CAPITOLO 13

Trelon aprì gli occhi e sospirò profondamente. “Se n’è andata di nuovo, vero?” chiese in silenzio al suo drago che sbuffò contrariato per confermare che la loro compagna era sparita per l’ennesima volta. Trelon giacque immobile mentre cercava di convincere il suo membro a tranquillizzarsi. Aveva fatto dei sogni meravigliosi e aveva avuto l’intenzione di realizzarne alcuni. Notò che le ombre della radura indicavano che il sole sarebbe calato presto. Zoran aveva programmato una cena per tutte le femmine, quella sera, per presentarle ad alcuni membri del loro popolo. Persino la loro madre avrebbe partecipato. Trelon sospirò di nuovo mentre abbassava lo sguardo sul proprio membro duro.

Devo proprio convincere la nostra compagna a tranquillizzarsi un po’, pensò disgustato.

Lui era un guerriero. Curizani e sarafin avevano cercato più di una volta di avvicinarsi furtivamente a lui e lui li aveva sempre sentiti. Ma una piccola femmina umana gli sfuggiva costantemente senza che lui la udisse. Avrebbe dovuto incatenarla a sé. Almeno fino a quando lei non avesse imparato a non sparire nel nulla.

Non poteva usare il simbionte per incatenarla. Fortunato com’era, la creatura l’avrebbe aiutata a fuggire. Non aveva mai visto nulla del genere. Il suo simbionte avrebbe dovuto essergli leale in qualunque circostanza. Invece, era così infatuato della sua piccola compagna che bastava che lei pensasse a qualcosa perché esso facesse tutto il possibile per accontentarla.

Trelon rotolò e si alzò, allungando le braccia sopra la testa. Quando posò lo sguardo sul punto in cui aveva steso i vestiti, si accigliò. Dov’era andata la sua piccola compagna e cosa diavolo aveva addosso? Se fosse tornata a palazzo vestita solo della camicia di Trelon… La sua mente si ribellò al pensiero del corpicino della sua dolce compagna coperto solo dalla camicia, con le gambette sexy in vista, sotto gli occhi di tutti, e dell’odore dell’accoppiamento del suo drago vicino alla superficie mentre lei si avvicinava alla prima trasformazione. Trelon spalancò gli occhi per la furia al pensiero. Avrebbe ucciso qualunque altro maschio le si fosse avvicinato!

Incamminandosi verso il masso dove si trovavano i suoi vestiti, si accigliò quando vide la camicia e gli stivali, ma non i pantaloni. Guardandosi attorno per vedere se fossero caduti dal masso, grugnì non trovandoli.

Chiuse gli occhi e si concentrò sul suo simbionte. Esso gli inviò immagini di Cara che indossava la camicia troppo larga per lei, che le arrivava alle ginocchia, e… i pantaloni di Trelon sopra il corpo minuto. Lui ridacchiò mentre la guardava sollevarli quando essi cominciarono a scivolare dai fianchi stretti. Se li era arrotolati così tanto che quasi la metà di essi era avvolta attorno alle caviglie delicate. La femmina si toccò la vita e lui sentì il tepore del suo simbionte mentre esso ordinava al minuscolo pezzetto d’oro attorno alla vita di Cara di stringersi un po’ di più. Solo allora lasciò andare i pantaloni. Aveva raggiunto le mura interne della città.

Trelon doveva aver dormito più a lungo di quanto credeva perché la femmina si fosse allontanata così tanto a piedi. Si trovavano a oltre tre chilometri dall’esterno della cinta muraria. Sapendo che Cara era al sicuro, Trelon raccolse la camicia e se la infilò sulle ampie spalle, per poi infilare i piedi negli stivali e quindi invocare il suo drago.

Quello era un aspetto positivo della trasformazione: qualunque cosa lui indossasse prima di essa, l’aveva addosso anche dopo. Era una parte della magia che nessuno comprendeva davvero, ma che tutti accettavano. Sfortunatamente, il suo drago era l’opzione migliore per tornare a palazzo senza l’imbarazzo di dover spiegare come aveva perso i pantaloni. Prese il volo con una spazzata di ali, volando verso la sua piccola compagna vagabonda.

Cara si era svegliata stesa sull’enorme petto di Trelon. Quel pisolino era proprio quello di cui aveva bisogno. Trelon aveva continuato a dormire persino mentre lei si sfilava con cautela dalle sue braccia. Dato che l’uomo aveva un aspetto tanto pacifico, lei aveva deciso di lasciarlo dormire. Aveva imparato molto tempo prima che non aveva bisogno di sonno quanto la maggior parte delle persone. Quando, negli anni trascorsi a casa, aveva cercato di costringersi a restare a letto, si era quasi ammalata. Aveva troppa energia e cercare di contenerla le provocava soltanto l’ulcera.

In collegio, aveva fatto impazzire il personale docente e non coi suoi vagabondaggi notturni, fino a quando non avevano rinunciato a cercare di contenerla. Avevano cercato di chiuderla a chiave nella sua stanza; lei aveva scassinato la serratura. Avevano cercato di stancarla facendole fare ogni genere di attività fisica; lei non aveva fatto altro che eccellere, mentre loro erano stati costretti ad assumere altro personale per via dello stress a cui erano sottoposti. Avevano provato con i farmaci; Cara era finita al pronto soccorso e zio Wilfred aveva minacciato di spedirli tutti in galera. Per cui, alla fine, si erano limitati a ignorarla, il che le andava benissimo.

Cara sorrise quando due ragazzini di nove o dieci anni cominciarono a seguirla. Sorrise loro, che ridacchiarono, indicandola. Si voltò per imboccare una stradina che conteneva bancarelle di ogni genere. Non sapeva esattamente dove fosse diretta, ma doveva essere la direzione giusta, dato che stava seguendo Symba, che si era trasformata in una specie di grande felino. Molti degli uomini al mercato dovevano aver riconosciuto Symba, perché si inchinarono in segno di rispetto e i loro simbionti chinarono il capo al passaggio di Cara.

“Sei un pezzo grosso, Symba?” chiese Cara mentre passava una mano sulla testa del simbionte. L’enorme corpo di Symba tremolò come se stesse ridacchiando.

Lei si fermò nel notare che i ragazzini che la seguivano erano diventati tre. Si allungò a prendere una specie di frutto rotondo, si accigliò e guardò l’uomo dietro la bancarella.

“Quanto costano?” chiese.

“Per voi nulla, mia signora,” rispose l’uomo con un ampio sorriso.

Il suo sguardo era fisso sul marchio che Cara aveva al collo. Lei si sentì avvampare. Aveva notato il marchio quando era andata a sciacquarsi nel torrente. Lo aveva toccato affascinata, ma la distorsione dell’immagine le aveva reso difficile vederlo con chiarezza.

“Oh, ma non posso semplicemente prenderli,” disse titubante. Non aveva idea di come funzionasse l’economia locale.

Symba le inviò un’immagine. Aveva informato Trelon del suo acquisto e il commerciante sarebbe stato pagato per la frutta. Cara sorrise alla sua amica dorata. Sembrava che Symba avesse comunicato anche con il simbionte dell’uomo, che aveva trasmesso il messaggio all’uomo in questione.

“D’accordo. Questo fa paura,” disse Cara con un sorriso. “Grazie,” disse all’uomo mentre lui le porgeva la frutta.

“Gradite un cesto?” le chiese il venditore.

“No, grazie,” rispose lei con un sorriso felice. Non aveva intenzione di trasportare la frutta a lungo.

Cara fece l’occhiolino ai ragazzi dietro di lei mentre raggiungeva una fontana al centro del mercato. Dopo essersi seduta, attese che i bambini la raggiungessero prima di prendere un frutto, soppesandolo con attenzione fra le mani.

Ammiccò al ragazzo più alto prima di prendere gli altri due.

Con un’abilità sviluppata nel corso di anni di esercizio, lanciò il primo e il secondo frutto nell’aria, seguito dal terzo. Presto stava facendo la giocoliera con i tre frutti, facendo mosse a casaccio come girare su se stessa o lanciarseli sotto la gamba. I ragazzi ridacchiarono e risero mentre lei eseguiva alcune delle mosse più complicate. Qualche minuto dopo, lei lanciò con delicatezza la frutta a ciascun ragazzo.

“Come hai fatto?” chiese con trasporto il ragazzo più alto.

“Ci vogliono solo tempo, esercizio e concentrazione,” rispose lei, sorridendo. Non pensava fosse il caso di dire che il suo terapeuta glielo aveva consigliato per mantenere la concentrazione. “Bisogna cominciare con uno solo, lanciandolo su e giù in modo da farsi un’idea del movimento, e tenerlo d’occhio. Poi se ne aggiunge un secondo, usando entrambe le mani. Quando ci si sente a proprio agio, si aggiunge il terzo. L’importante è non arrendersi,” spiegò Cara, toccando i morbidi capelli del ragazzo.

Si chiese come sarebbe stato se lei e Trelon avessero avuto dei figli. Avrebbero avuto l’aspetto di quel ragazzo, con la carnagione scura e la corporatura robusta? Scuotendo la testa per scacciare quell’immagine, si distaccò dall’idea di stare con Trelon abbastanza a lungo da avere dei figli. Probabilmente, l’uomo la vedeva soltanto come una piacevole distrazione. Symba emise un basso rischio e si sfregò contro Cara mentre lei si sentiva travolgere da un’ondata di tristezza.

“Torniamo a palazzo,” disse Cara. “Devo trovare qualcosa da mettermi a cena.”

*.*.*

Trelon era tornato in volo a palazzo dopo aver verificato che Cara fosse sana e salva. C’erano molti impegni che aveva trascurato. C’era la cena, ma era l’ultimo dei suoi pensieri. La cattura e la tortura di Zoran erano causa di grandi preoccupazioni. Era necessario occuparsi il prima possibile dei curizani che lo avevano catturato.

Dopo la fine dell’ultima guerra con la galassia vicina, Trelon aveva sperato che sarebbero rimasti in pace per un po’. Era stanco di combattere. La nascita di un gruppo di curizani militanti era qualcosa che andava affrontata immediatamente.

Avevano scoperto la base abbandonata dove Zoran era stato tenuto in cattività. Sfortunatamente, non erano rimasti documenti. Tutta l’attrezzatura informatica era stata distrutta e non c’era traccia degli uomini che erano stati laggiù. Non erano rimasti nemmeno i cadaveri degli uomini che Zoran aveva ucciso durante la fuga.

Suo fratello Creon collaborava con un informatore all’interno delle fila curizane. Il fratello di Trelon era molto, molto taciturno al riguardo, e ciò lo preoccupava. In quanto fratelli, non si erano mai tenuti nascosto nulla. La lealtà fra di loro era assoluta. Ora che Zoran aveva una compagna, ciò era ancora più importante. Se la sua compagna fosse stata ferita, era decisamente probabile che lo avrebbero perso. In quanto capo, la sua forza fra i loro alleati e i loro nemici era rinomata.

Inoltre, Trelon doveva concludere l’allestimento del nuovo sistema difensivo delle navi da guerra su cui stava lavorando. Se esso avesse funzionato, avrebbe conferito loro un forte vantaggio su chiunque osasse minacciarli.

In realtà, erano state proprio alcune delle cose che Cara aveva fatto a bordo della nave da guerra a dargli delle idee. Prima, Trelon non sapeva che certe onde sonore potessero incrementare il potere dei cristalli da loro estratti. Poteva essere proprio quello di cui avevano bisogno, sempre che lui riuscisse a trovare un modo per farlo senza ubriacare il simbionte addetto ai lavori.

Poi, c’era la questione della sua compagna. Trelon aveva bisogno di un modo per sapere sempre che lei era sana e salva. La sua mente era così occupata a riflettere su tutti i problemi che non vide nemmeno la figura raggomitolata nel suo letto.

“Trelon, che ti è successo?” chiese N’tasha dalla sua posizione reclinata.

Trelon si voltò di scatto, portando d’istinto la mano alla spada. Un’imprecazione gli esplose dalle labbra quando si rese conto che, con tutto quello che era successo quella mattina, non l’aveva mai cinta al fianco. Aveva volato dritto verso il balcone dei suoi alloggi e si era trasformato. Era stato talmente perso nei suoi pensieri che non aveva nemmeno annusato le sue stanze per assicurarsi che fossero vuote. Era un errore da principianti, che avrebbe potuto costare la vita a lui e alla sua compagna, se lui non avesse prestato attenzione.

“N’tasha, che ci fai qui?” chiese a denti stretti.

Gli occhi di N’tasha si colmarono di lacrime di fronte a quel tono brusco. “Avevi detto che avremmo parlato più tardi, per cui ho pensato di aspettarti qui.” Lo sguardo della donna si abbassò sul proprio corpo. Quando lo riportò su di lui, le lacrime si erano tramutate in desiderio.

La nudità non aveva mai infastidito Trelon. Lui non vedeva nulla di male nell’osservare lo stato naturale del suo corpo e di quelli altrui. Anzi, in passato non aveva mai avuto problemi a togliersi i vestiti di fronte alla tentazione di una femmina vogliosa da compiacere.

Dato che non c’era abbondanza di femmine libere, lui non aveva mai detto di no a una disposta ad alleviare i suoi desideri, con sommo disgusto del suo simbionte nelle diverse occasioni in cui esso non ne aveva gradita una in particolare. Aveva persino offerto e ricevuto suggerimenti da parte degli altri maschi su come incrementare il piacere quando il desiderio colpiva in un luogo poco riservato.

Ma per la prima volta, Trelon si sentì percorso da un’ondata di disagio sotto lo sguardo di una femmina. Non trovava la cosa piacevole. Gli sembrava… sbagliata. Molto, molto sbagliata.

Trelon si recò a uno dei suoi cassetti e lo aprì. Dopo essersi tolto gli stivali con un calcio, si infilò un paio di pantaloni. Non guardò N’tasha mentre lo faceva. Non gli piaceva sentirsi addosso il suo guardo voglioso. Anzi, il suo drago era così furioso che avrebbe voluto sbatterla fuori, preferibilmente dal balcone.

Stai buono, lo rimproverò Trelon.

Tu sei troppo buono, ringhiò in risposta la creatura. Voglio la nostra compagna.

Trelon trattenne un sospiro frustrato. Era d’accordo. E non gli piaceva nemmeno l’idea di avere l’odore di un’altra femmina nel letto. Voleva solo quello di Cara.

“N’tasha, ho una compagna adesso. Non ho alcun desiderio di te,” disse finalmente Trelon, voltandosi verso il punto dove N’tasha era reclinata.

Indietreggiò sconcertato, andando a sbattere contro il cassettone, quando vide che lei si era mossa mentre lui si infilava i vestiti. Stava decisamente perdendo smalto, pensò disgustato.

“Ma Trelon,” disse N’tasha, gli occhi di nuovo colmi di lacrime. “Pensavo che tu mi amassi. Da come parlavi, credevo che ti saresti accoppiato con me al tuo ritorno,” bisbigliò mentre passava la mano sulla pelle nuda del petto di Trelon, dove la sua camicia era aperta.

Trelon rabbrividì per il disgusto. Staccatosi la mano di N’tasha dalla pelle, disse con urgenza: “N’tasha, mi dispiace di averti dato questa idea. Pensavo che mi sarei accoppiato con te, ma ho trovato la mia vera compagna. Sono certo che tu capisca.”

Non aveva idea di come avesse fatto a ficcarsi in quel guaio. Avrebbe dovuto dare ascolto al suo simbionte e anche al suo drago. L’uno non aveva mai preso in simpatia N’tasha e l’altro voleva direttamente farla a pezzi. Era quello il motivo per cui Trelon aveva dovuto allontanare il simbionte tutte le volte che era stato con lei. Ora apprezzava quella repulsione. Il tocco della femmina provocava ondate di disgusto nel suo corpo. Dubitava che avrebbe mai potuto convincere il suo membro a indurirsi per lei, anche a costo della vita.

“Ma come è possibile? Non sei tornato da tempo sufficiente da aver potuto trovare un’altra femmina che potrebbe essere la tua vera compagna! Non ho visto nuove femmine a palazzo, tranne che…” La voce di N’tasha sfumò quando si rese conto che si trattava di una delle femmine appena accolte. “È una delle straniere?” chiese.

Trelon annuì, cercando di non mostrare il sollievo per il fatto che N’tasha sembrava aver accettato la cosa; almeno fino a quando la femmina non gli buttò le braccia al collo e premette le labbra contro le sue. Le sue mani corsero ad afferrare N’tasha proprio mentre un suono giungeva dalla porta. N’tasha si ritrasse con un grido, le lacrime che le scorrevano lungo il viso, e si voltò a guardare la sagoma minuscola immobile come una statua sulla soglia.

*.*.*

Lo sguardo di Cara corse dall’una all’altra delle due persone di fronte a lei, una dall’aspetto estremamente turbato, l’altra dall’aspetto… colpevole. Voltò la testa e posò lo sguardo sul letto disfatto. Il suo sguardo corse di nuovo a Trelon e vagò sulla camicia aperta, sui pantaloni slacciati, sui piedi nudi, prima di risalire. Se possibile, l’uomo sembrava ancora più colpevole di prima. Cara giunse alla conclusione che le chiazze rosse che si allargavano sulle sue guance, mescolate alle labbra leggermente gonfie e umide, erano come una sparachiodi che conficcava chiodi da dieci centimetri nella sua bara. Era esattamente quello che era successo con Darryl, ma molto, molto peggio.

Trelon guardò il volto di Cara sbiancare. La femmina sorrise cortesemente a entrambi prima di girare sui tacchi e uscire dalla porta. Trelon fece per muoversi, ma venne fermato dalla mano di N’tasha.

“Mi dispiace,” bisbigliò la femmina. “Non avrei dovuto farlo.”

*.*.*

Trelon ringhiò al suo simbionte, che faceva la guardia fuori dagli alloggi della femmina di nome Carmen. Tutte le sue fasce dorate erano sparite… di nuovo. Si erano trasformate in piccoli draghi ed erano tornate in volo dal simbionte madre, ma non prima di morderlo ferocemente. Trelon aveva le braccia coperte da piccoli segni di morsi.

Aveva cercato di trovare Cara dopo essersi finalmente liberato di N’tasha, ma la femmina era sparita di nuovo e, senza il simbionte, era stato quasi impossibile trovarla. Alla fine, aveva trovato un servitore che aveva detto di aver visto la piccola femmina umana con l’altra femmina umana di nome Carmen. Il servitore era sbiancato quando aveva menzionato il nome.

“Fantastico, davvero,” ruggì rabbioso il suo drago.

La creatura era talmente incazzata con Trelon che stava rendendo la sua miserabile vita ancora peggiore. Trelon non sapeva cosa fosse peggio: le lamentele o il silenzio. Era come se due terzi di lui mancassero all’appello. Non si era mai sentito così solo. Aveva sempre avuto le altre due parti di sé. Come facevano le altre specie a esistere? Avrebbe voluto urlare e strepitare per la perdita. Ma peggio ancora era la perdita di Cara.

No, non devo pensare così, si disse con determinazione. Devo solo spiegare che è stato tutto un equivoco. Pensò attentamente a quello che avrebbe detto. La femmina con cui facevo sesso pensava che ci saremmo accoppiati dopo il mio ritorno. Sì, era nel nostro letto. Sì, io ero quasi nudo. Sì, lei mi stava baciando. Sì, sono fottuto, pensò disperato.

*.*.*

Cara si sistemò i capelli. Cominciavano a essere un po’ lunghi e le sfumature viola avevano cominciato a sbiadire. Era molto orgogliosa di sé. Quando aveva sorpreso Trelon con le labbra appiccicate a quelle di un’altra donna, era rimasta così stordita da immobilizzarsi.

Il dolore era stato così intenso che era stupefacente che non fosse morta sul colpo. Era bastata un’occhiata all’espressione colpevole dell’uomo e a quella tormentata dell’altra donna per farle capire che c’era qualcosa sotto. Aveva sentito il ghiaccio formarsi attorno al suo cuore, più velocemente e con più spessore di quello nato quando Darryl l’aveva tradita. Le sembrava che il suo cuore non esistesse più. Se non fosse stato per il fatto che lo sentiva battere, avrebbe creduto di essersi trasformata nella Regina delle Nevi.

Aveva vagato per i corridoi del palazzo in preda allo stordimento. Aveva ignorato tutti e non aveva nemmeno notato la bellezza contenuta fra quelle mura. Quando si era ritrovata di fronte a una doppia porta con diverse guardie a distanza di sicurezza, si era accigliata. Che cosa stavano sorvegliando tanto intensamente? Gli apparvero nella mente immagini di lividi, tagli e… Carmen. Oh.

“Chiedo scusa,” aveva detto Cara, oltrepassando una coppia di guardie che la osservavano guardinghe.

Entrambe si erano spostate in modo che lei potesse bussare alla porta. Quando non era giunta risposta, aveva bussato un po’ più forte. Si rese vagamente conto che, a ogni bussata, le guardie indietreggiavano di un altro passo. Si voltò a guardare quando una parve addirittura nascondersi dietro un grosso vaso nel momento in cui la porta si spalancò.

“Ma che diavolo?” disse Carmen prima di rendersi conto che Cara era lì.

Cara fissò il pesante vaso che Carmen aveva fra le mani prima di sollevare lo sguardo sugli occhi dell'amica. Cara aprì la bocca, poi la richiuse. I suoi occhi si spalancarono mentre si colmavano di lacrime cariche di dolore, ma non disse nulla. Carmen diede un’occhiata al volto di Cara, lanciò uno sguardo omicida alle guardie – che si fecero piccole – e la attirò nella stanza prima di chiudere le enormi porte sbattendole.

Carmen posò il vaso accanto alla porta e la prese fra le braccia, stringendola mentre mormorava che sarebbe andato tutto bene. Cara le passò le braccia attorno alla vita e gridò come se le avessero detto che era arrivata la fine del mondo. Per quanto la riguardava, era così.

Carmen non le chiese nulla. Si limitò a condurla al divanetto nella zona giorno e ad abbracciarla, accarezzandole i capelli e mormorando che la situazione sarebbe migliorata. Doveva solo affrontare un giorno alla volta. Alla fine, Cara si era calmata, ma il ghiaccio aveva fatto presa ancora di più. Si ritrasse nel suo guscio protettivo, lasciando che da esso uscisse soltanto la persona che gli altri volevano vedere. Esternamente, era la persona solare e allegra che la gente si aspettava di vedere.

Quella pantomima aveva funzionato per nascondere il dolore dovuto all’incapacità di suo padre di mostrarle che le voleva davvero bene. Aveva funzionato con zio Wilfred quando questi aveva cercato continuamente di fare di lei la dolce bambina che sua madre aveva sempre voluto. Era stata utile in collegio, quando i bulli avevano creduto di poterla consumare e convincere a mollare tutto. Ed era stata utile quando Darryl le aveva portato via quel poco di speranza che restava nel suo giovane cuore.

Mentre Cara indossava i pantaloni e la camicetta che Carmen era riuscita a procurarle, dovette ricordare a se stessa che aveva infranto il giuramento di non affezionarsi più a nessuno. Era colpa sua se aveva lasciato che Trelon le si avvicinasse. Se lo avesse tenuto a distanza, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto. Ormai lo sapeva.

Ora, si sarebbe assicurata di non lasciarlo avvicinare mai più. Doveva semplicemente ignorato. E, come Darryl, prima o poi l’uomo sarebbe scomparso. Cara sentì un grido di lutto sfuggire da qualche parte nelle profondità di lei. Era come se una parte di lei stesse avvizzendo per un dolore devastante. Era una cosa così brutta che Cara soffocò un grido e dovette aggrapparsi alla parete vicino alla porta per non cadere.

Preoccupata, Carmen fece un passo verso di lei. “Ti senti bene?” chiese a bassa voce.

Cara prese fiato e si costrinse a mollare la parete con una mano tremante. “Sì. Credo di sì.”

“Sai, non sei costretta a venire a cena. Io non ci vado. Sei pallidissima. Potremmo stare in camera e parlare di come lasceremo questo pianeta e torneremo a casa. Da quando quei due idioti hanno deciso che era meglio ridurre al minimo il tempo che io e Ariel trascorriamo insieme, ho dovuto provare a inventarmi le cose da sola,” disse Carmen con un sorriso preoccupato.

“Quali idioti?” chiese Cara, che si sentiva leggermente meglio.

“Mandra e Creon. Credo che siano due dei fratelli del tizio che piace a Abby,” disse Carmen, arrossendo leggermente.

“Perché vogliono tenerti lontana da tua sorella?” chiese stupita Cara.

Il rossore di Carmen si accentuò prima che lei rispondesse. “È una storia lunga. Diciamo solo che ho sottovalutato il nemico e che non accadrà più. In questo momento, il mio obiettivo è andarmene da questo sasso e tornare sulla Terra.”

Cara stava per rispondere quando qualcuno bussò alla porta. Carmen andò a prendere il vaso che aveva messo da parte. Stringendolo fortemente, spalancò la porta con un ringhio. Un ragazzino sui tredici anni apparve sulla soglia, con un’aria molto pallida e spaventata.

Si inchinò profondamente e disse, con voce che tremava: “Mi hanno chiesto di accompagnare le signorie vostre nella sala da pranzo per la cena di questa sera.” Il ragazzino fece una smorfia quando la sua voce si ruppe sul finire della frase, con un suono simile a uno squittio.

Carmen abbassò delusa il vaso. “Io non vengo. Cara, tu hai ancora intenzione di andare?”

Cara annuì cupamente. Certo che sarebbe andata. E se avesse visto quel pezzo di merda doppiogiochista che rispondeva al nome di Trelon, avrebbe fatto finta di divertirsi un mondo. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vedere quanto le aveva fatto male. Cara si incamminò verso la porta prima di voltarsi e stringere Carmen in un abbraccio.

“Grazie,” bisbigliò.

“Nessun problema,” rispose Carmen. “Quando torni, bussa due volte, fai una pausa e bussa ancora, così non te le darò,” aggiunse con un sorriso che non le arrivava completamente agli occhi.

Cara ridacchiò. “Va bene.” Poi si voltò e seguì il giovanotto fuori dalla porta. Cacciò Symba nella stanza prima che Carmen chiudesse la porta. Indossava i gioielli delicati attorno alle braccia, al collo e alle orecchie. Se avesse avuto bisogno di Symba, l’avrebbe chiamata. Cara era così immersa nei suoi pensieri che non si accorse che il ragazzino aveva allungato il passo fino a quando non si ritrovò piuttosto indietro. Il giovane era più alto di lei di quasi trenta centimetri e le sue lunghe gambe divoravano la strada. Cara lo guardò svanire dietro un angolo e si affrettò a recuperare.

“Ehi…” iniziò a dire senza fiato mentre svoltava l’angolo.

Fu zittita quando si ritrovò improvvisamente premuta contro la parete e labbra calde e pesanti schiacciarono le sue. Cara si allungò a colpire l’uomo che l’aveva afferrata, solo per ritrovarsi con entrambi i polsi bloccati da un paio di mani enormi. L’unica cosa che la teneva sospesa erano la parete e il corpo premuto caldamente contro il suo.

Cara gemette al sapore familiare del bacio di Trelon. Sentì qualcosa di freddo premuto contro la pelle delicata del polso prima che la mano dell’uomo scendesse a catturarle la mascella e inclinarle il viso di lato in modo che Trelon le premesse un bacio sul marchio draconico sul collo. Cara avvertì una scarica di calore fra le gambe quando una calda ondata di desiderio la travolse. Sentiva l’erezione dell’uomo premere contro il suo ventre. Fu solo nell’attimo in cui lui parlò che si riprese a sufficienza da abbassare la maschera.

“Mi dispiace tanto, mi elila. Non volevo farti del male. N'tasha…” Trelon proseguì, ma la mente di Cara era rimasta ferma al nome della donna. Il dolore che aveva provato in precedenza tornò prepotentemente alla ribalta e ci volle tutto quello che lei aveva per ficcarlo nello scrigno di ghiaccio che era il suo cuore.

“Sì. Beh, sono lieta che tu abbia chiarito. Ora mi lasci?” chiese Cara con voce calma e completamente priva di emozioni.

Trelon avvertì un’ondata di sollievo. Cara lo aveva perdonato. Si era preoccupato tanto, ma la femmina aveva capito che N’tasha non significava nulla per lui. Premette baci lungo il collo di Cara e su per la mascella, deciso a baciarla al punto che lei volesse tornare ai loro alloggi invece di andare alla cena. Voleva trascorrere l’intera nottata a mostrarle quanto si era pentito di averla recato dolore. Le fece voltare il viso quando lei non lo fece e le coprì le labbra con le sue. Ma per quanto lui premesse e per quanto la stuzzicasse, la femmina si rifiutò di aprire la bocca. Anzi, non stava facendo altro, tranne che starsene floscia fra le sue braccia.

Trelon si staccò accigliato. “Che succede, suma mi mador?”

Cara lo guardò con un sopracciglio inarcato. “Hai finito di salivarmi addosso? Ho fame e vorrei mangiare qualcosa,” disse in tutta calma.

“Salivarti? Che significa?” chiese titubante Trelon. Aveva una brutta sensazione e, a giudicare dal brontolio del suo drago, non era l’unico.

“Significa appiccicare le tue labbra schifose alle mie e bagnarmele tutte,” disse Cara, ignorando il minaccioso incupirsi degli occhi dorati che guardavano nei suoi.

“Non erano schifose, come dici tu, questa mattina,” disse Trelon con un basso ringhio.

“Sì, beh, i miei gusti sono cambiati da allora,” rispose Cara. “Ora, a meno che tu non abbia intenzione di continuare a palpeggiarmi senza permesso, mi piacerebbe andare a mangiare qualcosa. Non ho mangiato nulla in tutto il giorno.”

Trelon ringhiò a Cara per avvertirla di stare attenta a quello che diceva. Se non fosse stato per il fatto che la femmina sembrava all’improvviso estremamente pallida, lui avrebbe messo in discussione il modo in cui le aveva descritto il suo “salivare” e si era detta disgustata dal suo “palpeggiare.”

Trelon lasciò che il corpo di Cara scivolasse lungo il suo, assicurandosi che sentisse il suo desiderio per lei prima di fare un passo indietro. Aveva notato il leggero tremore del corpo della femmina mentre reagiva al suo.

Qualunque cosa dicesse, Cara lo voleva comunque. Inoltre, Trelon notò il momento esatto in cui lei si rese conto di essere ora imprigionata a lui con una catena delicata, ma molto robusta, realizzata con uno dei loro metalli più resistenti. Era un metallo non vivente, che non poteva essere influenzato da lei.

“Brutto figlio di puttana,” borbottò Cara mentre strattonava la catena che Trelon le aveva stretto attorno al polso. La tirò e notò che l’altra estremità era fissata al braccio di Trelon.

“Non mi farai più lo scherzo di sparire, Cara. Ti terrò incatenata a me fino a quando non ti renderai conto che il tuo posto è al mio fianco. Non mi piace svegliarmi e trovarti lontana dalle mie braccia e dal mio letto,” ringhiò Trelon con voce profonda. Fece un passo in avanti, fermandosi a un soffio da lei. “So che mi vuoi ancora, nonostante il modo in cui ti sei appena comportata. Il tuo corpo continua a chiamarmi e io ti avrò.”

“Beh, indovina un po’, Romeo? I tuoi minuti gratuiti si sono appena esauriti e il tuo contratto è stato cancellato. Non verrò mai più a letto con te, soprattutto dopo che c’è stata un’altra donna solo poche ore fa. Era un po’ troppo pieno e usato per i miei gusti,” disse Cara mentre girava attorno all’enorme corpo di Trelon e si incamminava lungo il corridoio, trascinandolo con sé.

Che cuocia nel suo brodo! pensò furiosa.

*.*.*

“Abby!” Cara strillò di gioia. Era genuinamente felice di vedere la sua amica e non le avrebbe mai fatto capire quanto ora le dispiaceva essere stata rapita. No, non le dispiaceva davvero. Era semplicemente distrutta perché le cose non erano andate bene come sembravano andare a Abby. L’altra donna brillava praticamente di luce propria!

Abby strinse Cara in un rapido abbraccio. “Va tutto bene?” bisbigliò preoccupata, guardandola negli occhi. Cara aveva notato l’espressione stordita sul volto dell’altra donna quando le aveva visto la catena d’argento fissata al polso. Quello che Abby non sapeva e che Trelon avrebbe imparato a proprie spese era che erano ben poche le serrature che potevano trattenere Cara quando lei decideva di liberarsi.

Cara rise, lanciando a Trelon un’occhiata maliziosa. Oh, sì, scoprirà molto presto quanto sono brava a scassinare le serrature, pensò con dolce vendicatività. “Oh, è tutto a posto,” disse Cara con voce falsamente allegra. “Casanova qui crede di avermi finalmente agguantata e pensa che una catena mi terrà stretta a lui.”

Cara si sporse in avanti, guardando Trelon con gli occhi che lampeggiavano calore mentre bisbigliava a Abby. “Il divertimento è appena cominciato.” Cara sorrise dolcemente, ignorando il ringhio di avvertimento di Trelon. Dopo aver salutato velocemente Abby, si allontanò, trascinando con sé un guerriero furioso mentre faceva dentro e fuori dalla folla per presentarsi.

Abby sobbalzò leggermente quando sentì una mano scivolarle attorno alla vita. “Credo che mio fratello abbia finalmente trovato pane per i suoi denti,” disse divertito Zoran.

“Temo che potresti aver ragione,” mormorò preoccupata Abby.

Cara serpeggiò in mezzo alla folla come un’esperta. Il suo fisico minuto le rendeva piuttosto facile intrufolarsi fra la massa di giganti che sembrava abitare la stanza. Tirò la spilla che aveva usato per stringere un lato dei pantaloni, raddrizzandola. Sentì Trelon imprecare sottovoce mentre cercava di tenere il suo passo. Ogni tanto, Cara strattonava la catena per ricordargli che era ancora lì.

Il suo momento arrivò quando diverse donne alte e attraenti e un alto guerriero fermarono Trelon per un momento. Cara si diresse con noncuranza verso il tavolo con il cibo e prese un piatto. Salutò Trelon con le dita mentre sceglieva diverse pietanze.

Trelon la guardò insospettito prima di voltarsi per rispondere a una domanda che gli aveva fatto una delle donne. Presto, l’alto guerriero si era allontanato a sufficienza da far sì che Cara posasse il piatto e usasse la spilla per lavorare sulla serratura. Non appena si fu tolta la manetta, si guardò attorno alla ricerca di qualcosa a cui attaccarla. Mentre si guardava attorno, il “qualcosa” perfetto le passò proprio accanto.

“Ciao, piccola femmina,” disse una delicata voce femminile.

Cara strinse gli occhi, ma trattenne la risposta che avrebbe voluto dare. “N’tasha.”

“Oh.” N’tasha spalancò gli occhi. “Trelon ti ha detto di me.”

“Sì, ma a quanto pare, non mi ha detto abbastanza,” rispose con calma Cara mentre si avvicinava leggermente alla donna che fino a poche ore prima era nel letto e fra le braccia di Trelon.

N’tasha prese il piatto che Cara aveva riempito e una bevanda e le passò il tutto prima di prendere un piatto per sé.

“Trelon mi ha detto che sei la sua vera compagna,” disse N’tasha con voce sommessa mentre si voltava per selezionare diverse pietanze dal tavolo.

“Sì, beh, può darsi che sia stato un po’ frettoloso. Io non sono la sua vera compagna e non lo sarò mai,” disse Cara a denti stretti quando quel dolore acuto la colpì di nuovo. Qualunque cosa avesse dentro, non amava il fatto che lei rifiutasse di essere la compagna di Trelon! Il che cominciava a farla incazzare.

N’tasha le lanciò un’occhiata stupita. Il suo sguardo si strinse sul marchio in bella vista sul collo di Cara. “Porti il suo marchio.”

“Sì, beh, si può togliere facilmente,” rispose con noncuranza Cara. Un sacco di gente si faceva rimuovere dei tatuaggi. Cara sperava che il suo caso non sarebbe stato molto più difficile.

Prese fiato. Era stufa di provare a essere gentile con una donna a cui avrebbe voluto cavare gli occhi, preferibilmente senza anestesia.

Cara bevve rapidamente la sua bevanda e posò il cibo. Non aveva più fame. "Beh, è stato un piacere conoscerti."

"Sì. Magari potremmo rivederci," disse N’tasha.

*.*.*

Cara girò attorno al tavolo e uscì silenziosamente dalla portafinestra che si apriva sul patio. Lasciò che l’oscurità calasse attorno a lei come una coperta. Scese alcuni gradini e udì delle voci provenire dal lato destro, che era più vicino agli alti alberi che confinavano con il patio. Riconobbe la voce di Abby e i toni profondi di Zoran.

Cara voleva stare sola, per cui si mosse verso sinistra e percorse un sentiero che conduceva alle alte scogliere che fungevano da confine a una parte del palazzo. Avvertì un crampo allo stomaco e si fermò per un momento fino a quando la sensazione non passò. Probabilmente, avrebbe dovuto mangiare qualcosa, dopo il confronto con l’amante di Trelon. Cara rise amareggiata. La sua altra amante. Era incredibile che fosse riuscita a reggere la bevanda che aveva finito.

Cara continuò a camminare, allontanandosi sempre di più dai suoni della sala da pranzo, fino a quando la pace della notte non parve circondarla. Si appoggiò al muretto che proteggeva i visitatori dalla ripida scogliera e dalle onde violente.

Fece una smorfia quando un altro lampo di panico le attraversò lo stomaco. Forse le stava venendo l’influenza o qualcosa di simile. Cara ridacchiò al pensiero di un piccolo virus con la testa di Trelon attaccata che nuotava nel suo corpo. Sì, le sarebbe piaciuto un sacco aizzargli i globuli bianchi contro come un pitbull a un barbecue.

Cara si sedette su una bassa panchina vicino al muro mentre un brivido le attraversava il corpo, lasciandola con una sensazione di debolezza. Magari, se si fosse distesa per un minuto o due, si sarebbe sentita meglio.

Sollevate le gambe, si stese sulla schiena e fissò le stelle. Com’erano diverse, ora che lei sapeva che c’erano altre forme di vita. Da qualche parte, laggiù, si trovava la Terra. Lei non sapeva dove e, in un certo senso, ciò la intristiva.

Un’ondata di nostalgia di casa esplose in lei mentre pensava al suo piccolo appartamento con i pochi ricordi piacevoli che teneva riposti in una scatola da scarpe. Una foto dei suoi genitori, una di lei e zio Wilfred che pescavano da un ponte, un’altra del suo primo giorno di lavoro come meccanico alla Boswell. C’era persino la sua vecchia coperta di quando era neonata e la vecchia pipa di suo padre; cose che per altri non avrebbero avuto alcun valore, ma per lei sì.

Una lacrima le scivolò lungo il viso nello stesso istante in cui un dolore acuto la morse di nuovo allo stomaco. La colpì così forte che non riuscì a trattenere il gridolino che le sfuggì dalla gola. Si voltò su un fianco, cadde dalla stretta panchina e atterrò sul terreno duro.

Il dolore dell’impatto non fu nulla rispetto al dolore che ora l’attraversava. Un brivido la colse, coprendola di sudore, ma facendole al tempo stesso battere i denti. Cara serrò la mascella così forte, nel tentativo di non battere i denti, che l’ondata di dolore successivo le strappò un gemito sommesso. Rotolò su mani e ginocchia in tempo per vomitare. Mentre si asciugava la bocca con una mano tremante, sussultò in preda all’orrore nel vedere che era coperta di qualcosa che sembrava sangue. Ansimando, Cara cercò di alzarsi, ma una nuova ondata di dolore esplose in lei e, mentre perdeva conoscenza, Cara pregò brevemente che quella fosse l’ultima.

*.*.*

La mascella di Trelon doleva così tanto per aver trattenuto il grido di rabbia che lui si chiese se sarebbe mai riuscito a parlare di nuovo. Aveva scoperto il piccolo atto di ribellione di Cara a caro prezzo: quando N’tasha si era allontanata dal tavolo, lui era stato strattonato nella sua direzione. La donna era sembrata sconvolta quando aveva scoperto la catena d’argento stretta attorno al suo polso.

L’espressione sul volto di Trelon e su quello di N’tasha sarebbe stata molto buffa, non fosse stato per il fatto che Trelon sembrava pronto a commettere un omicidio. N’tasha aveva borbottato una specie di scusa, dicendo di essersi congratulata con Cara per essere diventata la vera compagna di Trelon e che non aveva sentito né lo scatto della serratura né lo stringersi della manetta.

Il che poteva essere assolutamente vero, considerato che N’tasha indossava una tunica a maniche lunghe che le arrivava fino alle punte delle dita. Quando Trelon le aveva chiesto che direzione avesse preso Cara, la donna aveva detto che in quel momento stava guardando dall’altra parte.

Trelon era stato costretto a chiacchierare con diverse persone che partecipavano alla cena prima di potersi dare alla fuga nella direzione della stanza di Carmen. Non gli importava che l’altra femmina umana avesse la reputazione di essere una persona violenta: era più che pronto ad affrontarla.

Si sarebbe semplicemente buttato il corpicino di Cara in spalla e l’avrebbe trascinata nei suoi alloggi. Avrebbe spogliato ogni centimetro del suo corpo delizioso per assicurarsi che non avesse nulla con cui scassinare la serratura delle manette che le avrebbe messo. Poi, l’avrebbe amata in maniera così appassionata, così profonda, che lei non lo avrebbe mai più messo in discussione, non lo avrebbe mai più lasciato e non sarebbe mai più sparita.

Trelon oltrepassò le guardie a spintoni e sollevò il pugno, battendolo contro la porta. “Apri subito!” tuonò.

Non appena Carmen aprì la porta, il simbionte di Trelon uscì galoppando a piena velocità. La forza della sua partenza mandò Trelon a sbattere con un guerriero che era in disparte. Piccole fasce d’oro lampeggiarono e si avvolsero attorno ai suoi polsi in preda a una disperazione frenetica. Subito, Trelon si sentì percorso da scosse di dolore mentre il minuscolo simbionte addosso a Cara chiamava aiuto.

“Ma che…” fece per chiedere Carmen, ma scoprì che stava parlando con l’aria dove fino a qualche istante prima si era trovato Trelon.

*.*.*

Trelon attraversò di corsa il palazzo, uscendo da una porta secondaria e imboccando il vialetto. Non appena ebbe spazio a sufficienza, assunse la forma di drago. Il suo simbionte aveva già preso il volo, schizzando via così in fretta da sfondare le finestre. Il rumore del vetro rotto aveva attirato una folla di guardie.

Trelon volò verso la parte posteriore del palazzo, nella direzione delle scogliere. Il suo cuore batteva all’impazzata quanto quello del suo drago. Entrambi i cuori si colmarono di una paura inimmaginabile quando il dolore svanì, lasciando soltanto il vuoto. Trelon lanciò un ruggito che fece tremare gli alberi mentre passava loro accanto. Il suo simbionte aveva già raggiunto Cara e stava ansiosamente cercando di guarirla. Trelon si trasformò prima ancora di toccare terra, dirigendosi verso il suo simbionte, che si era avvolto attorno al corpo immobile di Cara.

“Cosa c’è? Cosa le è successo?” chiese Trelon mentre prendeva una delle mani fredde di Cara. Sfregandola fra le sue grandi e calde, chiuse gli occhi per concentrarsi su quello che stava facendo il simbionte.

Il cuore di Cara faticava. Batteva, poi mancava un battito, rallentava, saltava due battiti, batteva, niente. Le mani di Trelon tremarono mentre ordinava al cuore di lei di battere ancora. Guardò la mano che stava tenendo e vide tracce di sangue. Si portò la mano al naso e annusò. Era il sangue di Cara, scuro e ricco. Il suo sguardo corse attorno alla zona e vide il punto in cui lei aveva vomitato. Si vedeva che i contenuti del vomito erano sangue e… Lasciata la mano della femmina, Trelon si avvicinò alla macchia e annusò. Veleno.

Trelon riferì subito le sue scoperte al simbionte. Esso si stava muovendo attraverso il corpo di Cara a velocità stupefacente, purificando e guarendo gli organi danneggiati. Un sottile filo d’oro si era attaccato al cuore e aveva cominciato a inviare piccole scosse elettriche per farlo pompare. Presto, il cuore di Cara riprese a battere da solo, dapprima lentamente, poi a un ritmo più normale.

Trelon guardò il simbionte staccarsi da Cara e alzarsi su gambe incerte. Si scrollò energicamente, proiettando frammenti del veleno che aveva rimosso da Cara. La donna non aveva ripreso conoscenza, ma respirava da sola e il suo colorito era tornato quasi alla normalità.

“Grazie, amico mio,” bisbigliò silenziosamente Trelon al suo simbionte mentre sollevava Cara fra le braccia.