25.

Dolly venne rinchiusa nel riformatorio femminile di St Mary, a Oldgrange, poco fuori Dublino. Per andarla a tro­vare c’erano due ore di autobus all’andata e due al ritorno, e il massimo consentito per le visite era mezzora alla setti­mana.

Nei sei mesi da che avevano rinchiuso Dolly, Agnes non aveva mancato una sola domenica. Marion la accompa­gnava in autobus, ma lei non la lasciavano entrare. Agnes ci stava male, a vedere Dolly che si deteriorava. Era dura là dentro, ma lei si rifiutava di sprecare anche solo un minuto dei trenta che avevano per parlarne.

Ma le cose erano destinate a migliorare un po’ da quando, un lunedì, Agnes aveva fatto due chiacchiere con Nellie. Erano lì che lavoravano alla bancarella, e c’era un momento di stanca.

«Come sta tua sorella?» domandò Nellie. Agnes le rac­contò che Dolly aveva una faccia orribile e che era molto preoccupata. Nellie stette a sentirla e poi le disse di non preoccuparsi, che sua sorella poi si ambientava. Agnes era preoccupata lo stesso.

«Cristo, non sto tanto bene, ragazzina, mi sa che vado via un po’ prima». Anche Nellie non era al massimo della forma. Era ammalata da un po’, ma si rifiutava di andare da un dottore. «Non mi scocciare, ragazzina, non ci vado da quei segaossi del cazzo!» rispondeva tutte le volte che Agnes provava a farglielo presente.

«Vuole che vada avanti io?» le chiese Agnes.

«No. Copri tutto e basta». Nellie si stava già mettendo il giaccone. Non l’aveva ancora lasciata vendere. Agnes non diede a vedere la delusione. Coprì tutto e, dal momento che era solo l’una, andò alla bancarella di Marion per tutto il re­sto della giornata.

 

La domenica seguente, Agnes andò a trovare Dolly, ma la fermarono al cancello di St Mary.

«Dov’è che vai?» le chiese la guardia.

«A trovare mia sorella, Dolly Reddin!» Agnes era stra­nita. Non l’avevano mai fermata prima.

«Aspetta un attimo» disse la guardia, e si ritirò nella sua cabina. Agnes guardò Marion, che scrollò le spalle. Agnes cominciava a preoccuparsi. Era successo qualcosa a Dolly? Si era fatta male? Quando tornò la guardia, si era già im­maginata di tutto.

«Si può fare solo una visita alla settimana. È venuta tua mamma lunedì. Per questa volta te la faccio passare, ma che sia l’ultima». Aprì il cancello, ma Agnes non fece un passo.

«Mia mamma? È venuta qui?» Agnes era sbalordita. La guardia diede un’altra occhiata all’elenco.

«Constance Reddin? Si chiama così tua madre?» le chiese.

«Sì. Si chiama così».

«E allora è venuta. E adesso vai, prima che cambi idea».

Agnes entrò di corsa. Si avviò verso la sala colloqui, ma era quasi paralizzata dalla sorpresa. Sua madre non lo sa­peva neanche che Dolly era lì! Com’era possibile? La rispo­sta l’aspettava in sala colloqui.

«Nellie Nugent? È venuta a trovarti?» Agnes non poteva crederci. Una Dolly molto più in forma del solito fece di sì con la testa.

«E perché? Cos’ha detto?» le chiese Agnes.

«Un sacco di cose» rispose Dolly, e le fece un resoconto della visita. Nellie aveva passato la sua mezzora con Dolly a raccontarle un po’ delle sue esperienze in prigione. Le aveva spiegato qualche trucco per non sciuparsi. E soprattutto le aveva dato un foglietto da passare a una ragazza che stava dentro, una certa Barbara Brady, una che conosceva. Bar­bara Brady, spiegò Dolly a sua sorella, era la ragazza più dura, la più tosta di tutte. Il foglietto diceva che Barbara doveva occuparsi di Dolly, sennò Nellie si occupava di lei quando usciva. Dal lunedì precedente, la vita di Dolly era diventata molto più facile.

«Mi sono iscritta alla biblioteca, e voglio fare dei corsi da bibliotecaria» annunciò Dolly. Agnes provò un gran sol­lievo, a vederla così rilassata, perfino sorridente. Quel giorno, quando andò via, stava bene come non le succedeva da settimane.

 

Venerdì sera Agnes e Marion andarono a ballare per la prima volta dalla notte dell’arresto di Dolly. Come al solito, Agnes era assediata da ragazzi che volevano ballare il rock and roll con lei, e come al solito Marion ballò con le ra­gazze.

Quando tornò al lavoro, il lunedì dopo, Agnes provò a ringraziare Nellie. Tornata quest’ultima dal grossista, Agnes le si parò immediatamente davanti. «Mrs Nugent, non so come ringraziarla per essere andata da Dolly». Le sorrise. Mrs Nugent no.

«Be’, dovevo pur fare qualcosa. La bancarella va a put­tane e tu lavori di merda: farei meno fatica a lavorare da sola!» Non voleva ringraziamenti.

«Farò meglio. Promesso».

«Sarà il caso. Un’altra ragazzina ci metto un secondo a trovarla, perciò stai bene attenta al tuo lavoro» concluse Nellie, e tornò al suo. Della sua visita a Dolly non parla­rono mai più.

«Ehi» fece Nellie ad Agnes quando ebbe sistemato la bancarella, «vai a fare una pausa, va’».

Agnes attraversò la strada per andare da Marion. Avvici­nandosi notò che Marion leggeva qualcosa, strabuzzando gli occhi.

«Cos’è?» le chiese.

«Biglietti» rispose Marion, e infilò i biglietti nella tasca del grembiule. Era una mossa studiata a tavolino per de­stare l’interesse di Agnes.

«Biglietti? Biglietti per cosa?» domandò Agnes, con il tono di chi è convinto di avere il diritto di sapere, e subito.

«Biglietti per un ballo… Ah, ma tanto a te non inte­ressa». Marion finse di disinteressarsi lei stessa alla faccenda.

«Che ballo?» Ovviamente, ad Agnes interessava.

Marion la guardò per qualche istante, con finta aria di sfida, e poi, con la stessa facilità, fintamente si arrese. «E va bene, se proprio vuoi saperlo è un ballo che fanno martedì notte per tirare su dei fondi per beneficenza». A questo punto, Marion si mise a lavorare dalla parte opposta della bancarella. Agnes la seguì.

«E?» Agnes era in attesa.

«E cosa?» rispose Marion.

«Ci andiamo?» chiese Agnes, esasperata.

«Be’, io credo di andarci. Se vuoi puoi venirci anche tu».

«Dov’è?»

«Nell’aula magna della St Martin». Marion buttò lì il nome come se niente fosse.

La tazza di Agnes si immobilizzò prima di arrivare alla bocca. Agnes aggrottò la fronte, perplessa. «Ma che cazzo, la scuola dei sordi?»

«Sì». Marion teneva il punto.

«Dai, Marion, mi prendi in giro: i sordi che ballano?»

«Non ti prendo in giro. E perché i sordi non dovrebbero ballare?»

«E con cosa? Con cosa ballano?»

«Con la musica» disse Marion, come se quella di Agnes fosse una domanda stupida.

«Ma non la sentono la musica, Marion. Cosa sei, scema, cazzo?»

«Be’, Signorina Sotuttoio, se vuoi proprio saperlo la sen­tono, cioè, in un modo un po’ diverso. Fanno così: la band mette gli amplificatori sul pavimento, e poi suonano molto molto forte, e i sordi ballano con le vibrazioni» le spiegò Marion. Agnes si rese conto che Marion faceva sul serio. Era sbalordita.

«Marion Delany, faresti qualsiasi cosa per trovarti un uomo».

«Non è vero».

«E invece sì».

«No».

«Sì».

«No».

«Sì».

«Agnes!!!» si alzò il grido di Nellie Nugent, dall’altra parte della strada.

«Oh, merda». Agnes buttò la sigaretta per terra e ci mise sopra un piede. «Ci si vede dopo. Questa oggi è come una puttana su un’Honda». Agnes scappò via di corsa. Al volo, Marion le gridò: «No!»

Nellie Nugent, come al solito, non era contenta. «Cazzo, ho detto pausa, non vacanza» le abbaiò contro.

«Mi scusi, Mrs Nugent» disse Agnes, remissiva.

«Dai, adesso mettiti a urlare e vendi un po’ di quelle ca­rote prima che diventino nere» le ordinò Nellie.

Agnes era senza parole. Nellie le stava dicendo di ven­dere. Rimase lì impalata per un attimo. Non era sicura di aver capito bene.

«Che cosa aspetti?» la incalzò Nellie. Agnes aspettava que­sto momento dal primo giorno che lavorava a Moore Street. Ma credeva che arrivasse con qualche preavviso, un giorno

o due… Agnes prese in mano un po’ di carote. «Quanto, Mrs Nugent?» chiese a bassa voce. «Due pence la libbra» annunciò Nellie. Agnes fece di sì con la testa e si spostò dal lato della

strada. Si schiarì la voce e cominciò. «Belle carote, due pence la libbra» disse, ma la sua voce era poco più di un mormorio, una specie di canto. «Belle carote, due pence la libbra» intonò di nuovo.

Nellie Nugent alzò lentamente la testa dalle casse che stava impilando, a bocca aperta e con gli occhi spalancati. Se ne accorsero anche altre venditrici, che smisero di ri­chiamare i clienti. I quali si accorsero che nessuno li richia­mava, si fermarono e si guardarono intorno per capire che cosa guardavano le venditrici. Tutta Moore Street, dal lato di Henry Street, era immersa nel silenzio, unica eccezione la voce di Agnes.

 

«Belle carote, due pence la libbra». La guardavano tutti stupefatti. E lei di nuovo: «Belle carote, due pence la libbra».

Per la prima volta, le venditrici ascoltarono la sua canti­lena. Il primo a ridere fu un cliente, a cui fecero seguito al­cune fruttivendole. Nel giro di pochi secondi era un boato generale. Agnes si fermò e diventò rossa. Nellie Nugent uscì dalla bancarella e andò da lei, dal lato della strada. La fac­cia di Nellie era a pochi centimetri da quella di Agnes, la quale era così in imbarazzo che gli occhi le si riempirono di lacrime. Voleva ributtarsi nell’enorme grembo di Nellie, af­fondarci la faccia. Nellie aprì la bocca, e ne uscì il grido più acuto che Agnes avesse mai sentito. «BELLE CAROTE, DUE­PENCELALIBBRA!» urlò.

Nellie aveva gridato con una forza tale che l’aveva pettinata all’indietro. Agnes a questo punto si sentì ancora più in imbarazzo, e una lacrima le rigò la faccia. Marion, che ri­deva, smise di ridere vedendo Agnes che si sbriciolava di fronte a Nellie.

«Tira fuori la voce, ragazzina! Devi VENDERE, non CHIE­DERE LA CARITÀ!» disse Nellie, ad Agnes e a tutta la strada.

Agnes aveva le labbra che le tremavano; si girò e si buttò di corsa nella calca. Marion si tolse il grembiule, lo gettò sulla bancarella e le andò dietro. Da una certa distanza, vide Agnes che prendeva la porta del Madigan’s Pub. Quando entrò an­che lei nel pub, per prima cosa guardò nella saletta. Vuota. Poi provò in bagno. Le bastò dare una spinta alla porta del bagno per sentire i singhiozzi. Agnes si era chiusa in uno dei tre cessi, perciò Marion si avvicinò alla porta e bussò piano.

«Tutto a posto, Aggie?»

Nessuna risposta.

«Aggie, tutto a posto?» chiese di nuovo Marion.

«Va’ via» rispose Agnes, dopo un attimo di silenzio.

Marion si tirò fuori una sigaretta dalla tasca e sfregò un fiammifero sul muro del bagno. Lo zolfo si accese, e Ma­rion avvicinò il fiammifero alla punta della sigaretta. Diede una lenta boccata e si lasciò uscire il fumo di bocca, guar­dando la spirale che saliva verso la luce dell’unica finestra che illuminava il bagno. Poi soffiò sul fiammifero e si ap­poggiò con la schiena al muro. Quando aprì bocca, parlò ri­volta al fumo. «Mi ricordo la prima volta che ho dovuto vendere. Un giorno ero lì alla bancarella, vicino a mia ma­dre, e quella mi fa: “Vai là fuori a vendere un po’, su!” Al­lora mi guardo la bancarella da cima a fondo. Mia mamma aveva un sacco di roba, ma io metto gli occhi sull’uva che brilla al sole e su delle scatoline di datteri. Li mettevano dentro scatoline di legno, hai presente? Otto a scatola. E al­lora prendo una scatola di datteri e salgo sul barile di mia mamma e mi metto a urlare: “Datteri neri, datteri verdi, datteri secchi, otto a uno scellino!” Cristo, adesso sembra facile, ma allora io urlavo e usciva una cosa tipo: “Date ri­neri date riverdi date risecchi ottunoscilino”». Marion rise da sola; dal cesso non usciva un suono. «Giuro su Dio, cazzo, c’era della gente che pensava che fossi albanese. Mia mamma mi tira via con una mano sulla bocca come in un rapimento, e mi trascina dietro la bancarella. “Senti” mi fa, “non devi cercare di vendere tutto in un colpo solo”. “Per­ché?” faccio io. “Che cosa devo fare?” “Prendi la cosa mi­gliore della bancarella” mi fa lei, “e vendi quella, e quando il cliente vede le altre cose che hai su ne compra un po’ an­che di quelle”. “Bene” faccio io. Poi le chiedo, “E qual è la cosa migliore della bancarella, ma’?” “Sei tu” mi fa lei, e mi strizza l’occhio. Ci ho pensato un attimo, ma poi l’ho ca­pita. Allora salgo sulla cassetta e mi passa davanti una vec­chia. “Signora” le faccio, “venga qui che ci penso io, che mi sa che ha perso la strada”. La vecchia mi sorride e viene da me. Le ho venduto due scatole di datteri e un mazzo di erbe miste. Non me lo dimenticherò mai. È una vita che guardo mia madre che vende, e la prima volta che ci provo faccio un gran casino. Aggie, se mi ascolti, non so come farai a ti­rare fuori i soldi per andare in Canada, ma di sicuro lì den­tro non li trovi». Marion buttò il mozzicone di sigaretta nel water, e si sentì uno sfrigolio al contatto con l’acqua. Poi tirò la catena e uscì.

Quando tornò alla bancarella, sua madre le chiese: «Sta bene la tua amica?»

Marion fece di sì con la testa e si rimise a vendere. «Guar­date che belle mele da dolce, un penny l’uno, sette a dieci. Cristo, signora, ma che bel giaccone, le vuole proprio un gran bene, perché non gli porta a casa un po’ di mele da dolce, che gli addolcisce un po’ la vita?» E le fece l’occhiolino.

 

Nellie Nugent l’aveva vista tornare molto prima che ar­rivasse, ma fece finta di niente finché non se la trovò da­vanti, dall’altra parte della bancarella. La guardò in faccia; aveva pianto, la ragazza.

«Cosa c’è?» le chiese, impaziente.

«Sempre carote?» chiese Agnes.

«Sempre carote, e sempre due pence del cazzo» rispose Nellie, e si mise a servire un’anziana.

Agnes si chinò a rovistare sotto il telo di copertura della bancarella, e alla fine tirò fuori un barile di legno. Lo si­stemò a mezzo metro dalla bancarella.

Marion, dall’altra parte della strada, sentì il gomito di sua madre mentre pesava dei funghi per una cliente. «Guarda» le fece sua madre puntando il mento in direzione di Agnes. Marion si mise a guardare.

Agnes salì sul barile e alzò la mano che teneva le carote. Prese un gran respiro. «Bellissime carote dorate, strappate alla terra di prima mattina, solo duepencelalibbra!» La sua voce veleggiava da una parte all’altra della strada affollata.

«Carote fresche, duepencelalibbra!» Adesso la sua voce era come musica. «Beeellisssime carote irlandesii, dueeep­pencelaliiibbraaa» faceva, ed era un canto melodioso. Una donna la tirò per la gonna.

«Me ne dai due libbre, tesoro?» le chiese.

Nellie le rispose prima che Agnes potesse aprir bocca. «Vieni da me, tesoro! Ti servo io, lei è occupata a vendere. Vai avanti, dolcezza». Nellie pesò le carote. Agnes si rimise a cantare. Lanciò un’occhiata a Marion. Si scambiarono un sorriso.

La cliente di Marion le fece fretta. «Tutto a posto, te­soro? Vorrei i miei funghi».

«Un secondo, signora. E che cazzo, non sono mica una macchina» rispose secca Marion mentre infilava i funghi nella busta.

«Se la caverà» fu il giudizio finale della madre di Marion.

«Sì, mamma. Sì sì, se la caverà» rispose Marion.

Quel giorno, alla melodia del coro di Moore Street si era aggiunta una nuova voce.