7.

«Mamma!» chiamò Dermot irrompendo in casa. «Mam­ma!» chiamò di nuovo, entrando di corsa nel cucinino. Agnes era seduta al tavolo con Trevor sulle ginocchia. Il bambino stava ingollando la sua colazione: una fetta di pa­ne zuccherato con sopra qualche goccia di latte caldo, mi­scuglio meglio noto come «il dolcetto». Dermot era in piedi davanti a lei, con un’espressione di angoscia sul volto, le gambe strette e una mano premuta sul sedere. Si contor­ceva.

«Che c’è che non va, amore?» gli chiese Agnes.

«Mi scappa la cacca».

«Be’, e che vuoi da me? Ti sembro un gabinetto? Va’ in bagno e falla!»

«C’è Mark».

«Digli di uscire… Mark!» chiamò. «Vieni fuori, che tuo fratello deve fare la cacca!»

Nessuna risposta.

«Mark!» chiamò di nuovo. Ancora niente.

«Sono secoli che è chiuso lì dentro, mamma, non viene più fuori» strillò Dermot.

Agnes si alzò. «Vieni, Rory. Da’ tu da mangiare a Tre­vor». Andò sul pianerottolo, dove c’era il bagno, seguita da Dermot, che ormai non ce la faceva più nonostante si strin­gesse il sedere con tutte le sue forze. Prima di bussare, ap­poggiò un orecchio alla porta. «Mark, ci sei?» Per un mo­mento sembrò che non avrebbe risposto, poi si udì un «Sì» a voce bassissima. «Be’, allora lascia libero il gabinetto, tuo fratello non ne può più… e guarda che se poi se la fa sotto, domani te li metti tu i suoi pantaloni».

Ci fu uno scatto e la porta si socchiuse di un millimetro.

A Dermot bastò per precipitarsi dentro con i pantaloni mezzi abbassati. Si udì il suo mugolio di sollievo prima an­cora che Mark uscisse da bagno. Poi il ragazzo, a testa bassa, passò davanti alla madre e andò dritto verso la camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle. Agnes lo seguì fi­no alla soglia, ma lui le sbatté la porta in faccia. Agnes ri­mase interdetta.

«Che gli prende?» domandò, a nessuno in particolare.

Simon si limitò a guardarla e scrollò le spalle. Rory era troppo impegnato a infilare l’ultimo boccone di dolcetto nella bocca di Trevor.

«Forse ha i vermi» suggerì Cathy.

«Piantala, sei disgustosa» la rimproverò Agnes.

«Ma mamma, alla gente vengono davvero i vermi nella cacca, e sono lunghi chilometri. Me l’ha detto Cathy Dow­dall».

«Smettila con queste schifezze sui vermi, e sta’ lontana da quella Cathy Downdall. Ha un’influenza negativa su di te. Ai Browne i vermi non vengono, e basta!»

Tutto tornò tranquillo. Agnes bussò piano alla porta del ragazzo. «Mark… Mark… Mark?»

«Cavolo, mamma, sembri un cane che balbetta» disse Dermot, di ritorno dal bagno con un’espressione di sollie­vo sul volto.

Agnes fece per dargli una sberla. «Te lo faccio vedere io come balbetto! Che cos’hai detto a tuo fratello?»

«Ho detto, ehm… “Dai, Mark, mi scappa la cacca”. Tutto qui».

«E allora perché è così triste?»

«Non è colpa mia, è il pipino» rivelò Dermot. Gli altri ridacchiarono.

«Chi? E chi è questo Pipino? Per caso Mark ha fatto a pugni?»

A quelle parole tutti scoppiarono a ridere, anche Trevor. Rory diventò paonazzo, mentre Simon aveva le lacrime agli occhi.

La madre era furiosa. «Piantatela!» urlò. Le risate si spen­sero di colpo, anche se i figli le trattenevano a stento. Ve­dendola così arrabbiata, cercavano di contenersi.

Agnes li fissò negli occhi. Quando capì di avere ottenu­to la loro attenzione, proseguì: «Adesso uno di voi mi dice dove posso trovare questo Pipino».

Le guance si gonfiarono, e i bambini si morsero la lin­gua mentre le lacrime scorrevano sul viso di Simon che, pur non emettendo il minimo rumore, tremava per le risate sof­focate. Pensavano di poter resistere, finché Agnes annunciò: «Quando lo trovo, lo strozzo».

A quel punto li udirono sganasciarsi da ogni appar­tamento dello stabile di James Larkin Court. Dermot corse fuori ululando. A Rory venne una mezza crisi isterica, tanto che Trevor attaccò a piangere, terrorizzato. Cathy se­guì Dermot, e Simon affondò la faccia in un cuscino del di­vano.

Agnes sollevò Trevor con un braccio. Con l’altro raccol­se il cucchiaio con cui Rory aveva dato da mangiare al bam­bino e glielo sbatacchiò sulla testa. Simon, che aveva quasi smesso di sghignazzare, ricominciò. Agnes andò verso l’ar­madio e tirò fuori il cappottino di Trevor. Dopo essere riu­scita a calmarlo col ciuccio, lo vestì e si rivolse agli altri due.

«Adesso lo accompagnate a fare una passeggiata. Rory, porta giù il passeggino, e tu, Simon, pensa a tuo fratello». Gli consegnò il piccolo, aprì la borsa e prese il portamone­te. Diede a Rory un po’ di soldi. «Comprami il detersivo Tide e mezzo chilo di biscotti. Ora, via, filate!»

I ragazzi si precipitarono fuori, ma mentre scendevano Rory disse qualcosa a Simon e i due ricominciarono a span­ciarsi.

Agnes sbatté la porta. «Piccoli bastardi, farsi mezz’ora di risate alle mie spalle» commentò a voce alta. Adesso la casa era silenziosa come un macellaio di venerdì. Si diresse ver­so il radiogrammofono e mise su un disco: di Cliff Richard, naturalmente. Si avvicinò di nuovo alla camera da letto e stava per bussare, ma ci ripensò: Mark sarebbe uscito a tem­po debito. Iniziò invece a rassettare e spolverare, veleggian­do per la stanza sull’onda della voce del suo idolo. Aprì l’ar­madio per riporre lo straccio proprio mentre lui attaccava una canzone, dolce e lenta. Rimase immobile per un istan­te davanti all’anta aperta e immaginò di essere sposata con Cliff: pensò a quegli occhi luminosi e scintillanti, al sorriso perenne, a lei che gli scompigliava il ciuffo e ai capelli cor­vini che gli ricadevano sul volto abbronzato. Senza rendersene conto stava passando le dita tra le filacce grigio scuro della scopa capovolta. Quando se ne accorse ridacchiò tra sé, e disse alla scopa: «Oh, scusami tanto Cliff» scostando­le il ciuffo dagli occhi. La tirò fuori dall’armadio e si mise a piroettare con lei nella stanza. Chiuse gli occhi. All’im­provviso si trovava a Londra, nella sala da ballo del Savoy. Cliff aveva appena ritirato un altro premio: quello per il cantante più bello, più bravo e più tenero dell’universo. Dopo i ringraziamenti era sceso dal palcoscenico e aveva at­traversato la calca fermandosi davanti ad Agnes. Senza par­lare aveva appoggiato la coppa sul tavolo e allungato la ma­no verso di lei. Agnes si era alzata, timida e, tra flash che crepitavano e luci turbinanti, lui aveva preso a cantarle dol­cemente all’orecchio. La folla si era aperta mentre, soli al centro della sala, Agnes e Cliff – la coppia del secolo – vol­teggiavano intorno alla pista da ballo.

Se, in quel momento, un estraneo fosse entrato in casa, avrebbe visto una donna bruna e attraente sorridere e gira­re in tondo, stretta a una scopa umida e arruffata. E di cer­to si sarebbe chiesto se non fosse il caso di chiamare un’am­bulanza. Fu questa la scena cui assisté Mark, in piedi ac­canto alla porta della camera da letto. La musica finì, Agnes aprì gli occhi e si accorse della sua presenza. Era sorpresa e imbarazzata al tempo stesso. «Santiddio, mi hai fatto pren­dere un colpo» borbottò. Ripose in fretta la scopa e chiuse l’anta. Mark non si mosse.

Agnes si sedette al tavolo di cucina. «Vieni, Mark» disse con dolcezza. Il ragazzo, tetro, obbedì, scivolando sulla se­dia. «Va tutto bene, amore? Sembri così turbato… dimmi cosa c’è, magari ti posso dare una mano. Hai qualche pro­blema?»

«Sì» rispose lui a testa bassa.

«Be’, allora dillo alla tua mamma. Su, tesoro. Che genere di problema?»

«Un problema col pipino».

«E chi è questo Pipino?»

«Il mio pipino».

«Che intendi con il mio Pipino? È un tuo amico?»

Mark alzò gli occhi su sua madre. Allora era vero che sta­va andando fuori di testa. «Il mio pipino! Il coso che mi ser­ve per fare pipì» disse, indicandosi il cavallo dei pantaloni.

Agnes andò nel panico. Saltò in piedi e accese il gas sot­to il bollitore: le ci voleva proprio una tazza di tè. Non le era mai passato per l’anticamera del cervello che avrebbe dovuto spiegare ai figli a cos’altro servisse il pipino. Con le spalle a Mark, disse calma: «Capisco». Tornò a sedersi. «E, ehm… qual è il problema? Ti fa male?»

«No» si limitò a rispondere lui, deludendo le aspettative di Agnes.

«Ti prude?» gli chiese. Non sapeva neanche lei perché gli stava facendo una domanda così stupida. Sperava solo che il ragazzo si sbloccasse e si spiegasse meglio.

«No». Ancora una volta, nessun dettaglio.

«Be’, parla, allora. Dì alla tua mamma cosa… ehm… co­sa c’è che non va nel tuo pipino».

«Gli stanno crescendo i peli». Mark aveva riabbassato la testa e pareva davvero che stesse parlando col suo pipino.

«Tutto qui? Non c’è niente di cui preoccuparsi, figliolo». Era sollevata. A questo punto, bastava spiegargli come sta­vano le cose. «Succede ai ragazzi della tua età. Stai diven­tando uomo. Tutti hanno i peli sul pipino». Agnes sorride­va e Mark la guardava con un’espressione di sollievo. Era soddisfatta di sé, era una «donna moderna», pensò. Suo fi­glio le aveva fatto una domanda intima e lei era stata in gra­do di rispondere senza la minima incertezza. Ma poi arrivò la domanda più temuta: «Perché?»

Agnes rifletté. In una simile circostanza, una donna mo­derna avrebbe spiegato: si chiama pubertà… presto avrai un’erezione e farai sogni che provocheranno la fuoriuscita di un fluido denso. È il liquido seminale, che feconda l’o­vulo femminile nelle tube di Falloppio, e da cui nascono i bambini.

Guardò in faccia il suo bambino più grande. I suoi oc­chi erano in attesa di una risposta. La donna moderna an­dò a farsi friggere. «Perché così ti tengono al caldo il pipino quando vai a nuotare». Raggiunse con un balzo il bollitore e, da sopra la spalla, concluse: «Adesso fila via!»