24.

Si dice che in ognuno di noi ci sia un bambino. O forse ac­cade che per brevi periodi, nella nostra vita adulta, tor­niamo all’infanzia? Per esempio, è il bambino che c’è den­tro di noi a organizzare le feste a sorpresa? È il bambino na­scosto in noi a farci sentire così eccitati quando porgiamo i doni di Natale ai familiari e agli amici? Qualsiasi origine possa avere questo fenomeno, fu un’eccitazione infantile a riempire il cuore di Dermot Browne mentre progettava la sorpresa che aveva in serbo per Bomba Brady. Tutto co­minciò una mattina, quando sullo zerbino di Dermot, al­l’ingresso della sua casa di Manchester, si materializzò una lettera di Bomba.

 

Appartamento 2c

The Villas

Cabra

Dublin 7

 

16 febbraio 1992

 

Caro Dermo,

 

ho ricevuto la tua del 27 c.m. Gli affari vanno bene. Con la pri­mavera dietro l’angolo mi aspetto di essere più impegnato che mai, ora ho in appalto sette grandi giardini da curare e sta co­minciando a entrare un po’ di grana. Non ci crederai, ma uno dei contratti che ho stipulato di recente riguarda i terreni attorno alla stazione di polizia di Finglas. Da ridere come il tempo cam­bia le cose, vero?

 

Ho appena finito di leggere Chestnut Hole, è formidabile! Ho ri­conosciuto così tanti posti e storie che è stato come un tuffo nei ricordi. Sai, Dermot, quelle notti passate a dormire a Chestnut Hole, quando tu mi raccontavi storie fino a farmi addormentare, erano magnifiche, non le cambierei nemmeno per un milione di sterline.

 

A proposito di un sacco di soldi, ecco la mia prossima novità. C’è una casa in vendita a Kilbride (vedi il ritaglio di giornale al­legato). È una casa molto grande con cinque camere da letto, su circa sei acri di terra. Non temere, non sto pensando di com­prarla, il lavoro di giardiniere non è così redditizio. Ma ai mar­gini del terreno c’è la residenza del custode. Non è grande ma ha due camere da letto ed è stata ristrutturata di recente. Sono an­dato dall’agente immobiliare per vedere se fosse possibile acqui­starla separatamente dalla grande casa. Lui dice che non pensa sia possibile con l’attuale proprietario, ma ritiene che un nuovo proprietario potrebbe essere allettato dall’idea, perché alleggeri­rebbe un po’ l’investimento finanziario sulla casa. Be’, aspetta e vedrai, ti scriverò non appena avrò altre notizie.

 

Tuo fratello Mark mi è stato di grande aiuto, quattro dei miei clienti me li ha presentati lui. Mi ha anche aiutato a tenere i li­bri contabili e sa il Cielo quanto ne avevo bisogno. Preferirei cu­rare dieci giardini piuttosto che tenere un solo libro contabile.

 

Spero che questa lettera ti trovi – come ha lasciato me – in buona salute.

 

Tuo amico per sempre,

Bomba Brady.

 

Dermot lesse con attenzione il ritaglio di giornale. Chiamò subito l’agenzia immobiliare a Dublino per avere maggiori dettagli. Non sapeva nemmeno dove si trovasse Kilbride. L’agente gli fornì informazioni decisamente sod­disfacenti. Kilbride si trovava a metà strada tra Finglas e Ratoath. Era una bella zona, con una buona scuola nei pa­raggi. La richiesta economica per l’edificio principale, i cin­que acri e tre quarti di terra e la residenza del custode era di centotrentaduemila sterline. La costruzione risaliva al 1896. Poco era stato modificato durante i successivi ottan­taquattro anni, finché nel 1980 un gentiluomo tedesco, tale Helmut Schtoll, aveva rilevato l’intera proprietà. Aveva completamente sventrato sia l’edificio principale che la dé­pendance e, nel giro di due anni, li aveva riarredati. A Herr Schtoll quell’esperienza era talmente piaciuta che adesso aveva deciso di comprare un’altra proprietà, stavolta nell’ovest dell’Irlanda, e di ricalcare la stessa procedura. Ecco perché la casa di Kilbride era stata messa in vendita.

Senza perdere tempo, Dermot scrisse all’agenzia immobi­liare facendo un’offerta di centoventottomila sterline. Ben presto arrivò la risposta dell’agenzia, con un prezzo arroton­dato, come Dermot si aspettava, a centotrentamila sterline. Nella sua lettera, l’agente menzionava un certo Mr Brady. Mr Brady, spiegava, era scapolo e faceva il giardiniere. L’im­mobiliarista lasciava anche intendere che Mr Brady era “for­temente interessato” ad acquistare la sola residenza del cu­stode e che Dermot poteva prendere in considerazione un’offerta da parte di Mr Brady che si aggirava sulle ventot­tomila sterline. Ciò significava che Mr Browne avrebbe pa­gato per la grande casa padronale e per i terreni solo cento-duemila sterline. La successiva mossa di Dermot fu l’accet­tazione del nuovo prezzo di acquisto. Rispondendo all’agente, lo incaricò tuttavia di fare a Mr Brady la seguente controproposta: il nuovo proprietario gli offriva un con­tratto di affitto della durata di novantanove anni per la resi­denza del custode. Come canone di affitto, Mr Browne ri­chiedeva cento sterline al mese più l’impegno di Mr Brady a occuparsi della manutenzione dei cinque acri e tre quarti di giardino che circondavano la casa padronale. Dermot volle anche che nei suoi accordi con Mr Brady l’agenzia si riferisse a Mr Browne come al “cliente”, senza nominarlo. A una vera e propria presentazione, aggiunse Dermot, avrebbe pensato quando avesse preso possesso della casa.

L’offerta di Dermot venne accettata, anche se l’agenzia gli fece presente che c’erano in zona altri giardinieri molto effi­cienti, i quali sarebbero stati felicissimi di pagare un affitto un po’ più alto di quello richiesto a Mr Brady. Nell’ultima lettera all’agente, Dermot lo ringraziò per la sua mediazione e i suoi consigli, precisando che comunque era soddisfattis­simo di concludere l’intesa con Mr Brady. Da quel mo­mento in poi il contratto fu lasciato nelle mani dei notai e Dermot aspettò con ansia la successiva lettera di Bomba, che puntualmente arrivò due giorni dopo la firma del contratto.

 

Appartamento 2c

The Villas

Cabra

Dublin 7

 

25 aprile 1992

 

Caro Dermo,

 

ottime notizie. Ti ricordi la residenza del custode di cui ti ho par­lato, quella che stavo inseguendo? Be’, è mia! E senti questa! Ho firmato un contratto di locazione di novantanove anni, devo pa­gare solo cento sterline al mese e curare il giardino per il nuovo proprietario. È stato difficile trovare un accordo, ore e ore di trat­tative con il nuovo proprietario, una noce dura da spaccare. Ma io ho puntato i piedi e alla fine l’ho spuntata. Magnifico, vero?

 

Mi trasferisco nella residenza del custode tra una settimana, e il nuovo proprietario traslocherà anche lui dopo altre due setti­mane. La mia casa ha due camere da letto, perciò quando verrai a trovarmi con Cormac potrai alloggiare da me. Sono così emo­zionato che ogni volta che ci penso a momenti mi piscio ad­dosso. Ah, ah, ah! Quindi dalla prossima settimana il mio nuovo indirizzo sarà “Chestnut Hole”, The Lodge, Manor House, Kil­bride, Co. Dublin.

 

Ti piace il nome? Al Garden Centre l’ho fatto scrivere su una targa e la prima cosa che farò subito dopo il trasloco sarà attac­carla alla porta. Ti manderò qualche foto appena mi sarò siste­mato.

 

Dermot, avrei un sacco di altre cose da raccontarti, ma preferi­sco aspettare che tu venga a trovarmi, in modo da poterti parlare faccia a faccia, capisci cosa intendo? Nel frattempo,

 

spero che questa lettera ti trovi – come ha lasciato me – in buona salute.

 

Tuo amico per sempre,

Bomba Brady

(Giardiniere e Proprietario immobiliare).

 

Dermot rise fino alle lacrime quando lesse l’accenno alle “trattative difficili”. Quel particolare non fece altro che ren­dere ancora più dolce la sorpresa che stava per far cadere ad­dosso a Bomba.

Alla fine di quella settimana i mobili di Dermot, i gio­cattoli di Cormac e la maggior parte del loro vestiario fu­rono imballati, caricati su un camion per traslochi, stivati su una nave e spediti alla nuova casa di Kilbride, in Irlanda. Durante la settimana prima della partenza, mentre riordi­nava le ultime cose rimaste in sospeso riguardo al lavoro, Dermot si era trasferito dall’appartamento in affitto a casa di Trevor e Maria. Il mercoledì di quella settimana, Maria e Trevor diedero un grande ricevimento in modo che tutte le persone che avevano conosciuto Dermot avessero l’oppor­tunità di salutarlo.

Dermot e Trevor si somigliavano molto. Ma mentre cia­scuno dei due se ne andava in giro tra gli ospiti, risultò evi­dente una delle caratteristiche che li differenziavano. Se Dermot diceva a tutti quanto lo galvanizzasse la prospettiva di tornare in Irlanda e quanto fosse bella la nuova casa, de­scrivendo dettagliatamente il meraviglioso giardino che la circondava, Trevor, invece, illustrava i vantaggi fiscali di cui si gode vivendo in un’isola il cui governo considera i propri scrittori e artisti come patrimonio nazionale e li tratta di conseguenza. Comunque tutti passarono una bellissima se­rata, al termine della quale, congedati gli ospiti, Cormac e Maria si addormentarono, mentre i due fratelli si versarono da bere. Nella luminosa cucina della casa ormai silenziosa, Trevor alzò il bicchiere e disse: «Ai figli di Mrs Browne, che Dio li benedica tutti».

Per un lungo istante, Dermot fissò lo sguardo sul volto di Trevor. Quando ebbe la conferma che non si trattava di una stoccata cinica infertagli da Trevor, ma di una genuina cele­brazione degli alti e bassi della loro famiglia, sorrise al fra­tello e i loro bicchieri tintinnarono.

Lasciare il proprio paese da ex detenuto come aveva fatto Dermot e poi tornare da scrittore di successo o, per meglio dire, da uomo di successo in ogni campo, come adesso gli stava capitando, è fonte di grande soddisfazione. A meno che la capitale di quel paese non sia Dublino. La meravi­gliosa Dublino, con i suoi antichi palazzi e il suo retaggio artistico, in procinto di sbarcare nel suo secondo millennio di vita, aveva un modo tutto particolare di riportare la gente con i piedi per terra. Sceso dal traghetto al North Wall Quay e raggiunta la sbarra all’uscita del porto, Der­mot incocciò in un addetto alla sicurezza che reagì a scop­pio ritardato: «Lei è, ehm, Dermot Browne, giusto?» Com­piaciuto al pensiero che l’eco del suo successo letterario si fosse diffuso tra il popolo di Dublino, Dermot guardò prima il figlio con espressione orgogliosa, poi di nuovo l’ad­detto alla sicurezza, rispose: «Sì, in effetti sono io!» e sorrise.

Il sorriso gli si spense subito quando l’uomo replicò: «Ero certo di averti riconosciuto, sei uno dei gemelli di Agnes Browne, giusto?»

Dermot ingranò la marcia e filò via senza fiatare. Al Brian Ború pub di Phibsboro, Dermot e Cormac si ferma­rono per un caffè e un panino. Qui Dermot venne di nuovo riconosciuto, ma stavolta come fratello di Mark Browne. E anche durante il tragitto verso Kilbride, poco oltre Finglas, quando si fermò a un posto di blocco della polizia, gli agenti riconobbero Dermot: come amico di Bomba Brady.

«Bentornato a casa, Dermot» sibilò Dermot tra i denti mentre si allontanava dal posto di blocco. A Kilbride, un paesino, nessuno lo riconobbe, né come fratello, figlio o amico di qualcuno, né come scrittore. Lì, da alcuni gentili abitanti del posto, ricevette indicazioni su come raggiun­gere la sua nuova casa. Naturalmente, ogni spiegazione era preceduta da una breve chiacchierata, per cui era già metà mattina quando arrivarono all’ingresso della casa di Kil­bride. Il cancello era aperto, e Dermot passò con la mac­china sul fosso coperto dalla griglia di ferro che impediva il passaggio del bestiame e si arrestò poco oltre la residenza del custode. Dal camino del piccolo edificio si alzava un filo di fumo. Evidentemente dentro c’era qualcuno. Der­mot trasalì nel vedere una bambina che giocava nel giar­dino attiguo. Si chiese se i vecchi affittuari non avessero an­cora sloggiato, oppure se il trasloco rapido progettato da Bomba avesse subìto un rinvio. Decise di sistemarsi in casa prima di scoprire come stavano le cose e proseguì in dire­zione del sontuoso edificio centrale.

In una delle lettere che Dermot aveva ricevuto dall’agen­zia, la governante part time che lavorava nella casa da circa cinque anni, una certa Mrs Annette Dolan, gli era stata de­scritta come una grande lavoratrice. L’agente suggeriva a Dermot di prendere in considerazione l’idea di tenersela. Allegata a questa lettera c’era una raccomandazione di Herr Schtoll, che elencava i pregi di Mrs Dolan, e si concludeva con un consiglio analogo a quello dell’agente. Dermot sa­peva che avrebbe avuto comunque bisogno di una grossa mano in casa, perciò decise che di sicuro, almeno per il mo­mento, Mrs Dolan sarebbe rimasta. Fu una saggia deci­sione. Lui e Cormac non erano ancora scesi dalla macchina che già la porta principale si apriva davanti a una donna ro­tondetta, dall’aria vispa, con un grembiule immacolato.

«Salve, salve e benvenuti» squittì la donna, a braccia spa­lancate, e scese le scale saltellando come una ballerina clas­sica. Era molto agile per la sua età, che Dermot valutò in­torno ai cinquantacinque anni.

«Bene, eccoti qui, tu devi essere Cormac! Non vedevo l’ora di conoscerti» disse, protendendo la mano con un sorriso raggiante. Cormac ricambiò il sorriso e si produsse in una formale stretta di mano. Poi la donna si rivolse a Dermot.

«Céad míle fáilte, Mr Browne, e se non le spiace che glielo dica, è chiaro da chi ha preso il giovane Cormac». Arrossì lievemente, ondeggiando e ridendo.

Cormac ridacchiò a sua volta. Dermot intuì che Mrs Do­lan sarebbe rimasta con loro per un sacco di tempo.

«Go raibh maith agat, Mrs Dolan, e anche conoscere lei è davvero un piacere. Herr Schtoll l’ha raccomandata calda­mente e già capisco perché».

La donna si spolverò il grembiule e si aggiustò i capelli, dicendo al contempo: «Accidenti, Mr Browne. Mi pare di aver capito che con quel fascino che lei si ritrova dovrò te­nere gli occhi bene aperti». Poi scoppiò a ridere fragorosamente e stavolta Cormac non si limitò a un risolino ma rise a crepapelle.

Nel giro di un’ora la macchina era già bell’e svuotata e Dermot e Cormac, mano nella mano, avevano già ispezio­nato ogni centimetro quadrato della casa. Poi Cormac di­vorò una scodella di cereali e si fiondò nei campi per esplo­rare quella nuova terra di avventure. Dermot si era piazzato davanti alla grande finestra della cucina, guardava dall’alto la residenza del custode e sorseggiava una tazza di tè caldo mentre alle sue spalle, incollata alla solida cucina a gas, Mrs Dolan stava cucinando uova, bacon, salsicce e pudding. Lo sfrigolio del bacon e il meraviglioso profumo delle salsicce che friggevano erano talmente familiari che la mente di Dermot si riempì di immagini fluttuanti di sua madre. Si accese una sigaretta e tornò a osservare la residenza del cu­stode. Ancora una volta vide la bambina dai capelli biondo sabbia che saltellava avanti e indietro nel piccolo giardino annesso alla dépendance.

«Mrs Dolan, di chi è quella bambina?»

Mrs Dolan si precipitò alla finestra della cucina, asciu­gandosi le mani in un canovaccio. «Di quale bambina parla, Mr Browne?»

«Quella laggiù» disse Dermot, indicando la casa del cu­stode.

«Ah, ecco, quella sarebbe la figlia di Mr Brady!»

«La figlia di Mr Brady?» La domanda di Dermot risuonò con una nota di stupore.

«Be’, io non sono un tipo a cui piacciono le chiacchiere, ma...» (Mrs Dolan pronunciò la solita formula d’apertura dei pettegolezzi) «...in paese ci sono un paio di uomini che hanno bevuto una pinta con Mr Brady e gira voce che quella sia la figlia della sua ragazza. Non sono sposati». Mrs Dolan articolò quest’ultima frase sussurrando, con l’aria di chi volesse farsi il segno della croce. Dermot non riusciva a capacitarsi. Bomba con una fidanzata e una figlia? Perché non gliene aveva mai parlato nelle sue lettere? Proprio in quel momento vide una Ford Escort malconcia che si avvi­cinava alla casa del custode e Bomba Brady che ne scen­deva. Era molto più snello di come Dermot lo ricordava.

«Ecco, quello è Mr Brady» esclamò Mrs Dolan, ed en­trambi assistettero alla scena della bambina che, schizzando fuori dal giardino, si slanciava tra le braccia di Bomba. Mrs Dolan sorrise, Dermot si accigliò. Quando lo sguardo obli­quo di Mrs Dolan intercettò il cipiglio di Dermot, la donna fraintese la sua espressione. «Non è affatto pigro, sa, oh no, l’ho messo al lavoro sin dal primo giorno del trasloco. È stato lui a fare tutte quelle aiuole laggiù, da quel lato, guardi». Mrs Dolan indicò il lato ovest del giardino. Lo sguardo di Der­mot non si staccava da Bomba e dalla bambina.

«Allora vi siete già incontrati?» chiese Dermot.

«Certo che sì. Era solo sulla porta ed è venuto quassù a presentarsi. Un brav’uomo! Ruvido come il culo di un orso, ma per bene».

«Non gli ha detto chi fosse il nuovo proprietario, vero?»

«Assolutamente no! Herr Schtoll è stato perentorio in questo senso. Mi ha detto che lei ci teneva a riservarsi per­sonalmente le presentazioni, perciò non ho detto niente. Neanche una parola». E mentre lo diceva, Mrs Dolan si fece scorrere una chiusura lampo immaginaria sulle labbra.

«Bene» commentò Dermot. Si girò di nuovo verso la fi­nestra mentre Mrs Dolan tornava a cucinare. «Quante fette di bacon desidera, Mr Browne?» gli chiese.

«Meglio abbondare, stiamo per ricevere un ospite» ri­spose Dermot. Bomba stava percorrendo il vialetto con la bambina per mano. Dermot indietreggiò dalla finestra, ma continuò a seguire ogni passo di Bomba.

 

Fu quando Bomba entrò nel negozio di ferramenta di Kilbride per procurarsi un po’ di rete metallica a maglie strette che Elsie McGrath, la moglie del proprietario, si af­frettò a comunicargli le ultime notizie.

«Il suo uomo è arrivato» scandì, come se stesse annun­ciando il risultato delle elezioni.

«Come?» Bomba era confuso.

«Il suo uomo... il nuovo proprietario. È arrivato».

«È già qui? Sta scherzando. Pensavo che non sarebbe ve­nuto prima di domani».

«Be’, invece è arrivato oggi. Forse sta cercando di pren­derla alla sprovvista, Mr Brady».

Bomba radunò la merce, la caricò in macchina e schizzò verso casa. Di lì a pochi minuti accostò davanti a “Chestnut Hole”. Mentre stava scendendo dall’auto ebbe il primo in­dizio sull’identità del nuovo proprietario. Parcheggiata al­l’esterno della grande casa c’era una Rover 3000 di un bianco abbagliante. Aveva una targa gialla. Inglese. Bomba distolse l’attenzione dalla vettura solo quando si sentì chia­mare per nome.

«Bomba! Bomba, sei a casa!» gridò la bambina, correndo tra le sue braccia.

«Sì, amore, sono a casa» ridacchiò Bomba prendendola in braccio.

«Mamma sta preparando la cena, vieni dentro?»

«Entriamo tra un minuto». Mise giù la bambina. «Ma, prima di tutto, perché tu e io non andiamo su a presentarci al nuovo arrivato?» La prese per mano e insieme si avvia­rono lungo il viale d’accesso.

«È un tipo simpatico, Bomba?»

«Non lo so, amore, spero di sì. Spero anche che noti che razza di lavoro ho fatto con quelle aiuole!» Mentre si avvici­navano alla casa, Bomba esplorava ogni finestra, in cerca di qualche segno di vita. Invano. Quando giunsero in fondo al vialetto di ghiaia, invece di andare immediatamente alla porta, Bomba si fermò a esaminare la macchina. Sbirciò nei finestrini per scovare qualche segno rivelatore della psicolo­gia di quell’uomo. Per terra, dietro il sedile del guidatore c’erano una bottiglia mezza vuota di Coca-Cola e delle car­tine di caramelle. Davanti, sul sedile del passeggero spiccava un paio di occhiali da sole. Niente che potesse illuminarlo.

«Che macchinona, Bomba» osservò la bambina.

«Eh sì, amore, eccome. E va bene, bussiamo alla porta e vediamo chi ci apre».

 

Dermot tenne d’occhio Bomba mentre girava intorno alla macchina. Era dimagrito. Aveva un aspetto migliore. Vide Bomba alzare di nuovo gli occhi sulla casa e poi scom­parire sotto la tettoia dell’ingresso. Il campanello suonò.

«Vado io, Mr Browne». Mrs Dolan si asciugò le mani con lo stesso canovaccio.

«No, non ce n’è bisogno, Mrs Dolan, lei vada avanti col suo lavoro in cucina, ci penso io». Avviandosi verso l’anti­camera, Dermot si tastò il mento. Non si era rasato. Non sarebbe stata la prima volta che Bomba lo vedeva con la barba lunga, pensò sogghignando. Inspirò profondamente, girò la manopola della serratura e spalancò la porta. Per poco non sentì cadere la mandibola di Bomba Brady. I due uomini rimasero a fissarsi in silenzio per una manciata di secondi, che parvero un’ora.

Fu Dermot a spezzare l’impasse. «Così lei sarebbe Mr Brady?»

Bomba fece un salto avanti e i due uomini si strinsero in un abbraccio. Mrs Dolan sentì il trambusto, uscì dalla cu­cina e li vide abbracciati e piangenti.

«Spero proprio che non intenda trattare così tutto il per­sonale, Mr Browne» esclamò. I due uomini scoppiarono a ridere. L’abbraccio si sciolse, anche se Dermot teneva an­cora un braccio attorno alla spalla di Bomba.

«Mrs Dolan, permetta che le presenti Mr Bomba Brady. Quest’uomo, Mrs Dolan, è mio amico, forse l’unico vero amico, da quando ho cominciato a ricordare».

«Bastardo!» gridò Bomba, mentre tornavano ad abbrac­ciarsi.

Intanto Cormac era rientrato dal suo giro ed era anche lui lì, sulla soglia. La bambina era rimasta a una certa di­stanza, e osservava in silenzio. Cormac si inserì nella scena. Dermot lo presentò a Bomba.

Bomba appoggiò un ginocchio a terra e spalancò le brac­cia al ragazzo, che gli si stava avvicinando con la mano tesa. «Cormac, io ti conosco da quando eri solo un uovo». Emise la tipica risata calda di Bomba Brady. Il ragazzo sorrise e lo abbracciò forte.

«Cormac, fammi un piacere» disse Dermot, «porta la bambina a fare una passeggiata, le parlerò più tardi. Suo pa­dre e io abbiamo un po’ di arretrati in sospeso. Vieni in cu­cina, Bomba!»

Dermot mise di nuovo il braccio attorno alle spalle di Bomba e i due amici fecero il loro ingresso in cucina con un piglio da ragazzini. Mentre Dermot raccontava la storia, interrotta da pacche sulle spalle e da sonore risate, di come aveva acquistato la casa e di come aveva preparato la sor­presa per Bomba, non si accorsero che era già passata un’ora. Si sentì un altro squillo di campanello.

«Questi saranno i ragazzi, Mrs Dolan, le spiace farli en­trare?» disse Dermot.

«Vado subito, Mr Browne».

«Gesù, Dermot, non è tutto un sogno che si avvera?» disse Bomba.

«I sogni si avverano, Bomba, se ci si lavora sodo».

«Tua madre lo diceva sempre!» Bomba sorrise, ma il suo sorriso scomparve appena si rese conto del significato delle sue parole. Per un attimo regnò un silenzio imbarazzato.

«Allora non avete fatto pace?» chiese Bomba.

«No, Bomba, e riconciliarci è diventato sempre più diffi­cile con il passare degli anni. Sai, a volte non riesco quasi più a ricordare perché abbiamo litigato. Forse perché io so che lei mi reputa simile a mio padre, e ho capito, sin da quando ero molto piccolo, che lei mio padre lo odiava. Il fatto che pensasse di me una cosa del genere mi ha fatto davvero male, allora. E ancora me ne fa».

«Ma è ridicolo, Dermot. Ho parlato con lei un sacco di volte. Ha una grandissima opinione di te. È così fiera di te, dovresti saperlo».

Dermot appoggiò una mano sulla spalla di Bomba e disse: «Lasciamo perdere, Bomba, okay?»

«Okay». Seguì un’altra breve pausa di silenzio.

Poi Dermot fece il suo tipico sorriso malizioso. «Ci sei cascato come un pollo, vero?» lo sfotté Dermot.

«Bastardo!» E giù risate.

«Mi rifarò» promise Bomba, e a quel punto Mrs Dolan rientrò in cucina.

«Mr Brady... Temo che ci sia un problema! Sua mo... Mrs Bra... ehm, la sua donna è qui alla porta. A quanto pare, la sua cena è pronta da un’ora».

Bomba guardò Dermot. «Potrei rifarmi prima del previ­sto, Dermot. Mrs Dolan, potrebbe far entrare la mia donna, per favore?»

«Certo, Mr Brady, se a lei sta bene, Mr Browne».

«Naturalmente. Faccia entrare la ragazza».

Quando Mrs Dolan infilò la porta della cucina, Dermot si alzò e iniziò a togliersi le briciole dai pantaloni, prepa­randosi a conoscere la donna di Bomba.

«Hai sentito quella vecchia? La mia donna, cazzo... Non sapeva neanche come chiamarla» sottolineò Bomba. I due uomini risero.

Proprio allora le due donne fecero il loro ingresso nella stanza. La risata di Dermot si spense, lasciandolo a bocca aperta. Non meno stupefatta rimase la donna di Bomba.

«Cathy?»

«Dermot? Dermot Browne?»

Si precipitarono l’uno verso l’altra e il loro abbraccio fu una replica di quello dei due uomini, sulla porta, un’ora prima.

Mrs Dolan guardò Bomba Brady con espressione inter­rogativa. «Ma che storia è questa?» chiese.

Sorridendo, Bomba disse semplicemente: «È sua sorella».

«Buon Dio... devo farmi un bicchierino». Ciò detto, Mrs Dolan scomparve in salotto.

 

Era stata una buona giornata per il mercato di Moore Street. Agnes Browne aveva praticamente venduto tutto, tranne un paio di cassette di pomodori e una cesta di arance che avrebbe messo da parte per venderle il giorno dopo. Con i due cavalletti ripiegati, la tenda smontata e il tutto caricato sul carrello, si diresse verso il suo magazzino. Lungo il percorso doveva passare davanti al banco del pesce di Winnie la Maccarella. Winnie stava asciugando la lastra di marmo e si accingeva a chiudere l’esercizio.

«Giornata buona, Winnie, vero?»

«Magnifica, Agnes. Mi è rimasto solo il salmone. Se avessi dato via anche quello, sarebbe stata addirittura per­fetta!»

«Ti va un bicchierino, cara?» chiese Agnes.

«Perbacco, certo, Agnes, dove? Da Madigan?»

«Sì, da Madigan!»

Dopo aver confermato l’appuntamento, Agnes si incam­minò per il vicoletto che portava al magazzino. Una volta riposta la merce e chiusa a chiave la porta per la notte, tornò sui suoi passi aspettandosi di trovare Winnie pronta per accompagnarla a farsi la loro bevutina. Invece la vide contrattare con una cliente. Agnes tese l’orecchio per capire se Winnie fosse sul punto di realizzare la sua giornata per­fetta. La cliente parlava forbito e chiaramente veniva dalla zona sud della città.

«Mi dica, cara, è troppo tardi per il salmone?»

«Nient’affatto, tesoro!» Winnie si arrotolò le maniche e affondò le braccia nel grande secchio di acqua gelata che te­neva sotto il bancone. Tirò fuori il salmone e lo sbatté sulla lastra di marmo.

«Questo salmone ha il suo nome scritto sopra, signora, vuole che gli tolga le spine?»

«È un tantino troppo piccolo, ne avrebbe uno più grande?»

Winnie rituffò il salmone nel secchio e sbirciò Agnes da sopra la spalla. Poi le strizzò l’occhio.

«Mi lasci dare un’occhiata, tesoro» annunciò Winnie mentre riprendeva a frugare nel secchio. Tirò fuori lo stesso salmone di prima, solo che stavolta lo sbatté sul marmo ro­vesciandolo sull’altro lato.

«Questo è un po’ più grande» assicurò Winnie.

«Ah, sì, questo sì che è un bel salmone!» si estasiò la donna.

Winnie dedicò di nuovo ad Agnes un rapido sguardo e una strizzatina d’occhio, ma in quel momento la cliente proseguì: «Li prendo tutti e due!»

Sogghignando, Agnes si chiese cosa avrebbe fatto Winnie per tirarsi fuori da quell’impaccio. Adagio, si voltò verso la donna che aspettava, speranzosa.

«Ah... mi spiace, tesoro, non posso venderglieli tutti e due. Sa, devo preparare una cena stasera e vorrei tenermene uno. Perciò o prende questo o il più piccolo, oppure nes­suno dei due».

«Oh, ha una cena? Anch’io. Vorrei fare il salmone in salsa béarnaise, lei invece cosa farà?»

«Cosa? Ehm... tramezzini, cara. Tramezzini al salmone. Allora, lo vuole o no?»

«Oh, be’, d’accordo allora, lo prendo. Quello, il più grande, non il piccolo».

Winnie incartò il salmone e intascò i soldi della sua cliente, lasciandoli cadere nel borsellino a coronamento della sua giornata perfetta. Rovesciò il secchio di acqua ge­lata nel canale di scolo del marciapiede, caricò il carrello e si avviò giù lungo il vicolo per riporre nel magazzino la sua attrezzatura.

Agnes le urlò dietro: «Ti aspetto da Madigan, Winnie!» e si incamminò verso il pub.

 

Mentre Agnes gli passava accanto, Dermot Browne girò le spalle e finse di essere intento a guardare qualcosa nella ve­trina di un negozio. Lei non lo vide. Lui la seguì con gli oc­chi mentre camminava per Parnell Street con la sua andatura da papera. Non sapeva cosa fare. Durante l’ultima ora e mezza si era aggirato per Moore Street. Aveva osservato sua madre da ogni possibile angolazione. Dio, quanto era invec­chiata. C’era più grigio che nero nei suoi capelli, adesso. Il suo viso era un intrico di rughe che, anche se le conferiva un certo carattere, le rubava la bellezza impressa nella memoria di Dermot. Non voleva avvicinarla in Moore Street con tutti gli altri ambulanti intorno; lei avrebbe fatto un gran casino e, oltretutto, lui aveva paura di essere respinto. Ma adesso che l’aveva vista si sentiva meglio. Mentre si accingeva a pedi­narla, lei scomparve dietro la porta di Madigan. Raggiunto l’ingresso del pub, Dermot rimase fuori per qualche mo­mento, strascicando i piedi e cercando di decidere il da farsi. Entrò. Si guardò intorno con aria noncurante, ma non riuscì a vederla da nessuna parte. Poi, da dietro il vetro smerigliato del separé, la sentì chiamare il barman.

«Un Malibu con ananas, Arthur, e una pinta di sidro».

«Dammi solo un minuto, Agnes» rispose il barman.

Dermot occupò uno sgabello alto, proprio accanto al ve­tro smerigliato. Una volta depositati sul bancone, i bic­chieri di Agnes erano a non più di settanta centimetri da dove stava seduto lui. Comparvero le mani rugose della ma­dre, e lui le vide rovistare alacremente nel borsellino per estrarre le monete con cui pagare il conto. Le dita mac­chiate di nicotina e gli spessi residui di verdura sotto le un­ghie erano così familiari a Dermot che gli sembrò di essere tornato bambino. Provò la tentazione di allungarsi e strin­gerle una mano, ma non appena lei ebbe messo i soldi sul bancone, le mani e i bicchieri sparirono.

Il barman si rivolse a Dermot. «Posso esserti d’aiuto, fi­gliolo?»

«Sì, una pinta di Guinness» disse Dermot a voce molto bassa.

Il barman si allontanò per dare inizio al lento processo che consisteva nello spillare una pinta perfetta. La pinta ar­rivò proprio mentre Winnie la Maccarella si infilava nel se­paré. Dermot riuscì a sentire distintamente la conversa­zione.

«Ah, sei un tesoro, Agnes. Che mi dici di quella tizia e del salmone?» Le due donne risero. Per qualche secondo ci fu solo il tintinnio dei due bicchieri rimessi sul bancone e lo sfrega­mento di un fiammifero sul bordo della scatola. Dermot andò al bagno degli uomini. Strada facendo, chiamò il barman e gli chiese di servire un altro giro alle due donne nel separé.

Il barman abbassò lo sguardo e disse: «Gliene ho appena servito uno, posso aspettare finché non hanno finito?»

«Sì, d’accordo». Dermot gli diede una banconota da cin­que sterline e gli disse di tenere il resto. Il barman lo rin­graziò. Le mance erano scarse in Parnell Street.

Dermot si ritrovò solo nella toilette. Quando ebbe finito all’orinatoio, si lavò le mani. Mentre se le stava asciugando sotto un getto d’aria calda, si guardò allo specchio. Sem­brava un bambino impaurito. Si mise a parlare alla sua im­magine riflessa.

«Per l’amor di Dio, se tu sei pronto a mettere fine a tutto questo, lo è anche lei. Adesso esci di qui e vai a dirle: ciao, Mamma. Dopodiché, prendila come viene. Su, coraggio, devi farlo subito!» Si appoggiò al lavandino e piegò la testa.

«Qualche notizia del tuo Dermot?» chiese Winnie la Maccarella, scuotendo con energia il fiammifero per spe­gnere la fiamma.

«Nemmeno una parola da quel piccolo bastardo!»

«Sono ormai due settimane che è tornato, Agnes. Ero si­cura che avresti avuto sue notizie».

«Anch’io lo pensavo. Sai, Winnie, la mattina in cui è ar­rivato ho tirato a lucido la casa e ho preparato una bella co­lazione. Mi sono alzata alle sette in punto, ho acceso il ca­mino e ho apparecchiato per lui e per suo figlio. Ero sicura che sarebbe passato di qui prima di andare a Kilbride. In­vece no, nemmeno una parola. Quel piccolo bastardo! Pierre mi ha criticato. Mi ha detto che non avrei dovuto il­ludermi, ma io ero certa che avrebbe fatto un salto, anche solo per farmi vedere Cormac».

Agnes tacque. Fece un tiro di sigaretta. Quando soffiò fuori il fumo, attraverso il vetro smerigliato vide la sagoma di un uomo che vi si appoggiava, seduto su un alto sgabello. Guardò la mano dell’uomo mentre si allungava verso una pinta di Guinness. Intorno all’anulare c’era un anello con si­gillo dove campeggiava un solitario. Il che, insieme a un oro­logio di gran marca, le disse che quell’individuo non era del posto – forse un turista. Poi notò un piccolo tatuaggio sul polso, tra l’orologio e la mano. Erano tre iniziali: B.H.G.Per

un attimo la sigla le parve vagamente familiare. Ma a quel punto Winnie la Maccarella attirò di nuovo la sua attenzione.

«Ah, Agnes, penso che tu sia un po’ troppo dura con lui. Secondo me Dermot sta solo cercando di rimettersi in car­reggiata e di trovare la forza per farlo... capisci cosa in­tendo?»

«Per niente! È un bastardo menefreghista ed egoista, pro­prio come suo padre».

Le due donne fecero contemporaneamente un tiro di si­garetta. Dopo aver espirato, presero entrambe i bicchieri e bevvero un sorso. Era come vedere una coppia che si esibiva nel nuoto sincronizzato. In quel momento si affacciò nel se­paré Arthur, il barista, con un altro giro di drink.

«Ecco a voi, ragazze!» annunciò mentre appoggiava i bic­chieri sul bancone del bar.

Le due donne si guardarono.

«Gesù, Winnie, non ti ho mica visto ordinarli!»

«Non li ho ordinati, comunque li pago io!», e Winnie si alzò.

«È tutto a posto, ragazze, sono stati già pagati» dichiarò Arthur, come se li avesse pagati lui.

«Pagati da chi?» chiesero in coro le due donne.

«Da quest’uomo... Ah, Gesù, se n’è andato! Il tizio che era seduto qui».

«Chi era?» chiese Winnie.

«Non lo so. Però aveva un’aria familiare, somigliava a uno dei tuoi ragazzi, Agnes. Comunque li ha pagati lui». Arthur era troppo indaffarato per giocare al detective.

Agnes balzò in piedi e si precipitò fuori dalla porta del se­paré. Vide solo uno sgabello vuoto e una pinta ancora mezza piena di Guinness. Poi si ricordò del tatuaggio. Era stato fatto usando la punta di un compasso e inchiostro di china. B.H.G. stava per Boot Hill Gang. D’un tratto tutto le fu chiaro. Così come d’un tratto tutto si fece nero.