L’anno che seguì alla morte di suo padre fu un anno lento, per Agnes. Le prime due settimane dopo il funerale non erano state malaccio. Un sacco di gente aveva fatto loro visita, per fare le condoglianze alla famiglia Reddin. Poi, da un giorno all’altro, non si era fatto più vedere nessuno. Così è la vita: tornarono tutti alle cose che facevano prima, e nel giro di qualche mese i disordini erano già praticamente dimenticati, e con loro la morte di Bosco Reddin.
La situazione cominciava a farsi difficoltosa, per Geoffrey Parker-Willis, ragion per cui, a qualche mese di distanza dal “Massacro di Misery Hill”, la fonderia era stata venduta a una società di costruzioni navali di Liverpool, e tutta la famiglia Parker-Willis era emigrata in Sudafrica. Fu solo dopo la loro partenza che Constance disse ad Agnes chi erano i suoi nonni. Per la ragazzina fu un colpo terribile. Aveva sempre pensato di non avere nonni, per parte di madre. Morti nella Grande Guerra o roba del genere, le aveva detto sua madre. Ora, che le dicessero che fino a poco tempo prima i suoi nonni stavano a pochi chilometri di distanza da lei era già un discreto colpo; ma scoprire che non solo aveva un nonno, ma che suo nonno aveva ammazzato suo padre, era una cosa che la lasciò confusa e paralizzata. Quanto a Constance, non accennava a riprendersi. Rimase in silenzio per giorni e giorni. Era talmente dimagrita che la pelle pareva gliel’avessero solo appoggiata, alle ossa. In più, aveva perso ogni interesse per le figlie. E così Agnes diventò la padrona di casa… e ne avrebbe fatto volentieri a meno. L’ultima cosa che Constance fece per una delle sue figlie fu tagliare lo strascico del suo abito nuziale per cucire l’abito per la comunione di Dolly. Toccare con mano il tessuto dell’abito che aveva indossato per l’uomo che amava così tanto le spezzò il cuore. Pianse su ogni punto ma, una volta finito, il vestito di Dolly era una meraviglia. L’unica cosa buona dell’anno, per Agnes, fu che era il suo ultimo anno di scuola. Sembrava che non arrivasse mai, il 29 giugno, ma alla fine arrivò.
Come Agnes aveva previsto, l’ultimo giorno di scuola Marion non c’era. Dell’assenza di Marion suor Benedetta era contenta almeno quanto l’interessata. La suora si era preparata il suo bel discorso sul tema “il mondo è grande e cattivo”, ma purtroppo non arrivò mai a cominciarlo. Per volontà del fato, l’ultimo giorno di scuola delle ragazzine di sesta era destinato a finire prima del tempo, quando scattò l’allarme antincendio. Fu una sorella giovane, suor Loretta, a vedere la spirale di fumo che si alzava da un angolo del capanno della scuola. Tutte le scolare furono fatte evacuare dall’edificio, e pochi minuti dopo era già arrivato il camion dei pompieri. In realtà si rivelò un incendio da poco, qualche libro, la porta del capanno e i resti malridotti di una cartella di pelle. Le ragazzine si affollarono intorno al capanno per dare un’occhiata; Agnes, invece, ispezionò le strade intorno alla scuola, e alla fine la trovò. Eccola là, Marion, mezza nascosta davanti a un portone. Agnes le fece ciao con la mano; Marion le restituì il saluto con un gran sorriso, diede un bacio d’addio alla scuola e se ne corse via.
Per molte delle ragazzine di quella classe 1947, l’ultimo giorno di scuola era destinato a essere l’ultimo in assoluto. Ovviamente, questo valeva anche per Marion Delany e Agnes Reddin. Per la prima volta niente vacanze estive, per Agnes, perché ormai era ora di trovarsi un lavoro. Sua madre tirava avanti a malapena con la pensione di sette scellini che le dava lo Stato, ma adesso Agnes poteva darle una mano. Non vedeva l’ora. Passò le prime due settimane a bussare alle porte di tutti i posti di lavoro nei dintorni del Jarro, ma senza risultati. Tutti i pomeriggi andava a Moore Street per dare una mano a Marion che chiudeva la bancarella di famiglia. Mrs Delany le incartava due o tre patate o qualche altra verdura invenduta, e lei portava il cartoccio a casa per sua madre e per la sorellina.
Ogni volta che dava una mano alla bancarella, Agnes era sotto stretta osservazione. Dirimpetto alla famiglia Delany c’era la bancarella di Nellie Nugent. Nellie non parlava quasi mai, ma osservava tutto. E osservava Agnes Reddin.
Fu più o meno in quel periodo che Agnes cominciò a notare un cambiamento in sua madre. Piccole cose. Dolly che diventava Agnes, o viceversa. Due o tre mattine, Agnes trovò sul tavolo il pranzo al sacco di suo padre. La cosa era già strana di per sé, per una ragazzina di tredici anni, ma era ancora più strano, e le metteva un po’ di paura, quando faceva notare la cosa a sua madre e lei diceva che non ne sapeva assolutamente niente. Come se non bastasse, Dolly cominciava a sfuggire a ogni controllo. Con la prospettiva di undici settimane senza scuola, Dolly scompariva la mattina e non si faceva vedere prima del tramonto, che in quel periodo dell’anno arrivava ogni giorno più tardi. In più, pareva che non avesse mai fame, a differenza di Agnes, che all’ora del tè, come tutti i dublinesi chiamano il pasto serale, si avventava sullo stufato o sulla carne col purè.
Fu Marion a svelarle il mistero, un pomeriggio… un po’ troppo tardi, forse. Agnes la stava aiutando a sbaraccare quando Marion tirò fuori l’argomento Dolly, senza apparente motivo.
«Meglio che la tieni d’occhio tua sorella, Agnes» disse Marion mentre mettevano a posto.
«In che senso?» Agnes era in ginocchio che arrotolava il telone. Smise e si alzò in piedi. Marion impilava cassette, e continuò a impilare mentre parlava.
«Mia mamma mi ha detto che l’ha vista ieri sera che vendeva cinture di pelle davanti al pub».
«Cinture di pelle? E per chi le vendeva?»
«Per se stessa».
«Non dire stupidaggini, Marion. E dove le trova delle cinture di pelle?» Agnes era incollata a terra da un misto di perplessità e sconcerto.
«Le ruba, Agnes» rivelò Marion. Ora la perplessità era sparita, ma lo sconcerto no. Marion smise di impilare cassette. «Hanno una banda». Cominciò a snocciolare i nomi, e intanto contava con le dita: «Sadie Scully, Maggie O’Hare, Nuala Wade e altre due o tre. Vanno a rubare nei negozi di giorno e vendono la roba davanti ai pub la sera». Detto questo, Marion riprese a lavorare.
Agnes si mise immediatamente sulla difensiva. «A rubare? A rubare? È quella là, quella Sadie Scully. Scommetto che è lei che se la porta dietro. Dolly non farebbe mai una cosa del genere, se non ci fosse qualcuno che glielo dice». Marion fece per rispondere, ma poi cambiò idea. Agnes vide l’esitazione e la spinse a parlare. «Cosa c’è? Dai, Marion, cosa c’è?» Agnes adesso aveva le mani sui fianchi. Marion impilò l’ultima cassetta e disse, asciugandosi le mani sul grembiule: «Agnes, la banda si chiama Dolly Mixtures. Cosa dici, è un’idea di Sadie?»
Agnes girò i tacchi.
«Aggie, aspetta!» la chiamò Marion, ma lei non si voltò.
Quando girò l’angolo per imboccare la sua via, Agnes si trovò in un incubo. Era già preoccupata e fuori di sé per quello che le aveva detto Marion, ma adesso lo stomaco le scese sotto i tacchi e le si gelò il sangue nelle vene. Si immobilizzò e vomitò per il terrore. C’era una macchina della polizia parcheggiata davanti a casa. Attorno alla macchina si era radunata una piccola folla, e avvicinandosi Agnes ebbe la certezza che la polizia fosse lì per Dolly. Un ragazzino la vide arrivare e le dedicò una cantilena: «Tua sorella va in prigione, tua sorella va in prigione. Ah, ah, ah».
Agnes fece due scalini alla volta. Mentre saliva, non si rendeva conto che stava per succedere la cosa più inaspettata della sua vita. Niente sarebbe più stato come prima.
«E questa adesso chi è? Una delle altre ragazze? Dimmelo, razza di mocciosa!» Entrando in casa, Agnes trovò quel poliziotto che abbaiava all’indirizzo di Dolly col suo pesante accento di campagna. Dolly era seduta su una delle due poltrone davanti al camino, in posizione fetale. Aveva gli occhi rossi di lacrime e le braccia rosse di schiaffi. Il poliziotto, enorme, era seduto sull’altra poltrona davanti al camino. La madre di Agnes, Connie, era seduta a tavola. Sia Connie che il poliziotto avevano una tazza di tè, e Agnes rimase sconcertata quando sua madre, invece di intervenire a suo favore, disse a Dolly: «Dolly, rispondi all’agente: è una delle altre ragazze?»
«No, è mia sorella» rispose Dolly.
Agnes andò da sua madre, a passi lenti. «Mamma? Ti senti bene, mamma?» Era in piedi davanti a lei.
«Davvero, signora? È sua figlia?» domandò il poliziotto. Con Connie usava un tono un po’ più educato.
«Eh sì, è mia figlia, e questa è mia figlia Agnes» rispose Connie.
«Mamma, cosa succede?» le chiese Agnes, confusa.
«È tutto a posto, tesoro, mettiti a sedere, mettiamo a posto tutto, non ti preoccupare» le rispose Connie in tono molto gentile.
«Ma mamma…» provò a dire Agnes, ma il poliziotto non la lasciò finire. «Fa come ti dice tua mamma, stronzetta, o ti prendi una manata!» abbaiò. Agnes si mise a sedere. Rimasero tutti seduti in silenzio per una mezzora buona. Se a Dolly non fossero usciti un singhiozzo e un pianterello, probabilmente oggi sarebbero ancora seduti lì.
«Brava, brava, piangi, mocciosetta» disse il poliziotto, interrompendo il silenzio. Fu in quel momento che Connie aprì bocca, e il mondo di Agnes cambiò.
«Non si preoccupi, agente, sistema tutto mio marito quando torna a casa dal lavoro». Lentamente, le due figlie guardarono la madre, colte da incredulità simultanea. «Sa, una volta avevo una domestica» disse Connie al poliziotto.