VIII

La camicia di Nesso

Finora abbiamo avuto a che fare con una specie di super-Rambo, adesso, invece, vedremo il nostro Eracle in una versione del tutto diversa: la sorte gli ha voltato le spalle e lui, da sovrumano che era, diventerà improvvisamente un individuo come tutti gli altri, uno che s’innamora (e anche più di una volta) e che prova perfino il dolore fisico.

I suoi guai cominciarono quando decise di sposarsi con Dejanira, figlia di Eneo, re di Pleurone. I pretendenti alla mano della fanciulla erano moltissimi, e provenivano da ogni parte della Grecia, ma non appena si sparse la voce che anche Eracle le aveva messo gli occhi addosso, se la squagliarono tutti a eccezione di Acheloo, un Dio fluviale, un po’ mostruoso a essere sinceri, che non piaceva nemmeno alla diretta interessata. La quale, peraltro, ce lo confida nel prologo di una tragedia di Sofocle:

«Mi chiese in moglie un fiume che continuamente cambiava di forma: la prima volta che lo vidi aveva l’aspetto di un toro, poi di un drago, viscido e iridescente, e infine di un uomo, ma anche in quest’ultima forma conservava la testa di un bue. E come se ciò non bastasse, da un groviglio di peli che aveva sul mento venivano giù rivoli d’acqua. Io ero terrorizzata: meglio morire, mi dissi, che entrare nel letto di un simile sposo. Per mia fortuna, quando già avevo perso ogni speranza, ecco apparire lui, il mio eroe, il figlio di Zeus e di Alcmena!»

(Sofocle, Trachinie 9 sgg.)

Tutto si risolse in una sfida all’ultimo sangue. Acheloo si mutò in toro e in serpente, ma Eracle non ci fece nemmeno caso: aveva trascorso una vita intera, fin dalla culla si potrebbe dire, ad abbattere tori e serpenti, figuriamoci se gli poteva fare impressione un fiume trasformista! In termini pugilistici lo fece secco al secondo round, ovvero al secondo mutamento.

Eracle e Dejanira si sposarono con grande sfarzo e sarebbero vissuti felici e contenti per sempre, come nelle favole, se durante il viaggio di nozze non fosse capitato un incidente alquanto strano: a un certo punto stavano per attraversare un fiume, quando si presentò un centauro di nome Nesso. Disse di aver ricevuto direttamente da Zeus l’incarico di traghettarli e di deporli sani e salvi, uno alla volta sia chiaro, sull’altra riva. Nesso però (come tutti i centauri del resto, a eccezione di Chirone) era un poco di buono: motivo per cui, non appena si trovò a tu per tu con Dejanira, e con Eracle sull’altra riva, cercò di possederla. All’eroe non restò altro che ricorrere a una delle sue frecce infallibili, peraltro intinte nel veleno dell’idra, e cercare di far secco il quadrupede. Non sbagliò mira nemmeno stavolta: lo beccò giusto tra il cuore e i polmoni. Il centauro però, prima di morire, ebbe il tempo di sussurrare all’orecchio della fanciulla queste parole: «O mia dolce Dejanira, conserva un po’ del mio sangue. Sappi che è un potentissimo filtro d’amore, e chiunque ne verrà a contatto, anche solo per un attimo, non potrà mai più tradirti con un’altra donna».

Che ciò fosse vero o falso, a Dejanira, in quel momento, non è che importasse molto: Eracle amava lei solamente! Un domani, però, chissà: avrebbe potuto incontrare una donna più bella, e comunque un filtro d’amore può sempre far comodo. Ragione per cui la dolce sposina, senza starci tanto a pensare, mentre il marito era impegnato ad attraversare il fiume a nuoto, tolse la camicia al centauro, l’inzuppò ben bene nel suo sangue e se la nascose in uno scrigno.

Quello che accadde dopo, facciamocelo raccontare direttamente da Sofocle.

Personaggi principali, in ordine di apparizione:

Dejanira, che piange dall’inizio alla fine.

Lica, il messaggero, che annunzia il ritorno dell’eroe.

Iole, la figlia del re sconfitto, che non parla mai.

Illo, il figlio maggiore di Eracle e Dejanira.

Eracle in barella, che urla di dolore.

Le Trachinie, ovvero il coro delle donne di Trachis.

Antefatto: Eracle e Dejanira sono ormai sposati da venti anni e si sono stabiliti a Trachis, una cittadina della Tessaglia.

La tragedia ha inizio con Dejanira che si lamenta con il pubblico perché il marito è sempre in giro.

«O me sventurata! Eracle è come un contadino che ha un campo fuorimano: lo visita solo per la semina e il raccolto. È via da quindici mesi, un’eternità, e non ha dato più notizie di sé.»

(Op. cit. 32 sgg.)

Francamente non le si può dar torto! La verità è che Eracle non è uomo di casa, non è fatto per stare in pantofole, accanto al caminetto, a chiacchierare del più e del meno. È uno che deve menare mazzate, e se Euristeo non gli avesse ordinato le dodici fatiche, con ogni probabilità se le sarebbe inventate da solo.

Mentre la poverina sta chiedendo comprensione, ecco arrivare sul proscenio l’araldo Lica con le ultime notizie dal fronte. Dietro di lui avanza una lunga schiera di prigioniere, tra cui una giovane molto bella, Iole, figlia del re sconfitto Eurito. La ragazza non parla, ha il viso rabbuiato e gli occhi bassi, ma Dejanira la guarda con molta attenzione.

L’araldo all’inizio si tiene sulle generali: Eracle sta bene, per il momento è impegnato a fare sacrifizi di ringraziamento agli Dei, poi verrà. Per quanto riguarda le prigioniere, niente da dire: fanno parte del solito bottino del vincitore. Ma Dejanira lo incalza: alcune malelingue le hanno detto che Eracle ha un debole per una di loro.

«Parla, o Lica, e dimmi il vero: chi pretende di litigare con Eros è un pazzo! Eros fa quello che gli pare, e lo fa con me, con gli altri e anche con gli Dei. Lui è come una malattia! Sarei pazza, quindi, se rimproverassi mio marito perché si è improvvisamente ammalato. Se invece non vuoi informarmi, solo perché hai pietà di me, sappi allora che sei ingiusto. Sono molte le donne che Eracle ha amato nella sua vita, e nessuna di esse ha mai ricevuto da me qualche ingiuria. Questa poi, appena l’ho vista, mi ha subito intenerito per il suo aspetto dolente.»

(Op. cit. 441 sgg.)

E Lica parla:

«O amata regina, dal momento che ti vedo umana e che umanamente ragioni, ti dirò ogni cosa, senza nulla tacere. È vero: Eracle è stato preso da un tremendo desiderio per questa fanciulla, ed è per catturare lei che ha dichiarato guerra a Eurito e ha raso al suolo la sua patria Ecalia! Finora lui ha sempre trionfato su tutto e su tutti con la sola forza dei muscoli, ebbene oggi è costretto a soccombere alla forza dell’amore!»

(Op. cit. 472 sgg.)

Dejanira, però, non è poi così «umana» e la notizia che Eracle ha perso la testa per un’altra donna la fa stare malissimo. Si trattasse solo di una concubina, pazienza, lo potrebbe pure capire, ma che si fosse innamorato, e di una che adesso le insidiava il posto di moglie e di regina, questo no, non poteva proprio accettarlo!

«Cosa si pretenderebbe da me: far entrare in casa una vergine, che forse a quest’ora non è nemmeno vergine, al pari di un marinaio che prende a bordo, volontariamente, un carico rovinoso? Se io fossi così imprudente da accettarla, saremmo in due, sotto le coperte, ad attendere l’amplesso di Eracle! Con l’aggravante che, mentre in lei sboccia la giovinezza, in me s’insinua l’odiosa vecchiaia. Come stupirsi, allora, se l’uomo volge lo sguardo alla bellezza in fiore e lo distoglie da quella in declino! Quel giorno Eracle sarebbe per me un marito solo di nome, e un marito per lei anche di fatto!»

(Op. cit. 541 sgg.)

A questo punto si ricorda della camicia di Nesso e del filtro d’amore di cui era imbevuta. «Vuoi vedere che funziona?» pensa, e subito dopo prepara un pacco dono per il marito.

«Va’, o Lica, e porta a Eracle questa tunica: è opera delle mie mani. Nel consegnargliela, devi dirgli che, prima che lui l’abbia indossata al cospetto degli Dei, nessuno la dovrà vedere. E che non la mostri nemmeno al sole o alla fiamma dell’altare. Eccoti lo scrigno, a te lo affido: su di esso c’è il sigillo che l’eroe conosce e che darà fede alle tue parole.»

(Op. cit. 602 sgg.)

Quello che accadde dopo, è fin troppo noto: Eracle, appena indossata la micidiale camicia, cadde preda di dolori lancinanti. Pare, infatti, che il sangue di Nesso gli divorasse la carne millimetro per millimetro, e che qualsiasi tentativo per strapparsela di dosso fosse inutile. Il poverino, tra un urlo di dolore e l’altro, malediceva Dejanira e il giorno che l’aveva incontrata.

Tutto questo a teatro non si vede: è il giovane Illo, il primogenito di Eracle, che irrompe sulla scena, come un ossesso, per raccontarcelo.

«Vorrei che tu fossi morta, o madre, o che fossi la madre di qualcun altro! Hai ucciso tuo marito, anzi mio padre!»

(Op. cit. 734 sgg.)

Dejanira, poverina, cade dalle nuvole: lei non ha ucciso proprio nessuno. Perché suo figlio l’accusa? Illo, allora, la informa.

«Quando Lica, l’araldo, giunse con la tunica di morte, Eracle l’indossò immediatamente, felice per quanto era bella: ma all’improvviso il corpo gli si coprì di sudore, il chitone gli s’incollò sui fianchi, giuntura per giuntura, piega per piega, quasi che l’avesse modellato uno scultore. Lancinante, intollerabile, il dolore gli trafisse le ossa, come se a morderlo non fosse un tessuto, ma migliaia di vipere velenose. Nessuno osava avvicinarsi: lui allora, dopo essersi più volte rotolato per terra, balzò in piedi ululando, e mentre tutto intorno muggivano le rupi montagnose della Locride e i promontori dell’Eubea, trovò la forza per imprecare contro te, o madre, e contro il talamo nuziale, giacché fosti tu quella che tramò il delitto! Preparati, ora, a risponderne alle Erinni e alla Giustizia vendicatrice!»

(Op. cit. 734 sgg.)

Povera Dejanira! Lei amava Eracle più di qualsiasi cosa al mondo e pensava di avergli inviato solo un filtro d’amore!

«Il suo rimedio è rovina, e rovina

i consigli di un incontro funesto.

Geme ora la povera donna. Vivide

lacrime le rigano il pallido volto.

Il destino avanza, svela inganni

e le annunzia tremende sciagure.»

(Op. cit. 844 sgg.)

Questo è il coro delle Trachinie che come tutti i cori greci non è mai troppo roseo. Dejanira, infatti, sente queste parole e si uccide. Prima di esalare l’ultimo respiro, però, trova il tempo di dire:

«O mio letto, o mia stanza nuziale, addio per sempre: mai più mi accoglierete come sposa tra le candide coltri!»

(Op. cit. 734 sgg.)

Il figlio Illo la troverà morta stecchita e si pentirà amaramente di averla accusata: «Ma perché s’è uccisa?» si chiede più disperato che mai, e il coro gli risponde:

«Perché il soffrire non è diverso dall’attesa del soffrire.»

(Op. cit. 952 sgg.)

Frase, questa, che da sola giustificherebbe l’acquisto di tutte le tragedie di Sofocle. Ma non è finita, ecco giungere Eracle. Il disgraziato è sdraiato su una barella, e soffre le pene dell’inferno. Ce l’ha con tutti: con Dejanira, con Era e con il mondo intero. Quando poi viene a sapere che la moglie non ha colpe e si è uccisa, prega il figlio che lo aiuti a porre fine al tormento che gli divora le carni.

ERACLE È giunto il momento di mostrare se meriti il nome di figlio. Un giorno ebbi una profezia: che sarei caduto per mano di un morto e non di un vivo. Oggi questa profezia si avvera: quel centauro, morto da tempo, uccide me che sono ancora vivo. Ma tu non attendere, o figlio, che la mia voce s’inasprisca: cedi spontaneamente e osserva la più bella di tutte le leggi: ubbidire al padre!

ILLO Grande è il timore che mi prende, ma ti seguirò dovunque tu vorrai.

ERACLE Conosci il picco di Zeus sulla vetta del monte Eta?

ILLO Lo conosco: e spesso, colà, ho offerto sacrifici.

ERACLE Solleva allora il mio corpo e portalo lassù, insieme agli amici che vorrai. Taglia molti rami di quercia e di oleandri robusti, distendi sulla catasta il mio corpo e con una torcia dai fuoco alla pira. Tutto questo senza emettere né pianti né gemiti, altrimenti non saresti mio figlio!

(Op. cit. 1191 sgg.)

La leggenda vuole che all’ultimo minuto Illo non avesse più il coraggio di appiccare il fuoco, e che a provvedere alla tragica mansione sia stato Filottete, un eroe greco di passaggio, che a titolo di compenso avrebbe poi avuto in regalo le frecce e l’arco di Eracle.

La versione, però, che più ci stimola è un’altra: la camicia di Nesso, a detta di alcuni, rappresenterebbe la vita matrimoniale con i suoi inconvenienti. Eracle, spirito giramondo, sempre alla ricerca di nuove emozioni, non sopportando la monotonia del matrimonio, preferisce morire piuttosto che trascorrere giorni sempre uguali accanto a sua moglie.

Ciascun lettore può scegliere la versione che gli è più congeniale.