Beautyman sedeva davanti al computer, ma la sua mente era altrove. Ruth era andata a dormire che non erano ancora le 19:30. Se May era davvero la proprietaria della Ephesus, allora oltre a ‘Il Carato’ possedeva anche il ‘Dromio’?
Qual’era il significato di Ephesus? Passò del tempo navigando in internet alla ricerca di informazioni riguardo la città storica e agli altri usi della parola. Il più comune sembrava essere legato alla storia del cristianesimo. Forse era solo una parola a caso.
Interruppe la ricerca e si concentrò sulla compagnia. Il sito dello stato del Minnesota, mostrava che la compagnia era stata regolarmente registrata come attività commerciale dall’agente Andy Hertzberg di New York. Beautyman cercò informazioni sul suo conto e trovò il sito del suo studio legale. Si trovava solo a un paio di isolati da Wall Street.
E’ normale per le compagnie usare degli avvocati come agenti per la registrazione. Ma perché uno così lontano? Che la Ephesus possedesse più che quei due ristoranti?
L’iPhone di Beautyman suonò e lui osservò lo schermo. Non era un numero che conosceva ma il prefisso era della zona. Controllò rapidamente il numero su Google ma non ottenne alcun risultato. Forse era un cellulare. Dana? Matt? Allungò la mano e rifiutò la chiamata. Non vi era persona al mondo con cui volesse parlare quella sera, quindi si rimise al computer.
Il telefono squillò di nuovo. Era lo stesso numero. Beautyman rispose.
“Pronto.”
“Maledizione, perché ci hai messo tanto? Sono Holst. Hai trovato Vang oggi?”
“Sì, l’ho trovato.”
“Ho bisogno che tu venga qui subito. Sono al monumento della Prima Guerra Mondiale in Victory Memorial Drive.”
“Stavo per andare a dormire detective. Non posso venire domani alla stazione di polizia?”
“Non si tratta di una visita di cortesia. Se oggi hai visto Vang sei un testimone.”
“Un testimone?” Beautyman si alzò di scatto dalla sedia.
“Porta subito le tue chiappe qui. E datti anche una mossa.”
La Victory Memorial Drive era una delle arterie principali di Minneapolis, composta da una serie di strade, vie e ponti che facevano quasi tutto il giro della città. Ruth aveva mostrato più volte quel percorso a Beautyman quando si era trasferito lì. Quel giro faceva parte del tour utile a familiarizzare con la città insieme a musei, parchi e tutti i luoghi che solitamente apparivano nei notiziari. Cercava di fargli piacere la città e per farlo, d’istinto, lo aveva condotto nelle zone che a lei interessavano meno.
Il viale una volta verde era ricoperto di neve, e un sottile strato di ghiaccio rifletteva le luci rosse e blu delle macchine che passavano in prossimità del monumento.
Beautyman parcheggiò a fianco del nastro segnaletico della polizia ed uscì. Indossò un cappotto e soffiò per testare la temperatura dell’aria. Una volta aveva commesso l’errore di respirare aria gelida troppo a fondo e gli era mancato il fiato per diversi secondi.
L’asta del monumento era ben illuminata, ma la bandiera pendeva inerte. O non c’era vento o era totalmente congelata. Beautyman proseguì fino alla base del monumento. Udì un fischio e alzando lo sguardo si accorse che era Holst, che tentava di richiamare la sua attenzione.
“Lascialo passare,” disse Holst. E l’ufficiale che si trovava di fianco al nastro lo alzò per Beautyman che annuì e passò oltre.
“Andiamo,” disse Holst, non appena Beautyman lo raggiunse.
Alla base del monumento, quasi non riuscì a riconoscere Nhia Vang, steso su di una barella e circondato da paramedici, che lavoravano per condurlo dentro un’ambulanza che li attendeva. Il viso di Vang, o almeno ciò ne restava, aveva l’aspetto di una mela marcia e raggrinzita, piena di buchi anche dove di buchi non ve ne dovevano essere.
Beautyman si guardò intorno e notò una scritta fatta con una bomboletta sul monumento ‘Musi gialli tornatevene a casa’.
“Chi è stato a ridurlo così?”
“Non lo so,” disse Holst. “L’unico motivo per cui è ancora vivo è un ragazzo che stava facendo jogging e che si accorto che c’era un uomo che lo stava picchiando a morte. Ha gridato all’aggressore ed egli è fuggito.”
“Ha fornito una descrizione?”
“Alto. Il resto è difficile da dire. Indossava un cappotto invernale e un cappello, insomma puoi farti un’idea. Stiamo interrogando tutti quelli che abitano nei dintorni, ma non sono molto fiducioso.
“Ci sono ferite di arma da fuoco sul corpo di Vang?”
“Nessuna.”
“E’ stato legato o drogato?”
“Nessun segno che sia stato legato. E non avrò alcun esame tossicologico fino a dopo il Ringraziamento. A che cosa stai pensando?”
“L’ho visto in azione, anche se brevemente. Primo, mi ha steso con un unico calcio. E secondo, l’ho visto correre. Non credo che qualcuno possa riuscire a prenderlo senza alcun aiuto.”
Holst alzò lo sguardo verso la scritta. “Forse c’era una scena diversa prima che arrivasse il ragazzo. Magari erano in cinque contro uno.”
“Sappiamo entrambi il motivo per cui è accaduto. Qualcuno voleva sbarazzarsene. Ed è qualcuno che lui conosceva e di cui si fidava,” disse Beautyman.
Holst annuì.
“A che ora lo hai lasciato?”
Beautyman guardò Holst bruscamente. “Sono fra i sospettati?”
“Non saresti qui se fossi uno di loro. Che ora?”
Beautyman sorrise. “14:30, 15:00, più o meno. Potrei anche essere più preciso volendo. L’ho lasciato con il suo datore di lavoro, il pastore Moua, alla chiesa del Cristo Redentore. Avete avvisato la famiglia di Vang?”
“Non sapevo ne avesse una.”
“Prima troviamo Moua. Potrebbe servirci anche come traduttore.”
“Vieni con me, così per strada puoi raccontarmi la tua chiacchierata con Vang. E la prossima volta, non credi sia meglio avvisarmi di aver interrogato un sospetto prima che venga ridotto così?”
Beautyman cercò online il numero di telefono di Moua e lo trovò facilmente. Forse era giusto che fosse così semplice rintracciare un pastore.
Chiamò, raccontò a Moua dell’accaduto e si mise d’accordo per andarlo a prendere insieme ad Holst. Moua li attendeva sul marciapiede quando arrivarono a casa sua. Diede un paio di brevi indicazioni a Holst e poi si sedette comodo.
“Che cosa è successo?” chiese Moua con voce calma.
Holst diede uno sguardo a Beautyman e annuì. “E’ stato aggredito e ridotto in fin di vita,” rispose Beautyman. “E’ stata inscenata un’aggressione per odio razziale.”
“Inscenata? Che cosa intende?”
“C’era una scritta fatta con una bomboletta. ‘Musi gialli tornatevene a casa’.”
L’espressione di Moua si fece tesa. “Abbiamo combattuto al fianco degli Stati Uniti. Abbiamo perso le nostre case per la loro causa, ma qui veniamo trattati come fossimo Viet Cong.”
“Pensiamo che sia una messa in scena. La conversazione che ha tradotto oggi, riguarda un caso di tutt’altro tipo.”
“L’incendio.”
“Forse anche di più. Vang è coinvolto in qualcosa che è costretto a tenere nascosto. Credo che il suo mandatario sia l’aggressore di stanotte.”
Moua guardò Beautyman con aria di sfida. “Credevo che non fosse un poliziotto.”
“Mi creda non lo è,” intervenne Holst. Beautyman gli lanciò un’occhiata d’intesa e Holst sorrise. “Saresti dovuto venire al dipartimento dopo il tuo incontro con Vang.”
“Vang le ha detto qualcosa dopo che me ne sono andato?” chiese Beautyman.
“Niente che posso dire qui ora.”
“E’ stato ridotto in fin di vita,” Mr. Moua. “Potrebbe avere delle informazioni che ci permetterebbero di arrestare il suo aggressore.”
Moua scosse il capo. “Non posso aiutarvi. Nhia è venuto da me per avere un supporto spirituale. Qualunque cosa mi abbia confidato riguardo il vostro caso è da ritenersi confidenziale.”
Dentro l’auto prese a regnare il silenzio, rotto poi da Moua. “Al prossimo semaforo a sinistra.”
“Può concedermi un po’ di tempo detective?” chiese Moua. Erano seduti fuori dall’edificio P di un vasto complesso di condomini.
“Certo,” rispose Beautyman. Holst tossì come indispettito e Beautyman fece una smorfia. “Scusa.”
“5 minuti,” disse Holst. “Chi crede ci sia a casa?”
“Sua moglie Pa Ying. Hanno anche un figlio, Pao. Ha 17 anni.”
Holst annuì. “Bene, noi saliamo fra un po’.”
Holst uscì dall’auto lasciando entrare una folata di aria fredda. Moua scese e si affrettò su per una rampa di scale.
Holst rientrò in macchina e prese il telefono. “Qui è Holst, devi controllarmi un nome. Nome Pao, cognome Vang. Cerco eventuali precedenti o segnalazioni...Ok. Affiliazioni?” ascoltò, battendo le dita sul volante. “Grazie. A domani.”
“Trovato qualcosa? chiese Beautyman.
Holst scosse il capo. “E’ stato fermato in possesso di alcolici un paio di anno fa. Niente di cui preoccuparsi.”
“Perché hai chiesto riguardo eventuali affiliazioni?”
“Ci sono diverse bande di Hmong in città. Gli Oroville Mono Boys, i Purple Brothers, gli White Tigers...impossibile ricordarle tutte. Creano sempre un sacco di guai. Se Pao Vang avesse fatto parte di una di esse avrei voluto saperlo prima di entrare in casa sua.
“Non potrebbe farne parte comunque?”
“E’ possibile, ma dovrebbe essere molto nuovo, visto che non abbiamo niente su di lui.”
Beautyman cercò le parole giuste per la sua prossima domanda. “Avresti controllato se non fosse stato un Hmong?”
“Santo cielo. Hai proprio un bel coraggio, Beautyman.”
“Non ti sto accusando di niente. Quando mi sono trasferito da Los Angeles la situazione qui mi è sembrata diversa. Insomma pare ci siano quasi solo bianchi. E ora vengo a sapere di questo numeroso gruppo di Hmong, un popolo che non avevo mai nemmeno sentito nominare. E’ solo curiosità.”
“La tua prima impressione non è così sbagliata. Sono quasi tutti bianchi qui, su questo puoi credermi,” disse Holst ridendo. “Se avrei chiamato se non fosse stato un Hmong? Probabilmente no. Puoi anche darmi del razzista per questo, ma parliamo di un ragazzo di 17 anni con un padre che è stato dentro, e che ora cerca di mantenere la famiglia con un misero salario da custode di una chiesa. Sei di Los Angeles e sai bene che tipi di ragazzi entrano nelle gang. Pao Vang potrebbe benissimo essere uno di loro e il fatto che al momento non abbia precedenti è decisamente un miracolo.
“Scusami hai ragione. Non avrei dovuto farti una simile domanda.”
Holst si alzò dal sedile. “Andiamo. E’ ora di conoscere i Vang.”
Il piccolo appartamento appariva eccessivamente pieno di oggetti per le sue dimensioni, dai mobili antichi ai cuscini dai colori luminosi che andavano dal rosa, al rosso e all’arancione. Ogni superficie sembrava ospitare una pila di libri in equilibrio precario.
Nel mezzo di quel caos, Moua teneva le mani dei due Vang in preghiera. Pa Ying era in lacrime, piegato su se stesso. Indossava un cappotto, probabilmente già pronto per andare in ospedale, pensò Beautyman. Aveva il capo abbassato ma non emetteva alcun suono. Quando Beautyman e Holst entrarono alzò lo sguardo. I suoi occhi erano rossi e gonfi.
Beautyman e Holst intanto attendevano in prossimità della porta. Beautyman ebbe tempo di dare un’occhiata ai libri e si accorse che erano tutti in inglese. Che siano di Pao?
Quando Moua lasciò le mani, Beatuyman ricevette una gomitata sulle costole e quindi si fece avanti.
“Signora Vang il mio nome è Arthur Beautyman. Voglio dirle che sono molto dispiaciuto per quanto è successo. A dire il vero conosco Nhia solo da oggi ma l’ho trovato un uomo gentile, umile e onesto. E spero che si rimetta presto.”
Moua tradusse e Pa Ying mormorò qualcosa. “La ringrazia.”
“Che cosa vuoi da mio padre?” chiese Pao con voce piena di rabbia.
“Scoprire chi è il suo mandatario. Tuo padre mi seguiva. Voglio sapere perché.”
“Vedi un Hmong e subito vuoi arrestarlo!” gridò Pao.
“Non sono un poliziotto e non sto cercando di arrestare nessuno. Dopo aver parlato con tuo padre non ho nemmeno detto alla polizia del nostro incontro,” disse Beautyman, indicando Holst alle sue spalle.
Pao distolse lo sguardo senza nemmeno guardare Holst.
“Pao, voglio scoprire chi è stato a fare questo a tuo padre.”
“Perché? Credete che abbia fatto dell’altro?”
“Probabilmente sì. Forse anche un omicidio, almeno uno, ma forse anche due o tre. Non lo sappiamo.
“Dei bianchi?”
“Delle persone,” intervenne Holst e Pao non insistette.
“Sai chi ha chiesto a tuo padre di seguirmi? Lui non ha voluto dirmelo perché temeva che potessero accadere qualcosa a te e tua madre, se avesse parlato.”
Pao non rispose.
“Non lo sai o non vuoi dirmelo perché anche tu sei spaventato?”
“Io non ho paura.”
“Ci sono persone che possono fare molta paura. Non c’è niente di sbagliato nel provare simili sensazioni.”
“Non di lui. Non ne vale la pena.”
“Chi? Chi è questo lui?”
Pao si guardò le mani e scosse il capo. “Non lo so. Non l’ho mai incontrato. Papà diceva che era un codardo.”
“Allora perché aveva paura di lui?”
“Perché i codardi hanno sempre amici potenti. A volte anche poliziotti,” disse fissando Holst.
“Ti ha mai parlato di quell’uomo?”
“Diceva solo di odiarlo.”
“Non ha mai rivelato qualche dettaglio?”
“No. Non amava parlarne. Voleva il meglio per me. Lui...si vergognava.”
Beautyman spostò lo sguardo su Pa Ying, che stava guardando suo figlio. Aveva un orecchio inclinato verso Moua che intanto traduceva. “Suo marito sembra proprio essere un buon padre, signora Vang.”
“Cerca di fare del suo meglio, come ognuno di noi,” rispose Moua al suo posto.
“Suo marito le ha mai detto da chi è stato assunto per questa particolare mansione?”
“Sì, lo ha fatto.”
Beautyman si sporse in avanti e sentì anche Holst farsi vicino alle sue spalle. “Può dirci di chi si tratta?”
Moua parlò per lei. “Mio figlio ha ragione, Nhia aveva paura di quell’uomo, ma diceva anche che era un codardo. Molti ricchi sono codardi, non crede? Hanno così tanto da perdere.”
“Sarete al sicuro, signora Vang.”
“Pao mi proteggerà.” Pa Ying strinse la mano di suo figlio mentre Moua traduceva. “Un giorno sarà un grande avvocato, come suo zio.”
Beautyman trattenne il respiro.
Pa Ying parlò e Beautyman non ebbe bisogno di attendere che Moua traducesse. Le parole pronunciate erano fin troppo chiare.
“Diamond.”