Cara non aveva idea di dove la stesse portando la creatura dorata, ma dato che essa sembrava averla presa in simpatia ed era protettiva nei suoi confronti, probabilmente era il caso di seguirla. E poi, altrimenti non avrebbe saputo dove andare. Aveva seguito la creatura dopo che l’ascensore si era fermato, percorrendo alcuni altri corridoi e svoltando due o tre volte prima che essa attraversasse la porta di quello che sembrava una specie di alloggio.
Cara si stupì nel constatare quanto era aperto e spazioso l’ambiente. Aveva sempre pensato che gli alloggi a bordo di una nave spaziale fossero grandi come un francobollo. Quello era composto da diverse stanze. Cara diede un’occhiata attorno all’ingresso, prendendo nota di un salottino, di quello che sembrava un piccolo tavolo da pranzo e di uno strano congegno a parete che somigliava in maniera sospetta a quelli da dove uscivano il cibo e le bevande in Star Trek. La stanza successiva era più piccola, ma soprattutto perché al centro di essa si trovava uno dei letti più grandi che lei avesse mai visto!
Se mai ci dormirò dentro, dovranno mandare qualcuno a cercarmi, pensò ridacchiando.
La stanza successiva era una specie di bagno. Le sue funzioni erano palesi, ma al suo interno c’erano alcune cose che lei non aveva idea di come usare, non ancora perlomeno. Premette un pannello sulla parete ed esso si aprì, a rivelare asciugamani grandi e piccoli e altri articoli da toeletta. Un altro pannello rivelò dei vestiti piegati con cura e impilati per tipologia. Cara tirò fuori una camicia e se la portò alle spalle. Le arrivava quasi alle ginocchia.
Si chiese di chi fosse la stanza in cui stava ficcando il naso ed ebbe la brutta sensazione che essa appartenesse all’uomo che era il drago nero e dorato. Un drago! pensò incredula. Aveva la sensazione di essere caduta nella tana del Bianconiglio o di essere finita in un episodio di Ai confini della realtà. Sperava che la sua vita non diventasse ancora più strana.
Rimise a posto la camicia e chiuse il pannello prima di tornare nella camera da letto. Quando lanciò un’occhiata al letto, non riuscì a trattenere una risata di fronte all’immagine che le si presentò. Le coperte erano ammucchiate al centro e nel bel mezzo di esse stava il coniglio più grosso che Cara avesse mai visto, che dormiva beatamente.
Cara non riuscì a resistere alla tentazione di avvicinarsi e gattonare accanto alla creatura. Mentre la accarezzava, sottili strisce d’oro cominciarono ad avvolgersi attorno ai suoi polsi e lungo le sue braccia. Cara rabbrividì nel sentire il calore della creatura che si muoveva sulla sua pelle, avvolgendosi e torcendosi per formare fasce delicate attorno ai suoi polsi e alle sue braccia.
“Santo cielo,” bisbigliò meravigliata. “Sono proprio come quelli che aveva Abby!” La creatura dorata starnutì delicatamente prima di riabbassare la testa e riaddormentarsi.
“Tutta questa agitazione ti ha proprio stancato, vero, piccoletto?” mormorò Cara mentre accarezzava la creatura per un’ultima volta prima di scendere dal letto.
“Credo che sia giunto il momento di esplorare un po’,” disse ad alta voce. Dopo essersi portata la borsa davanti al corpo per dare un’occhiata a ciò che aveva con sé, pianse silenziosamente la perdita del cinturone. Tirato fuori un cacciavite con punte multiple nascoste nella parte superiore, decise di mettersi al lavoro sul congegno a parete nell’altra stanza.
*.*.*
Trelon abbassò lo sguardo mentre attendeva che suo fratello Kelan prendesse la parola. Sapeva esattamente cosa si presentava allo sguardo di suo fratello: la distruzione della sala del teletrasporto. Trelon guardò con la coda dell’occhio due guerrieri aiutarne un terzo a uscire dalla stanza. Costoro furono gli ultimi ad andarsene, lasciando solo lui e Kelan. Il silenzio nella stanza, con l’eccezione dell’occasionale scoppiettio, sibilo o crepitio delle attrezzature danneggiate, era fortissimo.
“Vuoi dirmi cosa diavolo ti è passato per la testa?” esordì a denti stretti Kelan mentre fissava incredulo il disastro che lo circondava.
Trelon sollevò lo sguardo, cercando di pensare a cosa avrebbe potuto dire per difendere il comportamento suo e del suo drago, ma sussultò quando delle scintille volarono da un pannello accanto a suo fratello, tempestandoli entrambi. Imprecando sottovoce, Kelan si spostò di qualche passo e strinse i denti.
“Che diavolo ti è successo?” chiese Kelan con voce frustrata.
“Non è grave come sembra…” esordì Trelon, sussultando nuovamente quando un altro pannello eruttò fumo, facendo scattare il sistema antincendio.
“Ah no?!” disse Kelan, passando lo sguardo nella stanza per la centesima volta. “Stiamo vedendo la stessa cosa, vero? Per non parlare degli otto membri della mia sicurezza che sono in infermeria con delle ossa rotte e degli altri sei che sono fuori combattimento in attesa che i loro simbionti li guariscano da tagli, strappi muscolari e contusioni.”
“Sì,” ritentò Trelon. “Posso sistemare tutto. Ci vorrà solo qualche giorno. E sarà tutto finito per quando arriveremo a casa,” disse Trelon, mentre sotto i suoi occhi un pannello si staccava dalla parete di fondo nel punto in cui il suo drago aveva scagliato uno dei suoi uomini. Beh, forse ci vorrà un po’ di più, pensò mentre prendeva atto delle ammaccature lungo una parete.
“Non capisco. Non avevi mai, mai perso il controllo del tuo drago, figuriamoci del tuo simbionte. Che diavolo è successo?” chiese nuovamente Kelan, scuotendo la testa e guardandolo come se avesse perso la testa.
“È per via della femmina,” rispose Trelon, passandosi una mano fra i capelli. Se avesse prestato attenzione all’espressione di suo fratello, invece di fare smorfie mentre prendeva atto della crepa nella piattaforma del teletrasporto, avrebbe notato come lui si era improvvisamente immobilizzato.
“Quale femmina?” chiese Kelan con voce tesa.
Trelon rispose in tono noncurante: “Quella molto piccola che è salita a bordo con Zoran e Abby. Tu ti eri già allontanato assieme agli altri quando sono stati teletrasportati.”
Kelan esalò il fiato nell’udire la risposta di Trelon. “Già. Beh, dov’è?”
Trelon sollevò lo sguardo stupito. Si era concentrato così tanto sulla distruzione che lo circondava, dopo essere riuscito a riprendere il controllo del suo drago, da aver dimenticato per un momento di verificare dove l’avesse portata il suo simbionte. Non si era dimenticato di lei; semplicemente, l’aveva riposta per il momento in fondo alla mente mentre affrontava la furia di suo fratello, che aveva visto la propria nave da guerra preferita devastata da un famigliare. Trelon chiuse gli occhi e si concentrò sul suo simbionte. Per un attimo, non giunse risposta; poi avvertì un’ondata di calore mentre sentiva la gioia del suo simbionte accarezzato dalla femmina.
“È al sicuro nei miei alloggi,” rispose sorridendo Trelon.
Kelan diede un’ultima occhiata alla distruzione prima di voltarsi per rivolgere un’occhiata severa a suo fratello leggermente più giovane. “Assicurati che ci resti, se quando è in giro succedono cose come questa.” Trelon annuì mentre guardava Kelan uscire dalla porta. Gli si piegarono le spalle di fronte alla visione della stanza rovinata, sapendo che sarebbe stata una notte molto, molto lunga prima che lui potesse vedere la femmina che, a sua insaputa, gli era destinata.
*.*.*
La lunga notte si rivelò durare quasi tre giorni. Trelon lavorò con il pilota automatico inserito. Mangiò e riposò quelle poche ore che gli riuscì di dormire nella sala del teletrasporto. Fortunatamente, la maggior parte degli uomini era tornata entro poche ore, guarita dai simbionti. Da quello che riuscì a capire dai frammenti di conversazione che udì, quattro erano ancora in infermeria. Due per ferite subite dal suo drago, quello che aveva toccato la sua femmina per via del suo simbionte e uno stava cercando di attirare l’attenzione della femmina ferita che era stata portata a bordo della nave da guerra. In aggiunta a ciò, il drago di Trelon non aveva fatto altro che ringhiare, artigliare e uggiolare. Lui aveva cercato di dirgli che era tutta colpa sua per aver perso il controllo, ma l’unico effetto era quello di farlo sentire ancora più in colpa. Era l’aspetto negativo dell’essere due metà di un tutto: Trelon provava tutto ciò che provava il suo drago.
Dal canto suo, non era messo molto meglio. Aveva risposto male, contraddetto e imprecato contro tutti, al punto che nessuno voleva più stargli vicino. Poi, tanto per peggiorare le cose, il suo simbionte si era messo a inviare allegramente a entrambi visioni della loro compagna che si metteva comoda nel letto di Trelon, che faceva la doccia, che mangiava e… La mente affaticata di Trelon non riusciva a capire cosa stesse combinando la femmina, ma sembrava che stesse smontando qualcosa nella sua stanza.
“Trelon!” ruggì Kelan mentre entrava nella sala del teletrasporto.
Lui si lasciò sfuggire un’imprecazione sommessa quando batté la testa sulla sommità dello scompartimento in cui stava lavorando. Massaggiandosi il punto dolente, si chiese stancamente cosa avesse combinato, ora.
“Sono qui,” esclamò. Non ho nemmeno il mio simbionte con me per alleviare il dolore, pensò, compatendosi da solo. Non vedeva il suo simbionte da quando Cara – aveva finalmente appreso il suo nome da Kelan durante una delle sue numerose visite – era salita a bordo. Di solito, aveva sempre almeno i bracciali su polsi e braccia, ma persino quelli lo avevano abbandonato.
“Devi fare qualcosa per la tua femmina. Quella mi distrugge la nave!” ringhiò ad alta voce Kelan.
Trelon notò che diversi uomini avevano smesso di lavorare per poter osservare il confronto. Probabilmente, stanno facendo scommesse nella speranza che io venga preso a calci nel sedere, dopo tutto quello che è successo, pensò cupamente.
“Perché pensi che distruggerà la tua nave? L’hai vista? È troppo piccola e delicata per costituire una minaccia,” disse Trelon, pensando alle immagini che gli aveva inviato il suo simbionte. Erano l’unica cosa che gli aveva consentito di tirare avanti, soprattutto quella di lei nell’unità igienizzante.
“Delicata? Troppo piccola?” ruggì Kelan. “Ha violato il nostro sistema informatico quattro volte nell’ultimo ciclo di sonno. L’unità igienizzante della sala d’addestramento butta fuori vapore. Lei dice che sarebbe una ‘sauna’ e che è utile per rilassarsi e purificare la pelle. Ha caricato della musica del suo pianeta e continua a riprodurre una cosa che si chiama ‘opera’ nella mensa.”
“Opera?” chiese in tono stanco Trelon. “Che diavolo è l’opera?”
“Le strida degli uccellacci, ecco che cos’è! La tua delicata, minuscola compagna sostiene che ciò promuova una migliore comprensione interculturale o qualcosa del genere. Non ho capito la metà di quello che ha detto. Poi ha riconfigurato il replicatore di cibo. Aspetta, a me e agli uomini piacciono alcune delle cose che produce, per cui eliminiamo questo punto dalla lista,” disse Kelan, passandosi entrambe le mani fra i capelli.
Aveva già abbastanza cose a cui pensare, in particolare la femmina di nome Trisha. Non era riuscito a entrare nei suoi alloggi da quando l’aveva insediata laggiù, due cicli di sonno prima.
“Non è che io abbia avuto molto tempo per assicurarmi che si comporti bene,” disse Trelon. “Ci parlerò. Ha già ricevuto un traduttore?”
“Sì. Gliel’ha impiantato il doc. A proposito, lui mi ha detto di riferirti che, se non avesse già una compagna, ti sfiderebbe per lei. Che è, parole sue, ‘un fulminino delicato, tanto bello quanto aggraziato, che dovrebbe essere protetto a ogni costo,’” rispose sarcastico Kelan. Il ‘fulminino’ delicato, una piccola e colorata creatura volante del loro mondo natio, non aveva mai provocato tanti guai quanto quella minuscola creatura proveniente da un pianeta primitivo.
Trelon ringhiò. Non era dell’umore di avere altri maschi che facevano commenti sulla sua compagna, soprattutto dato che lui non aveva avuto il tempo di starle vicino.
“Qui possono finire gli uomini. Non serve che io rimanga. Vado a rivendicare la mia compagna!”
Kelan guardò Trelon uscire dalla sala del teletrasporto. Sperava che suo fratello fosse più fortunato di lui. Dopo aver gridato alcuni ordini agli uomini al lavoro, Kelan decise che era il caso di addestrare alcuni degli uomini più giovani nella speranza di liberarsi di un po’ della frustrazione sperimentata da lui e dal suo drago.