22.

Mark bussò. Faceva freddo, si gelava. Malgrado avesse chiu­so il più possibile i lembi del cappuccio e fatto fare alla sciarpa svariate volte il giro del collo, l’aria penetrava lo stesso. Bussò di nuovo. Udì dei movimenti dall’altra parte, poi uno scatto e l’uscio che si socchiudeva. Mr Wise sbirciò fuori e subito spalancò la porta.

«Mark! Vieni dentro prima di congelarti».

Il ragazzo entrò, e Mr Wise chiuse subito la porta per non fare entrare il freddo. Andarono in salotto, dove c’era il camino acceso.

«Togliti il cappotto, figliolo».

«Ah, non c’è problema, Mr Wise, sono passato solo un momento».

«Toglitelo lo stesso, altrimenti sarà come non averlo ad­dosso quando uscirai».

Mark se lo tolse.

«Allora, qual buon vento ti porta dalle mie parti duran­te le vacanze?» Mr Wise si sedette sulla poltrona, Mark su una sedia.

«Mr Wise… lei conosce un sacco di gente importante, vero?»

«Vero. Alcuni che lo sono davvero, altri che credono di esserlo».

«Già… be’… vorrei comprare un biglietto per il concer­to di Cliff Richard a mia madre, e mi chiedevo se lei cono­sce qualcuno che può rimediarmene uno».

«Chi è Cliff Richard?»

«Non sa chi è Cliff ? Lei dev’essere l’unica persona in Ir­landa a non saperlo. È un cantante».

«Oh! Be’, i nomi non sono il mio forte. Dunque, fammi

pensare! Chi conosco?» Chiuse gli occhi e appoggiò la tempia al pollice e al medio. Dopo qualche istante ritrasse la mano e si strinse nelle spalle. «No! Non mi viene in mente nessuno, Mark, mi dispiace». Pareva dispiaciuto sul serio.

«Non c’è problema. Pensavo che poteva essere una buo­na idea, tutto qui».

Mark fece per rimettersi il cappotto. Mr Wise si alzò e puntò un dito in aria.

«Però ho un’idea».

«Quale?»

«Perché non ti fai fare un autografo per tua madre?»

«Un’auto-frego? E cos’è?»

«Se vai al teatro con un taccuino, magari durante il gior­no, lui ti ci metterà una firma. E se gli spieghi la situazio­ne, potrebbe perfino scrivere due o tre righe per tua ma­dre».

«Lo farebbe davvero?»

«Val la pena di tentare, no?»

Mark sorrise. «Sì, altroché, Mr Wise. Grazie tante».

Si abbottonò il cappotto e Mr Wise lo accompagnò alla porta. Ma prima di andarsene Mark tirò fuori dalla tasca un pacco regalo e glielo consegnò.

«Senta, lo so che non ci crede, ma… ecco, buon Natale comunque».

Il vecchio prese il regalo e gli strinse la mano. «Un felice Natale anche a te, figliolo, grazie».

Mark uscì e la porta si chiuse alle sue spalle. Da lì al Ca­pitol erano solo quindici minuti a piedi. Camminò di gran carriera per scaldarsi. Era felice di aver dato il dopobarba a Mr Wise: sua madre non lo aveva mai usato, nemmeno una volta! Da Eason comprò un taccuino, poi, a passo svelto, colmò il breve tratto di strada che lo separava dalla bigliet­teria del teatro. C’era la stessa ragazza che aveva accolto Agnes dieci giorni prima. La testa di Mark spuntava a ma­lapena dal bancone.

«Ehi, signorina!» chiamò.

La ragazza, assorta nella lettura di una rivista, alzò gli oc­chi. «Che vuoi?»

«Dì a Cliff Richard che gli voglio parlare».

«Come? Col cavolo che glielo dico!»

«Perché no?»

«Non è che molla tutto ed esce a parlare con uno stron­zetto come te!»

«Bene, d’accordo. Allora qual è la sua porta? Andrò io da lui».

«Va’ a farti fottere da qualche altra parte. Avanti, smam­ma!»

«Ehi, voglio solo il suo auto-frego su questo». Mark spinse il taccuino verso di lei. La ragazza era tornata alla ri­vista e lo ignorò. Lui insistette.

«Ehi! Dai, digli che è per mia madre, si chiama Agnes. Chiedigli di scriverle un messaggio».

Lei si sporse in avanti e chiamò: «ARTHUR! Arthur, vieni un po’ qui!» Le doppie porte del teatro si aprirono, e un grassone in divisa militare venne fuori a passo di marcia.

«Che succede, Gillian?» chiese con voce cavernosa.

«Questo stronzetto… non vuole andarsene, mi sta dan­do il tormento».

Mark alzò la testa e sorrise all’usciere. «Salve! Dovrei far mettere una firma a Cliff Richard su questo». Porse il tac­cuino all’uomo, e quello lo agguantò, lo spezzò e lo buttò nel cestino dell’ingresso. Dopodiché, secondo la gloriosa tradizione dei buttafuori, disse: «Okay, figliolo! Adesso vaf­fanculo! Aria!»

Sbigottito, Mark fissò la pattumiera. L’usciere gli si avvi­cinò per spingerlo fuori, ma lui lo affrontò.

L’omone, in piedi a gambe divaricate e con le mani ap­poggiate sui fianchi, vide la rabbia sul suo volto e sorrise. «Senti, figliolo, non mi scocciare. E adesso smamma!»

Il piede di Mark si mosse più in fretta di quanto l’uscie­re si aspettasse, e colpì un punto delicato in mezzo alle gambe.

«Ahh… bastardo!» urlò l’omone, paonazzo. Mark corse verso l’uscita, e incontrò il primo problema. Come molti teatri, il Capitol aveva sei porte di vetro, e durante le ore d’ufficio ne rimaneva aperta solo una, ma Mark non ricor­dava da quale era entrato. Puntò verso quella all’estrema si­nistra. Sbagliato! Passò alla successiva. Chiusa! Quella dopo era la via verso la libertà, ma l’usciere lo precedette.

«Bene, signor bulletto dei miei coglioni, provaci an­cora».

Mark aveva incontrato il secondo problema.

Nel tempo impiegato da Mark per tornare a casa, il suo occhio sinistro si era chiuso quasi del tutto, e aveva comin­ciato a cambiare colore: dal porpora era passato al nero. Quello era stato il primo colpo, poi Mark era caduto sul freddo pavimento di mattonelle. Le scintillanti scarpe di cuoio nero dell’usciere gli avevano coperto di lividi la schie­na e il petto. Mark aveva zoppicato fino all’appartamento. Agnes lanciò un urlo vedendolo in quello stato.

«Che ti è successo?» Corse da lui.

«Una scazzottata… niente di che».

«Hai male?»

«No, sto bene» mentì.

Dermot balzò in piedi dalla sedia davanti alla tivù. «Ge­sù, che spettacolo. Chi ha vinto?»

«È finita pari».

«Chi è stato, Marko? Mallet Maguire?» Dermot certe co­se le sapeva.

«No, un tizio di Pearse Street».

Agnes si voltò di scatto verso di lui. «Sta’ lontano da Pearse Street. Lì usano i coltelli, mi hai sentito?»

«Sì, mamma, ti ho sentito».

Andò in camera e si sdraiò. Dermot lo seguì e si sedette sulla sponda del letto. Guardò il fratello e sorrise. «Allora, Marko, com’è andata? Chi te l’ha data, ’sta lezione?»

Mark gli raccontò tutto.