Prima di esclamare «per Diana!», pensiamoci bene: potrebbe essere pericoloso. Diana, o Artemide se preferite, era la Dea meno dotata di umorismo di tutto l’Olimpo, e in quanto tale anche la più vendicativa: passò la vita a vendicarsi di offese vere o presunte. In pratica, una vera e propria paranoica, come dimostrano i tre episodi che andiamo a raccontare.
Cominciamo dal primo: che diavolo avesse detto Niobe di così offensivo da provocare in lei tanta furia omicida, non si è mai capito. Pare, ma non è sicuro, che nel corso di un rito religioso abbia esclamato all’indirizzo di Leto (o di Latona, per i Romani), madre di Apollo e Artemide:
Qui, sulle are, nessuno onora la mia maternità, mentre si tributano onori a Latona. Eppure quella ebbe solo due figli, la settima parte di quanto fu capace di generare il ventre mio.
(Ovidio, Metamorfosi VI, 171 sgg.)
La povera disgraziata non aveva nemmeno finito di parlare che i figli di Leto, Apollo e Artemide, avevano già imbracciato l’arco per trafiggere la sbandierata progenie: lui fece fuori i maschi e lei le femmine. Per quanto riguarda Niobe poi, gli Dei, impietositisi, la mutarono in roccia, ed ella, anche in questa nuova veste, continuò a piangere i quattordici figli. C’è chi, come Pausania, sostiene di averla anche vista durante un viaggio nell’Attica.
Anch’io sono salito sul monte Sipilo e ho visto la Niobe: da vicino è una rupe che non offre, certo, l’immagine di una donna piangente; da lontano, al contrario, si ha l’impressione di vederla piangere.
(Pausania, Guida della Grecia I, 21, 3)
La storia di Orione rientra nella normale prassi delle molestie sessuali, molto in voga presso gli Dei della mitologia greca. Si racconta che un giorno tre di loro, Zeus, Ermes e Poseidone, travestiti da comuni mortali, abbiano chiesto ospitalità a un vecchio contadino di nome Irieo.
«Salve o Irieo» gli disse Zeus, affacciandosi nel suo capanno. «Siamo tre viandanti in cerca di un rifugio dove passare la notte. Non abbiamo, però, ti avverto, nessuna ricompensa da darti.»
«La mia casa è povera,» rispose Irieo «ma se siete disposti ad arrangiarvi, non ho problemi a offrirvi un tetto e un giaciglio.»
La mattina dopo gli Dei si rivelarono in tutto il loro splendore, e chiesero a Irieo cosa volesse in cambio della sua ospitalità.
«Chiedici qualsiasi cosa, o Irieo, e sarai accontentato.»
«A essere sincero,» provò a dire il contadino, alquanto emozionato «io desidererei avere un figlio, senza avere però il fastidio di una moglie per casa.»
«Non ci sono problemi» risposero all’unisono gli Dei, e si misero a urinare, tutti e tre, nel bel mezzo del capanno, su una pelle di bue.
Dalla divina pipì nacque un gigante bellissimo, a cui fu dato il nome di Orione.
Il nascituro si rivelò ben presto un eccezionale cacciatore: nessuno poteva stargli alla pari. Si fosse, però, accontentato di cervi e cinghiali, poco male, il guaio è che si mise a cacciare donne a tutto spiano e la cosa non poteva certo far piacere ad Artemide, divinità vergine e come tale ferocemente femminista.
Tra le sue tante conquiste (Side, Merope, Opide, ecc.) va segnalata Eos, Dea dell’Aurora, che cedette alle voglie dell’instancabile copulatore nell’isola di Delo, luogo sacro ad Apollo e Artemide. Pare che ancora oggi, per la vergogna, l’Aurora arrossisca a quel ricordo.
Non pago di questi successi, Orione osò gettare gli occhi anche su Artemide. La inseguì a lungo tra i boschi e i monti della Grecia, aiutato in questo dai suoi cani, Sirio e Procione, finché una sera non la raggiunse nei pressi di Ortigia e non la stese per terra. Ma proprio mentre stava per raccogliere il frutto così ambito, Artemide chiamò in suo aiuto lo Scorpione che, pungendo il piede del Gigante, lo fece secco una volta per tutte.
Gli Dei, come sempre sensibili alle grandi storie di sesso, sistemarono tutti i protagonisti della vicenda sulla volta del Cielo: Orione al centro, ben visibile, e al suo seguito i cani Sirio e Procione. Per lo Scorpione, invece, bisogna attendere le ore piccole per vederlo apparire all’orizzonte, più minaccioso che mai, e tutto proteso a colpire il piede del cacciatore.
Per quanto riguarda Atteone, che dire? Anche lui era un eccezionale cacciatore: aveva cinquanta cani fedelissimi e di rara bellezza, ma ebbe la sfortuna di vedere Artemide nuda, mentre si faceva la doccia, e alla Dea bastava molto meno per condannare a morte qualcuno. Il misfatto accadde in una valle chiamata Gargafie.
Qui la Dea dei boschi, stanca per la caccia, era solita aspergere il suo corpo di vergine con acqua stillante. Al giungere sotto la sorgente, essa affidò a una delle ninfe, sua armigera, le frecce, la faretra e l’arco allentato. E mentre una le sfilava la sopraveste, altre due le tolsero dai piedi i calzari. Quindi Crocale, la figlia d’Ismeno, essendo la più esperta di tutte, le raccolse in un nodo i capelli effusi sul collo.
(Ovidio, Metamorfosi III, 163 sgg.)
Ora ci si chiede: Atteone l’aveva forse seguita proprio per vederla nuda? Ci mise forse malizia? Niente di tutto questo: il poverino, per dirla con Ovidio,
con casuali passi, errando per il bosco sconosciuto, giunse al sacro recesso, perché così vollero i fati.
(Op. cit. III, 177)
Artemide lo trasformò, allora, in una gazzella e gli aizzò contro i suoi stessi cani.
Gl’infuse anche la pavidità, ragione per cui lui prese a fuggire, e proprio nella fuga si sorprese di essere così veloce, quando, in uno specchio d’acqua, vide il suo nuovo aspetto e le corna.
(Op. cit. III, 191 sgg.)
I cani, non riconoscendolo, gli si avventarono contro e, dopo averlo sbranato, si misero alla sua ricerca per mostrargli la preda appena catturata. Non trovandolo più in giro, cominciarono a guaire, finché il Centauro Chirone, preso da compassione, non modellò per loro una statua con le sue fattezze.