18.

Probabilmente fu la compassione. Perché quando gli dis­sero che il marito di Connie non sarebbe tornato a casa, né quel pomeriggio né qualsiasi altro pomeriggio, il poliziotto cambiò completamente modi e atteggiamento. Chiamò un’ambulanza per la madre di Agnes e, quando Connie fu ammessa all’accettazione, si offrì persino di accompagnare a casa le figlie. In macchina, naturalmente, fece una gran paternale a Dolly sui pericoli del crimine, e le disse che le mancava tanto così che la spedissero in una casa per ragaz­zine “cattive”. Questa casa per ragazzine cattive, stando alla sua descrizione, era a due fermate d’autobus dall’inferno. A ogni modo, Dolly giurò sulla tomba di suo padre che non si sarebbe mai più messa nei guai, e quando il poliziotto se ne andò, Agnes era troppo stravolta e spaventata anche solo per parlare a sua sorella. Si addormentarono tutt’e due sulle poltrone davanti al camino.

La mattina dopo, Agnes si svegliò che era la padrona di casa. A tredici anni, aveva una casa da mandare avanti e una bambina da tirare su. Dopodiché, nel corso della giornata, le cose peggiorarono, perché all’ora di pranzo i dottori – rendendosi conto che di più non potevano fare, dal punto di vista medico – avevano già mandato a casa Connie con una manciata di sedativi. Agnes, in pratica, doveva fare da madre a due figlie. Quel giorno non riuscì a passare a Moore Street, e Marion, credendo a torto che ce l’avesse con lei, non si fece viva prima dell’indomani. Agnes fu fe­licissima di vedere Marion. Le buttò le braccia al collo e se l’abbracciò stretta. Per la prima volta da due giorni a quella parte, le sembrava di non essere sola.

Nei giorni seguenti, Connie cominciò a riprendersi un po’, e Agnes si rimise per strada in cerca di lavoro. Giorno dopo giorno tornava a casa con le pive nel sacco, ma giorno dopo giorno sua madre migliorava. Finché, passate due set­timane, era come se nulla fosse accaduto. Era solo una tre­gua, ma una tregua ben accetta. Dopo quattro settimane di ricerche infruttuose, Agnes ormai disperava di trovare qual­cosa.

«Non so come farò se non trovo un lavoro» disse un gior­no a Marion, seduta al suo fianco alla bancarella di Moore Street.

«Lo so io dove c’è un lavoro» annunciò Marion come se niente fosse.

«Eh?» Agnes credeva di aver sentito male.

«Ho detto che lo so io dove lo trovi, un lavoro».

«E dove?»

«Qui a Moore Street, in una bancarella». Marion sorrise e incrociò le braccia. Agnes le restituì subito il sorriso.

«Io? Io in una bancarella? Non sono capace di vendere» si schermì subito Agnes.

«Non devi mica vendere; be’, non subito, almeno. All’i­nizio dai solo una mano, tiri su la bancarella la mattina, vai a prendere la roba ai mercati, pulisci la frutta, e alla sera tiri giù la bancarella. È facile».

Agnes ci pensò su un secondo: lavorare a Moore Street. Guardò da un capo all’altro quella strada meravigliosa, co­lorata e musicale, che aveva già occupato buona parte della sua infanzia.

«Ma Marion, tua mamma non ha abbastanza lavoro per tenerci tutte e due, e di sicuro a te non ti licenzia». Non aveva ancora finito di dirlo che già negli occhi di Marion era comparso uno sguardo furbetto.

«È per tua mamma, no?» domandò Agnes. Marion fece di no con la testa.

«Non è per tua mamma?» Marion fece un’altra volta di no. «E per chi?»

«Nellie Nugent» annunciò Marion. Agnes fece tanto d’oc­chi, spalancò la bocca e lasciò cadere la mascella. Girò la te­sta per guardare la summenzionata Nellie Nugent.

«Nellie Nugent? Quella che ha una faccia che sposta le maree? Quella che ha un culo così grosso che ci puoi par­cheggiare in mezzo? Quella che ha una faccia come il muso di una mucca che lecca un’ortica bagnata di piscio?»

A Marion venne da ridacchiare, e poi da ridere, perché Agnes le stava ovviamente ripetendo la descrizione che ne aveva fatto lei. «Sì» sbuffò fra una risata e l’altra. Alla fine, quando riuscì a smettere di ridere e a tornare in sé, Marion si spiegò meglio: «Scusami, Agnes, è solo che l’ho vista chiedere a mia mamma chi eri. Le fa: “Chi è quella ragazza che sta tutto il giorno a ciondolarsi lì da te? E non ha nien­t’altro da fare?” Mia mamma le ha solo detto che vieni qua tutti i giorni dopo che sei andata a cercare lavoro. E allora lei, ce l’hai presente Nellie, lei gli fa alla mia mamma: “Se vuole un lavoro glielo do io, un lavoro, gliene do un sacco, di lavoro”. Mi sembrava brutto non dirtelo». Marion scop­piò di nuovo a ridere, e questa volta Agnes la imitò. Nellie Nugent, dall’altra parte della strada, girò solo la testa e fece quel suo sguardo torvo, e le due ragazze smisero subito di ridere.

«Sta’ attenta» disse Marion fra i denti. «Mia mamma dice che quella sente cadere i biglietti da cinque sterline a mezzo chilometro di distanza». Le due ragazze scoppiarono di nuovo in risa simili a ululati, e si chinarono per nascon­dersi dietro alla bancarella. In quella posizione, Marion di­ventò un po’ più seria. «Agnes, le bancarelle passano di ma­dre in figlia. Qui i nuovi non sono ben accetti. Magari a te ti sembra niente, ma è un grande onore se te lo chiedono, sempre ammesso che te lo chieda».

 

Che l’offerta di lavoro di Nellie Nugent fosse vera o no, Agnes non ebbe il tempo di pensarci troppo. Proprio il giorno seguente, infatti, le offrirono la sua prima occupa­zione. Agnes era andata a chiedere alla Walker’s Rainwear Limited, un enorme laboratorio di sartoria che dava lavoro a quasi cinquecento ragazze. Incredibile a dirsi, non era pas­sata mezzora da quando aveva scritto nome e indirizzo sulla domanda che l’avevano già presa, e il giorno dopo comin­ciò a lavorare: faceva le asole.

 

La Walker’s Rainwear Limited produceva impermeabili e trench di gabardine da quindici anni. Dipendeva moltis­simo dagli ordini che le arrivavano dal Continente, e in particolare dalle richieste degli eserciti. Ma adesso comin­ciava a espandersi. In America, il trench era diventato l’ul­timo grido per l’uomo della strada, e la Walker’s glieli man­dava a barcate. Il segreto del successo dell’azienda, ovvia­mente, erano le ragazzine che lavoravano per due soldi. Il settore dell’abbigliamento, all’epoca, era un settore di sfrut­tatori, e a essere onesti bisogna dire che quelli della Walke­r’s non erano fra i peggiori. Tutte le ragazze che arrivavano in fondo ai tre mesi di prova ricevevano un trench in regalo. C’era il sindacato. Le ragazze facevano pause tè regolari, e la settimana lavorativa era solo di quarantacinque ore. Le ragazze nuove cominciavano alla macchina per asole, poi passavano alla macchina da cucire piana, e infine alla mac­china per fare i punti. Il passaggio dalla macchina per asole a quella per fare i punti durava un annetto. Ma non per Agnes. Che si dimostrò bravissima con le macchine, e fa­ceva già i punti quando le diedero il suo trench in regalo. La sua paga di una sterlina, diciotto scellini e sei pence era più del quintuplo della pensione di sua madre. La vita a casa cominciava a migliorare, e in più Agnes aveva anche qualche soldo da spendere per se stessa. Dopo una setti­mana di duro lavoro, come premio Agnes portava Marion al cinema Metropole, il venerdì sera. Si mettevano lì sedute a leccarsi i loro ghiaccioli Orange Maid, o a masticarsi una barretta di Cleeves. Erano estasiate da tutti i film che guar­davano, nessuno escluso, anche se avevano un debole per i film dell’orrore con Boris Karloff. Fu nell’intervallo di uno di questi film che ad Agnes tornò in testa un’idea folgorante che non le veniva dalla notte che era morto suo padre. Da­vano le solite pubblicità, ma poi tutto a un tratto lo schermo si era riempito di una scena di foreste e cascate. Il meglio del technicolor. Agnes rimase senza fiato. Marrone, oro, arancio, verde e blu. Impressionante. Poi facce sorri­denti di gente felice, auto enormi, vestiti alla moda. E la voce fuori campo. «C’è una vita nuova e meravigliosa che vi aspetta, in Canada». Il Canada! Agnes fece tanto d’occhi.

Marion aggrottò le sopracciglia. «Il Canada? E dov’è?» domandò.

«Vicino alla Groenlandia» rispose Agnes, senza staccare gli occhi dallo schermo.

Marion scrollò le spalle. «Capirai quanto cazzo ne so, adesso». Tornò al suo ghiacciolo.

Agnes guardava e ascoltava tutto. «Vieni a fare un collo­quio all’ambasciata canadese, e parti per il paese più bello dell’Impero Britannico. Il viaggio organizzato dall’ambasciata costa solo venti sterline. Abbiamo bisogno di persone come te». Finita lì. La pubblicità, non l’idea.

Agnes chiamò dal telefono pubblico davanti alla mensa aziendale della Walker’s, il lunedì seguente. La ragazza dell’ambasciata canadese fu molto gentile. Le disse che c’erano un sacco di lavori disponibili, in Canada, e le descrisse le bellezze di Toronto, la sua città natale. Si annotò l’indirizzo di Agnes, e le disse che il modulo per fare domanda le sa­rebbe arrivato di lì a pochi giorni. Ma non le chiese quanti anni aveva. Con grande felicità di Agnes, la lettera dell’am­basciata canadese arrivò due giorni dopo. Prima di aprirla aspettò che facesse notte. Sua madre dormiva, e Dolly, che era ridiventata sfuggente, non era ancora tornata a casa. L’appartamento era immerso nel silenzio. Agnes aprì le carte sul tavolo. C’erano tantissime informazioni, ma un solo mo­dulo da compilare, cosa che le fece molto piacere. Comin­ciò a rispondere alle domande, scrivendo le risposte con la sua migliore calligrafia, a matita. Ci mise più di un’ora a fi­nire. Riguardò il tutto più e più volte, e alla fine, quando si convinse che aveva fatto del suo meglio, sigillò la busta pre­pagata e uscì per imbucarla subito. Scendendo le scale, sentì il tonfo tordo di un paio di piedi pesanti che venivano su. Al primo pianerottolo trovò il poliziotto.

«Stai in questo condominio?» le chiese.

«Sì» rispose lei. E già lo sapeva.

«Li conosci i Reddin?»