«Mamma!» chiamò Dermot irrompendo in casa. «Mamma!» chiamò di nuovo, entrando di corsa nel cucinino. Agnes era seduta al tavolo con Trevor sulle ginocchia. Il bambino stava ingollando la sua colazione: una fetta di pane zuccherato con sopra qualche goccia di latte caldo, miscuglio meglio noto come «il dolcetto». Dermot era in piedi davanti a lei, con un’espressione di angoscia sul volto, le gambe strette e una mano premuta sul sedere. Si contorceva.
«Che c’è che non va, amore?» gli chiese Agnes.
«Mi scappa la cacca».
«Be’, e che vuoi da me? Ti sembro un gabinetto? Va’ in bagno e falla!»
«C’è Mark».
«Digli di uscire… Mark!» chiamò. «Vieni fuori, che tuo fratello deve fare la cacca!»
Nessuna risposta.
«Mark!» chiamò di nuovo. Ancora niente.
«Sono secoli che è chiuso lì dentro, mamma, non viene più fuori» strillò Dermot.
Agnes si alzò. «Vieni, Rory. Da’ tu da mangiare a Trevor». Andò sul pianerottolo, dove c’era il bagno, seguita da Dermot, che ormai non ce la faceva più nonostante si stringesse il sedere con tutte le sue forze. Prima di bussare, appoggiò un orecchio alla porta. «Mark, ci sei?» Per un momento sembrò che non avrebbe risposto, poi si udì un «Sì» a voce bassissima. «Be’, allora lascia libero il gabinetto, tuo fratello non ne può più… e guarda che se poi se la fa sotto, domani te li metti tu i suoi pantaloni».
Ci fu uno scatto e la porta si socchiuse di un millimetro.
A Dermot bastò per precipitarsi dentro con i pantaloni mezzi abbassati. Si udì il suo mugolio di sollievo prima ancora che Mark uscisse da bagno. Poi il ragazzo, a testa bassa, passò davanti alla madre e andò dritto verso la camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle. Agnes lo seguì fino alla soglia, ma lui le sbatté la porta in faccia. Agnes rimase interdetta.
«Che gli prende?» domandò, a nessuno in particolare.
Simon si limitò a guardarla e scrollò le spalle. Rory era troppo impegnato a infilare l’ultimo boccone di dolcetto nella bocca di Trevor.
«Forse ha i vermi» suggerì Cathy.
«Piantala, sei disgustosa» la rimproverò Agnes.
«Ma mamma, alla gente vengono davvero i vermi nella cacca, e sono lunghi chilometri. Me l’ha detto Cathy Dowdall».
«Smettila con queste schifezze sui vermi, e sta’ lontana da quella Cathy Downdall. Ha un’influenza negativa su di te. Ai Browne i vermi non vengono, e basta!»
Tutto tornò tranquillo. Agnes bussò piano alla porta del ragazzo. «Mark… Mark… Mark?»
«Cavolo, mamma, sembri un cane che balbetta» disse Dermot, di ritorno dal bagno con un’espressione di sollievo sul volto.
Agnes fece per dargli una sberla. «Te lo faccio vedere io come balbetto! Che cos’hai detto a tuo fratello?»
«Ho detto, ehm… “Dai, Mark, mi scappa la cacca”. Tutto qui».
«E allora perché è così triste?»
«Non è colpa mia, è il pipino» rivelò Dermot. Gli altri ridacchiarono.
«Chi? E chi è questo Pipino? Per caso Mark ha fatto a pugni?»
A quelle parole tutti scoppiarono a ridere, anche Trevor. Rory diventò paonazzo, mentre Simon aveva le lacrime agli occhi.
La madre era furiosa. «Piantatela!» urlò. Le risate si spensero di colpo, anche se i figli le trattenevano a stento. Vedendola così arrabbiata, cercavano di contenersi.
Agnes li fissò negli occhi. Quando capì di avere ottenuto la loro attenzione, proseguì: «Adesso uno di voi mi dice dove posso trovare questo Pipino».
Le guance si gonfiarono, e i bambini si morsero la lingua mentre le lacrime scorrevano sul viso di Simon che, pur non emettendo il minimo rumore, tremava per le risate soffocate. Pensavano di poter resistere, finché Agnes annunciò: «Quando lo trovo, lo strozzo».
A quel punto li udirono sganasciarsi da ogni appartamento dello stabile di James Larkin Court. Dermot corse fuori ululando. A Rory venne una mezza crisi isterica, tanto che Trevor attaccò a piangere, terrorizzato. Cathy seguì Dermot, e Simon affondò la faccia in un cuscino del divano.
Agnes sollevò Trevor con un braccio. Con l’altro raccolse il cucchiaio con cui Rory aveva dato da mangiare al bambino e glielo sbatacchiò sulla testa. Simon, che aveva quasi smesso di sghignazzare, ricominciò. Agnes andò verso l’armadio e tirò fuori il cappottino di Trevor. Dopo essere riuscita a calmarlo col ciuccio, lo vestì e si rivolse agli altri due.
«Adesso lo accompagnate a fare una passeggiata. Rory, porta giù il passeggino, e tu, Simon, pensa a tuo fratello». Gli consegnò il piccolo, aprì la borsa e prese il portamonete. Diede a Rory un po’ di soldi. «Comprami il detersivo Tide e mezzo chilo di biscotti. Ora, via, filate!»
I ragazzi si precipitarono fuori, ma mentre scendevano Rory disse qualcosa a Simon e i due ricominciarono a spanciarsi.
Agnes sbatté la porta. «Piccoli bastardi, farsi mezz’ora di risate alle mie spalle» commentò a voce alta. Adesso la casa era silenziosa come un macellaio di venerdì. Si diresse verso il radiogrammofono e mise su un disco: di Cliff Richard, naturalmente. Si avvicinò di nuovo alla camera da letto e stava per bussare, ma ci ripensò: Mark sarebbe uscito a tempo debito. Iniziò invece a rassettare e spolverare, veleggiando per la stanza sull’onda della voce del suo idolo. Aprì l’armadio per riporre lo straccio proprio mentre lui attaccava una canzone, dolce e lenta. Rimase immobile per un istante davanti all’anta aperta e immaginò di essere sposata con Cliff: pensò a quegli occhi luminosi e scintillanti, al sorriso perenne, a lei che gli scompigliava il ciuffo e ai capelli corvini che gli ricadevano sul volto abbronzato. Senza rendersene conto stava passando le dita tra le filacce grigio scuro della scopa capovolta. Quando se ne accorse ridacchiò tra sé, e disse alla scopa: «Oh, scusami tanto Cliff» scostandole il ciuffo dagli occhi. La tirò fuori dall’armadio e si mise a piroettare con lei nella stanza. Chiuse gli occhi. All’improvviso si trovava a Londra, nella sala da ballo del Savoy. Cliff aveva appena ritirato un altro premio: quello per il cantante più bello, più bravo e più tenero dell’universo. Dopo i ringraziamenti era sceso dal palcoscenico e aveva attraversato la calca fermandosi davanti ad Agnes. Senza parlare aveva appoggiato la coppa sul tavolo e allungato la mano verso di lei. Agnes si era alzata, timida e, tra flash che crepitavano e luci turbinanti, lui aveva preso a cantarle dolcemente all’orecchio. La folla si era aperta mentre, soli al centro della sala, Agnes e Cliff – la coppia del secolo – volteggiavano intorno alla pista da ballo.
Se, in quel momento, un estraneo fosse entrato in casa, avrebbe visto una donna bruna e attraente sorridere e girare in tondo, stretta a una scopa umida e arruffata. E di certo si sarebbe chiesto se non fosse il caso di chiamare un’ambulanza. Fu questa la scena cui assisté Mark, in piedi accanto alla porta della camera da letto. La musica finì, Agnes aprì gli occhi e si accorse della sua presenza. Era sorpresa e imbarazzata al tempo stesso. «Santiddio, mi hai fatto prendere un colpo» borbottò. Ripose in fretta la scopa e chiuse l’anta. Mark non si mosse.
Agnes si sedette al tavolo di cucina. «Vieni, Mark» disse con dolcezza. Il ragazzo, tetro, obbedì, scivolando sulla sedia. «Va tutto bene, amore? Sembri così turbato… dimmi cosa c’è, magari ti posso dare una mano. Hai qualche problema?»
«Sì» rispose lui a testa bassa.
«Be’, allora dillo alla tua mamma. Su, tesoro. Che genere di problema?»
«Un problema col pipino».
«E chi è questo Pipino?»
«Il mio pipino».
«Che intendi con il mio Pipino? È un tuo amico?»
Mark alzò gli occhi su sua madre. Allora era vero che stava andando fuori di testa. «Il mio pipino! Il coso che mi serve per fare pipì» disse, indicandosi il cavallo dei pantaloni.
Agnes andò nel panico. Saltò in piedi e accese il gas sotto il bollitore: le ci voleva proprio una tazza di tè. Non le era mai passato per l’anticamera del cervello che avrebbe dovuto spiegare ai figli a cos’altro servisse il pipino. Con le spalle a Mark, disse calma: «Capisco». Tornò a sedersi. «E, ehm… qual è il problema? Ti fa male?»
«No» si limitò a rispondere lui, deludendo le aspettative di Agnes.
«Ti prude?» gli chiese. Non sapeva neanche lei perché gli stava facendo una domanda così stupida. Sperava solo che il ragazzo si sbloccasse e si spiegasse meglio.
«No». Ancora una volta, nessun dettaglio.
«Be’, parla, allora. Dì alla tua mamma cosa… ehm… cosa c’è che non va nel tuo pipino».
«Gli stanno crescendo i peli». Mark aveva riabbassato la testa e pareva davvero che stesse parlando col suo pipino.
«Tutto qui? Non c’è niente di cui preoccuparsi, figliolo». Era sollevata. A questo punto, bastava spiegargli come stavano le cose. «Succede ai ragazzi della tua età. Stai diventando uomo. Tutti hanno i peli sul pipino». Agnes sorrideva e Mark la guardava con un’espressione di sollievo. Era soddisfatta di sé, era una «donna moderna», pensò. Suo figlio le aveva fatto una domanda intima e lei era stata in grado di rispondere senza la minima incertezza. Ma poi arrivò la domanda più temuta: «Perché?»
Agnes rifletté. In una simile circostanza, una donna moderna avrebbe spiegato: si chiama pubertà… presto avrai un’erezione e farai sogni che provocheranno la fuoriuscita di un fluido denso. È il liquido seminale, che feconda l’ovulo femminile nelle tube di Falloppio, e da cui nascono i bambini.
Guardò in faccia il suo bambino più grande. I suoi occhi erano in attesa di una risposta. La donna moderna andò a farsi friggere. «Perché così ti tengono al caldo il pipino quando vai a nuotare». Raggiunse con un balzo il bollitore e, da sopra la spalla, concluse: «Adesso fila via!»