23.

A Dublino, i ragazzi e le ragazze hanno molti posti per incontrarsi: a scuola, al fish and chips del quartiere, o in qual­che posto da domenica come il Giardino Botanico se stai nella zona nord e St Stephen’s Green se stai nella zona sud. Ma se vuoi essere sicuro di tirare su qualcosa, devi andare a ballare.

All’epoca, a Dublino, c’erano due modi per andare a bal­lare. Da una parte i balli, serate danzanti improvvisate e or­ganizzate dai circoli di quartiere o dai comitati di parroc­chia. Questi balli, in genere, erano cosette abbastanza in­nocenti: si svolgevano con la supervisione degli adulti se non addirittura dei preti, e i ragazzi venivano tenuti alla larga dalle ragazze. Ai balli, di solito, andavano i ragazzini più giovani, anche se ogni tanto sbucavano fuori dei ragazzi più grandi e più pelosi, quasi sempre ragazzi di fattoria pro­venienti dalla campagna intorno a Dublino, in cerca di una moglie più che di una toccata e fuga.

Per ballare nell’altro modo, bisognava andare in centro. Nelle sale da ballo. Ora, sebbene le parole “sala da ballo” possano evocare donne vestite di taffettà svolazzante e uo­mini eleganti in giacca da sera, le sale da ballo di Dublino evocavano tutt’altro, e in realtà il ballo non era la loro fun­zione primaria. Le sale da ballo di Dublino erano sale da ballo amorose. Posti in cui “fare centro”. Posti in cui “ri­morchiare”, dare uno “struscialabbra”, o ancora meglio una “toccatina”. Le sale da ballo erano posti sporchi e chiusi, con l’aria perennemente appesantita da una cappa di fumo azzurro di sigaretta; posti in cui si servivano solo tè e limo­nata, ma dove l’alito dei maschi puzzava lo stesso di alcol. Perché era raro che un ragazzo o un uomo di Dublino si av­venturasse in una sala da ballo prima di mezzanotte e senza essersi fatto una bevutina. Quanto al vestire, c’erano regole ben precise: gonne o vestiti lunghi per le donne, giacca e cravatta o vestito intero per gli uomini. E pazienza se la moquette era appiccicosa e i muri fradici di condensa: per Agnes, trascinata alla sala da ballo Macushla per la prima volta in vita sua, era tutto magico. C’era un gran fitto di corpi, musica fortissima sul palco, un’enorme palla di cri­stallo in mezzo al soffitto che sparava tutto intorno minu­scole scintille di luce, illuminando a sprazzi le facce dei ra­gazzi e delle ragazze che sorridevano e chiacchieravano a gruppetti. Agnes se ne stava lì con gli occhi spalancati, am­mutolita, e per lei era come se su quell’enorme pista da ballo vuota dovesse presentarsi da un momento all’altro Humphrey Bogart, o addirittura James Dean. Pista da ballo vuota?

«Non balla nessuno!» urlò a Marion.

«Eh?»

«Non balla nessuno!» urlò di nuovo Agnes.

«Certo che no, è troppo presto. Dai, andiamo a occupa­re un posto vicino al termosifone» disse Marion, tirandola per la manica.

Si inoltrarono nella sala, e Agnes vide un tavolino libero di fianco a un termosifone. Si fermò.

«Lì è libero!» urlò, ma Marion fece di no con la testa.

«No, quello è il lato loro» disse, e andò avanti.

Perplessa, Agnes seguì l’amica. Marion si faceva strada nella folla come un furetto, ma Agnes riuscì a riprenderla.

«Loro chi?» le chiese.

«Loro – i tipi – è il lato loro. Il nostro è laggiù». Ma­rion indicò il muro dall’altro lato della sala, dove c’erano più di trecento ragazze, tutte sole. Neanche un uomo. Agnes si girò verso la parete opposta e notò una cosa che prima non aveva notato: un’altra folla, altre trecento per­sone o giù di lì, tutti uomini. La sala era rettangolare, con due muri lunghi e due corti. I due corti erano per le cop­pie, ragazzi e ragazze con ragazze e ragazzi fissi. L’obiettivo di chiunque si trovasse sui muri lunghi era spostarsi su uno di quelli corti. Tutto questo ad Agnes lo spiegò Ma­rion, urlando. Agnes si rese conto che aveva molto da im­parare sul ballo.

«Ma come facciamo a conoscerli, se loro stanno là e noi stiamo qui?» chiese a Marion.

«Te lo dico fra un attimo» rispose Marion. «Prima tro­viamo un posto».

Agnes rimase di nuovo perplessa, e stava per rimanerci sbalordita, perché mentre lei cercava di rendersi utile tro­vando un posto libero lungo il muro, Marion era a caccia di un buon posto. Quando lo trovò lo indicò ad Agnes. «Laggiù!» urlò, e si rimise in moto. C’erano già quattro ra­gazze attorno al termosifone, ma Marion si piantò davanti a loro, convinta, e Agnes seguì la conversazione a bocca a­perta.

«Voi chi siete?» domandò Marion alla più grande delle quattro.

«Joan McCarthy» rispose la ragazza.

«Di dove?» Marion sembrava un investigatore.

La ragazza lanciò un’occhiata alle amiche, ma quelle nien­te. «Mountjoy Square» rispose.

Marion indicò il muro dietro. Le ragazze si girarono a guardare le parole incise nell’intonaco, subito sopra al ter­mosifone: «Il Jarro». Le ragazze si girarono di nuovo verso Marion, e la ragazza più grande si appassionò alla causa. «E allora?» domandò.

Marion si avvicinò alla ragazza. «E allora smammare» disse con fare minaccioso.

«Senti, siamo venute qui per ballare» disse la ragazza grande, con aria sbrigativa.

Marion non batté ciglio. «Sarà dura ballare con un cazzo di gamba rotta, amore mio» rispose, e le quattro sgombra­rono il campo.

Fu una bellissima serata. Agnes non aveva idea di come si faceva a ballare, perciò rifiutò quella quarantina di pro­poste che le arrivarono da ragazzi e uomini di ogni forma e dimensione. Le bastava starsene lì a godersi la magia e l’at­mosfera. Marion, invece, era una ballerina provetta, ma nessuno le chiese di ballare. Perciò ballò tutta la sera con al­tre ragazze. E non era una cosa strana; anzi, per la prima ora si ballava solo fra ragazze.

«Vieni a ballare con me, Agnes!» urlò Marion per sovra­stare la musica.

«No. Non so ballare, Marion!» Agnes faceva di no con la testa, testa che cominciava un po’ ad annebbiarsi, dal mo­mento che Marion le aveva presentato Mr Smirnoff e Mr Coca-Cola.

«Dai, che ti insegno io!» provò a insistere Marion.

Agnes diede un’occhiata alla pista da ballo. Come mu­sica c’era How Much Is That Doggie in the Window? E la pi­sta era tutto un vorticare in senso orario di ballerini di val­zer, anzi, perlopiù ballerine di valzer. Le sembrò una cosa sciocca. Fece di no con la testa. «No, Marion. Ancora no. Magari fra due o tre settimane. Ancora no». Non ne aveva proprio voglia.

Alla fine del valzer, il maestro di cerimonie fece un an­nuncio. «Signore e signori, ragazzi e ragazze, ecco l’ultima moda dall’America. Di Bill Haley and the Comets». E co­minciò. Ancora prima che partisse la musica, le ragazze già correvano in pista urlando. In attesa che partisse la musica si formarono le coppie, e la sala si riempì di energia.

«One, two, three o’clock, four o’clock, rock!» sparò fuori l’amplificatore, e di lì in poi la canzone la cantarono tutti, all’unisono. Quando la calca cominciò ad ancheggiare, fu come se la pista fosse stata invasa da un ammasso di dervi­sci roteanti.

Agnes era incantata. Senza ben capire perché, si accorse che i piedi si muovevano a tempo, la testa andava di qua e di là e tutto il resto del corpo voleva buttarsi in pista e di­ventare pazzo. Era la nascita del rock and roll.

«Oh, Cristo, Marion, questa devo impararla!» urlò alla minuscola amica.

«Dai, allora. Andiamo!» gridò Marion, e le porse la mano.

«Non adesso. Non qui. Ma bisogna che me la insegni» la pregò Agnes.

 

La settimana seguente, Agnes la passò a ballare nel suo appartamento. La canzone ce la mettevano lei e Marion, col poco fiato che rimaneva loro in corpo. Agnes imparava in fretta, anche troppo, per i gusti di Marion. Alla fine di ogni lezione, Marion aveva le calze arrotolate intorno alle cavi­glie, e le andava già di lusso se aveva ancora le mutande. Connie se ne stava seduta, perplessa, a guardare quella pic­coletta di Marion che tentava di buttarsi Agnes dietro le spalle; non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma sorri­deva lo stesso, e a volte addirittura applaudiva. Nel giro di una settimana Agnes aveva imparato a ballare, e persino Dolly sapeva a memoria le parole della canzone. Il rock and roll aveva invaso il Jarro. Quel venerdì sera, Agnes ballò con il primo ragazzo che glielo chiese, e siccome era pieno di ra­gazzi che volevano ballare con lei, Agnes non fece altro per tutta la sera. Adorava il rock and roll, adorava ballare. Era una droga. Ma l’eccitazione di quella prima sera in pista da ballo era destinata a passare presto in secondo piano.

Tornando a casa, a mezzanotte, Agnes trovò sua madre

– cui teoricamente doveva badare Dolly – seduta davanti alla porta dell’appartamento, congelata. Agnes prese per mano quella donna infreddolita e confusa, la portò a letto e la mise sotto le coperte. Di Dolly neanche l’ombra.

«Mamma, dov’è Dolly?» le chiese con gentilezza. «Via. È andata via» disse Connie. «Via dove, mamma? Per favore, è importante!» Agnes era

infuriata con Dolly, ma non voleva farsi vedere da sua madre. «Se l’è portata via la polizia. Sono venuti a prenderla» disse Connie prima di addormentarsi.