I fratelli Browne erano tutti diversi uno dall’altro. Pur essendo stati amati quasi in egual misura da Agnes, e ignorati in egual misura da Rosso, ognuno aveva sviluppato una personalità peculiare.
Mark, il più grande, aveva quattordici anni ed era la luce degli occhi di sua madre. Come molti primogeniti di Dublino aveva trascorso la prima infanzia con la nonna. Era grande e grosso, e la fatica non lo spaventava. Gli piaceva sbrigare le commissioni, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per accontentare la madre. Non aveva mai potuto averla tutta per sé, dato che ogni anno c’era sempre in arrivo un neonato. Per lui era normale, e dall’età di sei anni cambiava i pannolini e accudiva i fratelli e le sorelle. Dato che i più piccoli gli davano il tormento, non era mai riuscito a digerire i bambini, almeno non fino al 1957-1964, il lasso di tempo durante il quale per la prima volta Agnes non era rimasta incinta. Erano stati anni felici, e Mark si era meravigliato nel constatare quanto fosse bella senza il pancione che ormai pareva parte integrante di lei. Poi nel settembre del 1964 era arrivato Trevor, una svolta a quel punto inattesa: non era ancora nato che già Mark lo odiava, ma appena fu a casa cominciò a stravedere per lui. Per la prima volta si sentì davvero un fratello maggiore. Ora, con la morte di Rosso, Mark avrebbe dovuto coprire il posto vacante di Uomo di Casa. Per molti versi era pronto a farlo.
Il Jarro non aveva un parco giochi, non c’era nessun’area attrezzata per i bambini. Perciò bisognava arrangiarsi come si poteva. Non c’era nemmeno un giardino pubblico, così i bambini giocavano a calcio in mezzo alla strada. Due pile di cappotti delimitavano le porte, e l’area di rigore era a discrezione dei giocatori, ciascuno dei quali però aveva la propria idea in proposito. Non c’era da stupirsi se scoppiavano di continuo animate discussioni, e a volte volava pure qualche cazzotto. L’anno prima l’Inghilterra aveva vinto la Coppa del Mondo, e World Cup Willie, la mascotte della nazionale, aveva attaccato ai ragazzi di Dublino la febbre del pallone. Giocavano di continuo, in ogni vicolo, in ogni strada. Mark amava il calcio, e a quattordici anni era capitano della under quindici del Celtic di Dublino. Quando non era impegnato in uno dei suoi lavoretti part-time, Mark si allenava o giocava a calcio. Il pallone era tutta la sua vita.
Dermot, dal canto suo, preferiva il pugilato. Padre Quinn, il parroco, aveva messo su il Club della Boxe del Jarro, detto anche Club dei Picchiatori di Strada, di cui Dermot era uno dei membri più stimati. Pur non essendo alto, era forte e coraggioso come un leone, uno dei migliori pugili di padre Quinn, ed era noto sia dentro sia fuori dal ring come inguaribile attaccabrighe. Perfino i ragazzi più grandi stavano attenti a non mettersi contro quella piccola tigre.
A Frankie non interessava né il pugilato né il calcio, gli piaceva solo andare in giro con i bulli del quartiere, i «nonne-combino-una-giusta». Era capace di ficcare nei pasticci chiunque senza mai andarci di mezzo. Tirava le fila da dietro le quinte, uscendo dalle situazioni più spinose con le mani pulite, mentre gli altri ne pagavano le conseguenze. Fu chiaro sin dall’infanzia che Frankie Browne avrebbe fatto i soldi o sarebbe finito in galera.
Nel Jarro le ragazze per lo più giocavano a rincorrersi, con sorprendente agilità. Di mattina si inseguivano solo tra loro, ma la sera giocavano anche i maschi, e così l’acchiapparella diventava acchiappabacio. Le regole erano semplici: i maschi correvano dietro alle femmine, che una volta raggiunte dovevano baciare chi le aveva acciuffate. Se di giorno erano campionesse di corsa, di sera rallentavano l’andatura, naturalmente a seconda di chi avevano alle calcagna. E c’era qualcuna che, pur camminando a passo di lumaca, non veniva mai presa.
Mark e Dermot erano bravi cacciatori – entrambi bei ragazzi, non avevano problemi a catturare la prescelta. Frankie invece non giocava mai. Preferiva trascorrere le serate sotto un lampione, dedicandosi al poker con gli altri giocatori d’azzardo. Era bravo e perdeva di rado, il che, com’è ovvio, lo rendeva impopolare. A Rory piaceva l’acchiappabacio, ma aveva una gran confusione in testa: non sapeva mai se inseguire come gli altri maschi o farsi inseguire come le femmine. Così di solito lasciava perdere e se ne andava a casa a giocare con le bambole.
In ogni famiglia ci sono bambini con piccole menomazioni, e purtroppo per Simon, il gemello di Dermot, erano toccate tutte a lui. Oltre alla balbuzie, ci vedeva male da un occhio. Perciò, quando giocava ad acchiappabacio, Simon pareva guardare in una direzione e correre nell’altra; e quando finalmente riusciva ad articolare: «Da-da-da-dadammi un bacio» la ragazza se n’era già andata col latte alle ginocchia. Per risolvere il problema, l’oculista gli aveva dato un paio di occhiali con una toppa di cuoio su una lente, ma invece di sforzare la vista, Simon si metteva di sbieco per guardare con l’occhio buono, dando l’impressione di essere duro d’orecchi, il che non era vero. Se andava all’emporio del quartiere a fare una commissione per la mamma, Simon girava la testa di lato verso il commesso e ba-ba-ba-balbettava la sua richiesta. La sua infanzia trascorse così, tra commessi che gli urlavano in faccia e gli si rivolgevano gesticolando, convinti che fosse sordo.
Cathy era l’unica femmina della famiglia e, a differenza di molte figlie uniche all’interno di famiglie numerose, non era un maschiaccio. Era fine, educata e molto molto graziosa, anche se un po’ priva di fantasia. A questo scopo, faceva affidamento sulla sua migliore amica, un’altra Cathy, Cathy Dowdall. Era lei che sfornava le idee: ad esempio aveva organizzato una colletta porta a porta per comprare una corona di fiori in onore della defunta Mrs Smith. Il fatto che quest’ultima fosse viva e vegeta non la turbava per niente. Le ragazze raggranellarono così due sterline e dieci scellini, e per un paio di settimane se la spassarono un mondo.
Questi erano i figli di Agnes e del caro estinto Rosso Browne, sempre molto uniti, se non altro per mancanza di spazio. A casa litigavano come cani e gatti e se ne dicevano di cotte e di crude, ma fuori erano inseparabili. La legge dei Browne era «sette per uno, uno per sette». Dal ventinove marzo, e cioè dalla dipartita di Rosso, in famiglia non era cambiato molto. L’atmosfera era forse un po’ meno tesa, e per un breve periodo di tempo i bambini si divertirono nel ruolo dei «poveri orfanelli» del Jarro. Ma quella fase passò presto e la loro esistenza tornò, per quanto possibile, alla normalità. La compassione aveva vita breve in un quartiere in cui le tragedie erano pane quotidiano.