24.

La stazione di polizia di Store Street era strapiena. Il venerdì sera avevano sempre un gran da fare, i poliziotti. C’era una fila di cellulari pronti a vomitare gli avanzi della serata den­tro la stazione. Agnes, facendosi strada fra ubriachi mal­fermi sulle gambe e derelitti urlanti, si affacciò alla sala d’ingresso. Alla scrivania c’era un poliziotto giovane. Stava scrivendo qualcosa in un libro enorme.

«Mi scusi, signore!» provò a chiamarlo Agnes, in mezzo al frastuono.

Lui non alzò nemmeno la testa. «Cosa c’è?» chiese al suo libro.

«Sto cercando mia sorella» disse lei.

Il poliziotto giovane alzò lo sguardo. Come al solito, Agnes era abbastanza bella da ottenere tutta l’attenzione. Le sorrise. «Be’, se è carina come te mi sa che la troviamo su­bito». Riaprì il librone e si preparò a prendere appunti. «Al­lora, quand’è che l’hai vista l’ultima volta?»

Agnes andò dritta al sodo. «È qui. Almeno credo».

«Qui?» Il poliziotto alzò lentamente lo sguardo. «E che cosa ci fa qui?» Non era più tanto interessato ad Agnes, adesso.

«Non lo so».

«Nome?» Il poliziotto tirò fuori l’elenco degli arrestati.

«Reddin. Dolly Reddin». Agnes cercò di leggere l’elenco a rovescio, ma non ci si riusciva. Il ragazzo scorse l’elenco. Il dito si fermò.

«Sì che è qui. Allora ruba, eh?»

«Come? Ruba? Cristo santo, io l’ammazzo!» Agnes co­minciò a singhiozzare. «Posso vederla?» chiese.

Che faccia impaurita aveva Dolly, seduta da sola nella sala colloqui! Agnes la guardò da dietro la porta, che aveva una finestrella di vetro protetta da sbarre. Dolly aveva gli occhi rossi, e tremava.

«Cinque minuti. Poi se vuoi la rivedi domattina in tri­bunale. Il turno delle dieci e mezzo del mattino» disse il po­liziotto. Poi aprì la porta. Agnes entrò e Dolly le corse in­contro buttandole le braccia al collo.

«Oh, Agnes, ho paura!»

Dolly ci rimase malissimo, quando Agnes la spinse via. «Brutta stronza, ma ti rendi conto?» gridò Agnes. «Uno, hai lasciato la mamma da sola. In più ti sei rimessa a fare i tuoi giochetti con quelle disgraziate delle tue amiche». Era fu­riosa.

«Ma non ho fatto niente!» protestò Dolly.

Ma Agnes le mollò un ceffone. «Non mi dire bugie!»

Dolly si mise a piangere, piano piano. Si lasciò cadere sulla sedia e se ne rimase lì a guardare il pavimento e a don­dolarsi avanti e indietro. Agnes bussò alla porta per farsela aprire.

«Lo sapevo che non ci credevi» disse Dolly alla schiena della sorella maggiore. Agnes se ne andò. E non smise di piangere fino a casa.

Nellie Nugent non le chiese niente, ma si vedeva che le era successo qualcosa. Quando Nellie era arrivata alla ban­carella con la carrozzina piena, Agnes aveva preso la frutta e la verdura e l’aveva scaraventata sulla bancarella, mentre di solito sistemava ogni singolo prodotto con la cura di uno scultore. Nellie la lasciò lavorare. Se aveva qualcosa da dirle, di sicuro gliel’avrebbe detto quando aveva bisogno di dirlo.

Quel qualcosa arrivò intorno alle nove. Agnes le si parò davanti nervosa.

«Mrs Nugent, posso prendere un paio d’ore di permes­so?» le chiese.

«Per cosa?» domandò a sua volta Nellie, dando la stura a una cascata di lacrime. Nellie ci rimase di stucco. Andò verso Agnes e la prese per le spalle.

«Cristo santissimo, bambina, cosa c’è?» le chiese. Agnes si divincolò dalla presa di Nellie, ma invece di allontanarsi buttò le braccia intorno ai fianchi di quel donnone, e ap­poggiò la testa sull’enorme grembo. Nellie ci rimase ancora più di stucco, e non sapeva cosa fare. Rimase lì con Agnes appiccicata, a braccia larghe come un Cristo in croce.

«Datti una calmata, ragazzina!» la ammonì Nellie. Ma Agnes andava avanti a piangere. Pian piano, Nellie chiuse le braccia e abbracciò la ragazzina. Poi si mise a darle dei colpetti sulla schiena, e intanto diceva: «Su, su, su». Agnes si calmò. La voce di Nellie e i colpetti sulla schiena la face­vano sentire protetta. Da quel momento in poi, Agnes sa­peva cosa fare, nel caso dovesse calmare qualcuno che le piangeva fra le braccia. Dopo averla tranquillizzata, Nellie la mise a sedere e si fece raccontare tutta la storia.

Alla fine della storia Nellie le chiese: «Cosa ti fa pensare che abbia fatto qualcosa?»

Agnes proprio non se l’aspettava, quella domanda. «È in libertà vigilata, l’ha già fatto, e comunque la polizia non li fa questi errori».

Sull’ultima parte Nellie inarcò un sopracciglio. «Sì che li fa» asserì. «E in questo momento, tua sorella ha un gran bi­sogno che tu le creda».

«Ma pensa davvero che magari si sbagliano?»

«La probabilità che qualcuno sia innocente è diretta­mente proporzionale al numero di persone che cerca di provarne la colpevolezza». Era la frase più lunga che Agnes le avesse mai sentito pronunciare. Agnes non aveva idea di quello che volesse dire. Glielo si leggeva in faccia. Nellie era lì lì per spiegarglielo, ma poi cambiò idea. «A che ora è l’u­dienza?» domandò.

«Alle dieci e mezzo. Le dispiace se ci vado?» le chiese Agnes.

«Chiedo a Mrs Delany se dà un’occhiata alla nostra ban­carella. Ci andiamo insieme». Nellie si alzò in piedi. Diede una carezza sulla testa ad Agnes e attraversò la strada per prendere accordi. Aveva detto «alla nostra bancarella», e ad Agnes non era sfuggito.

 

Il tribunale minorile era pieno zeppo. Passò mezzora prima che facessero entrare Dolly dalla sala d’aspetto. Agnes e Nellie erano più o meno a metà dell’aula strapiena.

«Dolly!» urlò Agnes a sua sorella. Dolly si voltò ma non la vide. Agnes cominciò a farsi strada per arrivare davanti, e in­tanto continuava a chiamarla. Cadde per terra ma non si fermò: andò avanti a ginocchioni, con le mani sul pavimen­to. Passò in mezzo alle gambe di tanta gente, e quando vide un varco ci si buttò e si alzò in piedi, urlando forte: «DOLLY!» Era lì, a un metro di distanza da sua sorella. Dolly aveva una faccia terrificante. Guardò Agnes dritto negli occhi.

«Scusa, Agnes» disse a voce bassa.

«No, scusami tu, Dolly. Ti credo, ti credo, davvero!» dis­se Agnes piangendo.

«Davvero?»

«Davvero! Ti credo!» Fecero per abbracciarsi, ma tira­rono via Dolly per portarla davanti al giudice.

Da lì in poi accaddero solo cose sbagliate, completa­mente sbagliate. Non solo in senso etico, ma anche nel senso dell’errore. Dolly fu accusata di un furto avvenuto alle dieci e quindici del mercoledì precedente. La polizia aveva preso due ragazzine, e quelle due ragazzine avevano fatto i nomi di altre tre ragazze che, a detta loro, erano com­plici. Fra quei tre nomi c’era anche quello di Dolly.

«Ma lei non è stata per forza!» gridò Agnes dalla platea. Il giudice domandò chi avesse parlato, e Agnes alzò una mano.

«Dolly non è stata per forza; era con me. La mia amica mi doveva insegnare a ballare, e c’era anche Dolly lì con noi». Agnes era tutta eccitata. Aveva ragione Nellie, anche i poliziotti si sbagliano.

«E tu chi sei?» le chiese il giudice.

«Sono Agnes Reddin. Sua sorella» dichiarò lei, tutta fiera. Stava tuttavia per scoprire che non sbagliano solo i poliziotti, ma anche i giudici.

«Sua sorella? Sua sorella? Be’, è una prova affidabile più

o meno come una barchetta di carta nel mare in tempesta!» Risate dei poliziotti e degli avvocati riuniti nell’aula del tri­bunale.

Aprì bocca anche Nellie. «Anche l’altra ragazza è testi­mone. Marion, Marion Delany!» gridò.

Agnes si girò e le fece «grazie» con la bocca, poi si rivolse di nuovo al giudice. «Vado a chiamare Marion. È qui fra dieci minuti!» disse convinta. Il giudice non si impressionò.

«Se pensate che interrompa i lavori di questa corte per darvi il tempo di andare a prendere una delinquentella di strada per farle giurare il falso, pensate male! Precedenti?» disse all’indirizzo del poliziotto.

«È in libertà vigilata, Vostro Onore: tre anni» rispose lui, prontamente.

«Per che cosa?» chiese il giudice.

«Furto» disse il poliziotto.

«Ah-ah!» esclamò il giudice. «Lo sapevo! Bene bene, è

ora che qualcuno ti dia una bella lezione!» Si mise un paio di occhiali da lettura per scrivere qualcosa, e poi pronunciò la sentenza. «Signorina, verrai alloggiata in un istituto sta­tale a discrezione del ministro della Giustizia». Diede un colpo di martelletto. «Il prossimo!» esclamò, e portarono via Dolly.

 

Nellie faceva fatica a spiegare ad Agnes il significato di «a discrezione del ministro della Giustizia».

«Finché non fa diciotto anni, giusto?» le chiese Agnes. Nellie fece di no con la testa.

«Può essere di più o di meno. Ogni tanto riesamineran­no il suo caso. Se il ministro si è svegliato bene, magari esce» spiegò Nellie.

«E se si è svegliato male?» domandò Agnes. Nellie scrollò le spalle. «E chi lo sa?» «Ma ha solo tredici anni!» Agnes si mise a singhiozzare. Nellie la abbracciò. «Su, su, su» le diceva sottovoce, e in­

tanto le passava una mano sulla criniera scura.