Capitolo XVII
Ritorno
Quando ebbe sentito le parole con cui Ivan Kiergine affermava di avere ucciso la donna e di averla uccisa per amore, De Vincenzi tacque qualche istante.
– Sta bene – disse poi, lentamente. – Partiremo subito per San Remo, Kiergine. Non c’è altro da fare.
Gli volse le spalle, si mise a gettare alla rinfusa la biancheria e gli abiti nella valigia. Si muoveva rapido, cercando di concentrarsi tutto in quei suoi atti materiali, per impedire a se stesso di volgersi verso l’uomo seduto, d’interrogarlo, di ascoltarlo parlare.
Non voleva che il russo ricamasse attorno alla sua menzogna con la fantasia morbosa dei mistici, che s’immedesimano tanto della parte eroica assunta, da ritenere vere le proprie invenzioni.
Subito, egli era stato sul punto di chiedergli: «Come l’avete uccisa?», ma se ne era astenuto. Kiergine gli avrebbe certamente recitato una favola, che avrebbe avuta tutta l’apparenza della verità. E lui non voleva farsi trarre in errore, subire comunque la suggestione di quell’uomo, nello spirito del quale si doveva esser rotta la molla della ragione.
Pazzo, Kiergine? Non proprio. Ma doveva trovarsi adesso sotto l’imperio di un perturbamento psichico profondo.
Non poteva avere uccisa Paulette Garat e non lo poteva per questa unica formidabile ragione: ch’egli aveva disperatamente voluto recarsi in casa di Frau Fischer, che era la casa di Kauffmann. Oppure il mistero sarebbe stato talmente inumano e viscido e pauroso! Anche in tal caso, però, non era in quel momento che De Vincenzi avrebbe potuto cercarne nelle parole del russo la spiegazione. Soltanto a San Remo lo avrebbe indotto a parlare, quando lui avesse fatto prima un tentativo, che improvvisamente gli si era presentato alla mente come capace di una rivelazione definitiva.
Chiuse la valigia e si volse.
– Kiergine – disse dolcemente – andate a prendere la vostra valigia e scendete. Vi attendo nella hall...
Il russo tutto quel tempo non si era mosso. Seduto, immobile, aveva seguito i fantasmi della sua mente sconvolta. Corrugò le ciglia e la fronte gli si segnò di piccole rughe sottilissime.
Gli occhi azzurri erano foschi, color di cobalto, come il mare molto profondo.
Si alzò lentamente.
– Dopo tutto – disse – è necessario tornare laggiù!
E scomparve nella camera vicina.
De Vincenzi discese. Telefonò a Ernwein, gli annunziò la sua partenza, lo pregò di recarsi da lui.
La grossa voce dell’alsaziano abbaiò al telefono:
– Ma caro amico, e Kehl? Come la mettiamo con Kehl?
– Ne parleremo. Venite – e riappese il ricevitore. Kehl! L’enigma di Frau Fischer. La doppia personalità del Ratgeber Fischer, che era anche l’assassino Kauffmann. Che cosa avrebbe fatto la severa fierissima gnädige Frau, una volta tornata in sé? E alla bionda e paffuta Fraülein quale spettacolo avrebbe dato sua madre?
Uno spettacolo di dignitosa impassibilità, certo. De Vincenzi ne era sicuro.
Kehl poteva attendere.
De Vincenzi s’informò del treno migliore per l’Italia, attraverso la Svizzera. Dovevano partire alle sedici, sarebbero giunti nel pomeriggio del giorno seguente a San Remo, dopo aver attraversato la frontiera italiana a Iselle e aver cambiato treno ad Arona, prendendo il direttissimo della Riviera.
Aveva poco tempo da rimanere a Strasburgo. Un paio d’ore ancora, per far colazione e parlar con Ernwein. Non avrebbe veduto la Cattedrale, né la vecchia Strasburgo dai pittoreschi quartieri del Finkwiller e della Piccola Francia...
S’era seduto nel ristorante dell’albergo, aveva fatto sollecitare Kiergine. Questi discese quasi subito con la sua valigetta gialla in mano, che depose accanto ai piedi, quando sedette di fronte al commissario, alla tavola apparecchiata.
Una grande stanchezza si leggeva sul volto del russo. Doveva essere moralmente e fisicamente sfinito. Mangiò con voracità, bevendo whisky. De Vincenzi si disse che egli non mangiava dal giorno prima, quando aveva fatto colazione nel vagone ristorante del treno di Parigi.
Lo lasciò ancora seduto a tavola, per raggiungere Ernwein, che gli faceva segno dal vestibolo. Entrarono nella saletta di lettura, dove avevano bevuto la birra con L0ewerlein, subito dopo il disperato ritorno di Kiergine da Kehl.
– E così? Il maresciallo mi ha riferito. Ma egli non sa nulla, naturalmente. Sembra che quella signora sia la moglie...
– Di un assassino – interruppe De Vincenzi con voce gelida, e il corpulento commissario di Strasburgo sussultò.
Poi De Vincenzi gli espose rapidamente i fatti. Era necessario che lo facesse, poiché aveva bisogno che la Polizia di Strasburgo lo aiutasse ancora ed Ernwein non era uomo da continuare ad agire alla cieca.
– Adesso, occorre vigilare discretamente su Villa Monica...
– Ma è territorio tedesco!...
– Ho detto discretamente, mio caro amico... Sarà sufficiente osservare i movimenti di Frau Fischer... Quella donna ha su di sé un imperio assoluto, inconcepibile... Si è abbattuta di schianto, soltanto quando ha saputo che suo marito era morto sotto i colpi dei gendarmi; ricordatevi, però, che era riuscita a non tradirsi davanti alle fotografie, fino al punto di negare ancora di averlo mai conosciuto... Straordinaria e terribile! Vedrete che avrà la forza di dominare il proprio dolore. Mi sono chiesto se ella ignorasse davvero l’attività criminale del marito e soltanto perché lei ha rinnegato il morto ho dovuto ammettere che doveva conoscerla e che forse ne era la complice. Il fatto che Kiergine sia andato da lei, sicuro di trovarvi Paulette Garat, confermerebbe tale ipotesi.
– Ma se realmente Kauffmann si chiamava Fischer e se apparteneva al Segretariato degli Esteri di Berlino...
– Si tratterebbe di una spia, dite voi? Può darsi. Ma in ogni caso di una spia, con le capacità di un assassino e anche forse di un abilissimo ladro... Comunque, questo non conta per ora... Tutto si chiarirà, io credo, quando avremo saputo dove si trova Paulette Garat e perché Eduard Letang è stato ucciso...
Ernwein guardò De Vincenzi.
– Di modo che a voi basta che io faccia sorvegliare Villa Monica e che vi tenga informato. Mi telefonerete?
– Sì. E vi sono assai grato di tutto!
Si alzò e gli strinse la mano con calore.
Kiergine era sempre seduto a tavola. Aveva davanti un grande bicchiere di whisky. Gli occhi gli brillavano.
– Andiamo, Kiergine!
Si alzò pesantemente. Piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte, sotto i capelli tanto biondi da sembrare d’argento.
Lo chasseur verde e oro li guardava. Il facchino teneva la valigia di De Vincenzi. Ernwein parlava col direttore dell’albergo.
– Niente buoni! Pagherà lui...
De Vincenzi chiese il conto ed Ernwein arrossì fino alle orecchie. Tuttavia non aveva detto che una cosa necessaria.
Si allontanarono in tassì, mentre sulla soglia dell’albergo il lift rosso ammiccando diceva allo chasseur:
– Il biondo è ubriaco!
Kiergine era salito in tassì, stringendo fra le braccia la valigetta gialla, come fanno i bambini coi fantocci.
***
Un altro viaggio, in cui soltanto il cervello di De Vincenzi continuò ad agitarsi vertiginosamente, mentre il suo corpo rimaneva inerte. Kiergine, a cui visibilmente la cura dell’alcool era stata utile, dormì sino alla frontiera. Il commissario cercava disperatamente di dare un ritmo logico ai propri pensieri e non ci riusciva che a tratti.
Quando ebbero passato Iselle e il treno si fu fermato a Domodossola, De Vincenzi scese sulla banchina e si mise a passeggiare.
Teneva d’occhio il vagone in cui aveva lasciato solo Kiergine. Non perché temesse che il russo tentasse di fuggire o qualcosa di simile, ma soltanto perché voleva osservarne i movimenti, studiarne i riflessi. Adesso soprattutto, Kiergine lo interessava.
Il russo s’era alzato dal suo posto ed era andato nel lavabo. Quando tornò nello scompartimento apparve pettinato e aveva il volto perfettamente tranquillo. Doveva essersi occupato della propria toletta con cura minuziosa. Rientrava con la sua valigetta gialla nella mano ed era evidente che si era cambiato di camicia e di cravatta.
De Vincenzi lo trovò seduto con lo sguardo verso la porta. Lo aspettava, perché appena lo vide ebbe un moto di soddisfazione, che subito represse per affettare indifferenza.
– Tra quante ore saremo a San Remo?
– Tra due ore ad Arona, da Arona a San Remo credo che ce ne vorranno almeno altre quattro...
– Verso le sei?...
– Vers0 le sei...
Un silenzio. Kiergine descriveva col dito svolazzi, cerchi, elissi sul vetro polveroso del finestrino. Il treno s’era messo in moto.
– Non vi ho detto ancora come abbia fatto a uccidere Paulette...
– Infatti...
Avrebbe dovuto alzarsi di scatto e andare a passeggiare pel corridoio. Non aveva altro modo per evitare che quello continuasse. Ma il movimento non gli era venuto naturale e rimase a sedere di fronte al russo, per una forza d’inerzia, che sembrava tenerlo come una fatalità.
– Fu nel canotto... un colpo di rivoltella... eravamo al largo...
Parlava con voce pacata. Chiese:
– Volete maggiori particolari?
Ma era evidente che prendeva tempo, per cercarli, i particolari.
– Oppure più tardi... Credo che vi consegnerò una confessione scritta... Basterà questo, per far dichiarare chiusa l’inchiesta, non è vero?... Dal momento che io confesso...
De Vincenzi taceva. Lui si animava. Il silenzio del commissario lo rendeva nervoso.
– Dovrò essere giudicato a San Remo?...
– Non c’è Corte d’Assise a San Remo... Sarete trasportato a Imperia o a Savona...
– Ma voi potrete tornarvene a Milano... Non ci sarà più nulla da fare per voi, commissario... Nessun bisogno di continuare l’inchiesta, dal momento che vi è un solo colpevole e che quello sono io e che io confesso... Nessun bisogno!...
Era febbrile.
– Così tutto sarà finito! Kauffmann... ora sapete che si chiamava Fischer... è morto. È stato lui, naturalmente, che ha ucciso il cassiere. Me lo avete affermato voi! In quanto a... in quanto a Paulette Garat, tutto è chiaro, oramai!... Vi darò un memoriale. Lo scriverò questa notte stessa in prigione. Perché voi mi farete tradurre alle carceri, vero?... Avete detto che arriveremo verso le sei?
De Vincenzi lo fissava. Cercava d’irrigidirsi.
Il russo accese un’altra sigaretta. Era l’ultima che aveva. Batté il portasigarette vuoto sulla palma.
– C’è qualche fermata prossima?... Vorrei comperare le sigarette... Vi chieggo scusa! Avrei dovuto confessare subito, a Milano! Vi avrei risparmiato un viaggio inutile. Però, di non andare a Nizza ve lo avevo detto. Se aveste aspettato, avrei parlato prima!
E lo guardava, spiando l’effetto delle proprie parole, e poiché sul volto di lui non riusciva a scoprire nulla, la sua agitazione aumentava.
– Voi siete stato molto buono con me. Lo ricorderò sempre...
Sorrise convulsamente.
– Ho poco tempo ancora per ricordarlo! È stato un delitto brutale il mio, meditato. Vi ho detto d’averla uccisa perché l’amavo. Non è completamente esatto. A ogni modo, nessuno vorrà ammettere che il mio sia stato un delitto passionale. In Inghilterra, il mio avvocato dovrebbe dichiarare alla Corte che difende un colpevole... Illuminerò ogni causale del mio gesto nel memoriale che farò...
Tornava su quell’idea con compiacenza. Pensava con soddisfazione che aveva davanti a sé tutto il tempo necessario a stendere con tranquillità la sua confessione, a pesarla, a renderla tale da chiudergli ogni via di scampo.
Era colpevole! E si vedeva già giudicato da una Corte inglese! Forse aveva assistito a qualche processo laggiù. Il giudice che si copre la parrucca col tocco nero e che pronunzia solennemente la formula fatale: impiccato alto e corto.
L’immobilità a cui s’era costretto De Vincenzi gli faceva dolere le corde del collo, ma se si fosse tolta anche per un solo istante quella sua maschera d’indifferenza, non avrebbe più avuto il controllo dei suoi nervi. Lo avrebbe schiaffeggiato, come si fa con un bimbo testardo. Gli avrebbe gridato una sola parola: imbecille!
– Tutto finito! Un viaggio a Strasburgo...
De Vincenzi interruppe:
– A Kehl!
E si pentì subito d’averlo fatto, perché gli sguardi di Kiergine vacillarono. Egli sembrò smarrirsi. Le labbra scolorite gli tremarono.
– Naturalmente! A Kehl...
Ma non continuò. Quel nome era stato per lui come un colpo sul cranio. Aveva riveduto la villa sul Reno, Frau Fischer... Era andato laggiù sicuro di trovarvi Paulette Garat e ne tornava affermando di averla uccisa lui!
– Dal momento che confesso!...
– Ecco le sigarette, Kiergine. Affacciatevi e chiamate quel facchino. Andrà lui a prendervele.
Il treno s’era fermato a Pallanza. Una donna bruna, bella col seno sporgente e diritto sotto la seta della camicetta rossa, rideva sulla porta del ristorante. Intese la richiesta del viaggiatore e corse lei stessa al banco, per tornare con alcuni pacchetti di sigarette.
De Vincenzi uscì nel corridoio. Aveva un senso d’angoscia in gola. Che cosa voleva ottenere quell’imbecille con quella confessione, che non aveva neppure l’ombra della verosimiglianza?
Kiergine, nell’interno dello scompartimento, s’era messo a fumare senza tregua. Ad Arona dovevano cambiar treno e De Vincenzi entrò per prendere la valigia. Lo scompartimento era pieno di fumo e il russo aveva le lacrime agli occhi...
Fuori della stazione di San Remo, De Vincenzi camminò diritto verso la scaletta di sasso dell’albergo. Kiergine lo seguiva.
Il portiere si fece loro incontro, senza nascondere la sua profonda meraviglia. Non trovò neppure il modo di mormorare un saluto. Afferrò la valigia del commissario e corse a prendere le chiavi.
De Vincenzi disse al russo brevemente, con rudezza, per impedirgli di replicare:
– Andate nella vostra camera, Kiergine. Naturalmente, siete libero di uscire per la città, se volete. E anche di tornare al Casino...
Un lampo di terrore balenò nelle pupille dell’uomo.
Tentò di parlare. Poi infilò le scale in fretta, seguìto dal facchino con le valigie.
De Vincenzi andò al telefono. Il Questore gli gridò, prima ancora di rispondere al suo saluto:
– È il quinto giorno che lei è partito! Perché non ha mandato almeno un telegramma? Io non sapevo neppure dove lei si trovasse!...
De Vincenzi non si scusò.
– Vengo da Strasburgo... Sono passato per la Germania... La prego di telegrafare d’urgenza al Segretariato degli Esteri di Berlino, per chiedere notizie di un certo Consigliere Fischer... E anche alla nostra Ambasciata, nello stesso senso... L’unica speranza è che riesca a darci qualche informazione l’Ambasciata, perché è quasi sicuro che i tedeschi risponderanno di non saper nulla...
– Ma che dice?... Venga da me a spiegarsi...
– Tra un’ora, commendatore! Mi permetta di venire soltanto tra un’ora... Ci sono novità?...
Il Questore dovette crederlo impazzito. Lo sentì esclamare: «Ci mancava anche questa!».
– E quali novità vuole che ci siano?!... Tutti gli ospiti dell’albergo che abbiamo fermati, sono furibondi. L’olandese ha ricorso al Console, perché dice che non facciamo nulla per ritrovare i suoi brillanti. E i due milioni del Casino!... E la fidanzata di Eduard Letang che è arrivata e chiede vendetta, perché dice che gli hanno ucciso il fidanzato per ragioni politiche...
De Vincenzi sussultò. Aveva ancora in tasca le cartoline con la firma Anne Marie.
– E lei mi chiede se ci sono novità!... Racheli è partito per Rovigo e deve tornare questa notte con la moglie del cassiere Valeri... L’ho fatta arrestare e ho fatto mettere il fermo a ottocentomila lire da lei depositate in una banca di Milano... Queste sono le novità!...
– Io ho lasciato Strasburgo nel pomeriggio di ieri. Riconduco il russo. Lui sostiene di avere ucciso Paulette Garat!...
– Ah!
– No! È una menzogna. Ne sappiamo meno di prima.
– Bravo! E lei in quattro giorni...
– I gendarmi di Barcellonette hanno ucciso a colpi di carabina Kauffmann.
– Come dice?
– Dico che hanno ucciso l’uomo che ha assassinato Valeri e che era scappato da San Remo... L’ho ritrovato a Nizza e gli ho dovuto gettare un bicchiere sulla faccia, per impedirgli di freddarmi con una rivoltellata...
– Ma cos’è questa storia?
– Una storia appunto, commendatore. Gliela racconterò per intero fra un’ora, quando sarò da lei. Le raccomando Berlino! Fischer e Kauffmann erano una sola persona... Un momento! Mi scusi!... Ci sono state le regate domenica?.. Molta gente?...
Ma non continuò, perché l’altro aveva riappeso il ricevitore.
– Se questa volta si limitano soltanto a farmi dare le dimissioni, posso dirmi fortunato!...
Uscì dalla cabina e si trovò davanti l’albergatore.
– Ah! È tornato? Dica un po’!... Quando mi farà togliere gli agenti dall’albergo e quando finalmente lascerà liberi i clienti di partire? Lo sa che...
Gli occhi di De Vincenzi lo fissavano in modo tale che lui, prima abbassò il tono, poi non trovò più le parole.
– Perché... dico... un sopruso...
– Se continua, lo faccio portare alle carceri per ricettazione dolosa! Perché non mi ha detto che Kiergine aveva consegnato a lei trecentomila lire?
L’altro si fece bianco.
– Ricettazione!... Non gliel’ho detto, perché lei non me lo ha chiesto!...
De Vincenzi rise.
– Come facevo a chiederglielo, se non lo sapevo? È stata un’idea che mi è venuta in questo momento...
E si allontanò verso la sala di lettura, mentre l’albergatore lo guardava trasecolato.
Dalle scale scendeva correndo Cruni.
– Ho saputo soltanto adesso che lei è arrivato, dottore!...
C’era una tale gioia negli sguardi e nella voce del brigadiere, che De Vincenzi si sentì commuovere. Gli batté una mano sulla spalla.
– Cruni!... Che hai fatto questi quattro giorni?...
– Ah!... Non mi dica che mi lascerà ancora solo in questo albergo, cavaliere!... Ho finito per andare a mangiare all’osteria, perché avevo paura che mi avvelenassero!
Era comico. Ed era commovente! De Vincenzi lo avrebbe abbracciato.
Il portiere si avvicinò al commissario.
– La signora del numero 31 vuol parlarle!... Dice che ha saputo del suo ritorno dal facchino. È in camera che l’aspetta...
– Aspetterà!... Andiamo, Cruni...
E uscì in fretta. Quando furono sulla passeggiata a mare, cominciò a fissare l’orizzonte.
– Ah! Il mare!... Vuol parlarmi! Lo credo che vuol parlarmi! Che cosa ha fatto questi giorni?
– Chi?
– Agnes Staub... la signora dei brillanti, come la chiami tu...
– Albergo e Casino... E alla notte... gran discorsi in camera con quel greco... quello pieno di brillanti, anche lui...
– L’hai pedinata?
– Sempre. Ma lei se ne è accorta. Dev’essere stato il cameriere dell’albergo a dirle chi ero...
De Vincenzi non lo ascoltava più. Fissava l’orizzonte e camminava in fretta. Quando raggiunse le due scalette di ferro che scendono alla spiaggia, passando sotto il ponte della ferrovia, si fermò.
Aveva impallidito e si mordeva le labbra.
Cruni lo sentì parlare da solo.
– Che idiota sono stato!... Troppo tardi!...
Scese le scale e raggiunse il primo ripiano. Scrutava sempre il mare.
– È partito!
– Ma chi, dottore?
Anche Cruni cominciava a dubitare che il viaggio gli avesse fatto vacillar la ragione.
– Lo yacht! Lo yacht di Kamir Pascià!
– Ah!
Lui non aveva mai saputo neppure che esistesse uno yacht di Kamir Pascià.
– Non so, dottore!
De Vincenzi risalì in fretta e tornò sui suoi passi.
– Certo è partito! Andarlo a riprendere, adesso!...
Se avesse detto al Questore che si metteva in viaggio ancora!... Un telegramma a tutti i porti! Ma dove? Poteva essere andato in Francia, in Ispagna, verso l’Egitto. E se fosse ritornato in Turchia? Più niente da fare!
Afferrò Cruni per un braccio.
– Corri alla Capitaneria del Porto... Sai dov’è?...
– Sì, cavaliere. Giù di lì... – e indicò la strada, che proseguiva a destra della stazione, dalla parte opposta di dove si trovavano loro.
– Bene. Chiedi quando è partito lo yacht di Kamir Pascià, che era ancorato al largo, davanti ai giardini... Era l’unico yacht di grande tonnellaggio che fosse qui... Chiedi anche se sanno dove si sia diretto... Ma non lo sapranno!... Va’!...
Cruni si affrettò sulle sue gambe troppo corte, agitando le braccia a bilanciere.
– T’aspetto all’Europa – gli gridò dietro il commissario.
E quello fece un cenno con la mano, per dirgli che aveva capito, e si affrettò ancor di più, fino a sembrar che corresse.
De Vincenzi proseguì lentamente verso l’albergo. Così, lui era arrivato troppo tardi!
Senza il viaggio a Kehl non si sarebbe avvicinato alla verità, ma era stato quel viaggio a permettere alla verità di veleggiare lontano... E adesso?... E poi chi gli poteva dimostrare che non si era ingannato? Tutto un giuoco d’immaginazione il suo! E adesso quello lassù, nella camera, a piangere sopra una cornice vuota. E aveva voluto confessare d’esser lui l’assassino di Paulette Garat! Ma perché l’aveva fatto? Per fuorviare le sue ricerche, evidentemente. Non voleva che la donna – la figlia di Victor Delfosse, «tutto un dossier dedicato a lei, il dossier Paulette Garat e C.» – fosse ritrovata. Prima, aveva creduto che Kauffmann l’avesse mandata a Villa Monica e aveva taciuto. Aveva taciuto disperatamente, piegandosi a sostenere la parte dell’individuo losco, del ladro internazionale... Poi aveva saputo che Kauffmann era stato ucciso e aveva pensato che presto o tardi si sarebbe conosciuta la vera identità del morto, che si sarebbe invasa Villa Monica e che si sarebbe ritrovata Paulette Garat. Perciò aveva finto di volerla andare a liberare, come se soltanto il terrore di Kauffmann vivo glielo avesse impedito fino allora. Ed era corso a Kehl. Se ve l’avesse trovata, l’avrebbe fatta fuggire. Invece la ragazza non c’era. Che poteva fare ancora, per salvarla, per impedire che De Vincenzi, una volta a San Remo, la trovasse? E aveva confessato di averla uccisa... e in quel momento forse, invece di pregare sulla cornice vuota, stava scrivendo il suo memoriale, per ottenere d’esser mandato alla fucilazione...
Ma perché non voleva che Paulette venisse ritrovata?
E che cosa c’entrava in tutto quel dramma Eduard Letang, che avevano ucciso con una stilettata alla schiena, mentre stava scrivendo una lettera a una donna?
E Agnes Staub, con quel suo greco, che fiutava droghe e rubava i diamanti di van Lie? Perché a rubare i brillanti della valigetta rossa era stato certamente Kristopoulos!... De Vincenzi lo avrebbe giurato!
E perché Kauffmann aveva ucciso Valeri, il quale per suo conto aveva già rubato due milioni dalle casseforti del Casino e si preparava a fuggire con la moglie e le sue tre figliuole dagli occhi verdi e dal profilo di cammeo?
De Vincenzi intuiva tutto e non sapeva niente!
E lo yacht di Kamir Pascià aveva preso il largo!...
Si diede un colpo in fronte. Come aveva fatto a non pensarci prima?
Stava per imboccare via Vittorio Emanuele, scese a precipizio la gradinata che conduce al piazzale della stazione e saltò in un tassì.
– Al telefono!
L’autista lo guardò meravigliato.
– Ma è in via Umberto! Son cento passi...
– Non importa, corri! Ti darò la mancia...
Dovette aspettare un quarto d’ora prima che gli dessero Nizza e cercò di calmare la propria agitazione, perché la signorina di dietro lo sportello lo guardava con una curiosa smorfiuccia ironica delle labbra.
Ebbe la fortuna di trovare Loret nel suo ufficio.
– Già a San Remo? Com’è andata a Strasburgo?
– Bene. Vi dirò. Ma ho bisogno di sapere al più presto se si trova ancorato davanti a Nizza o in qualche porto della costa... Antibes... Cannes... Montecarlo... lo yacht di Kamir Pascià... È un grande yacht bianco, che batte bandiera turca... Come? Lo conoscete?... Bene, allora... Sì, subito... Chiamatemi all’Hôtel Europa... Grazie. Può darsi che ci rivediamo questa notte stessa...
Uscì. Il centro della città era affollato, per il passeggio di prima di cena. I caffè gremiti. Le lampade ad arco si accendevano, mentre ancora il giorno durava nella chiarità diafana del tramonto.
Si avviò verso l’albergo. Allora soltanto si ricordò che il Questore lo attendeva. Bene! Gli aveva detto fra un’ora. Prima voleva veder Cruni e sapere da Loret se avrebbe dovuto rimettersi ancora in treno per Nizza.