In Grecia, quando si volevano citare due amici per la pelle si ricorreva in genere a Oreste e Pilade, ad Achille e Patroclo, o a Teseo e Piritoo. È inutile precisare che in tutte queste amicizie c’era sempre una componente omosessuale: come abbiamo già detto altre volte, a quei tempi, il fatto che due giovanotti, oltre a compiere insieme imprese eroiche, fossero legati anche da “tenere amicizie”, non scandalizzava proprio nessuno.
Piritoo, l’amico del cuore di Teseo, era un Lapita, ovvero un Tessalo di statura superiore alla media, figlio secondo alcuni di Dia e di Issione, e secondo altri di Dia e di Zeus, trasformatosi per l’occasione in cavallo da monta. Una volta maggiorenne, il nostro balzò agli onori della cronaca a causa di una festa di nozze alquanto movimentata. Si racconta, infatti, che durante il suo matrimonio con Ippodamia, i cugini centauri, per nulla avvezzi alle regole del saper vivere, a forza di bere vino puro, persero il controllo, e invece di limitarsi a baciare la sposa, come voleva la tradizione, cercarono di farsela seduta stante, insieme a tutte le damigelle d’onore. Insomma, per dirla con Plutarco:
Si spinsero a tal punto di tracotanza e sfacciataggine da mettere le mani addosso alle donne dei Lapiti. Costoro in un primo momento fecero finta di non accorgersene, poi, all’improvviso, si vendicarono con estrema durezza, uccidendone alcuni e cacciandone via altri, dopo averli sconfitti in una vera e propria battaglia.
(Plutarco, op. cit. 30, 3)
Quando Plutarco parla di «estrema durezza» vuole alludere di certo al fatto che in quella occasione Teseo e Piritoo dettero sfogo al loro sadismo, amputando nasi, orecchie e chissà cos’altro ancora ad alcuni centauri. Ovidio, nel XII libro delle Metamorfosi (210 sgg.), ce ne dà un ampio resoconto (se ne sconsiglia la lettura alle persone sensibili).
Ma come si conobbero Teseo e Piritoo? È presto detto: Piritoo era già da tempo che sentiva fare gli elogi del vincitore del Minotauro, e francamente non ne poteva più. Tutti a dire: «Ma quanto è bravo Teseo! Ma come è coraggioso Teseo!» e a lui tutto questo infervorarsi in encomi non andava affatto a genio. Motivo per cui, un po’ per invidia, un po’ per il semplice gusto di misurarsi con il rivale, un bel giorno decise di metterlo alla prova: si recò nei possedimenti che Teseo aveva a Maratona e gli rubò un’intera mandria di vacche, avendo cura, però, di fargli sapere che era stato lui l’autore del furto. Ebbene, come nei western, i due eroi s’incontrarono a metà strada per un chiarimento, ma invece di venire alle mani, si piacquero a tal punto che da quel giorno divennero inseparabili. Nasce così la Teseo & Piritoo, ovvero un’associazione a delinquere avente come scopo sociale il rapimento di giovani donne di discendenza divina. Ora può sembrare strano che un eroe, ovvero una figura altamente esemplare, si potesse macchiare di un reato così squallido come il rapimento a scopo di libidine, ma, come abbiamo già detto in varie occasioni, tremila anni fa la donna era vista più o meno come un oggetto di consumo, o, nel migliore dei casi, come una colf a cui affidare la casa. In altre parole, ai tempi di Teseo, il consenso della controparte femminile non era considerato indispensabile, così come noi oggi, per mangiare un pollo, non dobbiamo necessariamente chiedere il suo benestare.
A ulteriore scusante di Teseo, dobbiamo aggiungere che era appena uscito da una situazione familiare particolarmente sofferta e complicata, tanto complicata che, per cercare di spiegarla in modo semplice, dovremo far ricorso a tutto il nostro ingegno.
Dunque, le cose erano andate così: Teseo aveva avuto dalla sua seconda (o terza) moglie, l’Amazzone Antiope, un figlio di nome Ippolito, il quale, essendo devoto (come la madre, del resto) alla Dea Artemide, aveva fatto voto di castità. Tutto sarebbe andato per il meglio se un brutto giorno Teseo non avesse ripudiato Antiope per mettersi con Fedra, sorella minore di Arianna. A lavare l’affronto inflitto alla loro ex regina provvidero le Amazzoni che, quella sera stessa, attaccarono Atene, dando origine a una guerra sanguinosa con elevate perdite umane da ambo le parti. Antiope, comunque, non ancora soddisfatta di tanto putiferio, pregò Afrodite affinché facesse innamorare Fedra di suo figlio Ippolito. Pausania sostiene che Fedra si sarebbe invaghita del giovanotto per averlo visto un giorno attraverso uno spioncino, tutto nudo, mentre si allenava nello stadio di Trezene.
Fedra lo vide dalla porta del tempio di Afrodite Kataskopia (Afrodite la spia) mentre faceva ginnastica nello stadio e se ne innamorò. In seguito, però, per non essere stata ricambiata sfogò tutto il suo rancore, bucherellando con uno spillone le foglie di un mirto che stava lì da presso.
(Pausania, Guida della Grecia II, 32, 3)
Ippolito, però, tenendo fede al voto di castità fatto ad Artemide, respinse qualsiasi offerta d’amore. A dire il vero, questa castità non gli costava, poi, un grande sforzo: era un tipo che odiava le donne e tutto ciò che aveva a che fare col sesso. Come documenta questo suo monologo, tratto dalla tragedia di cui è protagonista:
«O Zeus, perché mai mettesti sotto il sole quel malanno infinito che sono le donne! Se proprio ci volevi garantire la sopravvivenza, piuttosto che ricorrere a loro, avresti potuto fare in modo che i figli si potessero comprare nei templi, deponendo in cambio oggetti d’oro, d’argento o di bronzo. Che la donna sia davvero la peggiore disgrazia che può capitare a un uomo, lo prova il fatto che, quando un padre se ne vuole disfare, è costretto a sborsare una cospicua dote, nella speranza che qualche sprovveduto si convinca a portarserla via. E colui che se la prende, disgraziato, è poi obbligato a sua volta a ricoprirla di vestiti e a dilapidare tutte le ricchezze per lei. A questo punto, meglio trovare una moglie stupida che una saccente: la totale nullità, infatti, reca molto meno danno di un’indole malvagia. Speriamo che in casa mia non entri mai una di loro, una che abbia le idee più alte di quanto non convenga a una donna!»
(Euripide, Ippolito 616 sgg.)
Invano Fedra si prodigò in mille modi per mostrargli quale potesse essere il lato piacevole delle donne: lui la cacciò lo stesso, riempiendola per giunta di contumelie.
«Che tu sia maledetta, o femmina! Sei venuta qui a sporcare un letto che non meriti, quello di mio padre! E io ora sarò costretto a lavarmi le orecchie con l’acqua che corre pur di purgarle delle cose orrende che sono state costrette a udire! Ringrazia piuttosto la devozione che ho per gli Dei, giacché è grazie a loro che non ti vado a denunziare immantinente a mio padre!»
(Op. cit. 651 sgg.)
Fedra allora, offesa dal rifiuto, si recò da Teseo e, fornendogli della vicenda una versione capovolta, accusò Ippolito di tentata violenza. Si gettò ai piedi del marito con le vesti stracciate e il viso cosparso di graffi che lei stessa si era procurata e urlò piangendo: «È stato tuo figlio Ippolito a ridurmi in questo stato: voleva abusare di me!».
L’eroe all’inizio stentò a crederle: poi, convinto dalle lacrime e dai segni della colluttazione, chiese a Poseidone, il Dio del Mare, di far morire quanto prima quel figlio degenere, cosa che avvenne puntualmente il giorno dopo: Ippolito si stava recando in quadriga alla volta di Epidauro, quando venne sorpreso da un violento maremoto. Un’onda più alta delle altre invase la carreggiata e lo sbalzò dal carro; nel cadere, però, uno dei piedi gli rimase impigliato nelle redini, motivo per cui venne trascinato per un centinaio di metri dai cavalli imbizzarriti, fino a sbattere il capo contro le rocce. Fedra, saputo dell’incidente, s’impiccò a una trave. Per ulteriori informazioni, rivolgersi a Euripide.
Ma torniamo a Teseo & Piritoo. Ormai i due compari erano sulla cinquantina e non avevano altro scopo nella vita se non quello di divertirsi un pochino alle spalle del prossimo, in particolare delle donne. Progettarono pertanto di sequestrare due figlie di Zeus. La scelta cadde su Elena e Persefone. Avrebbero cominciato con la bellissima Elena, all’epoca appena dodicenne, per poi giocarsela ai dadi a rapimento avvenuto. Il vincitore, comunque, sarebbe stato obbligato in un secondo momento ad aiutare il perdente a rapire Persefone. Vinse Teseo, che l’affidò subito a sua madre Etra in attesa che si mettesse più in carne.
Il rapimento di Elena, in verità, non fu per nulla difficile: la ragazzina venne presa mentre stava danzando nel tempio di Artemide Eretta. Le dissero: «Vieni qui piccola: sali sul carro che ti accompagniamo noi a casa!» e lei accettò il passaggio, senza un minimo di cautela. Sembrava quasi rassegnata a fare la rapita, come se avesse saputo fin da allora che quello era il suo ruolo nella storia. Ad arrabbiarsi, piuttosto, furono i suoi fratelli, Castore e Polluce, noti anche come i Dioscuri. I due eroi la cercarono in ogni sito della Grecia, finché un bel giorno un certo Academo, eroe pressoché sconosciuto, non dette loro la dritta giusta: la fanciulla era stata rapita da Teseo e Piritoo e viveva segregata nella rocca di Afidna. I Dioscuri allora, armi alla mano, la liberarono e, per rendere la pariglia, rapirono la carceriera, ovvero la madre di Teseo. Questo blitz dei Dioscuri, però, avvenne molti anni dopo; stando alle male lingue, infatti, Elena durante il suo sequestro ebbe tutto il tempo per mettere al mondo una figlia, la famosa Ifigenia, la stessa cioè che in seguito verrà attribuita a sua sorella Clitennestra, onde consentire a lei, presunta vergine, di contrarre un buon matrimonio.
Per mantenere il patto del doppio rapimento, però, bisognava sequestrare anche Persefone, e Teseo, a essere sinceri, ne avrebbe fatto volentieri a meno. Piritoo, però, non volle sentire ragioni: due figlie di Zeus avevano deciso di rapire, e due dovevano essere! L’impresa, comunque, non si prospettava per nulla agevole: Persefone era pur sempre la moglie di Ade, il re dell’Oltretomba e, a parte il pessimo carattere di costui, c’era tutta una serie di belve infernali a ostacolare il raggiungimento dell’obiettivo. D’altra parte, scegliersi una preda più a portata di mano nemmeno era possibile, dal momento che al riguardo un oracolo di Zeus li aveva praticamente obbligati all’impresa. Così i due mascalzoni pensarono bene di raccontare tutta la verità ad Ade, compresa l’ingiunzione che era stata fatta loro dal Padre degli Dei.
«Vuoi vedere,» si dissero «che quello ce la fa portare via senza opporre nessuna resistenza? Magari si è pure stufato di averla come moglie!»
Per evitare Caronte, l’attraversamento del Lete, il cane Cerbero e altre insidie del genere, i due entrarono da un ingresso di servizio, una caverna della Laconia attraverso la quale era possibile scendere nelle viscere della terra e raggiungere la sala dove regnavano Ade e Persefone. Gli eroi bussarono a un portone di bronzo e furono accolti dal Signore dell’Oltretomba in persona. Ade li ascoltò con molta attenzione: lì per lì non disse nulla, poi li fece accomodare su due seggiole monumentali poste di fronte al suo trono. Queste erano chiamate le Sedie dell’Oblio, ed erano fatte in modo che, una volta occupate, si trasformavano in carne viva, diventando un tutt’uno con la persona che ne aveva preso possesso. Secondo i mitologi, Teseo e Piritoo vi rimasero attaccati per la bellezza di quattro anni, allietati dai morsi di Cerbero e dalle frustate delle Moire. Poi, per fortuna di Teseo, Eracle scese giù negli Inferi e con la sola forza delle braccia lo strappò, alla lettera, dalla sedia infernale. Durante l’operazione, come abbiamo già raccontato, parte delle natiche dell’eroe restarono appiccicate alla seggiola, e dovrebbe essere questa la ragione se, ancor oggi, gli Ateniesi sono tutti un po’ scarsi nei posteriori. Per Piritoo, invece, non ci fu nulla da fare: Eracle, per quanti sforzi facesse, non riuscì a liberarlo.
Non ci resta, a questo punto, che raccontare come morì Teseo. Durante la sua permanenza nel mondo dell’Oltretomba, Atene era finita sotto le grinfie di un certo Menesteo, un politico maneggione che con l’aiuto dei Dioscuri aveva messo in piedi una finta democrazia. Il demagogo, non appena vide Teseo seriamente intenzionato a riprendersi il potere, sobillò il popolo contro di lui, diffondendo maldicenze sul conto suo e della sua famiglia.
«O Ateniesi, voi oggi non possedete altro che una parvenza di libertà: in realtà Teseo vi ha tolto ogni forma di culto nei confronti degli Dei, perché, invece che a molti re buoni e legittimi, ubbidiate a un solo despota e per giunta straniero.»
(Plutarco, op. cit. 32, 1)
Teseo, vista la mala parata, prima ancora che qualcuno lo pugnalasse alle spalle, scappò via, insieme ai figli, con una nave alla volta di Creta. Una tempesta, però, lo costrinse a sbarcare nell’isola di Sciro e qui il re del posto, Licomede, nel timore che l’eroe avesse intenzione di spodestarlo, lo assassinò, facendolo precipitare dall’alto di una rupe. Gli disse: «Vieni qui, o Teseo, guarda che bel panorama si vede da quest’altura!», e gli dette una spintarella.