13.

La cresima di Cathy fu un gran successo. Quando il par­rucchiere ebbe completato la sua opera, la ragazzina era più che soddisfatta del risultato. Quel giorno indossava gonna e giacchetta rosa con una guarnizione di fiorellini lungo il risvolto, camicia bianca col colletto alto e scarpe bianche. L’arcivescovo McQuaid le amministrò il Sacramento della Confermazione e, con sua grande gioia, non le rivolse nep­pure una domanda.

La cerimonia di un’ora e mezza fu seguita da un pranzo – luculliano, come sempre – al Bewley’s Café. Poi iniziaro­no le inevitabili visite agli amici e ai parenti. Per l’occasio­ne, il mezzo di trasporto fu fornito da Ned Brady, un for­naio della zona. Ned aveva una Austin Cambridge che mise a disposizione, con se stesso nelle vesti di autista, insieme a cinque sterline di benzina.

Alla fine della giornata Cathy era passata a trovare dodi­ci zie e zii, sette amici della madre, compresi Marion e Tommo, e per ultimo anche Foley al pub. Agnes e la figlia arrivarono a casa alle nove, sfinite. Non erano ancora en­trate che già Cathy aveva cominciato a svuotare la borsetta e le tasche piene di monete da mezza corona e di bancono­te da dieci scellini e da una sterlina. Agnes andò in camera, si tolse il vestito buono e, con un profondo sospiro di sol­lievo, anche la guaina attillata che col passare delle ore le era sembrata sempre più stretta. Quando tornò in cucina, Cathy era seduta al tavolo con i soldi della cresima am­monticchiati a seconda del taglio.

«Allora, quanto hai fatto?» le chiese Agnes. «Sedici sterline e dodici scellini» rispose la figlia con vo­ce intimorita.

«Dio mio, che fortuna! Pensa che quando ho fatto la cre­sima io, ho rimediato solo otto scellini, ma vedessi com’ero contenta!» Il grido di battaglia di ogni genitore.

Cathy si limitò a rimanere seduta e a contemplare tutto quel denaro, più di quanto ne avesse mai visto. Agnes si se­dette al tavolo davanti a lei.

«Allora, hai deciso cosa farne, amore?»

«Sì» rispose Cathy, tutta soddisfatta.

«E cosa?»

«Be’, ho pensato di dare due scellini a testa a Dermo, Rory, Simon e Frankie. Mezza corona per Marko. Fa… ehm… dieci scellini e sei pence, giusto? Poi uno scellino e sei per comprare una palla a Trevor. Rimangono sedici ster­line, e una è per me!» La ragazzina era tutta contenta di essere lei una volta tanto a fare la parte di Babbo Natale.

«Ne avanzano ancora quindici, amore. Preferisci che te le tenga io?» chiese Agnes.

«Mamma… sono per te!»

«Per me?» Agnes era esterrefatta. Quindici sterline erano l’equivalente di tre settimane di lavoro.

«Sì! Per te, mamma! Spendile come vuoi».

«Oh, sei molto buona, tesoro, ma non posso!»

«Mamma, ti prego, accettale. Voglio che le prenda tu. Regalati qualche disco di Cliff Richard!»

Agnes rise. «Con quei soldi posso comprarmi tutta la collezione. No, stammi a sentire: compriamo un tappeto! Un vero axminster, non quella specie di stuoino da cami­netto, un axminster con sottotappeto e compagnia bella. Non sarebbe carino?»

«Meraviglioso, mamma. Posso venire anch’io quando andrai a comprarlo?»

«Non solo puoi venire, puoi anche sceglierlo!»

Cathy era in estasi. «Che bello!» gridò, e fece il giro del tavolo di corsa per abbracciarla.

«Sssh!» bisbigliò Agnes. «Svegli i ragazzi! Va’ a letto e ap­pendi il vestito. Magari lo devo impegnare». La ragazzina aveva iniziato ad allontanarsi, ma si voltò, sconvolta da quelle ultime parole.

«Scherzavo, amore» rise Agnes. E Cathy fece altrettanto, mentre si dirigeva, leggera e aggraziata, verso la camera da letto.

Agnes stava combattendo col passeggino per le scale, se­guita da Cathy che reggeva Trevor. Il «piccolo» era gigante­sco per la sua età, ma a differenza degli altri figli che a tre anni già scorrazzavano ovunque, lui insisteva a essere preso in braccio o portato in giro in carrozzina. Era anche in ri­tardo col linguaggio. Alla sua età Mark recitava l’alfabeto, Dermot diceva bugie e Cathy sapeva cantare qualsiasi canzone. Trevor no. Non che fosse ritardato, era solo pigro. Il suo lessico consisteva in una trentina di vocaboli. Agnes so­spettava che ne conoscesse molti di più, ma che non gli an­dasse di usarli. Le parole più ricorrenti naturalmente erano quelle che avresti preferito non sentire: «’fanculo», «merda» oppure «stronzo» venivano fuori chiare come il sole. Inoltre aveva deciso, per qualche motivo, di attribuire nomi tutti suoi alle cose, e malgrado i tentativi di sua madre di inse­gnargli i termini giusti, il piccolo si incaponiva nelle sue scelte. Ad esempio, ragga ragga significava «colazione», e anche se ragga ragga non somigliava nemmeno un po’ a «colazione», quando Trevor lo diceva gli mettevano davan­ti i cereali. Il pene, invece, era mu mu. Agnes cercò di in­culcargli «pipino», ma non ci fu modo di fargli cambiare idea. In quel momento stava urlando: «Giorno passeggio» perché sapeva che stava per essere portato a fare un giro in città col passeggino.

Arrivata in fondo alle scale, Agnes prese Trevor dalle braccia di Cathy e lo sistemò sul seggiolino. Lo assicurò con le cinghie e chiese alla figlia: «Dov’è la corda?» Dato che il bambino si era specializzato nell’arte di sganciarsi, ora Agnes doveva anche legarlo. Faceva passare la corda intor­no a una caviglia, poi intorno al montante laterale, sul pet­to, intorno allo schienale, di nuovo sul petto, intorno al secondo montante e, infine, intorno all’altra caviglia. I vicini lo chiamavano «Houdini».

Proprio mentre Agnes, Cathy e il passeggino stavano per affacciarsi in strada, entrò Mrs Ward. Rivolse loro un gran sorriso.

«Buongiorno, Mrs Browne».

«Buongiorno, Mrs Ward».

«Salve, Cathy».

«Salve, Mrs Ward».

«Ehi… salve anche a te, piccolo Trevor!»

«’Fanculo» rispose lui tutto sorridente, e detto questo se ne andarono.

Quel giorno avrebbero scelto il tappeto nuovo. Agnes imboccò James Larkin Street in direzione del centro. Dopo averne percorso circa un terzo, notò dei muratori che lavo­ravano alla facciata di un negozio, di fronte a Foley.

«Che succede lì?» chiese a Cathy.

«È una nuova tavola calda».

«Un fish’n chips? Ma c’è già Macari! Che ce ne facciamo di un altro?»

«No, non è un posto come quello, mamma! Vende piz­ze».

«E che sono?»

«Non lo so, ma Cathy Dowdall dice che sono buonis­sime».

«È roba straniera?»

«Mi sa».

«Be’, i Browne non mangiano niente di straniero, perciò possono anche tenersele!»

Ora erano arrivati all’altezza del nuovo locale, e Agnes diede un’occhiata dentro. Fu il tappeto che la indusse a fer­marsi. Tanto per cominciare, non ne aveva mai visti in una tavola calda, e poi era proprio il genere di tappeto che ave­va in mente di comprare. Si accostò alla vetrina per esami­narlo a dovere. Dal negozio uscì un uomo abbronzato, di bell’aspetto e molto affascinante. Osservò Agnes, il viso schiacciato contro il vetro, che tentava di schermarsi dal ri­flesso con la mano. Era appena arrivato dalla Francia per aiutare suo padre ad aprire una pizzeria, e quella era la pri­ma volta che attaccava bottone con un’irlandese.

«Non siamò ancorra aperrtì, madam» tentò.

Agnes si voltò e lo fissò. Era davvero un bell’uomo.

«Come, scusi?»

«Dico… le local non hè aperrtò!»

«Il locale non è aperto, è questo che sta cercando di dire?»

«Sì… prroprrio così!»

«E a me che me ne fotte?»

«Sì, esattò, haprriamò stanotte».

«No, ho detto, fotte… fo… ah, non fa niente! Senta, do­ve ha preso quel tappeto?»

«Spiascente, parrla troppo in fretta».

«Troppo in fretta? Bene. Dove… ha… presò… quel… tappeto…» Agnes lo indicò: «ehm… tappetò?» Adesso ave­va piegato un ginocchio e batteva la mano sul selciato. So­praggiunse un altro uomo, ed entrambi la guardarono co­me se fosse matta. Lei riprovò, stavolta rivolgendosi all’ul­timo arrivato. «Scusì… il tappetò… in quale negoziò l’ave­te preso… ò?»

Il tizio aggrottò la fronte, si voltò verso la porta e urlò: «Ehi, ragazzi! Venite a vedere questa! È sciroccata».

«Ma lei parla la mia lingua!» esclamò Agnes.

«Vengo da Sheriff Street, tesoro, lì la mastichiamo un po’ tutti».

«Be’, lui no». Gli indicò lo straniero.

«Ah, certo, perché è francese, ma è un tipo a posto. Co­munque il tappeto l’hanno comprato da McHugh in Capel Street».

«Ah, grazie. È bello, vero?»

«Sì, proprio bello».

«Grazie ancora, arrivederci». Prese il passeggino e si ri­mise in marcia. Ma il francese la afferrò per il braccio e la bloccò.

«Piascerre! Mi chiamò Pierre» sorrise.

«Eh, che meraviglia. Sono contenta per te». Fece per an­darsene, ma lui la trattenne. Agnes abbassò lo sguardo sul­la mano dell’uomo e notò che non portava la fede. Alla fi­ne il francese la liberò dalla stretta.

«E lei come si chiamà, madam?»

«Agnes. Agnes Browne».

«Tu è molto beela, Agnes Browne».

Lei arrossì e lo spinse via. «Attento a come parli, pezzo di… di… francese!»

Fuggì a precipizio verso il centro. Un istante prima di gi­rare l’angolo si voltò: era rimasto dove l’aveva lasciato e la osservava, una mano in tasca, l’altra sollevata per salutarla. Agnes buttò indietro la testa, indignata, e tirò dritto.

«È carino, mamma!» disse Cathy.

La donna fece una risatina imbarazzata, e confermò: «Sì, è carino».

Comprare il tappeto fu una passeggiata. Quando entra­rono da McHugh sapevano già cosa volevano. Ci misero in tutto cinque minuti. Cathy era un po’ delusa, ma non disse nulla, perché vedeva che sua madre era raggiante.