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Amanda era ferma davanti alla finestra. Lasciò cadere le babbucce e lo scialle che volteggiò al chiaro di luna come una farfalla, portato dalla brezza, mentre le scarpe scomparvero oltre il muro. Con addosso solo calzoni e camicia, si fece coraggio.

Non è troppo alto, suvvia, si disse. E neanche troppo lontano.

Nonostante fosse riuscita a calmarsi abbastanza, era impossibile ignorare il pericolo.

Una volta imparato non lo dimentichi più, le aveva detto suo padre quando aveva cominciato ad addestrarla. A quei tempi aveva otto anni.

Datti lo slancio forte con il piede dietro, Mandy, e tieni lo sguardo fisso sulla meta. Non guardare mai in basso, così vedrai dove aggrapparti all'arrivo.

Per lei era solo un gioco. Chi avrebbe mai pensato che Charles Waverly avesse l'intenzione di usare la figlia per i propri crimini?

Era un uomo prestante e affabile, forbito; sapeva imitare vari accenti dialettali, si adattava alla perfezione all'ambiente dovunque si trovasse, che fosse a una festa a Mayfair o in una taverna di campagna. Per la sua carriera, il suo fascino e la sua sicurezza erano state le sue doti principali, presumibilmente innate, perché Amanda sapeva che i genitori erano di buona famiglia. Forse se non si fossero conosciuti avrebbero sposato altre persone e condotto una vita normale. Insieme, invece, erano diventati dei ladri.

Avevano cominciato per gioco, ma alla fine era diventata la loro professione. Non erano borseggiatori, nonostante fossero entrambi bravi a pescare nelle tasche altrui. Si erano specializzati in furti di oggetti di valore nelle case signorili, e ogni tanto si dedicavano a qualche frode, prendendo di mira vittime che non si accorgevano neppure di essere turlupinate.

Amanda ricordava quando aveva sei anni e vedeva i genitori che si vestivano con eleganza e uscivano di casa la sera, ma non sapeva che andassero a intrufolarsi in una festa senza essere invitati per rubare nelle camere mentre i padroni di casa erano impegnati a intrattenere gli ospiti.

Per anni nessuno aveva sospettato nulla né tentato di fermarli. Spesso non notano neppure che mancano gli oggetti che prendiamo, le aveva spiegato sua madre quando era più grande. Magari passano mesi prima che la padrona di casa cerchi una collana o suo marito una tabacchiera d'argento. Non è veramente un furto se si derubano persone tanto ricche da non ricordare ciò che hanno.

Poi, una sera, quando Amanda aveva dodici anni, sua madre era tornata a casa trafelata e preoccupata. Qualcuno aveva sorpreso suo padre mentre rubava; era scappato saltando dalla finestra. Avevano atteso tutta la notte il suo ritorno, temendo che avesse fatto una brutta caduta e fosse rimasto a terra, sofferente, con una frattura grave.

Era arrivato all'alba, brandendo il braccialetto rubato. Dobbiamo smontare le pietre perché ora i padroni sanno che è stato rubato. Inoltre sarà meglio che scompaia per qualche tempo. Mi farò vivo fra un anno.

Aveva lasciato madre e figlia la sera dopo, con metà delle pietre del braccialetto. Non l'avevano più rivisto.

Sua madre aveva continuato l'unico lavoro che sapesse fare. Non le serviva un uomo al suo fianco per introdursi nelle case durante le feste da ballo, ed era brava a sgattaiolare al piano di sopra come Charlie.

Due anni dopo, però, aveva messo Amanda in collegio nel Surrey. Avrai la possibilità di condurre una vita diversa se sarai istruita, le aveva detto. Potresti anche sposare un brav'uomo presentandoti bene.

Amanda sospettava che il vero motivo fosse più egoistico. Con una figlia a carico per sua madre era tutto più difficile; inoltre, crescendo, Amanda aveva cominciato a porle delle domande e a consigliarle di trovare un vero lavoro e guadagnarsi da vivere in maniera rispettabile.

Alzò lo sguardo dal terreno e si concentrò sulla finestra dall'altra parte del muro, leggermente più bassa di quella da cui sarebbe saltata. Era una finestra d'angolo e aveva un ampio davanzale, era senza sbarre e non sembrava chiusa a chiave, ma in caso contrario avrebbe potuto forzare la serratura senza problemi.

Valutò la distanza e calcolò che aveva una possibilità su tre di sopravvivere alla missione tutta intera e senza venire arrestata.

Canticchiando tra sé e sé, si concentrò, poi si abbassò accovacciandosi sul tavolino che aveva accostato al davanzale, da usare come base, mise il piede destro dietro al sinistro, racimolò tutta la forza, si diede lo slancio e saltò.

Gabriel si svegliò scosso delicatamente da due mani e annaspò scostandole bruscamente, borbottando.

«Avete detto di chiamarvi all'alba, milord. La carrozza vi attende.»

La voce era quella di Miles, il suo valletto. Gabriel emerse lentamente dalle nebbie del sonno, e subito si accorse che aveva un mal di testa lancinante e il collo tanto rigido da non riuscire quasi a muoverlo.

«Vado a prepararvi il caffè, milord.»

Gabriel era sempre più lucido e anche più dolorante. Doveva essersi ubriacato la sera prima, altrimenti non si sarebbe sentito tanto male. Aprì gli occhi e quello che vide lo confuse. Poi ricordò dove si trovasse.

Spostò immediatamente lo sguardo verso la poltrona su cui era seduta la donna misteriosa. Ovviamente era vuota. L'ultima cosa che ricordava era che la stava ascoltando mentre cantava.

Che stupido era stato! Darsi tanto disturbo per attirare una donna lì e poi addormentarsi. Sperava che nessuno potesse mai sapere di quella brutta figura, altrimenti tutti gli uomini al club l'avrebbero preso in giro per il suo scarso potere di seduzione con le signore.

Ma forse la donna misteriosa non era affatto una signora. Di certo la sera prima non sembrava una vera lady, in camicia e pantaloni. Se fosse rimasta, l'avrebbe fatta accompagnare a casa dalla sua carrozza, così non avrebbe dovuto girare per le strade di Londra vestita in quel modo bizzarro.

Gli venne da ridere ripensando ai suoi propositi di seduzione, ma smise subito perché gli doleva troppo la testa. Il suo talento con le donne non aveva fatto colpo sulla fanciulla misteriosa. Sicuramente aveva ridacchiato alle sue spalle da lì fino a casa.

Chiuse gli occhi di nuovo e cambiò posizione per combattere un crampo al collo. Si appisolò sperando che gli passasse il mal di testa, sognando di comprare dei bei vestiti da regalare alla donna misteriosa per poi toglierglieli di dosso...

«Ecco il caffè, milord. Bevetelo e vi sentirete sicuramente meglio. Fa bene per combattere gli effetti del troppo vino.»

Gabriel si sforzò di alzarsi a sedere e svegliarsi abbastanza da bere il caffè mentre Miles, il suo maturo e robusto valletto, raccoglieva bottiglie e bicchieri.

«Metto in ordine e lavo le coppe mentre bevete il caffè. Mentre lo preparavo ho notato che la porta della cucina era aperta. Il valletto di Lord Harold è stato sbadato e non l'ha chiusa.»

Gabriel ricordò che l'aveva aperta per far entrare la donna dal retro, poi si era addormentato e non l'aveva chiusa.

«Controllerò il resto della casa, se permettete, per assicurarmi che sia tutto chiuso e che il valletto non abbia avuto altre dimenticanze.»

«Va bene, ma entrate nella camera di mio fratello per ultimo. Ne ho bisogno io.»

Miles non gli chiese perché, ma le bottiglie vuote erano una risposta sufficiente.

Con le tempie che martellavano, Gabriel si mise in piedi a fatica e salì le scale, andò a vuotare la vescica nel bagno del fratello poi, sollevato, guardò fuori dalla finestra prima di scendere di sotto. Era una bella giornata e il sole nascente stava dissipando la nebbia. Aprì la finestra, si sporse fuori e si riempì i polmoni, sperando che l'aria fresca gli schiarisse le idee.

La casa di Sir Malcolm Nutley gli bloccava la visuale. Di lato l'abitazione non aveva le decorazioni mostruose della facciata; le finestre erano solo ornate da arabeschi di pietra. Abbassò lo sguardo verso la siepe sottostante e vide una macchia scura che attirò la sua attenzione. Si sporse di più, poi si ritrasse e chiuse la finestra. Uscì dalla camera e scese al pianterreno, si diresse verso la porta sul retro e uscì in giardino.

Si diresse verso il sentierino che costeggiava il muro che divideva le due proprietà, poi raccolse l'oggetto scuro caduto sulla siepe.

Era uno scialle con delle rose ricamate, lo stesso in cui era avvolta la donna misteriosa la sera prima. Doveva essere volato via, portato dal vento, ed era rimasto impigliato nella siepe quando lei era andata via percorrendo il sentiero. Si chiese perché lei non si fosse fermata a raccoglierlo. Forse non era riuscita a trovarlo al buio.

Miles aveva già lavato le coppe e messo tutto nel cesto. «Ora andrò in camera, milord.»

«Aspetto in carrozza. Controllate l'argenteria prima di uscire, vi dispiace? Tanto per accertarvi che non manchi niente.»

Miles annuì paziente, poi notò lo scialle e lo indicò. «Che cos'è quello, milord?»

«Un biglietto da visita.»

Tanti sforzi e tanti pericoli per un oggetto così piccolo, pensò Amanda, esaminando la strana fibbia dorata.

Aveva rischiato di morire per prenderla. Le era scivolato un piede sul davanzale e sarebbe caduta se non si fosse aggrappata alle decorazioni di pietra. Aveva mani e piedi pieni di escoriazioni.

Uscire era stato peggio. Non aveva potuto fare pratica su come scendere dall'esterno di un palazzo, ma da piccola non era mai stato un problema. Ora, però, era più grande e pesante, per cui le dita delle mani e dei piedi l'avevano sorretta a malapena lungo la discesa. Alla fine aveva dovuto fare un bel salto nel vuoto per arrivare a terra, temendo di non avere più la forza di restare aggrappata.

Nel complesso, però, non era stata un'esperienza del tutto disastrosa. C'erano stati dei momenti di esaltazione e di emozione; aveva provato un brivido di eccitazione per la propria audacia e di orgoglio per le proprie abilità. Aveva provato le stesse sensazioni la prima volta, quando aveva rubato una spilla, ma era stato un compito facile rispetto a questo. Il pericolo che correva non aveva smorzato la sua euforia; anzi, il rischio l'aveva aumentata.

Le dispiaceva che quella reazione si fosse risvegliata in lei insieme alle sue capacità. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa, invece era esaltata.

Guardò meglio l'oggetto. Non era una fibbia, ma una specie di fermaglio, formato da due pezzi. L'uomo che aveva dato istruzioni per quella missione aveva dato una descrizione dell'oggetto. È di smalto rosso e blu, con delle linee dorate che formano dei rombi e una cornice d'oro, le aveva scritto sua madre.

Era molto simile all'oggetto precedente che aveva dovuto rubare. La spilla era più grande e più elaborata, ma con una forma più semplice e tempestata di pietre preziose, il genere di spilla che nei tempi antichi serviva a chiudere un mantello.

La somiglianza fra i due oggetti le dava un'indicazione sul mandante dei furti. Era un collezionista che desiderava appropriarsi di pezzi particolari che non avrebbe potuto comprare anche se avesse avuto i necessari mezzi economici, perché non erano in vendita, perciò glieli aveva fatti rubare.

Posò la fibbia e intinse la penna nel calamaio per scrivere un biglietto da lasciare al fermo posta per un certo Mr. Pettibone. Sul foglio scrisse solo: Ce l'ho.

Avrebbe lasciato il messaggio dallo stampatore perché venisse ritirato o inoltrato al destinatario, e avrebbe atteso istruzioni per la consegna dell'oggetto. Comunque con quella missione aveva finito di prestarsi al gioco. Non si fidava di quello sconosciuto; era sicura che non avrebbe mai smesso di farle richieste e non credeva più di riuscire a salvare la madre acconsentendo.

Quando fossero arrivate le istruzioni avrebbe obbedito e mandato la fibbia al collezionista, però non avrebbe atteso pazientemente e passivamente la sua prossima mossa. Era ora di prendere l'iniziativa per prima.

Gabriel accese un sigaro, poi si accomodò meglio per gustarlo insieme al whisky pregiato che gli aveva versato Brentworth. Anche l'amico si era messo comodo, con la testa circondata da una nuvoletta di fumo.

L'unico nella stanza a essere a disagio era il padrone di casa, Adam Penrose, il Duca di Stratton. Era in piedi vicino al caminetto, con un gomito poggiato sulla mensola. Si sforzava di sembrare calmo, ma sapevano tutti che non lo era affatto. Al piano di sopra, negli appartamenti ducali, sua moglie stava dando alla luce il loro primo figlio.

«Vi ringrazio di essere venuti qui invece di vederci al circolo» borbottò Stratton.

«Il tuo whisky è migliore di quello che troviamo al club» disse Gabriel cercando di mantenere un tono leggero. «Inoltre la Società dei Duchi Dissoluti può riunirsi dovunque, purché ci vediamo.»

Avevano fondato quel gruppo da ragazzi, ai tempi della scuola, quando si erano resi conto che solo l'erede di un duca ne avrebbe trattato un altro con disinvoltura. Il nome della società segreta era stato dato per scherzo, almeno all'inizio.

Si trovavano una volta al mese al club poi uscivano per trascorrere la serata insieme e fare baldoria. Ormai, però, non si dedicavano più tanto spesso alle intemperanze. Stratton si era sistemato e Brentworth era diventato discreto. L'onere di continuare le vecchie abitudini di eccessi e sregolatezze dei Duchi Dissoluti pesava ormai solo sulle spalle di Gabriel.

«È in camera da tanto?» gli chiese Brentworth, come se avesse capito che Stratton voleva parlarne per sfogarsi.

«Da tre ore.»

«Che io sappia, per queste cose ci vuole tempo.»

«Non troppo, spero, altrimenti uscirò di senno.»

«Non pensarci altrimenti ti sembrerà che il tempo non passi mai. Langford, raccontagli qualcosa per distrarlo. Ah, sì, ecco. Parlagli dell'interesse suscitato dal tuo discorso al Parlamento.»

«Perché invece non gli racconti tu del tuo recente inconveniente con la tua amante?» lo rimbeccò Gabriel. «È un argomento più divertente e stuzzicante, o almeno è ciò che si pensa in società.»

Brentworth si rabbuiò. «Non c'è stato alcun inconveniente. Si è trattato di un semplice malinteso, tutto qui.»

«Non è ciò che ho sentito dire.»

«L'hai saputo solo da me, ed è questa la spiegazione che ti ho dato.»

«Veramente ne hanno parlato almeno altre cinque persone, tra cui qualcuno che ha sentito la versione della signora in questione, che era alquanto diversa.»

«E come mai?» chiese Brentworth con un tono secco e gelido che non prometteva niente di buono. Almeno erano riusciti a distrarre Stratton che ora li guardava con interesse.

Gabriel si schiarì la voce ed emise uno sbuffo di fumo, poi bevve un sorso di liquore mentre Brentworth era sempre più sulle spine. «Si dice...» Fece una pausa e aspirò un'altra boccata di fumo solo per fare dispetto a Brentworth e irritarlo ancora di più. «Si dice che, a causa del vostro diverbio, lei volesse lasciarti, ma l'hai supplicata di ripensarci.»

«Ma che dici?» esclamò Stratton, girandosi verso Brentworth con aria ansiosa di ricevere una conferma o una smentita.

«Ma che dici?» gli fece eco Brentworth, ringhiando.

«È tutto vero. E si mormora anche che, il giorno dopo, le hai regalato gli orecchini di perla per rabbonirla.»

«Non è vero.»

«Be', è questa la voce che gira. Se vorrai raccontarmi come sono andate veramente le cose, sarò ben lieto di smentire tutte le dicerie sul vostro conto.»

«Non parlo mai di...»

«Sì, sì, lo sappiamo. Fai come vuoi. Vorrà dire che continuerò ad ascoltare con grande interesse mentre lei fa a pezzi la tua reputazione di uomo discreto in amore, creata con cura.»

«Che cosa intendi fare?» gli domandò Stratton. «Credevo che le tue avventure fossero sempre basate sulla chiara intesa che non ci sarebbero state chiacchiere, indipendentemente da cosa fosse successo.»

«Sembra che qualcuno abbia deciso di venire meno all'accordo per salvare la faccia.»

«Stai dicendo che sei stato tu a lasciare lei?»

Brentworth fece appena un cenno d'assenso. «Gli orecchini erano un regalo d'addio.»

«Non puoi sempre mettere tutto a tacere, le donne non si tolgono dai piedi senza discutere, te l'ho già detto» intervenne Gabriel. «Finora sei stato fortunato, ma era inevitabile che prima o poi scoppiasse lo scandalo.»

«Basterà un giorno per dimenticare i pettegolezzi» cercò di tranquillizzarlo Stratton. «C'è di peggio che sopportare che si pensi che una donna ti abbia lasciato, invece del contrario.»

Brentworth non sembrava più calmo. Si rilassò leggermente, ma lanciò un'occhiataccia a Gabriel. «Visto che ti sei assunto il compito d'intrattenere Stratton perché non pensi alla sua preoccupazione, dovresti continuare.»

«Non ho nulla d'interessante da dirgli per distrarlo.»

«Perché non gli racconti della tua pastorella?»

Gabriel aspirò una boccata di fumo.

«Quale pastorella?» lo incalzò Stratton.

«L'ha conosciuta al ballo in maschera» precisò Brentworth. «Stava facendo la civetta con Harry e lui è intervenuto per salvarlo perché suo fratello non sapeva come trarsi d'impaccio, poi l'ha attirata in terrazza e in giardino. Non so che cosa sia successo lì...» Fece un gesto circolare con il sigaro.

«Allora?» insistette Stratton.

Gabriel fece qualche colpetto di tosse per schiarirsi la voce. «È successo ben poco. La storia è piuttosto breve.» Normalmente non esitava a confidarsi con gli amici e a riferire le sue conquiste, ma questa volta era restio. Innanzitutto riteneva che non avrebbe fatto una bella figura, inoltre non riusciva a ignorare una sensazione che lo inquietava e che gettava un'ombra sul suo desiderio di piacere e di conquista. Aveva l'impressione che quella donna avesse dei problemi.

No, forse era solo una sciocchezza. Senza dubbio l'aveva solo preso in giro oppure aveva intrapreso un gioco di seduzione. In tal caso, la mossa successiva spettava a lei.

«Eppure passa il tempo a sbirciare le bocche e i menti delle donne che incrocia dovunque vada, per cercare di riconoscerne la forma, perché di lei non ha visto altro, dato che la pastorella aveva la parte superiore del volto coperta dalla maschera» precisò Brentworth. «L'ha fatto anche mentre venivamo qui.»

«Giuro che a volte sei più maligno di una vecchia zia!» esclamò Gabriel. «Io guardo sempre le donne, non cercavo lei.» Invece sì. Aveva cercato di ricreare mentalmente l'immagine del suo volto, in base a quel poco che aveva intravisto nella penombra quella sera. Però conservava ancora lo scialle; avrebbe dovuto buttarlo già da tempo, e invece custodiva con cura quel ricordo come un pegno.

«Come si chiama?» gli chiese Stratton.

«Non lo so.»

«Non servono le presentazioni per darsi qualche bacio in giardino» sentenziò Brentworth.

«L'hai rivista?» domandò Stratton.

Gabriel si accorse che Brentworth lo guardava fisso con curiosità.

«Sì, l'ha rivista!» esclamò infine Brentworth, trionfante, dopo avere scrutato la sua espressione. «Hai avuto un appuntamento con lei, vero? Però non conosci ancora il suo nome!»

«È stato un incontro brevissimo, condotto con grande discrezione» ammise Gabriel. «E smettila di sorridere. Anch'io so essere discreto quando è necessario.»

«Sicuramente è stato più lungo di quanto tu voglia ammettere» insinuò Stratton. «E hai in programma altri incontri altrettanto brevi e discreti?»

«E va bene, vi spiegherò tutto» sbottò Gabriel, esasperato. «Però devi promettermi di non dire niente a tua moglie, Stratton. Per me sarebbe una rovina. Giuralo.»

«Lo giuro, e anche Brentworth giura, vero? Ci conosci. Manteniamo sempre la parola.»

Gabriel raccontò tutta la storia, che in effetti non era molto lunga.

«Ti sei addormentato?» Stratton era allibito. «È venuta da te, l'hai baciata... e poi ti sei addormentato?» Si girò verso Brentworth come se cercasse la conferma di avere capito bene.

«È una storia tanto divertente che forse in società si smetterà di parlare di me» osservò Brentworth.

«Avevo bevuto troppo. Lei si è messa a cantare e la canzone ha avuto un effetto soporifero. Non riuscivo a tenere gli occhi aperti... e di colpo è arrivata l'alba.»

«Hai controllato le tasche?» gli domandò Brentworth. «Alcune prostitute derubano i clienti mentre dormono.»

«Certo che ho controllato, non sono un pivello. Ho chiesto a Miles di assicurarsi che non mancasse l'argenteria, e mi è parso che fosse tutto al suo posto. E poi te l'ho detto, non è una prostituta, ne sono certo.»

«Ora capisco perché continui a cercarla. Devi chiederle scusa» commentò Stratton, che sembrava sinceramente dispiaciuto per la donna.

«Si capisce che sei mezzo francese, per dire una cosa del genere» osservò Brentworth, ironico.

«Se solo i francesi si preoccupano che un amante abbia l'obbligo di soddisfare la donna, allora sì, e ne vado fiero» replicò Stratton.

«Che io intenda scusarmi o no, la cosa non vi riguarda» intervenne Gabriel. «Quello che è certo è che voglio rivederla.»

«Hai ragione, ti sembra di avere lasciato le cose a metà e vuoi concludere la cosa» annuì Brentworth.

Erano i suoi più cari amici, e di lunga data, ma a volte Gabriel si stupiva di quanto lo conoscessero bene.

«Come farai, se non sai chi sia?» volle sapere Stratton.

Gabriel non aveva una risposta da dargli.

Dei passi che si avvicinavano attirarono l'attenzione dei tre amici. La porta della biblioteca si aprì e sulla soglia comparve la bionda Emilia, l'angelica sorella della Duchessa di Stratton che Harry amava. Appena posò lo sguardo su Gabriel il suo sorriso smagliante si offuscò leggermente, ma si riprese in fretta e si diresse verso Stratton.

«È nato» annunciò. «È andato tutto bene.»

La notizia venne accolta da esclamazioni e battimani. Gli amici si congratularono con il neopapà, poi Stratton corse dalla moglie. Prima di seguirlo, Emilia si avvicinò a Gabriel.

«Ho saputo che vostro fratello è partito.»

«È andato in campagna a lavorare al suo libro.»

Emilia ebbe la decenza di mostrarsi rattristata. «Mi mancherà.»

Non abbastanza, però, pensò Gabriel. «Dovrebbe tornare fra circa un mese.»

Si scusò e andò a prendere il cavallo. Si separò da Brentworth in Oxford Street e proseguì. Gli era appena venuta un'idea su come fare a rivedere la donna misteriosa.