Trelon allungò una mano per attirare Cara più vicino a sé. Entrambi si erano addormentati dopo un’altra sessione di amoreggiare che aveva esaurito il suo corpo già stanco. Quando la sua mano trovò soltanto la fredda stoffa delle lenzuola, lui si svegliò di scatto, raddrizzandosi con il cuore che martellava. Nel silenzio del suo alloggio, udì vagamente il rumore sommesso di un allarme. Con un gemito, Trelon si lasciò ricadere contro i cuscini.
“Computer, dimmi che ore sono,” ordinò. Gli sfuggì un altro gemito quando si rese conto di essere nei suoi alloggi da non più di sei ore. Tre di quelle ore erano state trascorse esplorando ogni delizioso centimetro del corpo di Cara, le altre tre a dormire.
Se non altro, sembrava che il sistema di comunicazione fosse stato riparato. “Computer, individua la posizione della femmina umana di nome Cara,” ringhiò Trelon mentre si levava di dosso le coperte.
Chiuse gli occhi dopo aver scoperto che la sua compagna era in una delle loro celle. Doveva avercela messa Jarak. Chissà cosa aveva fatto scattare gli allarmi, questa volta. Mentre si vestiva, Trelon lanciò un’occhiata bramosa alla stanza dell’igiene, ma sapeva che prima doveva scoprire cosa stesse succedendo e perché la sua compagna fosse trattenuta in una cella.
*.*.*
Cara era incazzata! Non aveva toccato nulla… beh, tranne quel pannello. Era solo curiosa riguardo al cablaggio. Come avrebbe potuto immaginare che si trattava di un sistema difensivo? Aveva provato a fare delle domande ad alcuni degli uomini che lavoravano nella zona vicina alla sala macchine, ma tutti l’avevano guardata come se fosse pazza.
Quando lei aveva trovato la stanzetta laterale, si era detta che avrebbe potuto semplicemente intrufolarsi e dare un’occhiata. Non appena aveva rimosso il primo pannello, ogni sorta di allarme aveva cominciato a suonare; poi era arrivato Jarak, cupo e inferocito. Le aveva dato un’occhiata e, un attimo dopo, Cara si era ritrovata accompagnata nella zona di detenzione da due uomini vestiti di nero. Jarak non aveva voluto ascoltare una parola di quello che lei aveva da dire.
Rimossa la parte superiore di un piccolo vassoio di metallo lucido, lo pulì con la camicia per assicurarsi che non ci fossero macchie. Una volta che lo ebbe lucidato per bene, lo infilò delicatamente fra i raggi laser che fungevano da barriera fra una sbarra metallica e l’altra.
Sfruttando il raggio riflesso, lo puntò contro il vetro riflettente di una stanza per gli interrogatori. Sobbalzò quando vide un filo di fumo cominciare a formarsi sulla parete opposta. Spostando leggermente il vassoio a sinistra in alto, riuscì a fare in modo che il riflesso rimbalzasse su un’altra superficie. Lo spostò ancora un po’ e il raggio rimbalzò attraverso il passaggio fino a concentrarsi sul pannello vicino alla porta della sua cella. Qualche istante dopo, Cara udì il sibilo del pannello che si fondeva e lo scatto della serratura. Subito, il raggio svanì con la disattivazione della porta.
“Una passeggiata.” Cara sorrise, posando il vassoio e alzandosi da terra.
Dopo aver aperto la porta, non aveva fatto due passi che udì delle voci provenienti da dietro l’angolo. Colta dal panico, si guardò attorno. L’unico posto dove andare era la stanza per gli interrogatori. Non voleva essere ancora lì quando Jarak avrebbe scoperto la sua fuga. Avrebbe voluto avere Symba con lei, ma non aveva avuto la possibilità di rincontrarla da quando aveva lasciato Trelon. Cara aprì la porta della stanza per gli interrogatori ed entrò proprio mentre udiva Jarak che parlava con qualcuno.
“Ho dovuto rinchiuderla!” si difese Jarak. “Ha già causato abbastanza problemi per una vita intera di viaggi. È una femmina e non sa stare al suo posto!”
Trelon cercò di mantenere la pazienza mentre rispondeva alla furia di Jarak per il comportamento della sua compagna. “È diversa dalle nostre femmine e ha molto da imparare. Le insegnerò il comportamento adatto una femmina. Se necessario, la confinerò nei miei alloggi fino a quando non atterreremo domani.”
“È proprio questo che va fatto!” proseguì Jarak. “Ho visto cosa ha fatto ai vostri alloggi. Dovrebbe essere punita severamente per averli distrutti.”
“Penserò io a punire la femmina,” disse Trelon a denti stretti.
Stava cercando di trattenere la rabbia nei confronti di Jarak, che aveva suggerito di punire Cara. Jarak non aveva idea di quanto era speciale la sua piccola compagna! Certo, era diversa dalle loro femmine e aveva molto da imparare, ma era anche molto speciale e andava apprezzata nella sua diversità. Trelon sapeva di non poterlo dire a Jarak, per cui si disse d’accordo con lui nella speranza di far liberare Cara e tornare ai loro alloggi per poterla abbracciare di nuovo.
Cara si morse il labbro mentre ascoltava la conversazione fra Jarak e Trelon, che la ferì profondamente. Le si riempirono gli occhi di lacrime mentre la vecchia sensazione di inadeguatezza la consumava. Cara colse il momento esatto in cui gli uomini svoltarono l’angolo e si ritrovarono di fronte alla cella grazie al ruggito di Jarak, al quale seguirono abbondanti imprecazioni.
“È insopportabile!” disse Jarak, fissando incredulo il pannello fuso alla parete e la porta aperta. “Come diavolo ha fatto a liberarsi?”
Trelon lottò contro l’impulso a scoppiare a ridere e vinse, ma a malapena, mentre osservava il pannello fuso. Palesemente, c’era bisogno di un sistema di sicurezza migliore per le celle, se la piccola femmina umana era riuscita a evadere. Non vedeva l’ora di poterle chiedere come avesse fatto. Sentiva il divertimento e l’orgoglio del suo drago per l’ingegno della loro compagna. Sì, pensò fra sé, la vita non sarà mai noiosa con la mia piccola compagna. Ora, non gli restava altro che trovarla… di nuovo.
“Computer, trova la femmina di nome Cara,” chiese di nuovo al computer dopo aver calmato Jarak a sufficienza per potersi allontanare.
“La femmina di nome Cara si trova al quarto livello, sezione trentadue,” rispose il computer.
Cara era seduta al tavolo della mensa con Symba, a sorseggiare una cioccolata calda che aveva programmato nel replicatore. Aveva scelto un posto nell’angolo più remoto, lontano dai pochi uomini che stavano mangiando.
Per una volta, la sua consueta vivacità non si vedeva. Si asciugò nuovamente gli occhi e sorrise tristemente mentre Symba le dava un colpetto sulla gamba, cercando di attrarre la sua attenzione. Diverse piccole fasce d’oro si avvolsero attorno al suo braccio quando lei si allungò per accarezzare la grossa testa di Symba e frammenti d’oro più piccoli si staccarono dal simbionte, trasformandosi in creaturine simili a piccoli draghi. I draghetti svolazzavano, inseguendosi e atterrando sulle ginocchia di Cara, che lei si era portata al petto.
“Cosa faccio adesso?” mormorò Cara ai piccoli draghi dorati che stavano cercando di sfregarsi contro il dito che lei aveva porto loro. Uno di essi saltellò sul suo indice e lei se lo portò alla bocca e gli diede un bacetto sul muso.
“Pensavo che lui fosse diverso. Pensavo che potesse capirmi davvero, ma è proprio come tutti gli altri.” Tirò su col naso, asciugandosi una lacrima che le scorreva lungo la guancia. I draghetti ringhiarono e fecero scattare le mascelle come se volessero fare a pezzi qualcosa. “Sì, sono proprio d’accordo.”
Cara tirò su col naso e raddrizzò le spalle. “Hai ragione! Non è colpa mia se lui è così stupido. Sono quello che sono e se lui non può accettarlo, beh, affari suoi! Io non rispondo a lui o a qualunque altro uomo. D’ora in avanti, siamo solo tu e io. Non abbiamo bisogno che qualcuno ci dica quello che dobbiamo fare, che ci rinchiuda o che ci p-p-punisca!” singhiozzò Cara. Symba si alzò e scrollò il corpo massiccio, che fu attraversato da un’ondata di piccole punte d’oro.
Cara si chinò e circondò con le braccia l’enorme creatura, stringendola con forza prima di bisbigliare un ringraziamento.
All’improvviso, Symba si voltò e si mise di fronte a lei, cambiando rapidamente forma. Diventò più grossa di quanto Cara l’avesse mai vista. Colori diversi attraversarono l’oro e il simbionte parve tremare come per scacciare un predatore. Lunghi artigli affilati si allungarono da gambe che all’improvviso erano grandi come piccoli tronchi d’albero. La testa di Symba si strinse e un lungo muso apparve, pieno di denti grandi come coltelli da bistecca. Una criniera di spuntoni dall’aspetto letale apparve attorno al collo del simbionte e una lunga coda a sua volta spinata concluse la trasformazione.
Cara non aveva mai visto nulla del genere! Era qualcosa di bello e spaventoso al tempo stesso. Quando lei cercò di girare attorno a Symba, i due draghetti le volarono immediatamente di fronte, agitando le piccole ali. Cara sentì il calore provenire dalle fasce d’oro sulle sue braccia e capì che Symba si era trasformata per proteggerla. Da cosa, non lo sapeva.
*.*.*
Trelon si fermò all’ingresso della stanza quando un gruppo di sei guerrieri lo spintonò nella fretta di lasciare la mensa. Diversi dei guerrieri stavano imprecando e guardandosi alle spalle. Lanciando un’occhiata nella mensa, Trelon capì subito cosa li aveva spinti alla fuga: il suo simbionte non era felice. Non capitava spesso che le creature gentili che formavano un simbionte si agitassero, ma quando ciò accadeva, le conseguenze per chiunque si parasse sulla loro strada potevano essere devastanti.
Trelon entrò con prudenza. Aveva intravisto Cara alle spalle del suo simbionte prima che esso si spostasse per bloccargli la visuale. “Cara, piccina, ho bisogno che tu ti avvicini lentamente.”
Cara fece capolino da dietro il simbionte per guardarlo negli occhi. “No,” disse prima di tornare a nascondersi dove lui non poteva vederla.
Trelon si accigliò. “No? Che significa… no?”
Cara fece nuovamente capolino dalle spalle di Symba e rispose in tutta calma: “Significa N.O. No,” per poi svanire rapidamente di nuovo.
Trelon cominciava a infastidirsi. Come osava lei dirgli di no! Lui era un capo del suo popolo! Era un membro della casa regnante! Era il suo compagno! Come osava lei dirgli di no!
“Cara, vieni subito qui!” disse Trelon con un ringhio. Percepiva che il suo drago cominciava a irritarsi a sua volta. Esso voleva Cara vicina e non era contento di non poterla vedere.
Cara si sporse attorno a Symba e si portò un dito alle labbra, come se fosse immersa nei suoi pensieri. Quando guardò nuovamente Trelon, lui capì che era successo qualcosa di brutto. Non sembrava più contenta del simbionte.
“No, non penso proprio,” disse la femmina prima di svanire di nuovo.
Adesso basta, pensò Trelon con un ringhio. Se lei non vuole venire da me, andrò io da lei e, quando la agguanterò, sculaccerò il suo bel sederino fino a quando non sarà bello rosa prima di fare l’amore con lei e non le verrà più in mente di dirmi di no.
Trelon ringhiò in preda alla frustrazione e si incamminò verso il suo simbionte. Ciò si rivelò un grosso errore! Il simbionte era decisamente incazzato… con lui.