essere scoperta. Se fosse una prostituta non le importerebbe.»
«Sembra che durante la tua lunga assenza in giardino tu abbia essenzialmente parlato con lei. Che bravo!»
A Gabriel non sfuggì il suo tono sardonico. «Ritengo di possedere un intuito particolare riguardo la personalità delle signore.»
«Quindi hai concluso che fosse una vera signora.»
Il suo commento prese Gabriel alla sprovvista. «Credo di essere giunto a quella conclusione senza rifletterci, anzi, non ho preso in considerazione il contrario.» Rifletté per qualche istante e aggiunse: «La sua maniera di parlare, i suoi modi... Sì, mi è parsa una vera signora o, almeno, una ragazza educata per diventare una vera lady».
«Allora è un bene che tu non possa rivederla, perché mi sembra pericolosa. Quando una lady ha un marito, un padre o un fratello possessivo, il suo amante si trova spesso coinvolto in un duello.»
Brentworth non gli diede alcun consiglio, ma Gabriel notò il suo tono di avvertimento. Tuttavia non gli avrebbe dato ascolto. Forse la pastorella era pericolosa, ma lui intendeva avere da lei tutto ciò che fosse disposta a concedergli.
Quella sera Gabriel entrò nella casa del fratello, accompagnato da Miles, il suo valletto, che portava un cesto colmo di leccornie con cui intendeva allettare la sua donna misteriosa.
Il custode dormiva vicino alla porta, allo scopo di sorvegliare la casa. Gabriel lo svegliò, gli diede qualche moneta e gli disse di uscire e non tornare fino al mattino.
Si diresse verso la biblioteca e indicò al valletto di disporre su un vassoio i dolci e le fragole con la panna, immaginando di cospargerla su un corpo femminile nudo. Miles tirò fuori anche tre bottiglie di champagne che mise su un tavolino vicino al divano di fronte al caminetto.
Dopo avere acceso il fuoco, congedò il servitore e gli ordinò di mandare la carrozza all'alba.
Finalmente solo, andò in cucina, tolse il paletto alla porta e girò la chiave nella serratura per aprirla, poi tornò in biblioteca e si guardò intorno. Tra i tanti libri e qualche soprammobile artistico dal gusto particolare, individuò subito un paio di cuscini decorativi che mise sul divano, su cui drappeggiò una strana stoffa turca che era piegata in un angolo, per aggiungere un tocco di atmosfera esotica. Soddisfatto della scena di seduzione che aveva approntato, aprì una bottiglia, versò lo champagne in un bicchiere e attese.
Si chiese se a Harry sarebbe dispiaciuto se avesse usato una delle camere da letto. Guardò il divano e il tappeto con occhio critico, considerando le varie possibilità, invaso da pensieri licenziosi, più piccanti del solito. Doveva ammettere che il mistero e la novità della situazione avevano risvegliato la sua immaginazione, addormentata dal cinismo dovuto alla sua vasta esperienza. La fanciulla l'aveva sfidato con il suo spirito arguto, e ora non vedeva l'ora di sottometterla al piacere fino a farla gemere e contorcere sotto di lui.
Controllò l'orologio da taschino. Le dieci. Tese l'orecchio ma udì solo silenzio. Iniziò a temere che non si presentasse.
Passarono dieci minuti, poi altri dieci. Bevve la quarta coppa di champagne, cercando di dominare la delusione. Come aveva detto a Harry, c'era un plotone di donne in giro per Londra a sua disposizione.
Stappò un'altra bottiglia di champagne che lo tenne occupato per qualche minuto. Quando la bottiglia fu pronta sul tavolino, ammirò le bollicine che danzavano, illuminate dai caldi bagliori del fuoco.
Poi, di colpo, si rese conto di non essere più solo.
Lei era ferma all'angolo vicino alla porta, nascosta tra le ombre. Gabriel dovette aguzzare la vista per distinguere la sua sagoma. Non l'aveva sentita entrare; era come se si fosse materializzata lì.
Guardando meglio, la luce mutevole delle fiamme gli permise di cogliere altri particolari. Non portava la maschera, aveva i capelli legati e un lungo scialle scuro che copriva le sue forme come un mantello. Scorse della stoffa al collo che gli fece capire che il vestito che indossava era ben diverso dal costume da pastorella.
«Allora siete venuta.»
«Ho corso un enorme rischio.»
«Perché?»
«Mi avete promesso dello champagne e io non ne ho mai bevuto.»
Lui sollevò la coppa. «Per alcuni vale la pena correre dei rischi per berlo.»
Lei non si mosse e rimase in silenzio. Gli occhi di Gabriel si erano abituati ancora di più alla penombra; ora vedeva che quel brutto scialle scuro bordato da rose rosse nascondeva l'abito e il suo corpo per intero.
«Perché non vi sedete? Vi verso una coppa di champagne.» Indicò il divano accanto a lui. Sedetevi, mia cara, così potrò togliervi quello scialle orrendo e anche tutto ciò che copre.
Lei continuò a restare ferma e zitta. Lui la fissò negli occhi e lei ricambiò il suo sguardo. Gabriel notò che rimaneva con le spalle al muro e, improvvisamente, la vide come una donna e non solo come una possibile conquista.
Aveva paura, questo era chiaro, ma di chi, di cosa? Di lui, o del fatto che si trovava lì?
Si diede del cretino per avere ignorato le sue parole. Gli aveva detto di avere corso dei rischi. Gabriel aveva capito che non era molto esperta. Era comprensibile che fosse spaventata da lui, dalla situazione, e chissà da che cos'altro.
La sua decenza emerse dal lago di champagne che aveva bevuto. «Forse preferite sedervi sulla poltrona.»
Lei esitò, ma si avvicinò alla poltrona dallo schienale alto e si sedette. Gabriel vide spuntare le scarpe da sotto l'orlo dell'abito. Portava delle babbucce nere. Ora capiva perché non avesse fatto rumore.
Poi notò qualcosa che si vedeva sopra e le fasciava le gambe. Ma che diavolo ha in mente?
Le versò una coppa di champagne e gliela porse senza avvicinarsi troppo. Lei guardò le bollicine con aria assorta.
«Assaggiate.» Gabriel tornò a sedersi.
«E voi non bevete?»
Gabriel aveva bevuto abbastanza, ma le fece compagnia riempiendo la coppa. «Ditemi, mia bella pastorella, c'è un motivo particolare per cui indossate i pantaloni sotto lo scialle?»
«Sono dei calzoni larghi di foggia orientale. Immagino che li troviate repellenti.»
«Se la vostra intenzione era quella di essere poco attraente, avete fallito. Ho conosciuto due donne che preferivano gli abiti maschili ai vestiti femminili. Sapendo quali fossero i loro motivi, sono curioso dei vostri.»
«Sono venuta qui a piedi.»
«Avete attraversato a piedi la città di sera da sola? Se me l'aveste detto vi avrei mandato la carrozza.»
«E io avrei rifiutato la vostra offerta. E poi mi capita spesso di girare a piedi di sera se devo andare da qualche parte. C'è sempre la possibilità di dover correre per scappare.»
«Da un aggressore?»
«O da un poliziotto. Non apprezzano le donne che girano in strada quando è buio e sospettano il peggio. Con i calzoni posso correre senza trovarmi con la gonna sollevata fino ai fianchi.»
«Che immagine stuzzicante! Allora i vostri motivi sono pratici. Avreste potuto completare l'insieme con una giacca, però.»
«Non la possiedo. Inoltre questo scialle lungo mi copre fino alle gambe e non si vede che cosa indosso sotto, m'identifica chiaramente come una donna e, se devo farmi scambiare per un uomo, posso lasciarlo cadere a terra e sbarazzarmene.»
«Perché non ve ne liberate ora? Con o senza scialle, io vi vedo come una donna, e comunque qui con me siete al sicuro.»
Lei sorrise, socchiudendo le labbra rosse a rivelare una chiostra di denti candidi. Immediatamente nella mente di Gabriel si fecero largo immagini erotiche che avevano come protagonista quella bocca sensuale, e lui temette che non l'avrebbero abbandonato tanto presto.
«Sappiamo entrambi che non sono affatto al sicuro qui.»
«Intendevo dire che non correte i rischi a cui avete accennato. Quanto ai pericoli di altra natura, quello scialle non può proteggervi molto.»
«Non vi scandalizzerà vedermi in abiti maschili? Non lo considerate innaturale?»
«L'idea di bere champagne con una donna in pantaloni è molto provocante» ribatté Gabriel.
Lei lasciò cadere lo scialle. Sopra i calzoni neri indossava una camicia da uomo marrone scuro, infilata nella cintura. A giudicare dalle pieghe della stoffa, sotto non portava il corsetto. Comodo..., pensò Gabriel.
Lei bevve un sorso di champagne e fece una risatina. «Ho un pizzicorino al naso per le bollicine. Che vino strano! Però mi piace, è frizzante quando scende in gola.» Bevve un altro sorso, poi posò la coppa e si guardò intorno. «Ci sono tanti libri qui.»
«Harry è uno studioso. Alcuni volumi sono suoi, altri li ha presi nella biblioteca di famiglia.»
«Siete stato gentile a permettergli di svuotare la vostra biblioteca e portarli fin qui per avere una collezione tanto nutrita.»
Gabriel pensò che, anche se Harry ne avesse presi dieci volte tanti, non avrebbe svuotato la sua biblioteca. Il commento gli fece sorgere un interrogativo. «Sapete chi sono?»
«Un gentiluomo con una certa posizione, direi.»
Gabriel esitò, forse perché non gli era mai capitato di doversi presentare. Lo conoscevano tutti a Londra. «Sono Langford, il Duca di Langford.»
Lei non parve colpita. «Così dite.»
«Credete che io non dica il vero?»
«Credo che abbiate intenzioni poco onorevoli nei miei confronti, e un uomo che ha certe idee direbbe qualsiasi cosa per fare colpo su una donna.»
«Ma io sono veramente Langford.»
«E siete anche un uomo che dice di avere delle doti particolari, molto apprezzate dalle donne. Se ho già dei dubbi su questo, ne ho ancora di più sul fatto che siate un duca.»
Quella sfrontata era proprio decisa a sfidarlo. Era come se lo stesse invitando a non avere scrupoli.
«In giardino avete avuto una dimostrazione del fatto che io non mi vanti a sproposito. Quanto al fatto che sia il Duca di Langford...» Gabriel sollevò l'anello con il sigillo. «Guardate, questo è il mio stemma. Se vi avvicinerete potrete vederlo meglio.»
«Preferisco restare dove sono. Se siete veramente un duca, allora c'è qualcosa di strano.»
«Perché?»
«Essendo dotata d'intelligenza normale, non posso fare a meno di chiedermi che cosa possa volere un duca da una donna come me. Siete abbastanza attraente da indurre qualsiasi donna a bere champagne con voi con questi presupposti. Oppure tutte le donne perbene hanno già deciso che siete troppo presuntuoso?»
Gabriel avrebbe voluto ridere, invece bevve un sorso di champagne. «Abbastanza attraente, avete detto?»
«Più che passabile, cosa che non posso dire di me. È per questo che m'interrogo sulle vostre intenzioni.»
«Siete a caccia di complimenti? Volete che vi dica che siete troppo modesta e che in realtà siete più che passabile?»
«Non mi dispiacerebbe, però una donna sa la verità. Ci piace essere adulate, ma sappiamo come siamo realmente.»
«Allora vi risponderò con sincerità. Da duca, posso dirvi che vi trovo interessante e molto più che passabile. Siete diversa dalle altre, rappresentate un vero mistero.» E una sfida, ma non voleva farle montare la testa perciò non lo ammise. «Ora che mi sono presentato, non volete dirmi chi siete e ricambiare il favore?»
Lei guardò la coppa poi lui, e infine scosse la testa.
Bevi, dannazione. Bevi di più e parla di meno.
Quando era entrata aveva visto la bottiglia vuota e aveva ringraziato la sua buona stella. Quella sera la fortuna le arrideva. Doveva essere già brillo; ancora qualche bicchiere e si sarebbe addormentato prima che lei fosse costretta a cedere ai suoi tentativi di seduzione.
Prima di fare la civetta con suo fratello si era rassegnata all'idea di doversi concedere per salvare sua madre. Si era detta che probabilmente non sarebbe stato peggio dell'ultima volta con Steven, quando sapeva già chi fosse ma non l'aveva ancora lasciato. Quell'ultima notte era stata illuminante, perché le aveva fatto capire che poteva esistere il piacere anche senza amore.
Comunque avrebbe preferito non farlo. La sera prima era già venuta in ricognizione per accertarsi di non poter entrare in un altro modo. Però, come la casa di Sir Malcolm, anche lì la porta sul retro era sbarrata come le finestre del pianterreno. Non sarebbe potuta entrare a meno che avesse deciso di rompere un vetro.
Ora non le restava che sperare che il duca si addormentasse prima di arrivare al dunque, così non avrebbe dovuto sacrificarsi. In un modo o nell'altro, il suo obiettivo era di farlo dormire profondamente entro la mezzanotte.
Il duca si versò altro champagne e continuò a bere, comodamente seduto sul divano.
«C'è qualcosa da mangiare, se volete gradire» le disse indicando un tavolino vicino alla finestra.
Lei si alzò e si avvicinò, più che altro per perdere tempo mentre lui beveva. Vide fragole, dolcetti e della panna in una ciotola. «Mmh, queste fragole hanno un'aria succosa.»
«Sono ottime con la panna.»
Amanda ne prese una, la intinse nella panna e la morse, poi si pulì la bocca con il tovagliolo che il duca, previdente, aveva lasciato sul tavolo. Resistette alla tentazione di mangiarne un'altra quando notò che lui seguiva con lo sguardo ogni sua mossa, e tornò subito a sedersi.
«Grazie, era veramente gustosa come prometteva a guardarla. Poche cose sono buone come sembrano.»
«Continuate a criticare? Siete una donna difficile da accontentare. Prendetene un'altra. Se volete evitare di sporcarvi la camicia di succo di fragola vi aiuto io.»
«Vi piacerebbe imboccarmi, eh? E per pulirmi usereste il tovagliolo o lecchereste il succo?»
«Vedo che avete una certa inventiva. Leccarvi per pulirvi è un'idea allettante e piena di possibilità, che non avevo considerato.»
«Vogliamo cambiare discorso? Così avrete modo di riprendervi.»
«Se insistete... In tal caso potete darmi una semplice spiegazione.»
«Mi piacciono le domande semplici perché sono una donna semplice. Chiedete pure.»
«Semplice voi? Non credo proprio. Comunque ditemi, di che cos'avete paura? Di chi? Potete dirmelo senza rivelarmi il vostro nome» disse lui fissandola serio.
La sua domanda la stupì, perché non credeva che il suo atteggiamento rivelasse il suo timore. Non lo ammetteva quasi neanche tra sé e sé. «Come mai dite che ho paura?»
«Innanzitutto perché siete terrorizzata all'idea di essere scoperta con me, ma c'è dell'altro. Ve lo leggo nello sguardo. Secondo me, io rappresento l'ultimo dei vostri problemi. Se non vi sono saltato addosso in giardino, potete essere certa che non lo farò neanche adesso.»
Amanda non ne era affatto sicura e continuava a essere circospetta; anche se era un duca, lo guardava con diffidenza perché, pur senza essere aggredita, avrebbe comunque potuto trovarsi in una posizione di debolezza con lui.
Quanto alle altre sue paure... il duca era troppo curioso. Il problema di rappresentare un mistero era il fatto che gli altri volessero svelarlo. Perciò Amanda decise di raccontargli qualcosa di banale di sé, in modo da renderlo meno interessato.
«Sono oggetto di aspettative e richieste, che non comprendono solo quelle di partecipare a feste e incontri con nobiluomini» rispose vaga.
«Aspettative... da parte della vostra famiglia?»
«I miei genitori mi abbandonarono quando ero bambina. Mio padre se ne andò, poi mia madre mi mise in collegio. Ora ho trovato il mio posto ma, se la mia presenza qui dovesse essere scoperta, avrei dei problemi e sarei mandata via.»
Lui rifletté mentre continuava a bere. «Quindi siete una domestica alle dipendenze di qualcuno. Spero che siate solo sorvegliata e non maltrattata.»
«No, non sono malmenata.»
«Però presumo che vi sentiate sola.»
Le sue parole la trafissero come una freccia, perché avevano fatto emergere un lato della sua vita che cercava d'ignorare, ma Amanda finse che lui non avesse colpito nel segno. «Perché lo pensate? Un duca non può avere esperienza di tali situazioni.»
«Esistono tanti generi di abbandono. Intendiamoci, non pretendo che le mie esperienze siano pari alle vostre. Ho sempre vissuto negli agi e nel lusso e i miei genitori erano presenti, ma erano indifferenti a me. Io ero il loro erede, servivo a uno scopo preciso e avevo i miei doveri.» Il duca bevve una lunga sorsata di champagne. «Per mio fratello è stato peggio e ho cercato di aiutarlo, di dargli almeno il mio appoggio e il mio affetto.»
Amanda pensò che dovesse essere ubriaco per aprirsi con lei fino a quel punto.
«Un giorno sono tornato dall'università per fare una visita a sorpresa a casa e sono entrato nella stanza mentre seguiva una lezione e il suo tutore lo stava punendo, picchiandolo con una canna di bambù, non ricordo neanche perché. Harry aveva solo otto anni. Molte persone si approfittano del potere che hanno, anche se la vittima della loro rivalsa è soltanto un bambino.»
«E che cos'avete fatto?»
«L'ho aggredito e preso a pugni, poi ho intimato a mio padre di licenziarlo. Ho assistito ai colloqui per l'assunzione del nuovo tutore e ho aiutato a scegliere il suo sostituto, poi l'ho preso da parte e gli ho detto che se avesse alzato solo un dito su Harry e l'avesse maltrattato, convinto che i miei genitori non se ne sarebbero mai accorti, l'avrei ucciso. Si è rivelato un tutore eccellente.» Il duca trangugiò il resto dello champagne.
«Avete salvato vostro fratello da anni d'infelicità, e ora lo salvate dalle donne che cercano di sedurlo alle feste.»
Lui rise, poi la guardò intensamente, riportando l'attenzione su di lei. «Non avete mai pensato di sposarvi per liberarvi dal vostro lavoro attuale?»
«Ah, il matrimonio! La soluzione dei problemi per ogni donna, no? Ma cos'è se non un'altra maniera di essere serva, e oltretutto per tutta la vita?»
«Sono l'ultima persona al mondo che obietti a un'opinione cinica del matrimonio, perciò convengo con voi.»
«Non mi riferivo a tutti i matrimoni, ma solo a quello di una donna bisognosa.»
«Ah, allora avete preso in considerazione questa eventualità!»
Come avevano fatto ad arrivare a quel punto?, si chiese Amanda mentre lui la guardava con curiosità.
Decise di essere sincera, tanto non l'avrebbe rivisto mai più. «Poco dopo avere finito la scuola e lasciato il collegio, c'è stato un uomo. Ero giovane e ingenua, mi sono fidata di lui.» Bevve un sorso di champagne nel tentativo di cancellare il gusto amaro che aveva in bocca per quel ricordo. «È una storia prevedibile e piuttosto comune.»
«Un altro abbandono?» le chiese lui in tono comprensivo.
Si guardarono negli occhi e Amanda intuì dal suo sguardo che aveva capito che cosa le fosse successo ed era dispiaciuto per lei, ma soprattutto biasimava l'uomo in questione, non lei.
Ci fu qualche istante di silenzio. Amanda sapeva che lui non le avrebbe mai chiesto un appuntamento privato in una casa vuota se fosse stata una vergine inesperta, e quando si erano baciati in giardino aveva capito che non lo fosse. Seppure il duca condannasse Steven per averla sedotta, era innegabile che ora Amanda fosse vulnerabile nei confronti degli uomini, compreso lui.
Non poteva negare che fosse attraente. Le loro chiacchiere davanti al fuoco creavano un'atmosfera di familiarità e di amicizia, nonostante nell'aria vibrasse prepotente la tensione erotica. Amanda non aveva mai creduto che fosse vero quando le aveva detto di voler parlare. Certo, voleva sedurla, ma non senza conoscerla meglio prima.
La inquietava il fatto che ogni rivelazione annodasse il filo invisibile di un legame tra loro; avrebbe preferito se fosse rimasto un estraneo qualunque. Il suo unico obiettivo era quello di farlo addormentare, sperando che la dimenticasse al suo risveglio.
Quando lo vide soffocare uno sbadiglio si rincuorò.
«Quindi non siete sposata» osservò lui. «Mi ero chiesto se aveste un marito di cui avevate paura.»
«No, non sono moglie, e neanche una domestica. L'avete detto voi, non io.»
«Allora che cosa siete invece?»
Amanda sorrise perché aveva la verità sulla punta della lingua, ma evitò di dirla. Sono una zitella, una segretaria, una ladra.
«A sentire voi, sembra che ci sia una sola risposta. Per voi è facile. "Sono Langford", dite. Di tutti i vostri privilegi, quello di sapere chi siate dalla nascita alla morte è il maggiore.»
«Tutti sanno chi sono. Non è un privilegio dei nobili.»
«Le donne possono cambiare ruolo da un anno all'altro. Una ragazza si sposa, e diventa moglie e madre. Suo marito muore, e diventa vedova. Immaginate di guardarvi allo specchio un bel giorno e vedere il riflesso di una persona che non è la stessa del giorno prima. Tutte le vostre prospettive cambiano.»
«E voi che cosa vedete se vi guardate oggi?»
«Non lo indovinate? Un uomo che sostiene di saperci fare con le donne dovrebbe essere in grado di capirlo.»
Lui rifletté, corrugando la fronte. «Vedova? No, non credo.»
Lei scosse la testa.
«Fidanzata?»
«No.»
«Grazie al cielo! Sarebbe stato rischioso per me. Gli uomini sono possessivi nei confronti di fidanzate e figlie. Non vorrei dover affrontare un fidanzato geloso, o anche un padre, se sapesse che mi avete incontrato.»
«Dovete avere una reputazione terribile se solo sapere che vi ho visto sia pericoloso per voi.»
«Ammetto di essere alquanto noto.»
«Suppongo che sia inevitabile per un uomo che ha dedicato la vita a concedere i suoi doni alle donne. È un miracolo che siate ancora vivo.»
«Un giorno, se continueremo la nostra conoscenza, vi spiegherò come ho fatto a sopravvivere.»
«Potrò ascoltare i vostri segreti solo se prima vi permetterò di attirarmi verso la mia perdizione? È ingiusto!»
«Non ho faticato molto ad attirarvi, devo dire. Non eravate obbligata a venire al nostro appuntamento. Quindi mi assicurate che non ci sia un padre geloso?»
«In questo momento non vedrei una figlia se guardassi allo specchio. È un ruolo che appartiene al passato.»
«Allora amante?»
«Non è escluso. Potrei essere l'amante di un uomo che apprezzi le donne in pantaloni.»
«Ah, quindi frequentate un altro uomo! Comincio a essere a corto d'idee. Rivoluzionaria? Radicale? Riformista?»
«Nessuna di queste R.»
«Per fortuna non è l'ultima definizione. Ne ho abbastanza di riformatori.»
«Qualcuno cerca di riformarvi? Interessante... Non siete solo alquanto noto se siete oggetto di una campagna riformatrice.»
«Non è affatto interessante, solo fastidioso.»
«Quindi sono qui perché possiate dimostrare che non siete riformato?»
Lui rimase interdetto, ma solo per un istante. «Siete qui per bere champagne, essere baciata da un uomo sensibile e delicato, e cercare invano di resistere alla mia sapiente seduzione.»
«Ah, sì, il bacio... Lo volete subito?»
Il suo sorriso sornione avrebbe affascinato anche un orso infuriato. «Se lo ritenete opportuno...»
«Penso che sia meglio, così potrete credermi quando vi dico che non ne avrete altri.»
Amanda attese che lui si avvicinasse, invece il duca rimase fermo a guardarla con gli occhi scintillanti di lampi malandrini.
«È stata una vostra idea, venite qui voi.»
La mente di Amanda fu invasa dai ricordi del loro incontro clandestino in giardino, e furono ricordi emozionanti, ma li respinse a forza. Non si sarebbe lasciata sedurre veramente se avesse potuto evitarlo. Si alzò e si diresse verso di lui, si chinò e premette le labbra sulle sue.
Lui le mise la mano sulla guancia, trattenendola per prolungare il bacio, poi l'attirò a sé spostando la mano verso la nuca per esercitare maggiore pressione.
Il piacere che la travolse minacciò di sgominare le sue difese, nonostante fosse decisa a resistere e ben conscia dei rischi che correva. Il duca era terribilmente seducente, e non solo per le sensazioni fisiche che le provocava. La vera tentazione era la sua offerta di fuggire dalla sua dimensione e abbandonarsi al piacere.
Però le premeva la nuca così tanto da allarmarla. Amanda abbassò lo sguardo e vide che aveva alzato l'altra mano e che stava per sfiorarle la camicia. Si staccò da lui e fissò i suoi occhi profondi e lucenti. Il modo in cui la guardava indebolì le sue difese ancora più del lungo bacio.
Lui l'aveva capito. Poteva leggerle nella mente. Si protese verso di lei, stendendo le mani forti e virili in un'offerta, una richiesta.
Amanda tornò a sedersi.
Lui la prese sorprendentemente bene. Forse stava facendo appello alla sua educazione di gentiluomo e sapeva di non dovere insistere.
«Che cosa fate quando non ottemperate ai vostri misteriosi doveri o v'intrufolate ai balli?»
Era tornato all'attacco con la sua curiosità, ma soffocava uno sbadiglio dopo l'altro e si vedeva che stentava a restare lucido. L'ora tarda e lo champagne stavano facendo effetto.
«Leggo.»
«Sareste piaciuta a Harry più di quanto avesse immaginato.»
«E canto anche.»
«Davvero? Vi esibite in pubblico?»
«Se non posso partecipare a un ballo, non posso certamente fare una cosa tanto audace.»
«Allora per chi cantate?»
«Per me stessa.»
«Che tristezza! Perché non cantate per me? Vi prometto di essere uno spettatore rispettoso e riconoscente.»
«Potrei, se volete. Però vi avverto, non sono abituata ad avere un pubblico. Sarebbe meglio se non mi guardaste, m'intimidireste troppo.»
«Allora guarderò il fuoco.»
Spostò lo sguardo verso le fiamme che danzavano nel caminetto e lei intonò una ballata tradizionale scozzese. Lui non la guardava, ma Amanda aveva gli occhi fissi su di lui. Alla seconda strofa stava già socchiudendo le palpebre.
Alla fine della canzone dormiva come un sasso.