12.

Accanto al suo banco, sotto il sole mattutino, Agnes aspet­tava che Cathy passasse a ritirare il pranzo. Era frastornata. Osservava col cuore pesante il posto lasciato vuoto da Ma­rion. Era passata una settimana da quando era andata a tro­varla in ospedale, e ancora non era tornata al lavoro.

Era tardi, mezzanotte passata, quando la sera prima ave­va lasciato l’appartamento dell’amica. Tommo si era offerto di riaccompagnarla a casa e Agnes non aveva trovato nien­te di strano nella sua proposta. Non sapeva che l’uomo ave­va un intento ben preciso: voleva parlarle lontano dalle orecchie della moglie. Passeggiando per George’s Hill sotto un brillante chiaro di luna, Agnes stava ciarlando del bell’aspetto di Marion, dicendosi sicura che non ci fosse nien­te di cui preoccuparsi, quando, di colpo, lui si era bloccato. Agnes era andata un po’ avanti, ma poi, accortasi che Tom­mo non era al suo fianco, aveva smesso di camminare e si era voltata a guardarlo. L’uomo era immobile, la testa chi­na e il corpo imponente squassato da possenti singhiozzi. Agnes era tornata indietro.

«Che c’è che non va, Tommo?» aveva chiesto.

«Non… non sta bene, Agnes… non sta bene per nien­te».

«Be’, certo che non sta bene! Un’operazione, anche una piccola operazione, ti porta via un sacco di energie… E sa­rà meglio che ti ci abitui, perché se dovranno toglierle il seno… si sentirà giù per un bel pezzo!» Agnes aveva parlato con autorevolezza, nella speranza di riuscire a tirargli su il morale. Però non ce l’aveva fatta. Lui si era messo a sin­ghiozzare ancor più forte, boccheggiando. Malgrado gli sforzi, non riusciva ad articolare parola.

«Ehi, Tommo, cerca di controllarti». Agnes era in piedi, le mani sui fianchi. L’uomo continuava a piangere.

Lei aveva aperto la borsa e tirato fuori le sigarette, ac­cendendosene una. Il fumo della prima tirata si era sparso in alto, verso la luna sorridente. Aveva fatto ricadere il pac­chetto nella borsa e chiuso la clip. I singhiozzi di Tommo erano meno convulsi adesso, respirava profondamente. Era passata una giovane coppia sottobraccio, e la ragazza aveva riconosciuto Agnes.

«Buonanotte, Mrs Browne».

«Buonanotte a te, tesoro. E fila dritta a casa!» aveva ri­sposto lei.

Ridacchiando, la coppia aveva proseguito la passeggiata. Agnes aveva sorriso, seguendoli con lo sguardo, poi si era ri­volta all’amico con espressione più seria, a voce bassa ma ferma: «Tommo, la pianti di fare il bambino? Te ne stai lì in piedi a frignare come una donnicciola! Non sarà mica la fi­ne del mondo!»

«Lo è… per me, Agnes» aveva replicato lui, con un tim­bro di voce più cavernoso dopo quella colossale cascata di lacrime.

«Perché? Che storia è questa?» La risposta Agnes la co­nosceva già, e la temeva. Il suo corpo si era preparato, le nocche erano sbiancate, strette attorno alla tracolla della borsa. Aveva contratto il petto e arricciato le dita dei piedi come per tenerli ben piantati a terra. Tommo aveva detto solo due parole, guardandola dritto negli occhi.

«Sei mesi».

Mentre fissava il posto lasciato vuoto dal banco di Ma­rion sotto il sole del mattino, quelle due parole le risuona­vano nella testa.

«Mamma! Mamma!» Trasalì spaventata. Era Cathy.

«Che diavolo vuoi?» le rispose brusca.

«Il mio pranzo» rispose la piccola, mite e sconcertata.

La donna si chinò e la abbracciò. «Mi spiace, tesoro…

Mi sono spaventata. Stavo con la testa da un’altra parte… Mi spiace…»

Agnes la sciolse da una stretta più forte del solito. E sor­rise, guardandola in faccia.

«Stai proprio bene, pulcino, tranne che per quello stupi­do berretto di lana!» e, detto questo, levò il cappello dalla testa della figlia. Cathy tentò di impedirglielo, ma era trop­po tardi: la madre aveva scoperto la magagna. Non disse nulla per qualche secondo, si limitò a fissarla a bocca aper­ta. La ragazzina abbassò gli occhi.

«Dove hai lasciato la tua frangetta?» chiese Agnes. Nem­meno l’avesse persa per strada.

«Non c’è più» rispose Cathy senza sollevare lo sguardo.

«Lo vedo che non c’è più, non sono mica Ray Charles. Dov’è finita? Cosa è successo?»

Aveva un tono sempre più rabbioso.

«Me l’ha tagliata la mia sorella».

«Tu non hai una sorella… O forse intendi Rory…»

«No… l’insegnante… Suor Magdalen, me l’ha tagliata lei!» Gli occhi le si riempirono di lacrime.

«Perché?» chiese Agnes addolorata. Adesso anche lei ave­va gli occhi umidi.

«Per la mia faccia tosta!» Era troppo per lei, e scoppiò a piangere. Agnes strinse forte a sé la sua unica figlia. Ricor­se al metodo tradizionale, dandole delle pacche leggere sul­la schiena e sussurrandole all’orecchio: «Su, su, su!»

Quando si calmò, Cathy le raccontò tutto. Finito che ebbe, Agnes le sorrise. «Non ti preoccupare, tesoro. Senti, sabato prossimo tu e io andiamo dal parrucchiere e faccia­mo fare un’acconciatura a quella testina che farà crepare d’invidia anche la donna più bella del mondo. D’accordo, amore?»

La ragazzina si gettò tra le sue braccia e la strinse forte. A voce molto bassa disse: «Ti voglio bene, mamma».

Di nuovo Agnes le diede qualche pacca sulla schiena. «Lo so, tesoro, lo so. Adesso fila a scuola».

Cathy infilò il panino e la frutta nella cartella e si allon­tanò trotterellando tutta allegra. Quell’incidente l’aveva sconvolta, ed era felice che fosse finita.

Ma non era finita!

Per Agnes la mattinata passò in un lampo. I clienti non mancavano, e vendette un bel po’ di roba. Il pensiero di Marion le attraversò la mente molte volte, ma si impose di continuare a lavorare. A mezzogiorno andò da Nelly la Puz­zona, la pescivendola, per farsi una sigaretta e due chiac­chiere. Non se le gustò. Per quanto si sforzasse, aveva trop­pe altre cose per la testa. Quando ebbe finito di fumare, si presentò da Annie la Grassa.

«Annie, mi daresti un’occhiata al banco per una mezz’o­retta?»

«Ah, Gesù, Agnes, stavo per chiederti la stessa cosa. La mia vecchia ha invitato padre Egan a prendere il tè e io ho promesso di portarle la roba per preparare qualche panino».

Agnes rimase interdetta, ma solo per un momento. «Fac­ciamo così. Da’ a me la roba per tua madre, e gliela conse­gno quando torno dalla scuola. Ti prego, devo andarci per forza».

Annie ci pensò su per un paio di secondi. «D’accordo». Le affidò una busta. «Qui dentro c’è manzo sotto sale, pro­sciutto, insalata, cipolle e due cetrioli. Diglielo. E se a pa­dre Egan non gli va bene, si vada a trovare una parrocchia nella zona sud!»

Le due donne risero. Agnes prese il sacchetto e si in­camminò verso l’Istituto della Madre della Divina Provvi­denza.

Alcuni odori si ricordano per tutta la vita. Quello di un ospedale, di un confessionale, di un pub alla mattina pre­sto… si riconoscono subito, sono inconfondibili. E non si dimentica mai nemmeno l’odore della scuola, pensava Agnes, percorrendo il corridoio, l’eco dei suoi passi come unica compagnia. Guardò le porte su entrambi i lati. Si fer­

mò fuori dalla quarta. Non aveva idea di cosa avrebbe det­to o fatto, sapeva solo che doveva andarci. Passò la busta di Annie la Grassa dalla mano destra alla sinistra, che già reg­geva la borsetta. Bussò. Le aprì una suora più alta di lei. Per un momento Agnes immaginò quella pertica di donna che maltrattava la sua adorata figlioletta.

«Sì, signora?» Aveva una voce mascolina.

Agnes si limitò a fissarla. Sentì il battito del cuore che ac­celerava. Alle spalle della suora vide le ragazzine che la guar­davano, ma non riuscì a scorgere Cathy. Forse aveva sba­gliato classe.

«Posso esserle utile?» Ora il tono della suora era un tan­tino irritato.

«Cerco suor Magdalen» disse Agnes con voce inespres­siva.

«Sono io».

«Bene, invece io sono Mrs Browne. La mamma di Ca­thy».

«E allora?»

«Chi le ha dato il permesso di tagliarle i capelli?»

«Permesso? Permesso? Signora, io non ho bisogno di nes­sun permesso per mantenere la disciplina nella mia scuola. C’è altro?»

In seguito Agnes non riuscì a ricordare di aver infilato la mano nella busta. Era come se quella cosa le fosse cresciuta nel palmo della mano. Un istante prima era vuoto, l’istan­te dopo brandiva un cetriolo verde brillante. Gli fece dise­gnare un arco, colpendo la suora in piena guancia.

Purtroppo per suor Magdalen il cetriolo non era molto maturo. Agnes ricordava invece di aver visto qualcosa schiz­zarle fuori dalla bocca quando era risuonato il colpo. Era un palato, con sette denti falsi che ticchettarono sul pavimen­to della classe come sette piccoli ballerini bianchi di tip tap. Agnes si voltò e lasciò la suora a terra, sulla soglia. A metà corridoio, senza guardarsi indietro, le gridò: «Prendi e por­ta a casa, stronza!»

Quando arrivò al suo banco, gli agenti la stavano aspet­tando. Ebbe giusto il tempo di chiedere a Nelly la Puzzona di fare un salto a casa sua per assicurarsi che i bambini stes­sero bene, dopodiché la arrestarono e la portarono alla sta­zione di polizia di Store Street, dove fu sbattuta in cella in attesa di comparire davanti al giudice il giorno seguente. Tutto sommato Agnes fu grata per quelle ventiquattr’ore di guardina in compagnia solo dei suoi pensieri, perché, dopo aver rimuginato a lungo sulla malattia di Marion e medita­to sul modo migliore di reagire, giunse a una conclusione: non ci avrebbe pensato affatto. Stabilì che il tempo che le rimaneva lo avrebbe trascorso godendo della sua compa­gnia, facendola ridere e, soprattutto, sfruttando al massimo ogni secondo insieme. E con questo aveva risolto un pro­blema. Ora toccava al tribunale.

Agnes venne scortata dal cellulare alle celle sotterranee del tribunale, dove la perquisirono – forse in cerca di frut­ta o verdura pericolosa. Quando spuntò dal seminterrato diretta al banco degli imputati, dalla galleria si levò un’ova­zione.

Agnes alzò gli occhi: c’erano Annie la Grassa, Nelly la Puzzona, Winnie il Maccarello, Liam lo Spazzino, Betty Sudore, Doreen, Catherine, Sandra, Jacko, Splish e Splash, Buddha, i figli… e Marion! Salutò tutti con la mano e loro ricambiarono il gesto, tra le acclamazioni. Il giudice diede un colpo di martello.

«Silenzio, lassù, o vi faccio sbattere fuori. Questa è una corte di giustizia, non un circo!»

L’aula ammutolì. Il magistrato sbirciò da sopra gli oc­chiali e si girò, soddisfatto, verso Mrs Browne. «Agnes Lo­retta Browne, lei è accusata di aggressione con un… scusi un istante». Si rivolse al commesso: «A quanto mi risulta… un… cetriolo».

Il commesso arrossì e annuì. «Sì, giudice, in effetti si tratta di un… ehm… cetriolo».

Sulle prime il giudice parve un po’ sconcertato, poi sor­

rise e proseguì: «…con un cetriolo, con conseguenti lesioni fisiche. Come si dichiara?»

«Come cosa?» chiese Agnes.

«Come si dichiara, donna?» ripeté il giudice, brusco.

«Be’, mi schiaccio la faccia così…» Agnes si strizzò il viso e piegò in giù gli angoli della bocca: «…e dico: Ah dai, ti prego… ti amo tanto».

Il giudice la fissò, guardò il commesso che si limitò a scrollare le spalle, dopodiché posò di nuovo gli occhi su Agnes. Aveva ancora sulla faccia quella smorfia suppliche­vole.

«Basta così!» urlò. L’imputata si ricompose. Lui ritentò. «Sta cercando di farsi beffe di questa corte?»

«No, signore».

«Giudice».

«Signor giudice».

«Niente signor… solo giudice».

«No, signor Solo Giudice».

Il giudice la fissò di nuovo negli occhi.

Il commesso si alzò in piedi e le si avvicinò. «Quando si rivolge a lui, lo chiami giudice e basta» sussurrò.

Agnes era sollevata. «Oh, grazie a Dio. Sa com’è, ha un nome troppo lungo, non me lo sarei mai ricordato. Gli di­ca che lui può chiamarmi Aggie». Mentre tornava al suo posto, il commesso fece cenno al magistrato che l’equivoco era chiarito.

«Ora, Mrs Browne» disse il giudice, «possiamo ricomin­ciare?»

«Sì… giudice».

«Brava, ragazza. Allora, ha aggredito o no suor… ehm… Magdalen, con un cetriolo, con conseguenti lesioni fisiche? Sì o no?»

«Sì…»

L’uomo annuì, ma Agnes non aveva finito: «…e no!»

«Cosa intende dire? O è sì, o è no».

«Be’, è vero che le ho rifilato una sventola, ma l’unica

conseguenza è stata che le sono volati fuori i denti falsi. Po­co ma sicuro che questa non può essere considerata una le­sione!»

Il giudice ordinò al commesso di inserire una dichiara­zione di colpevolezza quanto all’aggressione, e di non col­pevolezza riguardo alle lesioni fisiche. Nel bel mezzo di quello scambio di battute, Agnes li interruppe.

«Ha tagliato la frangetta a mia figlia».

«Come, prego?» chiese il giudice.

«Ho detto che ha tagliato la frangetta a mia figlia. La so­rella, è stata lei».

«E perché la sorella, ehm… la suora, avrebbe tagliato la frangetta a sua figlia?»

«Perché era tornata a casa a cambiarsi le mutande».

«Cosa? Quali mutande? Lei sta facendo una gran confu­sione!» L’uomo si rivolse ai poliziotti che l’avevano arresta­ta. «C’è questa, ehm, suor Magdalen in aula?»

Gli agenti si alzarono in piedi. «No, giudice, ma ho qui una dichiarazione giurata».

«Sì, d’accordo, ma io non posso fare domande a una dichiarazione giurata. Voglio capire come sono andate le cose».

Agnes alzò la mano, come se fosse a scuola, e lui la no­tò. «Vuole la parola, Mrs Browne?»

«Sì. Mia figlia è presente. Ci penserà lei a raccontarle tutto».

«Bene, accompagnatela qui».

Cathy fu accompagnata al banco degli imputati da Ma­rion. Si sedette, con le gambette magre a penzoloni come i nastri di un fiocco su una tenda, e riferì la storia a un’aula in cui non volava una mosca. Il suo racconto fu infram­mezzato dagli «ooh!» e gli «aah!» della galleria. A un certo punto, persino il giudice si lasciò sfuggire un «tsk tsk». Quando ebbe terminato, il tribunale era uno spettacolo de­gno di essere visto: il magistrato con le mani sugli occhi, il poliziotto responsabile dell’arresto, paonazzo per la vergo­

gna, che si girava a destra e sinistra: «Non ne sapevo nien­te, giuro».

Nel frattempo, in galleria, Nelly la Puzzona e Winnie il Maccarello stavano cercando di organizzare un linciaggio.

Il giudice si tolse con un gesto lento la mano dagli oc­chi. Chiese al poliziotto: «Vuole fare qualche domanda a questo testimone, agente?»

«Certo che no, giudice».

«Bene». Si rivolse ad Agnes. «Mrs Browne, lascerò cade­re ogni imputazione nei suoi confronti, però non voglio più rivederla qui. Capisco bene la sua rabbia, ma lei è tenuta a rispettare la legge. Avrebbe dovuto denunciare il fatto alla polizia».

Agnes rise. «Ah! E quale poliziotto si sarebbe preso la briga di arrestare una suora sulla mia parola, come invece ha arrestato me sulla sua parola?»

C’erano più di venti agenti in aula: arrossirono tutti. Il magistrato non seppe cosa rispondere e si rivolse di nuovo al poliziotto che l’aveva arrestata. «Agente… ehm…»

«Dunne, giudice».

«Agente Dunne. Vorrei che facesse un salto da questa suor Magdalen per informarla di quanto è stato detto e fatto qui oggi».

«Certo, giudice».

«Non ho finito. Voglio anche che le riferisca da parte mia e per conto della polizia che nell’eventualità di qualsia­si altra denuncia dei genitori in merito a maltrattamenti di bambini sotto la sua tutela, scatteranno indagini approfon­dite!»

«Sarà fatto, giudice!»

«Mrs Browne».

«Sì, giudice?»

«Porti a casa i suoi figli». Dalla galleria esplose un’ova­zione, corredata da un breve applauso dei procuratori, de­gli avvocati e di tutto l’assortimento di delinquenti in atte­sa di discutere il loro caso davanti alla corte. In quel caos nessuno notò Cathy in punta di piedi vicino allo scranno. Il giudice vide solo i grandi occhi castani e la frangetta mal­concia. Si sporse in avanti e le chiese: «Sì, Cathy?»

«Posso farla lo stesso la cresima?»

«Ma certo, Cathy, certo che puoi fare la cresima».

Gli occhi sorrisero. «Grazie, signore!» E corse da sua ma­dre.