Di chi fosse figlio Pan non si è mai ben capito: per alcuni era figlio di Crono, per altri di Zeus, per altri ancora di Ermes. Noi propendiamo per quest’ultima paternità, essendo stati conquistati, fin dai tempi del liceo, dal dialogo di Luciano di Samòsata che riportiamo, pari pari, qui di seguito:
PAN Salve, o padre.
ERMES Io tuo padre! Vuoi forse scherzare?
PAN Non sei tu Ermes Cillenio?
ERMES Sì, son io, ma tu non puoi essere mio figlio.
PAN E invece lo sono: magari bastardo, giacché sono venuto al mondo in un modo un po’ speciale.
ERMES Bastardo di sicuro, ma di un capro o di uno stambecco. Mio no di certo, dal momento che hai le corna, un naso orribile, la barba ispida, la coda e le gambe da capra.
PAN Prendimi pure in giro, o Ermes, ma sappi che è tuo figlio che stai svergognando, oppure te stesso, dal momento che sei tu che mi hai generato.
ERMES E chi sarebbe mai tua madre? Una donna? Oppure, senza accorgermene, ho sedotto una capra?
PAN Se ben ricordi, in Arcadia, violentasti una fanciulla di nome Penelope, figlia di Icario.
ERMES E cosa mai le è capitato, per generarti simile a un capro?
PAN Fu lei stessa a raccontarmelo. Mi disse: «Sappi, figlio mio, che tuo padre è Ermes, figlio di Maia e di Zeus, e che tu sei nato con le corna e le gambe da capro perché lui, quando mi violentò, per non farsi riconoscere, prese le sembianze di un caprone».
ERMES Per Zeus! Ricordo di aver fatto qualcosa del genere. Ora, però, temo che per colpa tua io possa diventare lo zimbello di tutto l’Olimpo.
PAN Non preoccuparti, o padre, non ti farò sfigurare: sono portato per la musica e so trarre suoni magici dalla mia zampogna. So danzare e sono padrone di numerose greggi.
ERMES Dimmi Pan. È cosicché ti chiamano, no? Hai già preso moglie?
PAN No, davvero: ho un temperamento molto erotico e non mi accontenterei di una soltanto.
ERMES Ovviamente, ti accoppi solo con le capre.
PAN Che scherzi! Io sto con Eco, con Piti e con tutte le Menadi di Dioniso, soprattutto quando sono ubriache. E loro mi tengono in gran conto.
ERMES Incredibile! Adesso, però, ti chiedo un favore.
PAN Dimmi, o padre.
ERMES Vienimi pure a trovare e sii affettuoso. Cerca, però, di non chiamarmi padre quando ti accorgi che c’è qualcuno che ci sente.
(Luciano, Dialoghi degli Dei 22)
Lo stupro, comunque, era un vizio di famiglia: anche Pan, diciamo la verità, non andava molto per il sottile quando desiderava una donna. Si racconta che un giorno, preso da improvviso raptus, abbia inseguito per monti e per valli la ninfa Siringa, fino ad abbrancarla presso le rive del Ladone. Vistasi persa, la poverina supplicò le ninfe del fiume di mutarla d’aspetto e così accadde che mentre Pan era tutto proteso a possederla, si ritrovò all’improvviso, ansimante, con una canna in bocca, ottenendo peraltro un piacevolissimo suono.
Il Dio, stupito per l’arte ignota e commosso dalla dolcezza del suono, esclamò: «Questo rapporto tra noi non dovrà mai cessare» dopodiché, saldando tra loro con l’aiuto della cera più canne di diversa lunghezza, perpetuò attraverso lo strumento il nome della ninfa.
(Ovidio, Metamorfosi I, 708 sgg.)
Insomma, ovemai non fosse chiaro, Pan era un gaudente di campagna nel vero senso del termine: faceva l’amore, cantava, mangiava, beveva, dormiva, e guai a disturbarlo mentre faceva la siesta. Pare che emettesse un urlo terrificante capace di uccidere.
A mezzogiorno non si può suonare, o pastore, giacché temo Pan: questa è l’ora in cui riposa, stanco per aver a lungo cacciato. È collerico e l’aspra bile è lì pronta a saltargli al naso.
(Teocrito, Idilli I, 15 sgg.)
Ancora una curiosità. Pan è l’unico Dio di cui si sa che è morto. A detta di Plutarco, pare che una notte l’equipaggio di una nave romana, mentre si avvicinava a un’isola greca, abbia sentito una voce urlare nel buio: «È morto Pan! Ditelo a tutti che è morto Pan!».
Ora, tenuto conto che l’epoca è quella di Tiberio e che Gesù Cristo era nato da poco, l’annunzio, così disperato, così emblematico, fu interpretato dagli apologisti cristiani come la morte del paganesimo. Ma cediamo la parola a Plutarco.
Il retore Emiliano, mio concittadino e maestro di grammatica, mi raccontò che una notte si trovava imbarcato per l’Italia su un mercantile con molti passeggeri a bordo, e che presso le isole Echinadi il vento cadde di colpo, motivo per cui la nave fu trascinata dalla corrente fino a Paxo. Quasi tutti i passeggeri erano svegli e molti stavano bevendo. All’improvviso si sentì una voce che invocava un certo Tamo. Tutti restarono sbalorditi: questo Tamo era un pilota egiziano, ma nessuno lo conosceva per nome. Due volte fu chiamato e alla terza lui rispose. Allora la voce gli gridò: «Quando sarai giunto a Palode annuncia a tutti che il grande Pan è morto!».
(Plutarco, De defectu oracolorum I, 17)