17.

Al funerale, che ebbe luogo al Mount Sinai, il cimitero ebraico nella zona sud di Dublino, presenziò parecchia gente. Purtroppo, solo un uomo pianse al funerale. Mark Browne fu consolato da quella che era sua moglie da soli dieci giorni. Anche l’unico figlio di Benjamin, Manny, era presente, ma non versò neppure una lacrima. Quando la ce­rimonia di sepoltura fu terminata, Mark si avvicinò a Manny Wise e gli porse la mano. Una mano che era come un pesce morto.

«Condoglianze» disse Mark – anche se in effetti i ruoli sarebbero dovuti essere invertiti.

«Già! Eh, sicuro... Mark, vero?»

«Sì, Mark Browne. Sono il direttore generale dell’azienda di suo padre... be’, suppongo sia sua, adesso».

Iniziarono ad avviarsi verso le auto.

«Il mobilificio? Già, giusto» disse Manny. «Quanto pensi che valga, Mark?»

La domanda sorprese Mark. «In che senso?»

«Nel senso, quanto ci guadagnerei se la vendessi?»

«Non è quel genere di fabbrica, Mr Wise. La fabbrica di suo padre ha ben pochi attivi. Il suo valore reale sta in ciò che produce. E può produrre mobili di qualità ra­gionevole al giusto prezzo per molto tempo ancora. Non rimarrà deluso dai libri contabili. Perché non viene a dare un’occhiata? Li esamineremo insieme» propose Mark.

«No! Non sono nel ramo dei mobili, Mark. Intendo chiudere tutto e vendere i locali. A meno che tu non voglia comprarla».

«Non ho abbastanza soldi, Mr Wise». Mark cominciava a preoccuparsi per il futuro dei quarantadue uomini impie­gati presso la Senga Furnishings.

I due furono raggiunti da un uomo molto più vecchio. Mark pensò di aver già visto quella faccia, ma non riuscì a met­terla a fuoco. Manny Wise, invece, non aveva proprio idea di chi fosse. L’uomo strinse la mano di Manny, gli porse le con­doglianze e si presentò: «Sono David Jacobson, Mr Wise. Ero il legale di suo padre».

Mark si ricordò di lui. Allungò la mano. «Salve, Mr Ja­cobson».

«Salve, Mark, piacere di rivederti, figliolo».

Il vecchio spostò la sua attenzione di nuovo su Manny Wise. «Da quel che so, lei risiede all’estero, Mr Wise, per­ciò converrà affrettarsi per quanto riguarda il testamento di suo padre» suggerì.

«Un testamento?» Manny era perplesso.

«Oh sì. Mr Wise senior ha lasciato un testamento e, come suo solito, tutto è corretto e preciso. Suggerirei di leg­gerlo nelle prime ore della giornata di domani, diciamo alle dieci e trenta del mattino. Andrebbe bene a tutt’e due?» Spostò lo sguardo dall’uno all’altro uomo.

«Tutt’e due?» chiese Mark.

«Sì, Mr Browne. Mr Wise ha lasciato chiare istruzioni affinché lei fosse presente all’apertura».

«E su di me?» chiese Manny. «Ha lasciato istruzioni su di me?»

«Oh, penso fosse certo che lei sarebbe venuto». Mr Jacob­son lanciò quella stoccata senza batter ciglio.

Il funerale non fu come i tradizionali funerali irlandesi con cui i Browne avevano dimestichezza. Rimasero nei paraggi, in attesa di capire in quale pub la folla si sarebbe ag­giornata, ma videro che tutti si disperdevano nelle macchine.

«Non è questo il modo di porgergli l’ultimo omaggio!» esclamò Dermot.

«Hanno usanze diverse» spiegò Sean McHugh, il fiato che gli usciva dalla bocca come nebbia.

«Be’, ’fanculo alle usanze diverse. Salutiamolo a modo nostro» insistette Dermot.

Ci furono cenni di assenso da parte di tutti, e la famiglia Browne, insieme al personale al completo della Senga Furnishings, si fece strada nel centro della città, diretta al pub di Foley, e si diede all’alcol. Col passare del pomeriggio, molti raccontarono le storie delle buone azioni compiute da Mr Wise. Sean McHugh ebbe addosso gli occhi di tutti per un’abbondante mezz’ora quando riferì del dolore che il giovane Manny aveva dato al padre nel corso degli anni. La sua affer­mazione fu accolta da sberleffi e da commenti quali «moccioso scapestrato» da parte dei membri più anziani dello staff e «vi­scido bastardo» da parte dei più giovani. Più bevevano, più l’atmosfera si rilassava, e così iniziarono le ballate. Durante il quarto verso dell’interpretazione di Sean McHugh di James Connolly, Mark scivolò via da Foley. Si mise la sciarpa, si alzò il colletto e, con le mani infilate in tasca, iniziò a gironzolare nel quartiere in cui era nato. Si ritrovò subito fuori dal depo­sito della torba. Sul lato opposto c’era il piccolo cottage in cui quel vecchio tanto gentile aveva passato la vita. Per un istante, Mark vide Mr Wise incorniciato dalla porta del cottage. Ri­vedeva il vecchio con sei maglioni addosso e, nel palmo della mano allungata, la ricompensa di due scellini che ogni sabato dava al giovane Mark per avergli acceso il camino.

«Gesù Cristo, Mr Wise, dov’è la cioccolata, ora che ne ho bisogno?» disse Mark ad alta voce, e scoppiò a piangere.

Rimase seduto sul muretto del deposito della torba per più di un’ora, adesso richiamando alla memoria i ricordi fe­lici dell’uomo che, in più di un senso, gli aveva fatto da pa­dre. Poi tornò da Foley, dove fece in modo di sbronzarsi del tutto. Arrivò a casa, nel suo nuovo appartamento sulla North Circular Road, alle prime ore del mattino. Andò a letto tutto vestito e, mentre la giovane moglie gli cullava la testa come si fa con un bambino, singhiozzò fino ad addormentarsi.

Si svegliò al crepitare delle uova e del bacon che frigge­vano in cucina. Il profumo era meraviglioso, e si sentì bene finché non si mosse. Il dolore alla schiena e giù per la spina dorsale era lancinante. Gemette.

«Sei sveglio?» chiese Betty dalla porta della camera da letto.

«Che cosa mi è venuto addosso?» domandò Mark con voce fievole.

«La vita» si limitò a dire Betty.

«È tardi?»

«Sì, credo di sì, per te. Sono le dieci meno dieci. Ma è tutto a posto, perché ieri sera, da Foley, hai dato al perso­nale il resto della settimana libera, e a salario intero!»

«Davvero?»

«Già!» Betty gli sorrise.

Mark si ridistese con cautela e si mise le mani sugli oc­chi. «Be’, se lo meritano. Avranno molto di più che il resto della settimana libera se Manny Wise riesce a cavarsela». D’un tratto si drizzò a sedere.

«Manny Wise!» sbottò. «Cristo, che ora hai detto che è?»

«Dieci alle dieci» rispose Betty.

Mark saltò giù dal letto, dimenticando il dolore. «Il te­stamento! Santiddio! Jacobson darà lettura del testamento stamattina alla dieci e mezza. Dov’è l’ufficio di Jacobson?»

«Testamento? Ufficio? Calma, Mark, di cosa stai par­lando?» Betty era confusa.

Mark chiuse gli occhi per un momento e mise in ordine i pensieri. «A quanto pare, Mr Wise ha lasciato un testa­mento al suo vecchio legale, David Jacobson. Verrà letto stamattina alle dieci e mezza, e Mr Wise ha dato istruzioni che io fossi lì per la lettura. Cristo, dov’è il mio completo marrone?»

Betty andò all’armadio, prese un completo marrone, si chinò, raccolse un paio di scarpe marroni scamosciate, poi si avvicinò a un comò e tirò fuori una camicia bianca pulita e una cravatta.

«Non andrai da nessuna parte, Mark Browne, finché non avrai bevuto una tazza di tè. Adesso vestiti, e io metto su il bollitore. Nel frattempo, sfoglierò l’elenco telefonico per trovare l’indirizzo di questo David Jacobson».

Poco dopo Mark saltellava per la stanza su un piede solo, cercando di infilare l’altro nella gamba dei pantaloni.

Manny Wise era già seduto nella sala d’aspetto dello stu­dio di David Jacobson quando Mark arrivò.

«Buon giorno, Mr Wise» disse Mark.

«Ehi! Buon giorno, figliolo» rispose Manny Wise.

La superefficiente Thelma, la segretaria di Mr Jacobson, squadrò Mark. «Mr Browne, suppongo».

«Eh... sì. Giusto. Mark Browne».

La donna alzò la cornetta del telefono, premette un pul­sante e annunciò: «Ci sono tutt’e due, adesso, Mr Jacobson».

Si alzò in piedi. «Prego, seguitemi».

David Jacobson aveva una ditta in grande stile. Il corri­doio era lungo, e sui due lati c’erano almeno sei uffici. Il co­gnome su tutte le porte tranne una era Jacobson. Quella di­versa portava il cognome di Maxwell. Maxwell doveva aver sposato una figlia di Jacobson, pensò Mark, mentre cam­minava dietro Manny Wise per il lungo corridoio. I due uomini vennero accompagnati in un’ampia sala riunioni in cui David Jacobson fece il suo ingresso insieme a loro, ma passando per un’altra porta.

«Buon giorno, signori. Prego, accomodatevi» li invitò Ja­cobson.

Quando tutt’e tre furono seduti, David Jacobson slegò un documento da cui estrasse una busta gialla sigillata. La mise a faccia in giù sul tavolo, poi la passò ai due uomini e chiese loro di verificare che il sigillo non fosse stato rotto. Mark annuì e la passò a Manny Wise.

«Sì, sì, sì! Diamoci una mossa, amico, devo prendere un aereo» accondiscese Manny, spingendo di nuovo la busta verso Mr Jacobson.

Il legale aprì la busta, tirandone fuori un solo foglio di carta, e lesse le seguenti parole:

 

Io, Benjamin Wise, residente al numero 2 dei Cornell Cottages nel centro di Dublino, nel pieno delle mie facoltà mentali, lascio questo come testamento definitivo.

Credo ci siano tre o almeno due persone sedute ad ascoltare il mio notaio, David Jacobson, che legge questo testamento. Sean McHugh può non far parte del gruppo, ma non im­porta, perché so che le mie parole gli verranno riportate con fedeltà da David Jacobson. So che c’è Mark Browne, perché ho lasciato precise disposizioni in tal senso e lui non ha mai mancato di obbedire alle mie disposizioni. Per questo ti ringrazio, Mark, e ti ringrazio anche per il ri­guardo, la gentilezza e l’affetto che mi hai sempre dimo­strato. Voglio che tu sappia che sono stati il tuo coraggio, la tua onestà e la tua tenacia a tenermi in vita finché ho vissuto. Spero di mancarti, adesso, perché di sicuro tu mi mancheresti se io fossi al posto tuo, ma ti chiedo di pen­sare ai momenti felici che abbiamo passato insieme, e sappi che sono stati i più belli della mia vita. Grazie, Mark.

Manny, piccolo bastardo! Voglio che tu ascolti con atten­zione il mio testamento.

Cominciamo. Al mio primo impiegato e al più vecchio amico che abbia avuto su questa terra, Sean McHugh, la­scio la mia casa, libera da ipoteche o debiti. Non è adatta a viverci, ma spero che la venderà e che i proventi di que­sta vendita renderanno i suoi ultimi anni sereni quanto la sua amicizia ha reso sereni i miei.

Le mie uniche proprietà sono l’immobile e l’attività della Senga Soft Furnishings, in precedenza Wise & Co., e il negozio di vendita al dettaglio di Capel Street noto come Wise & Co. Mobili su Misura. La piena pro­prietà di questi immobili, nonché della ditta – anche se mi imbarazza dire una cosa del genere, perché la ditta non è mai stata davvero mia, ma dell’uomo che l’ha in­ventata – ebbene, lascio tutto questo a Mark Browne. La sola richiesta che gli faccio è di avere un occhio di riguardo per il personale, come io gli ho insegnato a fare.

A mio figlio, Manny, lascio tutto quanto ha sempre desi­derato – il suo ego. Spero che voi due siate molto felici in­sieme.

Firmato: Benjamin Wise.

 

Mr Jacobson ripiegò con calma il foglio e alzò gli occhi. «Allora, ecco tutto, signori» annunciò.

Mark non sapeva né cosa fare né cosa dire, perciò si limitò a rimanere seduto davanti all’enorme tavolo da riunione, guardando le mani giunte davanti a sé. All’improvviso, Manny Wise scoppiò a ridere. Mark trasalì per lo spavento, e Mr Jacobson si accigliò.

«Lo trova divertente, Mr Wise?» chiese Jacobson. Non era decoroso ridere nello studio di un notaio durante la let­tura di un testamento.

Manny Wise prese una sigaretta dal pacchetto, la accese, espirò e tamburellò con le dita sul tavolo. «Sì, Mr Jacobson, lo trovo divertente. Mi dica, quando è stato redatto questo testamento?»

«Due anni fa, nel 1973» rispose Mr Jacobson alquanto solenne.

Manny Wise scoppiò di nuovo a ridere. «Allora non vale un cazzo, Mr Jacobson».

Mr Jacobson si indignò. «Come osa, Mr Wise! Le assi­curo che questo testamento è del tutto legale e che fu re­datto col massimo dell’onestà da me, e sottoscritto come te­stimone dalla mia segretaria Thelma, non è così?» Si girò verso Thelma, che annuì, lanciando al tempo stesso un’oc­chiataccia a Mr Wise.

Manny si alzò in piedi. «Mio padre non può lasciare ad altri qualcosa che non possiede» Manny pronunciò queste parole con grande circospezione.

Jacobson adesso era confuso. «Può essere più preciso, Mr Wise? Che cosa sta dicendo?»

«Sto dicendo che a Londra ho un documento datato, an­tecedente a questo testamento, in cui mio padre ha lasciato tutto a me, per amore e affetto naturale».

«Non ci credo!»

«Ci creda, Mr Jacobson, ci creda!»

«Mi rifiuto di crederci. Mr Wise mi ha messo al cor­rente del rapporto che aveva con lei. Non avrebbe mai vo­luto coinvolgerla nei suoi affari».

«Ho il documento, Mr Jacobson». Adesso Manny sog­ghignava.

David Jacobson rimase seduto per un paio di minuti, riacquistando il controllo di se stesso. Quello sfogo era in­solito per lui, e adesso era tornato al suo atteggiamento calmo, freddo, da legale.

«Bene, Mr Wise, le do tempo fino a venerdì alle tre per presentare il suddetto documento qui, in questo ufficio. Se riusciremo a identificare la firma di suo padre, allora le sug­gerirò diversi studi legali cui potrà rivolgersi per impugnare il testamento. In ogni caso, se per le tre di venerdì il pre­sunto documento non sarà presentato, darò esecuzione al testamento il più in fretta possibile».

Manny Wise scoppiò di nuovo a ridere e si diresse verso la porta.

Jacobson gli gridò dietro: «È tutto chiaro, Mr Wise?»

Manny si mise in testa il suo cappello di feltro e, mentre apriva la porta della sala riunioni, si guardò dietro, sopra la spalla. «Ci vediamo venerdì, Mr Jacobson».

Mark fissò la porta chiusa per qualche momento, poi, voltandosi verso Mr Jacobson, chiese: «Allora, che facciamo adesso?»

Jacobson raccolse i suoi documenti e li reinfilò nella car­tellina. «Conoscevo Benjamin Wise da molti, molti anni. Non c’è alcuna possibilità che abbia di sua volontà firmato un documento lasciando qualsiasi cosa, figuriamoci tutte le sue proprietà, al figlio Manny». Si interruppe per un mo­mento, poi proseguì: «Comunque, ciò non esclude la pos­sibilità che Manny abbia una dichiarazione scritta che possa confutare questo testamento».

Il viso del legale si addolcì, e sorrise a Mark. «Senti, fi­gliolo, lo sapremo alle tre di venerdì prossimo. Nel frat­tempo, possiamo solo aspettare».