CAPITOLO 1

Cara saltò giù dal taxi e vi girò attorno di corsa. Attese con impazienza che il taxista sbloccasse il bagagliaio. Levò gli occhi al cielo quando il ragazzino la squadrò prima di farlo.

Con il suo metro e cinquantasette di altezza per quarantacinque chili piuttosto scarsi, Cara era abituata a vedere gli uomini che le prendevano le misure… e che solitamente la trovavano mancante. Aveva la testa piena di corti capelli rosso scuro con ciocche viola, una spruzzata di lentiggini sul nasino a punta e un sorriso pronto sulle labbra leggermente troppo piene per essere alla moda. Per non parlare del fatto che, a ventiquattro anni, ne dimostrava una quindicina. Sfortunatamente, il giovane taxista non sembrava molto più vecchio di lei e la guardava nello specchietto retrovisore da quando era venuto a prenderla fuori dal suo appartamento.

“Ti andrebbe di uscire con me uno di questi giorni?” chiese nervosamente il taxista butterato.

“Dipende,” disse Cara con un sorriso birbantesco. Girò rapidamente attorno al ragazzino per afferrare lo zainetto, che conteneva i vestiti di ricambio e un pesante cinturone per gli attrezzi. “Vedi, prima devo ottenere l’approvazione. Mio zio è il capo della mafia della Costa Est, per cui dovrai inviare un campione di sangue,” disse Cara mentre porgeva al ragazzino una banconota da venti dollari. “Niente di impegnativo, naturalmente: solo una fiala o due.”

Il pomo d’Adamo del ragazzino fece su e giù nervosamente. “Un campione di sangue? Per uscire?”

Cara sorrise mentre reggeva in una mano il bicchierone di caffè che aveva comprato dopo essere uscita dall’appartamento e raccoglieva il cinturone con l’altra. “Naturalmente.” Ammiccò al ragazzo e si sporse in avanti, bisbigliando: “Sai… potresti essere un poliziotto sotto copertura.”

“Un poliziotto sotto copertura…” balbettò il giovanotto.

Cara annuì con l’aria di chi la sapeva lunga. “Un poliziotto sotto copertura. Mio zio deve assicurarsi che tu sia pulito, il che significa che dovrà verificare tutto il tuo passato. Se sei un poliziotto, beh… diciamo solo che non ti piacerebbe se lui lo scoprisse. O peggio ancora, un pregiudicato. Non ti hanno mai arrestato, vero? Spero che tu non ti droghi!” Cara fece una pausa a effetto. “Lui non lo sopporta. Voglio dire, potrebbe capire se tu spacciassi, purché non intacchi i suoi guadagni, ma farti? Assolutamente no. Mio zio dice che questo porta a essere indiscreti e odia chiunque… beh, lo sai.”

“Beh, magari un’altra volta,” disse nervosamente il ragazzino, che aveva assunto un colorito verdastro. Cara ridacchiò mentre lo guardava rimbalzare sulla portiera del taxi nel tentativo di salire in auto prima di finire di aprirla.

Dio, adorava prendere in giro la gente. Potevi dire qualunque cosa, purché lo dicessi in maniera abbastanza convincente. La mafia della Costa Est! Che roba! Zio Wilfred, che Dio l’avesse in gloria, si sarebbe rivoltato nella tomba se avesse saputo che lei gli aveva rivolto accuse del genere. Ma era stato divertente vedere la faccia del ragazzino mentre si beveva tutto quello che lei diceva.

Dopo essersi infilata al coperto del terminal, Cara guardò di fuori, grata per la piccola tettoia che la proteggeva da buona parte degli scrosci. La giornata era cominciata con una turbolenza in rapido avvicinamento. Cara aveva parlato con Trish, che era parsa convinta che la turbolenza sarebbe passata in tarda mattinata, permettendo loro di prendere il volo.

Gli ingegneri della Boswell International le avevano chiesto di volare assieme a Trisha Groove e Ariel Hamm, pilote di un nuovo business jet sperimentale di cui Cara era capo meccanico da due anni. Il suo compito consisteva nell’ordinare alle due donne di eseguire una serie di test durante il volo di ritorno e di riportare le sue conclusioni.

Cara bevve un sorso di caffè e attraversò il salottino privato del piccolo aeroporto che ospitava la flotta di aerodinamici business jet della Boswell International. Mostrato il tesserino a uno degli addetti alla reception, attraversò le porte scorrevoli che portavano all’hangar.

“Cara!” esclamò Ariel da sotto una delle ali mentre svolgeva un’ispezione pre-decollo.

“Ariel!” Cara fece un gran sorriso mentre andava incontro all’altra donna e la stringeva in un breve abbraccio. Ariel, Trisha e Cara lavoravano insieme da cinque anni alla Boswell International e spesso si vedevano nel fine settimana, quando erano tutte nello stesso posto. Cara era figlia unica, per cui era naturale che Ariel e Trish assumessero il ruolo di sorelle maggiori surrogate quando l’avevano conosciuta.

“Dov'è Trish?” chiese Cara, posando a terra il cinturone e lo zaino.

“È in cabina che cerca di orientarsi. I nuovi controlli sembrano usciti da un film di fantascienza. Nell’ultima settimana, abbiamo trascorso più tempo al simulatore che a casa,” disse Ariel mentre passava la mano su una delle ali.

“Sì, ho seguito le procedure. Ho programmato il simulatore e ho analizzato i fattori di stress sulla base dei test che avete eseguito,” rispose Cara, saltando dalla fusoliera dell’aereo alle ali prima di usare gli appigli per i piedi e arrampicarsi fino al motore e darci un’occhiata.

Ariel cercò di seguire Cara, ma presto si arrese: era come guardare una pallina di gomma in movimento. Scuotendo la testa, chiese: “Quando? Ho sentito dire che lavoravi su altri due progetti. Non eri a Detroit ieri e a Filadelfia l’altro ieri?”

Cara si strinse nelle spalle sottili mentre beveva un lungo sorso di caffè. “Sì. Non dormo da quasi settantadue ore! L’ho fatto ieri, quando sono tornata. Sono andata in ufficio per finire il lavoro e ho avuto tempo di fare una doccia veloce prima di venire qui. Il taxista mi ha chiesto di uscire, ma io gli ho detto che mio zio era il capo della mafia della Costa Est e che avrebbe dovuto sottoporsi a un esame del sangue prima che potessi uscire con lui. Lo sai che questa bellezza può abbreviare la maggior parte dei voli interni di circa quarantadue minuti? Non sembra tanto, ma si accumula nel corso degli anni. Voglio vedere quanto in fretta può andare durante il viaggio di ritorno. Ho sentito che porterete un passeggero in California. Hai avuto notizie di Carmen negli ultimi tempi? Mi chiedo se il progetto del nuovo motore possa essere adattato al TX-11 su cui sta lavorando Detroit.”

“Un momento, un momento!” esclamò esasperata Ariel. “Mi sono persa dopo il taxista. Da quando tuo zio aveva a che fare con la mafia? Pensavo che fosse un giudice.”

Cara saltò giù con agilità dall’ala, badando a non versare il caffè. “Lo era. Ho detto a quel ragazzino che zio Wilfred era un duro solo per levarmelo di torno.”

Ariel gemette. “Perché volevi levartelo di torno? Fai sempre così! Come puoi piacere a un uomo se li tratti tutti così?”

“Fidati: questo non era decisamente quello giusto,” disse Cara, facendo un gesto con due dita. “Mi ricordava lo spaventapasseri del Mago di Oz. Almeno devi riconoscermi che ho buon gusto. E poi, io avevo almeno sei anni più di lui! Mi sarebbe sembrato di negare a qualche povera ragazza un accompagnatore per il ballo della scuola.”

Cara passò sotto la fusoliera del piccolo business jet per andare a ispezionare l’altro lato. Sentì Ariel che borbottava sottovoce. Non era colpa sua se nessuno degli uomini che Ariel e Trish continuavano a presentarle le accendeva qualcosa dentro. Per la miseria, le era successo una sola volta e sapevano tutte come era andata a finire. Cara rifletteva raramente sulle cose brutte che le erano accadute nella vita. Che senso aveva? Certe cose succedevano e basta. Bisognava farsene una ragione.

Cara aveva fatto proprio quello. Aveva deciso di non correre mai più il rischio di amare una persona. Tutte le persone che aveva amato se n’erano andate o erano morte. Beh, con l’eccezione di Ariel e Trish, e Cara si aspettava comunque che accadesse loro qualcosa. Erano pilote collaudatrici, per la miseria. Dovevano per forza avere una speranza di vita breve!

Dio, pensò Cara, se non sto attenta, rischio di diventare insopportabile.

Da quando le importava qualcosa di quello che pensavano gli altri? Aveva imparato ben presto che l’unica persona su cui doveva fare affidamento era se stessa. Accidenti, sua madre era morta prima che lei compisse un anno e suo padre non era nemmeno riuscito a tenerla con sé una volta che aveva compiuto quattordici anni. Certo, Cara era stata difficile da gestire. In fondo, era più intelligente della media.

Se l’era presa a morte quando il suo padrino nonché zio surrogato, Wilfred, aveva trovato un collegio per bambini dotati come lei. L’avevano mandata a trascorrere la maggior parte dell’anno presso una scuola il cui obiettivo era espandere le doti creative di bambini intelligentissimi.

Cara aveva ottenuto risultati eccellenti, semplicemente perché non si era integrata. La maggior parte dei ragazzini veniva da famiglie altolocate, con un titolo prima o dopo il nome. Lei era originaria di una cittadina fra le montagne del Tennessee di cui nessuno aveva mai sentito parlare. La sua unica salvezza erano le sue capacità con qualunque tipo di motore o computer. Riusciva a comunicarci a un livello che le risultava impossibile con gli altri esseri umani. Perdiana, persino Trish e Ariel la sopportavano solo a piccole dosi.

Cara finì la sua ispezione proprio mentre Trish scendeva la scaletta. “Ehi, Trish.”

Trish si voltò e sorrise. “Ehi, Cara. Benvenuta a bordo! È il tuo primo volo sulla nuova serie Phantom?”

“Sì. Sono proprio ansiosa di mettere alla prova questa bellezza,” disse Cara, prendendo lo zaino e il cinturone. Si voltò alla vista di una figura vestita completamente di nero che uscì dalla porta che conduceva all’ufficio. Inarcò le sopracciglia per lo stupore e lanciò un’occhiata a Trish. “Viene anche Carmen?”

“Sì,” rispose Trish, guardando Ariel incamminarsi verso la sorella. “Ariel ha avuto il permesso di portare Carmen con sé. Siamo diretti in California per portare a casa un’artista. I Boswell le hanno commissionato un’opera e Carmen aveva bisogno di un passaggio,” disse Trisha. Lanciandosi un’ultima occhiata alle spalle prima di voltarsi per risalire la scaletta del jet, disse: “Non sta ancora molto bene.”

Cara spostò nuovamente lo sguardo. Carmen doveva aver detto a sua sorella qualcosa che aveva fatto incazzare Ariel. Ariel era rossa in viso e aveva gli occhi chiusi in preda alla frustrazione. Cara sorrise: anche lei sembrava fare spesso quell’effetto ad Ariel. Se non altro, questa volta non era colpa sua.

Carmen rivolse a entrambe un breve cenno del capo mentre si spostava verso la coda del jet e si allacciava la cintura. Tirò fuori il telefono e cominciò a parlare a bassa voce.

D’accordo, pensò Cara. Palesemente, non ha voglia di comunicare. Cara ripose il cinturone e lo zaino nella cappelliera e si sedette. Sarà un volo lungo. Gemette, pregando in silenzio di riuscire a dormire per la maggior parte di esso. Era uno dei motivi per cui era rimasta in piedi così a lungo. Era fortunata se riusciva a dormire quattro o cinque ore a notte. Sapeva che, se fosse rimasta sveglia nel corso di un volo di sette o otto ore, avrebbe cercato di fuggire dall’uscita di emergenza! Era terribilmente claustrofobica e sapeva che starsene seduta in una lattina l’avrebbe spinta oltre i suoi limiti, nonostante gli esercizi che le aveva insegnato la sua terapeuta.

“Ciao. Mi chiamo Abby,” disse una voce proveniente dall’ingresso del jet.

“Cara,” rispose lei con un enorme sorriso. “Sono il meccanico.”

Abby sorrise. “E io sono l’artista.”

Lo sguardo di Cara fu attirato dai delicati braccialetti d’oro che avvolgevano i polsi snelli di Abby. Riusciva quasi a sentire l’energia che essi emanavano! La maggior parte delle persone non avrebbe mai visto le spirali delicate che si muovevano all’interno dell’oro, ma Cara non solo poteva vederle, riusciva anche a capire ciò che la sostanza stava cercando di comunicare. Incapace di distogliere lo sguardo dalle fasce dorate, si protese istintivamente e ne toccò prima una e poi l’altra.

“Come va, piccoletti?” mormorò Cara con voce sommessa. “Vi state prendendo buona cura di lei? Siete proprio carini.”

Cara sentiva il calore che emanavano i braccialetti e osservò i disegni a spirale cambiare mentre lei li toccava e parlava con loro. Erano creature vive e animate. Ne era sicura. Era quasi come se la stessero implorando di mantenere il loro segreto.

“Lo so, tesoro. Lo so,” bisbigliò Cara. “Il vostro segreto è al sicuro con me.”

Abby la guardò in maniera strana, ma Cara si limitò a sorridere. Per qualche motivo, si sentiva più in pace di quanto non fosse da molto tempo. Si allacciò la cintura mentre la voce di Ariel giungeva dagli altoparlanti e chiedeva a tutti di assicurarsi che i loro effetti personali fossero riposti in sicurezza e di allacciare le cinture. La perturbazione era finalmente passata e avevano ricevuto l’autorizzazione al decollo.

Cara continuò a lanciare occhiate ai braccialetti ai polsi di Abby, ridacchiando e ammiccando mentre le spirali facevano dentro e fuori le une dalle altre. Una volta in aria, Carmen si fece un pisolino e Cara colse l’occasione per dare un’occhiata all’aereo. D’accordo, ammise, ne diede tre o quattro di occhiate prima di avere la certezza che l’aereo non si sarebbe smontato nel bel mezzo del viaggio. Quello sì che sarebbe un problema, pensò il lato poco ottimista di lei.

Una volta concluso, Cara aveva finito il suo enorme caffè e, nonostante tutta la caffeina che aveva in corpo, avvertì il peso della stanchezza. Settantadue ore e passa erano il suo limite, pensò sonnolenta prima di precipitare in un sonno colmo di sogni di piccoli braccialetti dorati che si trasformavano in uccellini.