Capitolo 15

Il piccolo ufficio era silenzioso. Beautyman sentì il ronzio del monitor, uno scricchiolio provenire dal termosifone e alcuni passi percorsi lentamente al piano superiore.

“Hai qualche sospetto?” chiese Beautyman.

“Niente che io voglia condividere con te.”

“Mi sembra giusto. Ma perché non credi che la morte di Jake sia un suicidio?”

“Pensi che sia stato un suicidio? ...Esatto. Qualcosa si sta muovendo. Questa faccenda legata agli Alcamo che mi hai accennato sta aprendo nuove possibilità.”

“Non credo di aver accennato niente al riguardo.”

Holst si sporse in avanti. “Secondo i miei calcoli hai menzionato un collegamento fra i Diamond e gli Alcamo tre volte in altrettanti minuti. Cosa c’è che non so?”

“Tre volte? Credevo di averlo fatto solo due.”

“Stark rappresenta il primo collegamento, l’Hmong di fronte ai due ristoranti è il secondo e poi la morte di Angelo Alcamo, di cui non so molto.” Holst guardò lo schermo. “Due giorni prima della denuncia della scomparsa di Jake. E con questa fanno tre. Cosa c’è che non so?”

Beautyman valutò le sue opzioni. “Sto indagando sulla possibilità che ci sia un collegamento tra Jake e la morte di Angelo Alcamo.” Che abbia appena scelto di stare dalla parte della polizia?

“Santo cielo!” Holst poggiò la schiena contro lo schienale della sua sedia con le mani dietro la testa. “Interessante. Ma niente di ciò che so riguardo Jake mi fa pensare a lui come ad un assassino.”

“Neanche a me. Autodifesa, forse? O magari un incidente.”

“Qualcosa di abbastanza grave da farlo scappare. E’ qui che vuoi arrivare?”

“Hai un’altra spiegazione del perché se ne sia andato?”

“Ma perché fingere la sua morte?”

Beautyman scosse il capo. “Non lo so.”

Holst alzò di scatto lo sguardo come se qualcuno avesse lasciato una busta sulla scrivania e fosse corso via. Poi porse il pacco a Beautyman e si sedette comodo mentre lo apriva e sfogliava le foto che conteneva.

“Sai qualcosa sugli Hmong?”

“Credo di non averli mai sentiti nominare fino a venerdì scorso.”

“Sono originari del sud-est asiatico. Hanno combattuto al fianco degli americani in Vietnam ma, intorno alla fine degli anni 70’, divennero dei rifugiati dopo che il governo laotiano iniziò a perseguitarli per essersi schierati con gli Stati Uniti. Quindi abbiamo iniziato ad accoglierli nel nostro Paese. C’è una grossa comunità qui a Minneapolis e una a St Paul. Più grande a St. Paul, credo.”

“Trovato!” esclamò Beautyman. Teneva in mano una stampa a colori. Il fotografo era riuscito ad isolare e ingrandire quattro visi. Beautyman riconobbe uno di questi e poggiò la foto al lato opposto della scrivania.

“Mmh...più vecchio di quanto abbia immaginato. Deve essere arrivato quando era piccolo, forse adolescente,” disse Holst.

“E’ così importante saperlo?”

“Significa che probabilmente ha passato del tempo in Laos o in un campo per rifugiati in Thailandia, prima di venire qui. Quelli non sono bei posti. Devi sapere che probabilmente non parla una parola di inglese o magari il minimo per sopravvivere.”

“Io devo saperlo?”

“Stai cercando di trovarlo oppure no?”

“Questo non dovrebbe farlo la polizia?”

“Sì, certo. Ma chiamalo pure un vantaggio di 24 ore. Mi hai fornito molti spunti di riflessione. E’ il minimo che posso fare.”

“Non sono sicuro di volerlo cercare da solo. Mi ha provocato una bella commozione celebrale, sai?”

“Poi quando lo trovi chiamaci. Ora ti metto davanti a un bell’archivio di foto segnaletiche.”

“Foto segnaletiche?”

“Ti ha aggredito e probabilmente ha anche appiccato un incendio. Scommetto che abbiamo già avuto a che fare con lui.”

Beautyman fu condotto in uno stanzino buio e messo a sedere davanti allo schermo di un computer, sul quale passavano una serie di foto segnaletiche e ripensò a quando questa operazione veniva fatta manualmente. Per fortuna non è più così! Altrimenti Holst non gli avrebbe fornito uno username e una password per accedere al server. Beautyman sorrise. Holst gli aveva fornito le sue credenziali due volte. Una consapevolmente e l’altra inconsapevolmente. O Holst non era affatto adatto ad usare un sistema informatico oppure il Dipartimento di Polizia di Minneapolis non aveva spiegato ai suoi agenti i rischi che si potevano correre violando tali sistemi.

Con il libero accesso ad un computer collegato in rete e nessuno a controllarlo, Beautyman controllò i server interni del dipartimento mentre le foto scorrevano, verificando per prima cosa se fossero collegati con un software per il controllo della battitura su tastiera. Poi si interruppe mentre attendeva il download di un programma, chiedendosi nel frattempo come stessero andando le operazioni di monitoraggio di Matt Carson.

Avviando il programma con un interfaccia a riga di comando, Beautyman ebbe accesso alla totalità dei dati contenuti nel server. Solo a quel punto realizzò che la prima volta era riuscito ad accedere solo ad una piccola parte delle informazioni. Non aveva tempo di controllare ogni file ma non aveva nemmeno bisogno di farlo, visto che possedeva le chiavi di accesso. Beautyman curiosò fra le impostazioni finché non trovò esattamente quello che stava cercando.

Creò un accesso remoto al desktop in modo da poter accedere a quel computer direttamente da casa. Fino a che rimaneva collegato, avrebbe avuto libero accesso al computer e a tutti i server ad esso collegati. Questo gli evitata il problema di dover tornare al dipartimento con la scusa di consultare altre foto segnaletiche.

Un paio di minuti più tardi sentì vibrare la sua tasca.

“Ciao mamma.”

“Arthur, la figlia di Margaret ha acconsentito ad aiutarci. Ha detto che proverà a scoprire con quale compagnia a sporto denuncia.”

“E’ stata un’ottima idea.”

“Pensa che riuscirà a farci sapere qualche cosa già domani. Tu dove sei?”

“Al dipartimento di polizia. Sto guardando delle foto segnaletiche.”

“Le foto di chi?”

“Sto cercando di scoprire il nome del mio assalitore.”

“Oh. Hai bisogno del mio aiuto? Non dimenticare che l’ho visto anch’io.”

“Non preoccuparti. Ho una sua foto dalla scena dell’incendio di ieri sera.”

“Che cosa posso fare ora?”

“Um...ad essere sincero non lo so.”

“Voglio fare qualcosa, Arthur.”

Beautyman poggiò la schiena sulla sedia e alzò le braccia al cielo per stiracchiarsi. “C’è qualche possibile novità. Da quant’è che conosci Julie?”

“Sono parecchi anni. Da poco dopo che io e tuo padre ci siamo trasferiti qui.”

“Hai mai incontrato Ellen?”

“Una o due volte, ma mai per più di qualche minuto. Era bella e gentile, anche se credo parlasse molto.”

“Io e il detective Holst abbiamo parlato del caso oggi. Lui crede che forse...la morte di Ellen non sia stata un incidente.”

Beautyman attese una reazione da parte di sua madre, ma vi fu solo silenzio. “Ci sei ancora?”

“Ci sono,” rispose lentamente.

“Ti va di parlarne con Julie? Sentire se ha qualche idea al riguardo...”

“Non credo che questo sia un buon modo per sfruttare il tempo, Arthur.”

“Cosa?” esclamò Beautyman. Poi si guardò intorno e si calmò. “Di che cosa stai parlando?”

“La polizia si sbaglia.”

“Mamma, perché dici questo? Come fai a saperlo?”

“Lo so. Comunque ne parliamo più tardi. C’è una cosa che voglio cercare nel frattempo. Ti faccio sapere se ho notizie dalla figlia di Margaret.”

Lo schermo del telefono si spense e Beautyman rimase scioccato dal fatto che sua madre avesse riagganciato senza salutarlo e restò in silenzio a fissare il riflesso della sua immagine sullo schermo.

Non aveva considerato da quanto tempo sua madre e Julie erano amiche. Sì, Ruth e Julie erano amiche quando Ellen ebbe l’incidente. Ed erano amiche anche quando Jake era scomparso. Ruth sapeva sicuramente qualcosa riguardo l’incidente di Ellen che non aveva voluto dire a suo figlio. C’era forse anche qualcosa riguardo la morte di Jake che sua madre non si era presa la briga di dirgli? Subito la sua mente iniziò a correre, ma una parte di lui sentiva di non voler andare completamente a fondo.

Beautyman si concentrò nuovamente sullo schermo, cliccando fra le immagini di Hmong, ma la sua mente era altrove.

Anche se era distratto sapeva esattamente a che punto dell’elenco sarebbe finita la sua ricerca. Cliccò su una foto ed iniziò a leggere la biografia di Nhia Vang, così registrato dal Dipartimento di Polizia di Minneapolis.

“Beccato!”