Anche se Leonardo apparteneva a una famiglia ricca con amici influenti e, al momento della sua morte, era famoso per il Liber abbaci e diverse altre opere, abbiamo poche notizie che lo riguardano. Sappiamo che nacque intorno al 1170, ma non conosciamo l’anno preciso e non siamo neppure del tutto sicuri del luogo; l’ipotesi più probabile è che sia nato a Pisa, dove, in ogni caso, trascorse la maggior parte della sua infanzia. Stando ai costumi dell’epoca, il nome con cui era conosciuto doveva essere Leonardo Pisano. Era un contemporaneo di Bonanno Pisano, l’ingegnere che iniziò la costruzione della Torre pendente. Suo padre Guilichmus (o Guilielmo) era un mercante diventato funzionario doganale; ciò significa che il giovane Leonardo crebbe in compagnia dei figli e delle figlie di altri mercanti, un’esperienza che avrebbe avuto conseguenze di lunga portata.
Nascere a Pisa nel XII secolo significava ritrovarsi nel fulcro del mondo occidentale, e crescere nella famiglia di un mercante voleva dire far parte di quello che all’epoca era il settore più importante della società. Alla nascita di Leonardo, l’Italia era un centro degli scambi internazionali – che erano già molto floridi e continuavano rapidamente a crescere – fra i Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo. Assieme alle altre città marittime italiane – Genova e Venezia –, Pisa dominava i commerci e le sue navi erano sempre in viaggio da un porto all’altro del Mediterraneo. In quelle tre città, i mercanti furono le figure chiave che plasmarono lo sviluppo di un nuovo mondo più cosmopolita.1
Le tracce storiche delle origini di Pisa risalgono a quasi mille anni prima di Cristo, quando la città serviva da porto di transito per il commercio dei Greci e dei Fenici da e per la Gallia. In seguito, anche i Romani la usarono come porto; fu però solo dopo un altro millennio che iniziò a conquistare quel rilievo di cui avrebbe goduto ai tempi di Leonardo. Oggi i viaggiatori che arrivano a Pisa in treno da Firenze notano che, mentre si avvicinano alla loro destinazione, le splendide colline del Chianti cedono il passo a un’ampia pianura, che si distende dalla città fino al mare. Quando le piogge cadono abbondanti, queste terre finiscono regolarmente per allagarsi, cosa che ci rammenta il motivo originario per cui Pisa era diventata un porto: questa pianura alluvionale moderna, infatti, si trova nel punto dove, ai tempi di Roma e ancora prima, sorgeva il porto della città. In epoca precristiana il fiume Arno, che oggi divide Pisa, si apriva in una grande laguna subito a est del centro abitato, formando un porto naturale; i Romani la chiamavano Sinus Pisanus, anche se non furono i primi a servirsene per ormeggiare le loro navi.
Ai tempi di Leonardo, comunque, la laguna era ormai stata riempita e lo status di Pisa come grande città portuale, assieme a Genova e Venezia, non era più sostenuto dalla sua posizione, ma dall’esperienza e dalle relazioni dei suoi cittadini. Di fatto, talvolta capitava che, in periodi di scarse precipitazioni, la profondità dell’Arno scendesse al punto che le navi più grandi non potevano nemmeno raggiungere la città; le imbarcazioni più larghe e le chiatte riuscivano in genere a passare, ma i vascelli più grossi dovevano ormeggiare a Porto Pisano (oggi integrato nella trafficata città portuale di Livorno), diversi chilometri a sud della foce del fiume, lungo la costa. Da lì, una volta svuotate le stive, i loro carichi venivano portati a Pisa a bordo di strette galee a remi o su chiatte fluviali spinte a mano per mezzo di pertiche.
Ai tempi di Leonardo le vite dei pisani stavano attraversando anche altri cambiamenti. Durante il X secolo, quando i cinquecento anni di stagnazione culturale noti come i Secoli bui volsero al termine, la società europea ricominciò a svilupparsi e a prosperare: vennero introdotte nuove tecniche di coltivazione, le popolazioni iniziarono a crescere e cominciarono a emergere i commerci nazionali e internazionali. Dato che le strade disponibili erano poche e perlopiù di qualità scadente, il commercio avveniva soprattutto attraverso i fiumi e i mari; di conseguenza, il grosso della civiltà occidentale si raggruppava attorno alle coste del Mediterraneo.
A partire dal X secolo, Pisa iniziò a espandersi oltre le sue antiche mura romane, con torri che si ergevano a est e a ovest e, dall’altra parte dell’Arno, a sud. Nella seconda metà del XII secolo, durante l’infanzia di Leonardo, i cittadini costruirono nuove mura pesantemente fortificate per proteggere Pisa dagli assalti dei musulmani (era l’epoca delle Crociate) e delle città rivali italiane che spesso si attaccavano l’un l’altra nel quadro delle continue lotte politiche fra il papa e il Sacro romano impero di Federico II.
I turisti che oggi passeggiano per le strade di Pisa si possono imbattere in edifici risalenti all’epoca di Leonardo: torri rettangolari, fatte di pietra o mattoni, che si innalzano per due o più piani. Con le perenni faide tra famiglie rivali, una torre poteva offrire un rifugio, oltre che una casa, a ogni ricca famiglia pisana. Il piano terra era spesso occupato da un negozio o un magazzino per l’olio, il vino, gli attrezzi e le vettovaglie; il primo piano ospitava il soggiorno e magari una camera da letto. La cucina si trovava di solito all’ultimo piano, così da permettere una più facile dispersione del fumo. I pisani si vantavano spesso che la loro città contasse diecimila di queste torri; per quanto tale numero fosse senza dubbio il frutto di un’enorme esagerazione, in quanto figlio di una ricca famiglia di mercanti Leonardo sarà quasi certamente cresciuto in un edificio del genere.
Un famoso cognome italiano, Visconti, ha le sue origini nella storia pisana di quell’epoca. Nei suoi primi anni Pisa faceva ufficialmente parte della Toscana, governata da un marchese che doveva fedeltà all’imperatore; il rappresentante del marchese a Pisa era chiamato vice-conte, o visconte. Col tempo i visconti cominciarono a trasmettere questo incarico per via ereditaria, e alla fine assunse come cognome quello della carica esercitata: la famiglia Visconti. Durante l’infanzia di Leonardo, le torri dei Visconti dominavano il quartiere centrale della città – il Mezzo –, anche se in seguito altre famiglie sarebbero diventate abbastanza potenti da sfidare la loro posizione.
Leonardo crebbe quindi in un periodo di profondo cambiamento. Nel 1088, a Bologna venne fondata la prima «università»; a Salerno fu istituita la prima scuola medica, che attirava studenti da molti Paesi. A Pisa, Firenze e Siena gli studiosi erano impegnati a tradurre in latino le opere dei grandi autori greci: Euclide, Apollonio, Archimede, Aristotele e Galeno. In particolare, il trattato astronomico di Tolomeo intitolato Almagesto, che costituiva una delle più ampie opere greche, fu tradotto una prima volta a Palermo nel 1160 e una seconda volta a Toledo nel 1175. Inoltre, le comunicazioni fra le diverse città vennero rese più efficienti dall’introduzione di un servizio postale, uno dei primi in Europa.
Verso la fine dell’XI secolo, in una biblioteca di Pisa gli studiosi avevano poi scoperto un manoscritto completo e intatto del Corpus iuris civilis, il «Codice di diritto civile» compilato nel VI secolo dall’imperatore Giustiniano. Le regole e i princìpi esposti in questo trattato, che nel corso del secolo successivo sarebbero stati al centro di gran parte degli studi accademici, al tempo dell’infanzia di Leonardo avevano già iniziato a trovare applicazione nei sistemi di governo italiani.A
Nel XII secolo emersero nuove istituzioni finanziarie, le banche: nate dalle iniziative di singoli imprenditori che viaggiavano fra le fiere e i mercati del Paese portando sacchi di monete d’argento, nel giro di pochi decenni si trasformarono in imprese collettive a responsabilità limitata, ben organizzate e immancabilmente ricche, dotate di una sede fissa. Il nome «banchieri» deriva dal fatto che, all’inizio, i finanzieri ambulanti erano soliti disporre le loro monete su un banco o una tavola di legno, che in latino si chiamava banca. Ai tempi di Leonardo, le banche offrivano prestiti ed emettevano lettere di credito.B Gruppi di mercanti e uomini d’affari univano le loro forze e mettevano assieme le loro risorse per formare società a responsabilità limitata. Quando tenevano le loro riunioni importanti, spesso i capi si sedevano attorno a un grande tavolo da pranzo, chiamato in inglese board; da qui è nata l’espressione board of directors, con cui viene indicato il consiglio di amministrazione di una società.
Il commercio fra le nazioni europee che si affacciavano sulle sponde settentrionali del Mediterraneo e i Paesi arabi a sud era fiorente: i mercanti europei vendevano lana, tessuti, legname, ferro e altri metalli agli arabi, mentre questi ultimi facevano arrivare in Europa spezie, medicamenti, unguenti, cosmetici, tinture, sostanze per la conciatura e altri beni. Molti di questi oggetti provenivano dall’India e dall’isola di Ceylon: dopo un lungo viaggio verso nord-ovest, giungevano fino all’estremità settentrionale del Golfo Persico e da qui venivano trasportati (in barca, sul Tigri) a Baghdad o Mosul, oppure (sui cammelli) in Siria o fino al Nilo e ai porti egiziani sul Mar Rosso.
Il traffico sul Mediterraneo era dominato dalle navi di Pisa, Genova e Venezia. All’epoca, la maggior parte dell’Italia si trovava sotto l’imperatore del Sacro romano impero, re di Sicilia, o del papa, ma queste tre grandi città marinare (assieme a Firenze e Milano nell’entroterra) funzionavano sotto molti aspetti come dei veri e propri Stati nazionali. Con i loro forti eserciti e le loro potenti flotte, le città-Stato italiane non solo erano in grado di respingere gli attacchi portati da terra e dal mare, ma controllavano anche delle roccaforti in regioni remote, tra cui alcuni porti chiave sulle coste nord-africane. Verso la metà del XII secolo, Pisa – che allora contava circa diecimila abitanti – aveva colonie, privilegi portuali o rappresentanti consolari lungo tutte le sponde del Mediterraneo; i mercanti pisani commerciavano con la comunità musulmana di quell’enorme fascia a forma di mezzaluna che correva dalla Persia (l’attuale Iran) fino alla Spagna meridionale, passando per le coste orientali e meridionali del Mediterraneo.
Grazie alla ricchezza portata a Pisa dai mercanti, Leonardo crebbe anche in un periodo di profondo sviluppo culturale. In molte grandi città italiane, muratori, scultori e architetti stavano costruendo imponenti monumenti architettonici: a Pisa il progetto più ambizioso era in cantiere nell’angolo nord-occidentale della città, in quella che avrebbe preso il nome di piazza dei Miracoli, dove un complesso di edifici appartenenti alla diocesi era in costruzione da più di un secolo. Alla nascita di Leonardo erano già stati portati a termine la cattedrale e il battistero (anche se la cupola di quest’ultimo sarebbe stata aggiunta soltanto un secolo dopo); tuttavia, i lavori per l’edificio che si sarebbe dimostrato più interessante – la torre campanaria – erano stati da poco iniziati.
I blocchi di marmo per la torre arrivavano dalle cave situate sulle alture a bordo di grosse chiatte e quindi, su pesanti carri, venivano trasportati fino al cantiere; qui, dopo gli ultimi ritocchi degli scalpellini, venivano issati in posizione con le gru e cementati assieme. Quando la torre raggiunse il terzo degli otto piani previsti, il terreno alla base iniziò a cedere e la costruzione cominciò a inclinarsi su un lato. Nelle città edificate su terreni molli, come Pisa, non si trattava di un fenomeno insolito: senza l’ausilio dell’odierna scienza del suolo, capitava spesso che gli edifici pendessero, talvolta fino a cadere. Bonanno Pisano, l’ingegnere responsabile della costruzione della torre campanaria, si sforzò di evitare il crollo: nel tentativo di raddrizzare la linea dell’edificio, fece edificare i piani superiori in modo che fossero più alti da un lato, così da compensare la pendenza. Tuttavia il peso supplementare delle mura su quel lato ebbe come unico effetto quello di far sprofondare ancora di più le fondamenta. Quando venne infine terminata, nel XIV secolo, la torre era ancora pendente, e tale è rimasta fino a oggi.
Durante la sua infanzia, Leonardo visse circondato da gente che lavorava con i numeri, soprattutto lungo le rive dell’Arno (che, scorrendo da est a ovest, divide in due Pisa).C A ogni ingresso della città c’era una dogana; quella presso le mura occidentali, essendo la più vicina al mare, si occupava delle imbarcazioni in arrivo dall’estero. Un carico tipico poteva consistere di sacchi di grano provenienti da altre regioni italiane: sale dalla Sardegna, balle di pelli di scoiattolo dalla Sicilia, pelli di capra dall’Africa settentrionale o pellicce d’ermellino dall’Ungheria. A poppa di alcune navi c’erano dei grossi portelloni dai quali i marinai potevano far scendere direttamente sulla spiaggia i cavalli in arrivo dalla Provenza. L’allume per l’industria pisana del cuoio, le tinture per le manifatture tessili italiane e dell’Europa nord-occidentale e le spezie provenienti dal Lontano Oriente erano beni d’importazione di particolare valore. Gli oggetti destinati a Firenze venivano caricati su chiatte che risalivano l’Arno. Una volta sbarcato il carico, i portuali pisani si mettevano al lavoro per ricaricare le navi con i beni d’esportazione: botti di vino e olio della Toscana, balle di canapa e lino e barre di ferro e di argento.
La dogana sulla porta orientale della città, rivolta verso l’entroterra, si occupava del traffico lungo l’Arno. Chiatte e imbarcazioni a basso pescaggio portavano prodotti agricoli dalle campagne o beni provenienti da Firenze e da altre città dell’entroterra; una volta entrati in città, venivano venduti sul mercato di Pisa, che rimaneva aperto tutto l’anno. Subito dopo la dogana c’era il «lungo guado», dove l’Arno si allargava e diventava abbastanza basso da poter essere attraversato a cavallo.
Vicino alla dogana occidentale sorgeva il cantiere navale. Nella Pisa del XII secolo, la costruzione delle navi era un’industria fiorente: i suoi esperti artigiani lavoravano per clienti non solo italiani, ma anche francesi e nord-africani. Il legname appositamente tagliato sulle alture boscose arrivava a bordo di chiatte e veniva scaricato da enormi gru, per poi essere segato in assi all’interno di una grande buca. A tal fine, veniva impiegata una particolare sega manovrata da due uomini, uno dei quali stava di sotto, nella buca, mentre l’altro lavorava all’altezza del suolo; spingendo e tirando la gigantesca lama verticale, i due fendevano il tronco, mentre altri carpentieri lo spingevano per il lungo contro la sega. Per modellare il legno si usavano pesanti asce simili a martelli, con lame di ferro ricurve. Nonostante la natura rudimentale dei loro attrezzi, i maestri d’ascia riuscivano a plasmare il legno delle navi con notevole precisione, così da evitare di dover poi sovrapporre le assi come facevano invece la maggior parte degli altri carpentieri navali dell’epoca. Per preparare la barca alla navigazione, i calafati controllavano infine l’intero scafo sigillando buchi e fessure con la pece bollente.
Sulle rive del fiume, presso piazza San Nicola e – dall’altra parte – nel quartiere Kinzica, i conciatori prendevano le pelli grezze arrivate dal Nord Africa e le sfregavano su un tronco per rimuovere il pelo e la carne; quindi, le mettevano in ammollo in acqua fredda e mirto (la fonte dell’odore caratteristico della conciatura), strofinandole e battendole ogni giorno per un periodo lungo fino a sei mesi, durante i quali venivano gradualmente a trasformarsi in ottima pelle pronta per essere tagliata e cucita in cappelli, cinture, pantaloni e altri indumenti. Un ulteriore bene di largo consumo che ai tempi di Leonardo giungeva a Pisa via nave era la lana, che stava cominciando a sostituire la pelle nel campo dell’abbigliamento. Filatura, tessitura, follatura (la lavorazione a cui vengono sottoposti i panni di lana per renderli morbidi e resilienti) e tintura erano tradizionalmente industrie di campagna, così come la vendita dei capi finiti, ma all’inizio del XIII secolo cominciarono a trasferirsi in città.
Sparse lungo le rive del fiume c’erano dozzine di tende colorate e baracche di fortuna, dove i mercanti stranieri – turchi, arabi, libici e altri – allestivano i loro banchetti temporanei per mettere in vendita sete, tappeti, vasi e altre mercanzie.
Alla base di tutte queste attività – nelle dogane, sulle banchine, in tutti i posti dove si vendevano e compravano oggetti – c’erano i numeri. I mercanti misuravano i loro beni e contrattavano i prezzi; i funzionari doganali calcolavano le tasse sulle importazioni; gli scrivani e i cambusieri preparavano i manifesti di carico delle navi, registrando i valori in lunghe colonne di numeri romani. Quando dovevano fare delle addizioni, però, mettevano da parte i loro strumenti di scrittura e le eseguivano servendosi delle dita o di un abaco; quindi, riprendevano penna e pergamena e copiavano su una pagina i totali parziali di ogni foglio. Dato che i calcoli in sé non venivano messi per iscritto, se qualcuno avanzava dei dubbi riguardo ai risultati occorreva ripetere da capo l’intero processo.
Guardando la storia col senno di poi, è facile ipotizzare che le attività commerciali che Leonardo osservò da bambino sulle rive dell’Arno gli permisero in seguito di riconoscere subito le potenzialità rivoluzionarie, in campo commerciale, dei metodi aritmetici utilizzati a Bugia. In ogni caso, quando scrisse il Liber abbaci, Leonardo lo indirizzò in primo luogo ai mercanti, cosa che emerge chiaramente dai contenuti e dalla struttura stessa del libro: il pisano si prese infatti la briga di spiegare i concetti in un modo che risultasse comprensibile per quegli uomini dallo spirito pratico, presentando molti esempi tratti proprio dalle esperienze commerciali di ogni giorno.
A In gran parte proprio grazie a quel singolo documento rinvenuto a Pisa, oggi il diritto romano sta alla base delle giurisprudenze civili di molti Paesi, fra cui tutti quelli dell’Europa continentale.
B I banchieri più importanti erano quelli della Lombardia e, in particolare, di Milano; è per questo motivo che oggi, sia a Londra sia a San Francisco, la strada dove hanno sede le principali attività finanziarie si chiama «Lombard Street».
C Oggi il fiume è costeggiato su ambo i lati da due grandi strade molto trafficate (una delle quali, per un certo tratto, si chiama «Lungarno Leonardo Fibonacci»).