Fu un vortice di passione. Con Tommo, a Marion sembrava di toccare il cielo con un dito… e nel suo caso ce n’era da fare parecchia, di strada. Nei sei mesi seguenti, Agnes la vide quasi solo sul lavoro. Ormai Dolly andava a trovarla da sola, la domenica, perché Marion e Tommo andavano sempre da qualche parte. A fare un picnic a Bray Head, allo zoo eccetera eccetera. La sera, Agnes poteva parlare solo con Connie, e non aveva nessuno da ascoltare. Le mancava Marion. Al lavoro, Nellie stava sempre peggio, perciò ormai Agnes ci andava da sola dai grossisti, e Nellie si faceva vedere alla bancarella solo un paio d’ore al giorno. Agnes invidiava Marion. Bello avere qualcuno che ti vuole bene. Con cui condividere le cose. Che ti ascolta e ride alle tue battute. Dei bambini. Una vita. Diventava ogni giorno più malinconica.
Era in piedi di fianco alla bancarella a pensare a cose come queste quando fu interrotta da Marion. «Un penny per i tuoi pensieri» si sentì dire.
«È un penny buttato via» rispose Agnes sorridendo. Marion tirò fuori un pacchetto di sigarette. Se ne accesero due e si misero sedute sulla cassetta delle mele.
«Nellie è via anche oggi?» domandò Marion, anche se lo sapeva già.
«Sì. Non riesco a capire cos’ha. Dal dottore non ci vuole andare, e sta sempre peggio». Agnes era davvero preoccupata, non faceva così per dire.
«Eh… E te come stai?» le chiese Marion.
«Oh, bene».
«Ti manco?» ridacchiò Marion.
Ma Agnes rimase seria. «Sì, Marion, mi manchi. Mi manchi da morire».
«Be’, anche te a me, da morire». Marion intrecciò un braccio al braccio di Agnes. «Gliel’ho detto, a Tommo. Gli ho detto che ci vediamo il lunedì, il venerdì e il sabato. Il resto della settimana sto con la mia amica Agnes». Le sorrise.
«Davvero gli hai detto così?» le chiese Agnes.
«Ma certo. E di domenica, gli faccio, dobbiamo andare a trovare Dolly». Si abbracciarono.
«Oh, Marion, come facevo quando non c’eri?» Agnes era emozionata.
«È il minimo, Agnes. Non posso mica trascurarla, la mia damigella d’onore» disse Marion.
Agnes ci mise un attimo ad arrivarci. «Damigella? Cioè…!»
«Cazzo, sì, Agnes Reddin. Un cazzo di vestito bianco, un cazzo di ricevimento, tutto il pacchetto del cazzo, dalla porta di casa all’altare!» Si misero a strillare, ad abbracciarsi e a ballare in tondo, facendosi dei buchi da sigaretta nei rispettivi cardigan.
La domenica dopo, Agnes portò la buona novella a Dolly. Dolly disse che le faceva piacere, ma non sembrava.
«Cosa c’è che non va, Dolly?» le chiese Agnes.
«Cosa c’è che non va? C’è tutto che non va. Questo posto. Non ho fatto niente, porca puttana!» Si mise a piangere.
«Ehi, fate piano» alzò la voce una guardia.
«Ma vaffanculo!» gli rispose Dolly.
«Come?» chiese la guardia alzandosi in piedi.
Si alzò anche Agnes. «Niente. Ci scusi, facciamo piano». La guardia si mise a sedere. Agnes tornò da Dolly. «Cristo santo, Dolly, calmati. Non farlo incazzare» la sgridò.
«Vaffanculo lui e tutti quelli come lui. Si fanno vedere solo al cancello. Bastardi! Fanno finta di perquisirci per tastarci le tette. Ci spiano quando facciamo la doccia e si toccano davanti a noi. Ci infilano il manganello nelle mutande e ce lo spingono in mezzo alle gambe. Bastardi!»
«Basta!» urlò Agnes. «Basta, Dolly, per favore». Agnes si mise a piangere. E poi anche Dolly. Dolly allungò la mano sotto il tavolo e la appoggiò alle mani tremanti di Agnes.
«Scusami, Agnes, è solo una giornataccia!»
«No, scusami tu, Dolly. Dovresti già essere fuori di qui. Non ho fatto abbastanza per tirarti fuori». Agnes era distrutta.
«Stai buona, Agnes, cos’altro potevi fare? Adesso basta, dai!» Rimasero un po’ in silenzio. La vita di Dolly era un incubo troppo grande perché Agnes riuscisse a contemplarlo tutto.
«Meglio che vai, Aggie. Di’ a Marion che le faccio gli auguri, tanti auguri davvero». Dolly si alzò e uscì. Agnes se ne andò a passi lenti. Si sentiva impotente. E lo era.
Il matrimonio di Marion fu un grande avvenimento. Col suo abito nuziale, a un metro e cinquanta scarso da terra – coi tacchi – e larga più o meno quanto era alta, Marion sembrava una partita di sacchi di farina. Ma brillava di felicità, come il suo novello sposo. Tommo e Marion vennero uniti in matrimonio nella chiesa di St Jarlath dal prete “nuovo”, padre Pius. Questo prete giovane e belloccio era appena tornato dalle missioni in Africa. Stava sull’altare tutto sorridente, perché era la sua prima cerimonia nuziale in patria. Le fedeli della parrocchia guardavano il prete, più che la coppia di sposini. E come biasimarle? Pronunciava ogni parola della messa in tono profondo ma pacato. Quando andò al tabernacolo a prendere l’ostia, sembrava che non toccasse nemmeno terra, con i suoi paramenti colorati; abbronzato, con i capelli lunghi pettinati all’indietro con la brillantina, faceva sobbalzare un centinaio di cuori. Padre Pius era l’unico prete della parrocchia che avesse meno di sessant’anni, per cui spiccava come un alluce gonfio. Il giovedì sera al suo confessionale c’era una coda enorme, mentre gli altri preti se ne stavano soli soletti nei loro cubicoli.
Il rinfresco di nozze era al Clarence Hotel, e Tommo aveva davvero esagerato. Cocktail all’uva, petto di pollo ripieno, torta di marzapane allo sherry per un’ottantina di bocche fameliche. Nel piatto di Marion c’era un extra di patatine fumanti ricoperte d’aceto. Agnes era divina. Indossava un vestito di raso color lavanda con cintura viola e coroncina in tinta. Dopo il rinfresco, i tavoli furono liberati e accostati alle pareti per ballare e per bere. Quando attaccò la banda, Tommo e Marion fecero il primo ballo come Mr e Mrs Monks. Li applaudirono tutti quanti, e poi ci fu una gran corsa di donne che andavano a chiedere al prete “nuovo” se voleva ballare. Lui rifiutò cortesemente tutti gli inviti e attraversò la sala per chiedere un ballo alla damigella d’onore. Agnes disse di sì. Quei due ballarono sotto gli occhi furiosi di tutte le donne presenti, con le più vecchie a disapprovare il comportamento sconveniente del pretino e le più giovani a morire d’invidia. Alla fine del ballo, Agnes ringraziò il prete. Lui la riaccompagnò alla sedia.
«Come sta tua madre?» le chiese. Agnes fu colta un po’ di sorpresa.
«Sempre uguale, padre. Grazie» rispose senza fornire grandi informazioni.
«L’ho vista giù ai negozi. Una donna notevole. Ti dispiace se vado a trovarla?» le chiese lui.
«No, certo che no». Agnes non amava molto i preti, ma questo le piaceva.
«Allora ci vado» disse lui con la voce che sorrideva. E poi se ne andò, sapendo che lo avrebbero fatto ballare allo sfinimento fino a sera.
Agnes tornò alla sua sedia e ai suoi pensieri, che adesso erano molto confusi. Non c’entrava col prete. Era per via della lettera che le era arrivata quella mattina. Era battuta a macchina, per cui era riuscita a leggerla; faceva fatica a leggere le cose scritte a mano. Aprì la borsetta per riguardarsela. C’era sopra quella foglia d’acero rossa, enorme, e le parole dorate «Ambasciata del Canada». Decise di rileggerla.
Gentile Miss Agnes Reddin,
le scrivo in riferimento alla domanda per ottenere un visto di immigrazione e permesso di trasferimento assistito in Canada, e più specificamente a Toronto, Ontario, da lei inoltrata qualche tempo fa.
Al momento della domanda, questa ambasciata la informò a mezzo posta che si trovava al di sotto del limite minimo di età. Tuttavia la domanda è stata conservata in archivio, ed è venuta alla luce nel momento in cui lei ha raggiunto detto limite. Nel caso fosse ancora interessata, mi è stato chiesto di informarla di quanto segue:
Con riserva fino all’espletamento di una visita medica le cui spese verranno sostenute da questa ambasciata, la sua domanda è stata accettata. La preghiamo di contattare questo ufficio per prenotare la visita, entro sessanta giorni dal ricevimento della presente. La preghiamo altresì di fornire a questa ambasciata il suo passaporto irlandese, che andrà allegato al visto.
Cordiali saluti,
Mr Stanley DeBruin
Sezione visti
Le veniva in mente l’eccitazione di quando aveva compilato la domanda, e intanto che compilava pensava alla sua nuova vita in un posto nuovo. Da allora quante cose erano cambiate! Come faceva ad andare via, adesso? Connie sarebbe rimasta sola, e Dolly probabilmente sarebbe stata rinchiusa in prigione tutta la vita. Piegò la lettera e la rimise nella borsetta. Quando alzò gli occhi, lui era lì in piedi davanti a lei. Marion lo teneva per un braccio. Glielo aveva portato al tavolo.
«Agnes, ti presento Rosso Browne» annunciò Marion. «Ciao» buttò là Agnes. «Ehilà, ragazza!» rispose lui. Era carino, e anche ben ve
stito. «È un amico di Tommo, ed è il miglior ballerino della sala da ballo Ierne. Cercava qualcuno per ballare, e io gli ho
detto che eri la migliore, vero?» disse Marion, chiedendo
conferma al ragazzo con i capelli rosso fuoco.
«Sì, sì. Vuoi farti un giro, ragazza? Che ne dici?»
Agnes si fece un giro con Rosso. Pochi minuti dopo, la pista era tutta loro. Quel tizio sì che sapeva ballare, pensò Agnes. Andarono avanti all’infinito, con brevi intervalli di cui Agnes approfittava per mandare giù una vodka, e poi via, di nuovo in pista. A fine serata le girava la testa, e non si era mai divertita tanto. Lui le chiese se poteva accompagnarla a casa, e a lei fece piacere.
Sulla via di casa fecero due chiacchiere; in realtà le fece lui, e ben più di due. Si chiamava Nicholas Browne. Il soprannome gliel’avevano affibbiato per un motivo evidente, la criniera rossa. Di anni ne aveva ventuno, uno e mezzo in più di Agnes. Prima lavorava al deposito di carbone; era lì che aveva conosciuto Tommo. Non pensava che lo invitasse alla baldoria, perché non è che lo conoscesse così bene, Tommo, anzi, credeva che fosse un ritardato. Agnes si risentì un po’ per questo commento, ma poi si disse che almeno era onesto. Alla fine della camminata, Agnes sapeva tutto quello che c’era da sapere su Rosso Browne. Si fermarono davanti alla porta di casa.
«Be’, eccoci qua, questa sono io!» Agnes abbracciò con un gesto la facciata dell’edificio, come se fosse Buckingham Palace.
«Benissimo!» disse Rosso prendendo le scale di corsa. Prima che Agnes se ne rendesse conto, erano seduti al tavolo della cucina con un tè davanti. Agnes era molto ubriaca e voleva andare a letto, ma Rosso non la smetteva più di parlare. Finché non si rese conto che aveva esagerato.
«Cristo santo, scusami, tesoro. Faccio sempre così quando sono nervoso. Capito, no? Parlo». Era imbarazzato.
«Ma no, anzi, è molto interessante» mentì Agnes. Fu lì che cominciò. Da un momento all’altro, lui si sporse verso di lei e la baciò. Lei si sciolse. Lui le mise le mani addosso. Agnes perse il senso di dove si trovavano, e per un attimo si disse: Quante mani ha, questo maledetto? Lui la stese per terra. Poi si tirò giù la cerniera e tirò fuori il membro.
«Che cazzo è quello?» chiese Agnes con una vocina terrorizzata.
«Eh sì, ragazza. È grande, vero?» si vantò lui.
«No, davvero. Cos’è?» chiese Agnes. Non lo aveva mai visto, il pene di un adulto. Troppo tardi. Nei dieci minuti seguenti, Agnes perse la verginità sul pavimento di casa di sua madre. Accadde tutto così in fretta che non capì nemmeno bene cosa succedeva. Era confusa, si sentiva malissimo all’idea di “farlo”, ma allo stesso tempo le piaceva da morire. Qualcuno la voleva, e questo la faceva sentire bene… o male. Cinque minuti dopo, Rosso era sparito. Agnes entrò nella vasca e si lavò finché l’acqua non diventò fredda. Passò la nottata a sorridere e a singhiozzare, a intervalli regolari.