I suoi seni Agnes aveva cercato di tenerli segreti il più a lungo possibile. Non le piacevano, e le facevano male. La pubertà è un periodo difficile per tutte le ragazzine, ma quando arriva presto, e sei l’unica della tua classe che ha già il petto gonfio e uno sbuffo di peli pubici, diventa davvero imbarazzante. Agnes era anche confusa, perché non capiva bene i cambiamenti che le stavano attraversando il corpo e, per estensione, la vita. Non che lei e le altre ragazze della sua classe non avessero ricevuto il minimo sindacale di educazione sessuale. L’avevano ricevuto. Be’, tutte tranne Marion, che era stata cacciata dalla classe dopo appena dieci minuti e tre domande. Eppure voleva soltanto dei chiarimenti. Quando la suora aveva detto “seni”, Marion aveva chiesto se era come dire “tettine”, e poi se la “vulva” era la “farfallina”. A quelle due domande fece seguito la domanda di espulsione, ovvero: «Ma dire “pene” è come dire “uccello”?» Come sempre, tutte le altre ragazzine ce le avevano in testa, quelle domande, ma solo Marion le faceva. La lezione di educazione sessuale durò mezzora. Quella mezzora di chiacchiere in una lingua che, come dimostrato da Marion, era aliena da quella delle ragazzine, era destinata a formare la somma totale della loro educazione sessuale ufficiale. Ovviamente c’erano anche gli ammonimenti, e la suora li dettò uno a uno:
1. Non portate mai scarpe nere di vernice con la gonna, perché i ragazzi potrebbero vedere il riflesso delle mutande nelle scarpe.
2. Il trucco lo usano solo le donnacce e le prostitute.
3. Ballare abbracciati col corpo che tocca il corpo di un ragazzo porta guai. Perché, spiegò la suora, una volta eccitati i ragazzi perdono il controllo delle loro azioni, e tutto quello che succede dopo è colpa della ragazza.
4. E, ovviamente, tutte le cose di cui sopra sono un biglietto di sola andata per l’inferno e la dannazione eterna.
Quel giorno, le ragazze uscirono da scuola mezze informate e completamente terrorizzate.
Lo stesso giorno, Agnes decise di raccontare il suo segreto alla sua migliore amica. Non c’era momento migliore di quello, alla fine di una lezione di sesso, per rivelare che cominciavi a crescere. Ma prima che Agnes riuscisse ad aprire bocca, Marion si mise a raccontarle un’altra storia che le diede motivo di odiare la sua precocità in zona seno. Le due ragazzine tornavano a casa e discutevano della lezione. Agnes c’era rimasta malissimo, quando aveva capito come si fabbricavano i bambini. Il pensiero dei suoi che facevano una cosa del genere le provocava un certo malessere. E il pensiero dei genitori di Marion che la facevano così tante volte era proprio rivoltante. La conversazione per un po’ languì, mentre le due ragazzine proseguivano fianco a fianco verso i loro condomini.
«Io non le voglio, le tettine» disse Marion tutto a un tratto.
«Eh?» Agnes era atterrita. «Ma vengono a tutte».
«A me spero di no, e se mi vengono spero siano piccole piccole, così» disse avvicinando due dita.
«Perché?» Agnes ancora non ci aveva pensato, alla forma e alle dimensioni.
«Non voglio fare la fine di mia zia Tessie».
«Che cos’hanno le tettine di tua zia Tessie?» chiese Agnes.
«Be’, ho visto delle fotografie del giorno del matrimonio, e aveva delle tettine che le arrivavano qui» disse Marion, con le mani il più lontano possibile dal petto. «E adesso» proseguì lasciandosi cadere le mani sotto i fianchi «sono quaggiù».
«Non è vero» disse Agnes incredula.
«Sì che è vero. Giuro» rispose Marion.
«Non è vero».
«Ma sì che è vero».
«Non è vero. Stai zitta, Marion Delany. Te lo sei inventato».
«È vero, Agnes. Te lo giuro. Mia mamma dice che Tessie si deve tirare giù le mutande, per grattarsi i capezzoli. Te lo giuro».
«Che schifo».
«Lo so. Ho chiesto a mia mamma perché le penzolano così. E lei dice che mia zia Tessie ha allattato i bambini… in un letto a castello». Marion si mise a ridere.
«Oh, Marion Delany, fai schifo!» Ma anche Agnes scoppiò a ridere.
Nei mesi seguenti, mentre teneva d’occhio la crescita dei propri seni allo specchio, Agnes ci pensò spesso, alla zia di Marion.
«Tanti auguri, cara Dolly, tanti auguri a te!» Tutti applaudivano tranne Agnes. La prima volta che l’aveva vista, un fagotto fra le braccia di sua madre, Agnes aveva capito subito che quella bambina le avrebbe portato guai. Negli otto anni seguenti, l’impressione iniziale non era cambiata molto. Dolly aveva oscurato tutti gli avvenimenti della vita di Agnes. Era nata in maggio, per cui c’erano poche altre date importanti intorno al suo compleanno, e quindi riceveva sempre i regali migliori. Agnes invece era nata in dicembre, perciò riceveva regali più piccoli con la solita compensazione annuale: «Ma vedrai che Babbo Natale ti porta un bel regalo, eh? Mancano solo un paio di settimane».
E adesso anche questa. A soli otto anni, Dolly aveva la sua festa di compleanno con un sacco di bambini e bambine della via, e spremuta d’arancia e dolcetti per tutti.
Agnes, che aveva già dodici anni, una festa di compleanno doveva ancora averla. Le dicevano sempre: «È troppo vicino al Natale, tesoro». Per festeggiare il compleanno di Dolly, Agnes aveva il permesso di portare un’amica. Ovviamente, la scelta era caduta su Marion Delany. Alla fine del “Tanti auguri”, Agnes lanciò un’occhiata a Marion, che si piegò in due e fece finta di mettersi due dita in gola per vomitare. Agnes ridacchiò.
«Okay, bambine, facciamo un gioco!» annunciò Connie, e le bambinette si misero a strillare. Marion fece un fischio ad Agnes per attirare la sua attenzione, e una volta attirata l’attenzione fece cenno alla porta per proporre una rapida fuga. Agnes rispose al cenno e si avvicinò a Connie.
«Mamma, vado fuori con Marion, solo un pochino. Va bene?»
«Be’, speravo rimanessi per la festa, Marion, ma va bene, vai pure a fare un giro. Ma non tornare tardi». Agnes afferrò la giacca e corse alla porta.
«Grazie, Mrs Reddin» disse Marion girando solo la testa. Connie non la sentì nemmeno, e a volte faceva fatica anche a vederla, dal momento che c’erano bambine di sei anni che erano già alte come Marion, che di anni ne aveva quattordici. Uscite dal palazzo, le due ragazze si misero a correre per la strada.
«Vieni, Agnes, ho promesso a Theresa Foley e Angela Connolly che ci incontravamo nel vicolo di dietro». Agnes affrettò il passo e le due ragazze si misero a correre una di fianco all’altra. Marion e Agnes trovarono Theresa e Angela sedute sul muretto dietro ai palazzi.
«Dov’eravate finite, voi due?» fece Angela.
«Alla festa di compleanno di sua sorella. Bleah!» Le quattro ragazzine si misero a ridere.
«Cos’è?» chiese Marion, indicando una bottiglia marrone scuro di fianco a una gamba di Angela. Angela e Theresa fecero un sorrisino.
«Roba da bere».
«Che roba da bere?»
«Non lo so. Credo whisky». Alzò la bottiglia per guardarla controluce. «È mezza piena». In realtà era una bottiglia di sherry scuro sottratta dal comodino della madre di Angela. La colpa se la sarebbe presa il padre di Angela. Theresa le strappò di mano la bottiglia e, girando il tappo, lo tolse dal collo facendogli fare pop. Alzò la bottiglia aperta. «Allora, chi comincia?»
Agnes si ritrasse. «Bleah. Io no. Non mi piace nemmeno l’odore».
Naturalmente, il braccio di Marion Delany era già pronto. «Da’ qua» disse, e pulì il collo della bottiglia col palmo della mano. Senza nemmeno annusare, se lo portò alle labbra e mandò giù un sorso.
«Oh, cazzo». Sputò. «Sa di medicina. Uh!» Poi si alzò dritta e dopo qualche secondo disse: «Ti scalda la pancia, però. Non è male».
Le tre ragazzine mandarono giù sorsi a turno, e Agnes intanto guardava. A bottiglia finita, fu Agnes a correre da una ragazzina all’altra per tener su i capelli mentre vomitavano lo sherry. Non se lo sarebbero mai dimenticato, quel giorno. Col tempo il ricordo si sarebbe addolcito, ma al momento erano solo facce pallide, conati di vomito e tre ragazzine che non stavano in piedi.