I tarli dei libri

Iniziavo a preoccuparmi che, nel suo trafelato racconto, Ildefonso Due a un certo punto sarebbe rimasto senza fiato. Dopotutto sapevo bene che la capacità dei piccoli polmoni dei librovori è alquanto limitata. Ma lui sollevò ancora una volta le mani con fare implorante e continuò instancabile a narrare la sua storia.

«Impaurito, mi accorsi che la nebbia veniva fatta a brandelli sempre più piccoli e che si diradava sempre di più a ogni ondata di alito caldo. Riuscivo già a intuire i contorni dell’enorme testa e del collo di Nataviel. Davanti a me, una grassa rana blu si tuffò a capofitto nell’acqua e scomparve senza lasciare traccia.

Eppure, esistevano eccome delle creature che erano riuscite a sfuggire al drago! E non solo un paio di cacciatori di libri. Addirittura dei librovori come noi! Anche questo me l’aveva accennato il drago nella sua smania di raccontare: Tipi timidi e nervosi, come i passeri. Credo che mi osservassero. Probabilmente mi studiavano, addirittura. Ma non appena mi avvicinavo – via! – sparivano di nuovo. Stabilire un contatto era impossibile.

Aveva detto esattamente così. Come riuscivano i librovori a sfuggirgli ogni volta? Cosa li aveva resi tanto sicuri di sé da avvicinarsi ripetutamente? Dovevano aver avuto una strategia per battere in ritirata o di certo non avrebbero corso il rischio. Noi librovori siamo troppo paurosi e prudenti. Nelle immediate vicinanze del nostro sentiero paludoso si allungava una sottile distesa d’acqua, nella quale nuotava un’intera famiglia di roditori dalle lunghe code di cui in altre circostanze avrei avuto molta paura. Adesso che scappavano dal drago insieme a noi, mi facevano pena. All’improvviso, come se qualcuno gli avesse impartito un comando, si immersero tutti insieme e scomparvero sotto a una coltre di foglie di rose di palude.

‘Ma certo!’ esclamai ad alta voce.

‘Cosa?’ chiese Estra, che tentava di farsi strada nella melma accanto a me. ‘Cosa c’è di così certo?’

‘Sott’acqua!’ risposi io.

‘Come scusa?’ fece Eudip dietro di me.

‘Sott’acqua. Il drago mi ha raccontato che dei librovori venivano qui a osservarlo. Spesso. E poi fuggivano non appena lui si avvicinava. Ce l’hanno fatta, ogni volta. Non è mai riuscito a catturare uno di noi. Possono esserci riusciti solo in un modo: immergendosi nella palude’.

‘Ma noi non sappiamo nuotare sott’acqua’ disse Closo.

‘Non sappiamo proprio nuotare’ completò Arca.

‘Certo che sì!’ ribattei io. ‘L’ho sentito a scuola’.

‘Sì, i più vecchi sono capaci’ confermò Teraf. ‘Si impara a una certa età, nei Laghi Cocenti alle grotte di cristallo, sotto la guida di librovori esperti’.

‘E allora saremo i primi a imparare da soli’ replicai caparbio.

‘Io ci sono già andato, sott’acqua!’ esclamò Closo ansimando. ‘Prima’.

‘Tu sei caduto in acqua’ precisò Estra. ‘Non è come fare un’immersione’.

‘Ma sì che è la stessa cosa’ disse Closo. ‘Solo che l’immersione dura di più’.

Non aveva tutti i torti.

‘No’ disse Elias. ‘Quello si chiama affogare. Immergersi è nuotare senza prendere fiato’.

Anche in questo c’era del vero.

‘E poi le immersioni si fanno nell’acqua limpida’ affermò Teraf. ‘Non in una brodaglia viscida come questa’.

‘Ascoltate!’ tagliai corto io. ‘Non ci rimane altro da fare che provare. Dobbiamo rimanere sott’acqua solo finché il vapore non si sarà infittito di nuovo. Il drago non può soffiare via la nebbia da tutta la palude!’

Strappai a Estra la librosquama per dimostrare che ero pronto ad affrontare l’immersione con il nostro bottino sotto braccio. Non c’era niente di più motivante per una squadra di un capo che si trafigge il piede con una freccia prima di marciare dritto nella battaglia.

‘Seguitemi!’ gridai. Poi saltai senza esitare nell’acqua oleosa accanto a me, inebriato dal mio stesso coraggio. Nella fuga dalla bocca del drago mi ero aspettato di finire in acqua, quindi non mi risultò poi così strano che ora succedesse davvero. Tenni la bocca chiusa, avvertii un cupo gorgoglio interno e d’un tratto mi trovai in un altro mondo. Mi stupii nel rendermi conto che le mie orecchie erano rimaste aperte e continuavano a far passare l’acqua. O se non altro quella era l’impressione, e non era spiacevole. Voleva forse dire che i librovori erano in grado di praticare una sorta di respirazione branchiale? Forse attraverso i condotti uditivi? Al momento non avevo tempo di rifletterci su, ma intanto mi spiegai così la piacevole sensazione che provavo sott’acqua. Sentii gli altri tuffarsi uno dopo l’altro.

Puntando la luce emanata dall’unico occhio verso il basso, i librovori esplorano il fondo della palude, circondati dalle strane creature che vivono in quelle acque.

Quando mi ebbero seguito tutti, non c’era più alcun ritorno. Con potenti bracciate, mi immersi sempre più in profondità. Il libro che tenevo tra le mani non mi era assolutamente d’intralcio, mi dava anzi una spinta maggiore, come fosse una pagaia.

Anche la mia palpebra non si chiuse. Al contrario, si spalancò finché poté, senza il minimo sforzo da parte mia. A quanto pareva, sott’acqua il corpo vitreo del mio occhio era ancora più luminoso del solito, infatti potevo vedere chiaramente il fascio di luce che si faceva strada davanti a me in quella torbida melma. Più procedevo verso il basso, più l’acqua diventava trasparente e meglio riuscivo a vedere, dato che le particelle di sporco andavano a fondo e le sostanze più leggere che rimanevano a galla si raccoglievano appena sotto alla superficie. In mezzo, il liquido aveva quasi la limpidezza dell’acqua di sorgente. Qui si trovava anche la maggior parte degli animali: rane e girini, piccoli pesci e addirittura meduse. Oltre a fluttuanti boschi di alghe e resti di piante che volteggiavano verso il fondo, c’erano anche molti libri, o meglio, quel che ne restava. Pagine stampate mi passavano davanti come banchi di pesci, copertine staccate frullavano tutt’attorno come ali di razza. Dal limo spuntavano qua e là volumi con sottili fettucce segnalibro che sventolavano meste come nastrini da lutto. Ogni tanto mi venivano incontro pesci sferici con pance rilucenti che, alla mia vista, emettevano bolle d’aria per lo spavento e fuggivano fulminei nell’oscurità. Vidi dentute creature serpentiformi in agguato tra pile di libri cadenti e carcasse di pesci giganteschi ricoperte di conchiglie e gusci di chiocciole. Era un mondo marcio pieno di pericoli mortali, ma conservava comunque una considerevole dose di bellezza: meduse che emanavano una luce splendente mentre fluttuavano aggraziate, girini che nuotavano in un divertente zig zag, polipi trasparenti con ventose colorate e rane tappezzate di luminosi puntini verdognoli che sgambettavano frenetiche. L’assurdità di ciò che vedevo avrebbe dovuto convincermi a tornare in superficie il prima possibile. Ma non era così. Quell’ambiente mi generava un senso di familiarità, quasi di accoglienza, cosa ancora più strana considerato che mi trovavo per la prima volta in vita mia sott’acqua a una tale profondità.

In un’enorme rete intessuta tra il fuco, c’era un ragno subacqueo di vetro con gli organi interni chiaramente visibili. Coi suoi molti occhi vigilava sulle prede che pendevano numerose dai fili: chiocciole, granchi, piccoli serpentelli, minuscoli gamberi e vari tipi di pesci, alcuni ancora vivi e impegnati in strazianti tentativi di fuga senza speranza. L’inquietante scena era illuminata dalla stessa rete, i cui fili brillavano dei più disparati colori. Il ragno pareva essere sazio, perché non accennò minimamente a darmi la caccia.

Era uno strano mondo governato da altre leggi della natura, nel quale le cose si muovevano molto più lentamente o molto più rapidamente. Eppure a ogni bracciata mi sentivo sempre più a casa in questa dimensione senz’aria con i suoi bizzarri abitanti. Il mio cervello ripeteva sempre la stessa frase all’infinito:

I librovori sanno andare sott’acqua.

I librovori sanno andare sott’acqua.

I librovori sanno andare sott’acqua.

Già, proprio così! Mi sentivo come il proverbiale pesce nell’acqua. Persi letteralmente ogni freno e mi immersi ancora di più con forti spinte, mi feci strada nell’acqua con eleganti piroette, evitai con abili movimenti tutti i libri e ogni sorta di animali, mentre trattenevo il fiato con assoluta naturalezza. No, non stavo neanche trattenendo il fiato: respiravo acqua. Non sapevo per quanto tempo avrebbe funzionato, ma nemmeno avevo l’impressione che avrei presto avuto bisogno di aria.

I librovori sanno andare sott’acqua.

I librovori sanno andare sott’acqua.

I librovori sanno andare sott’acqua.

All’improvviso notai Closo accanto a me, che attraversava con movimenti aggraziati un bosco di alghe. A quanto pareva stava sperimentando le mie stesse sensazioni, si capiva dalla sua espressione estasiata. Sapevo esattamente quale cantilena stesse passando per il suo cervello:

I librovori sanno andare sott’acqua.

I librovori sanno andare sott’acqua.

I librovori sanno andare sott’acqua.

Ci guardammo con un ghigno. Non era fantastico? Nuotavamo sott’acqua! Respiravamo acqua! Probabilmente anche il Dragolibro aveva provato emozioni simili quando aveva scoperto di saper volare. Io e Closo iniziammo a muoverci in modo sincronizzato. Essere sott’acqua ti rende più leggero, artistico. La percezione è quella di aver ricevuto in dono un corpo nuovo, migliore, e di essersi finalmente liberati del vecchio involucro consunto. Entrammo entrambi in uno stato d’estasi.

I librovori sanno andare sott’acqua.

I librovori sanno andare sott’acqua.

I librovori sanno andare sott’acqua.

In quel momento – SPLASH! – la zampa del drago si abbatté accanto a noi, con il fragore di un’intera montagna che crollava in acqua. L’onda d’urto mi fece vorticare su me stesso, miriadi di piccole e grandi bolle d’aria e un turbinio di fango interruppero il contatto visivo con Closo. Fui repentinamente riportato alla realtà: non eravamo lì a fare una nuotata spensierata, ma per fuggire dalle grinfie di un sauro gigante. Nataviel era riuscito a trovarci sott’acqua, forse per via dei nostri occhi luminosi. Poteva vederci, anche attraverso tutto quel fango, tanto forte era la luce che emanavamo! Ma ci aveva mancati, e questo mi diceva che probabilmente eravamo più rapidi di quanto credessimo. “Prova a prendere un pesce a mani nude!” pensai.

SPLASH! Ancora un altro passo, così vicino che la gigantesca zampa quasi mi sfiorò. Quando l’onda d’urto mi colpì, vorticai ancora più forte su me stesso. Nonostante tutto, tenni la librosquama stretta al petto. Non mi era successo niente, ma ero completamente disorientato. Dov’era il sopra e dove il sotto? Evidentemente il drago era riuscito in fretta a stimare la velocità dei nostri movimenti. Forse il passo successivo sarebbe andato a segno. Nel frattempo Closo era ancora vivo? E gli altri? Il mostro li aveva già fatti fuori? Cercai più volte di chiudere l’occhio, ma era impossibile. Un riflesso istintivo mi costringeva a tenerlo aperto. Finché ci trovavamo sott’acqua, quindi, saremmo stati visibili da lontano per chiunque, luminosi come fari.

Eccolo! Closo nuotava di nuovo accanto a me, vivo e a quanto pareva illeso. Si girò a guardarmi gesticolando selvaggiamente per segnalarmi qualcosa. Guardai con attenzione nella direzione indicata dalle sue mani sventolanti. Sì, c’era qualcosa sul fondo. Qualcosa che, da quella distanza, sembrava… Già, cos’era? Un gruppo di case? Tetti? Qua sotto? Era un paese sommerso? Un quartiere di Librandia o una città delle profondità del labirinto che il Magmosso aveva trasportato fin qui? In questa folle palude sembrava essere tutto possibile. Ma in ogni caso, di qualunque cosa si trattasse, poteva essere un rifugio. Un nascondiglio subacqueo, un riparo che avrebbe celato al drago la vista dei nostri lucenti occhi traditori. Avvicinandoci, ci accorgemmo che non erano case, bensì una qualche dozzina di enormi libri infilati nel limo, alcuni aperti a mo’ di tetti. Proprio così, era il più grande cumulo di leggendari libri giganti che avessi mai visto. Di tanto in tanto nelle catacombe se ne rinveniva qualcuno. Ce n’erano addirittura un paio nella grotta di pelle, a fare da casa a noi librovori».

«Me lo ricordo» interruppi il flusso del racconto del librovoro. Ho visto alcuni di questi libri mostruosi non solo nella grotta di pelle, ma anche nella biblioteca del folle gigante che viveva sotto Castel Ombrate.*

«Ognuno di quei libri» riprese a raccontare Ildefonso Due, «era alto come una casa di un piano. Il caso li aveva disposti in maniera così curiosa sul fondo della palude, incastrandoli uno nell’altro, che davano effettivamente l’impressione di essere i tetti di un piccolo paese sommerso. Perfetti per offrire un rifugio dagli attacchi del drago. Closo mi precedette, si infilò sotto a uno dei libri e scomparve. Io lo seguii senza esitare, la librosquama sempre ben salda tra le braccia.

Nascosti dai tetti, potemmo tirare finalmente il fiato. Nonostante tutti gli sforzi e l’agitazione, non sentivo ancora alcun bisogno di inspirare aria e sembrava essere così anche per Closo. Questo dimostrava la mia teoria sulle branchie? I librovori erano dunque anfibi? Be’, finché potevamo rimanercene là sotto senza che il drago vedesse la luce dei nostri occhi traditori la cosa mi era indifferente. Forse avrebbe perso le nostre tracce, e magari addirittura interesse. Al momento probabilmente stava dando la caccia agli altri, sentivamo ancora chiaramente i suoi passi, ma si erano fatti più lontani:

SPLASH!

SPLASH!

SPLASH!

Non ci restava che sperare che Nataviel mancasse i nostri amici proprio come aveva fatto con noi. E che anche Arca, Eudip, Teraf, Elias ed Estra fossero diventati dei subacquei provetti come me e Closo. Concordammo a gesti di rimanere ancora per un po’ al riparo. Nel frattempo ci guardammo intorno e lasciammo scivolare il cono di luce dei nostri occhi su ciò che ci circondava. Dall’oscurità emerse una realtà sorprendente. Sulle pareti di quel bizzarro nascondiglio c’erano gli stessi strani caratteri che comparivano in tutti i libri monumentali che avevo visto fino a quel momento. Neanche noi librovori eravamo ancora riusciti a decifrare quelle antichissime rune che non mostravano alcuna parentela con gli alfabeti che conoscevamo. Qui, sulle pagine vecchissime – e a quanto pareva indistruttibili anche dall’acqua – di questi volumi, vivevano chiocciole sottomarine e conchiglie. Granchi trasparenti e creature simili a millepiedi si lasciavano trasportare dalla corrente. Era a tutti gli effetti un paese sommerso! Con abitanti che si muovevano sulle pareti o fluttuavano sotto al tetto. Un’infinità di piccoli pesci colorati, girini perlacei e altri animaletti a me fino ad allora sconosciuti nuotavano operosi qua e là, ma nessuno di loro aveva un aspetto minaccioso. Quando venivano colpiti da uno dei nostri fasci di luce, rimanevano per lo più fermi, come ipnotizzati. Il fondale sotto al tetto del nostro libro gigante sembrava essere fatto di migliaia di grassi vermi in tutte le tonalità del verde e del marrone, disposti uno accanto all’altro in lunghe file e cullati dolcemente dall’acqua. D’istinto, non mi sembrò raccomandabile avvicinarsi troppo. Magari era solo fuco inoffensivo o fieno marino, ma magari ci si poteva affondare. Notai che anche Closo manteneva una rispettosa distanza dall’ondeggiante rigonfiamento verde.

SPLASH!

SPLASH!

SPLASH!

I passi del drago si allontanavano? O si stavano di nuovo avvicinando? Era difficile da dire. Al momento comunque non ci riguardavano, e noi sfruttammo la cosa per continuare a studiare gli altri ospiti dell’insolito albergo che ci aveva accolto. Non molto distante da me, una creatura ibrida tra una medusa e un polpo eseguiva un malizioso balletto subacqueo. Danzava su e giù, girava in tondo, sollevava civettuola le sue numerose braccia, gonfiava il corpo in una palla e lo contraeva di nuovo, come se volesse richiamare la nostra attenzione. E poi all’improvviso, a una velocità sconvolgente, uno dei vermi che avevo scambiato per fuco schizzò su dal fondo della palude, mutò in un sottile serpente elastico, afferrò la polipusa e vi si attorcigliò. Fu come un colpo assestato con una lunga frusta. Poi, con un brutale strattone, il verme la trascinò verso il basso e un attimo dopo era scomparsa. Zac! Closo, che pure aveva assistito a quella caccia, emise qualche bolla d’aria per la paura.

Prima che potessimo riprenderci dallo spavento, la scena si ripeté. Questa volta toccò a una piccola anguilla colpevole di un guizzo in risposta al cono di luce di Closo. Uno dei vermi schizzò nuovamente dal fondo a velocità mozzafiato, abbrancò il pesce al centro e lo trascinò così rapidamente nel tappeto verde-marrone che per un momento dubitai di averlo visto davvero. Uno sguardo tra me e Closo fu sufficiente. Quello non era affatto un albergo sicuro e ospitale, bensì una trappola per turisti.

Non avevamo idea di che creatura fosse quella là sotto, e non ci eravamo certo immersi fin qui per scoprirlo. Forse si trattava di un animale, forse di una pianta o forse di un essere a metà tra flora e fauna. Magari era un organo della palude, e la palude a sua volta una propaggine vitale del Magmosso separatasi dalla sua matrice e stabilitasi qua sotto come nuova forma vivente. Solo a quel punto mi resi conto che tutto il fondale attraversato nel corso della mia immersione aveva quell’aspetto: una distesa di grassi vermi verdi e marroni. Se tutti quei tentacoli si fossero uniti tra loro, allora quella sarebbe stata una creatura molto più grande del drago. Probabilmente più grande di qualsiasi altra creatura delle catacombe. Un organismo dall’estensione mostruosa, ampio quanto la stessa palude con le sue pozze e i suoi laghi. Forse nasceva dall’accorpamento di diverse forme di vita, una sorta di società di mutuo soccorso che aveva stabilito un’alleanza e si era fusa in un’unica creatura, vera sovrana della palude unzosa. Tutti questi pensieri mi sfrecciarono per il cervello in una frazione di secondo, ma non mi erano di alcun aiuto. Sopra il drago, qui sotto la misteriosa creatura della palude… e io e Closo proprio nel mezzo. Se riemergevamo, finivamo tra le grinfie di Nataviel. Se rimanevamo al riparo, era solo questione di tempo e presto un tentacolo ci avrebbe afferrati, trascinati giù e scaricati nel sistema digestivo della palude. Sempre che non finissimo prima l’ossigeno.

SPLASH!

SPLASH!

SPLASH!

Il drago non aveva ancora interrotto la sua caccia, e i colpi sembravano nuovamente avvicinarsi. E se gli fosse venuta l’idea di tentare la sorte calpestando il villaggio dei libri giganti? Proprio nell’istante in cui fui assalito da questo inquietante pensiero, uno dei vermi verdi emerse fulmineo dall’oscurità. Si avvolse improvvisamente attorno al collo di Closo e iniziò subito a tirarlo verso il basso. Sulle prime rimasi come paralizzato dallo spavento. Ma con Closo la creatura non aveva gioco facile come con i piccoli animali acquatici di poco prima. Il mio compagno era in preda al panico, ma si difendeva con energici movimenti delle gambe e delle braccia. Nuotai in suo aiuto, afferrai il tentacolo e lo tirai, ma senza ottenere grandi risultati. Sembrava una fune ben tesa, tirata da entrambe le estremità. A ogni strattone Closo si avvicinava un po’ di più al fondale ondeggiante. D’un tratto il buio fu lacerato da un terzo cono di luce. Un altro pericolo? E invece no, era – lo riconobbi un istante dopo – Arcaneonte. Arca! Prima che potessi fare qualcosa, afferrò con entrambe le mani il tentacolo verde… e lo morse deciso! Vi affondò i denti con una tale furia che mi sembrò di sentirlo stridere e scricchiolare anche sott’acqua. Finalmente la fune cedette, come una corda che si spezza. Sbranggg! Un gorgoglio a più voci si alzò dal fondo della palude, e migliaia di bolle verdi si sollevarono dal tappeto tremolante. Era forse il corrispettivo di un grido di dolore? Closo era libero.

Con le guance gonfie e il suo gesticolare frenetico, Arca sembrava un folle, ma capimmo ugualmente che ci intimava di seguirlo. Andò avanti lui, con una forza e un’eleganza di cui non avrei mai creduto capace né lui né nessun altro librovoro. Arcaneonte era un nuotatore provetto, decisamente più di me e di Closo, che era sfinito. Sembrava veramente nel suo elemento. Non molto lontano dal nostro rifugio di libri giganti, si trovava l’ingresso di un lungo oggetto di forma tubolare largo circa quanto due braccia, che poggiava sul fondo e scompariva nell’oscurità. Arca vi entrò senza esitare un istante. Era un tunnel artificiale? Il gambo di una pianta gigante pietrificata? La proboscide di un animale sconosciuto, che ci avrebbe presto risucchiati avidamente? In circostanze normali non lo avrei mai seguito lì dentro, ma Arca ci precedette intrepido e non potemmo fare altro che andargli dietro. Nuotava con movimenti energici e regolari e noi lo seguivamo agitando mani e piedi più in fretta che riuscivamo. Solo una volta all’interno del tubo, credetti di riconoscere finalmente di cosa si trattava: era una stalagmite molto lunga, affusolata e cava che doveva essersi ribaltata come un camino pericolante e ora giaceva sul fondo delle acque della palude unzosa. Era il nostro nuovo riparo dal drago. Il tubo di pietra si interruppe improvvisamente e ci trovammo di nuovo all’aperto. Ma poi Arca ci condusse in un secondo tunnel. A quanto pareva aveva scoperto un’intera rete di stalagmiti crollate dentro le quali potevamo muoverci senza essere notati da Nataviel.

Un’ottima cosa, ma comunque una soluzione temporanea. Eravamo al sicuro, ma allo stesso tempo stavamo solo vagando senza meta per la palude. Quanta strada dovevamo ancora affrontare? Closo era alquanto provato e non dava l’impressione di reggere ancora a lungo. Continuava a nuotare dietro di noi stringendo i denti, ma la lotta con il tentacolo aveva lasciato il segno. Anche se ormai ero convinto che noi librovori disponessimo di un sistema respiratorio alternativo, le nostre forze non erano inesauribili neanche in un ambiente subacqueo.

Dall’estremità della stalagmite successiva filtrava una luce blu, proveniente da un’infinità di piccoli punti più o meno luminosi. Iniziai a capire dove ci stava conducendo Arca. Avevo già visto quella luce, una volta da vicino e una da lontano. Poi Arca puntò deciso verso la superficie e noi lo seguimmo, Closo con le ultimissime forze che gli rimanevano. Infine riemergemmo, tossendo e annaspando.

‘Haaaaaaaahhhhh!’

‘Hoooooooohhhh!’

‘Huuuuaaaahh!’

La proverbiale luce in fondo al tunnel era quella di migliaia di fluorescenti funghi blu che popolavano un’enorme stalagmite: era il punto di riferimento al quale ci eravamo dati appuntamento, la grande stalagmite che avevo già passato all’andata. Ed Estra, Elias, Eudip e Teraf erano già lì ad aspettarci.

Closo si trascinò a terra rantolante e vomitò rumorosamente. Non lontano da lui c’era Eudip. Era completamente ricoperto di piante viscide e rideva come un matto. Lì accanto Elias tossiva seduto nel fango, illuminato in maniera spettrale dai funghi blu.

‘Ce l’avete fatta’ sussurrò Estra che, come tutti gli altri, aveva lo sfinimento stampato in faccia. ‘Grazie, Arca! Sei incredibile’.

Sopra di noi si spiegava una fitta coltre di nebbia, e in lontananza sentivo ancora gli schiamazzi del drago. Tesi impaurito l’orecchio in quella direzione.

‘È abbastanza lontano’ disse Estra. ‘Ha perso le nostre tracce’.

‘Per la miseria!’ gemette Teraf. ‘So nuotare sott’acqua’.

‘No’ lo contraddisse Estra. ‘Arca sa nuotare sott’acqua. Noi siamo solo dei dilettanti’.

‘Là sotto ci sono un sacco di bestie strane’ commentò Elias, mormorando tra sé.

‘Non ci è sfuggito’ ansimò Closo riuscendo a tirarsi su.

‘Per fortuna Arca ha scoperto le stalagmiti crollate’ spiegò Estra. ‘Formano un vero e proprio sistema di tunnel sul fondo della palude. Ci ha guidati da una all’altra fin qui e poi è tornato indietro a cercare voi. È un eroe’.

‘Ha salvato la vita di Closo’ constatai io. ‘E anche la mia’.

Arca era raggiante d’orgoglio. ‘In uno dei tunnel c’era un grosso rospo giallo che era due volte me’ raccontò. ‘Ma la luce del mio occhio l’ha fatto scappare’.

‘Potremmo viverci, là sotto, lo sapete?’ disse Teraf. ‘Avrei potuto rimanere sott’acqua ancora per delle ore. Senza prendere fiato. Sono un pesce’.

‘Semmai sei una rana’ lo corressi io. ‘Siamo anfibi. È ancora meglio: possiamo vivere in entrambi i mondi’.

‘Io però non ci voglio vivere, in questo mondo bagnato’ disse Closo cupo. ‘Sul fondo della palude c’è qualcosa di terribilmente pericoloso. Qualcosa di viscido, di vorace. Non ci voglio tornare mai più. Non ho idea di cosa sia, ma ho come l’impressione che questo sia il suo regno’.

‘Sapete cosa credo?’ chiese Arca.

Lo guardammo tutti incuriositi.

‘Credo che siano tarli dei libri’ disse. ‘Larve che si nutrono di vecchi libri. E quando non hanno più libri da mangiare, allora mangiano qualcos’altro. Librovori, ad esempio’.

‘Esatto’ concordò Closo. ‘Sono esemplari di tarli dei libri piuttosto grossi e avidi. Una specie a sé’.

‘Semplicemente non è il nostro mondo’ rifletté Elias. ‘Non fa per noi. Dovremmo tornare una volta per tutte alla grotta di pelle. Quello è il nostro mondo’.

Annuimmo tutti e ci rialzammo gemendo.

In lontananza potevo ancora sentire il drago, che ormai non ruggiva né sbuffava più. Sembrava gridare, emettere parole articolate stavolta. Se mi sforzavo, riuscivo addirittura a capire quello che diceva.

‘Sta dicendo qualcosa!’ si meravigliò Elias. ‘Lo sentite? Sa davvero parlare’.

‘Fate silenzio’ ordinai. ‘Voglio sentire cos’ha da dire’. Ci zittimmo e ascoltammo con attenzione.

‘Ehi! Piccolo librovoro!’ gridava il Dragolibro. ‘Fermati! Torna indietro! Hai capito? Per favore! Stavo solo scherzando! Non ti mangerei mai. E non ti seppellirei neanche a testa in giù! Perché dovrei farlo? Mi senti?’

Diceva a me. Il drago parlava veramente con me.

‘Avevo solo bisogno di dormire!’ gridò Nataviel, e ora la sua voce suonava implorante, non faceva più paura. ‘È solo per questo che ti ho preso in bocca. Per proteggerti. Era l’unico posto della palude unzosa dove potevo garantirti sicurezza. Lo capisci, amico mio? Rispondimi, ti prego!’

Estraco e gli altri mi fissarono con sguardo interrogativo. Il drago stava davvero cercando di fermarci a parole?

‘Mi senti, piccolo librovoro? Non ti voglio uccidere. Non voglio uccidere più nessuno. Era solo per intimorirti! Ho completamente disimparato come ci si comporta con le persone. Ho dimenticato le buone maniere!’

La voce divenne più bassa, ma si capiva ancora chiaramente.

‘Ma posso cambiare! Sono un tipo flessibile! Mi piacerebbe tanto continuare a conversare con te. Davvero! Mi ha fatto maledettamente bene. È stata la chiacchierata migliore che abbia mai fatto. Credimi! Mi senti? Torna indietro! Per favore!’ Il drago ansimò disperato. ‘Ti supplico! Potrei dare molto, alla nostra relazione. La stupida librosquama potete tenervela. Ve la regalo! E sai cosa? Dividerò con te il mio tesoro. Il mio tesoro di parole. Cosa ne pensi?’ Ci fu una lunga pausa. Pensai che Nataviel si fosse arreso. Ma poi ricominciò: ‘E poi ti devo ancora raccontare quella storia perfetta che ho in mente! La volevi sentire a tutti i costi. È veramente intrisa d’unza. Potremmo scrivere dei libri assieme! Prova a immaginare! Che coppia! Nataviel e il suo piccolo librovoro. Potremmo scardinare i pilastri dell’intera letteratura zamonica. Scriveremmo libri traboccanti d’unza. E i librovori potrebbero stamparli. Prova a immaginare, mio piccolo amico. Prova a immaginare!’

E poi basta, silenzio. Rimanevano solo i rumori della palude. I soliti gracidare e gorgogliare, frinire e ronzare. Ci guardammo, annuimmo muti e ci avviammo. Non fu difficile stabilire la direzione. Dritti dalla parte opposta rispetto alla voce del drago.

Procedemmo in fila indiana, io davanti a tutti. Non eravamo di molte parole: ‘Attenti!’

‘Occhio!’

‘Piano!’

‘Per di là?’

‘No, meglio di qua’.

E poco altro. Ovviamente un paio di volte girammo in tondo, ovviamente qua e là sprofondammo fino alla vita nella palude, ovviamente dovemmo scansare un paio di creature dall’aspetto affatto gradevole. Ma alla fine arrivammo senza incidenti alla galleria che conduce alla grotta di pelle. Eravamo illesi, se non si contava il fatto che là fuori, nella palude unzosa, avevamo tutti perduto l’innocenza della gioventù. Quando raggiungemmo l’entrata del giardino di cristallo, ci fermammo ancora una volta per consultarci.

‘State a sentire’ dissi io. ‘A me non interessa farvela pagare per il vostro scherzo e per le conseguenze che ha avuto, anche se qualche motivo ce l’avrei! Ci mancava poco che facessimo tutti una brutta fine’.

Vidi il sollievo balenare negli occhi di Estra, Elias, Arca, Eudip, Closo e Teraf.

‘Ma credo che adesso siamo pari, dato che ci siamo salvati la vita a vicenda, giusto?’

Gli altri annuirono energicamente.

‘La parte imbarazzante quindi rimane tra noi. Propongo di raccontare che dopo la lezione abbiamo deciso insieme di fare ricerca per i compiti nella palude unzosa. Dove poi abbiamo incontrato il drago e gli abbiamo rubato una librosquama. Dovrebbe bastare. È credibile? Io penso di sì. Darà ai librovori più vecchi la sensazione di essere in parte colpevoli della nostra pericolosa avventura. E magari questo ridurrà la quantità di compiti nel prossimo futuro’.

I classici ghignarono.

Trovai per la prima volta l’occasione di osservare meglio la librosquama che avevo tra le mani. Portava il titolo di Cavalier Cionco, di un tale Grifo degli Undertoller.

‘La mia conversazione con il drago rimarrà un nostro segreto’ continuai. ‘Quello che mi ha raccontato… be’, quello devo tenerlo per me. È una cosa personale. Una conversazione a tre occhi. Ciò che è stato detto nella palude unzosa deve rimanere nella palude unzosa. Lo devo a Nataviel’.

I librovori borbottarono in segno di assenso.

‘Allora siamo d’accordo?’ chiesi per finire. ‘Andiamo a casa?’

‘Aspetta un attimo!’ intervenne Estra. ‘Questo è un momento storico. Dovremmo onorarlo come merita’.

‘Storico?’ fece Closo indolente. ‘E perché?’ Aveva ancora un’aria sfinita.

Estra si schiarì la gola. ‘Sarà anche vero che la Lega dei cercatori d’unza l’abbiamo creata per scherzo. Ma non per questo è una cattiva idea. O no?’

‘No’ rispose Eudip stanco. ‘In effetti non lo è. Ma dove vuoi arrivare Estra? Taglia corto. Voglio andare a dormire nella mia caverna’.

‘Be’, propongo…’ iniziò Estra solenne, ‘di fondare adesso la Lega dei cercatori d’unza. Un po’ tardi magari, ma mai troppo’.

Nessuno disse niente. Qualcuno tossicchiò.

‘Ottima proposta’ disse poi Teraf. ‘E anche il momento è ottimo. Sì, storico, in un certo senso’.

‘Giusto’ concordò Closo. ‘Ora o mai più’.

Arca, Elias, Eudip e io annuimmo. Penso che avvertissimo tutti la serietà del momento.

‘Bene’ continuò Estra. ‘E propongo di nominare Ildefonso nostro comandante’.

Ci fu una lunga pausa un po’ imbarazzata.

‘Niente in contrario’ interruppe il silenzio Eudip. ‘Ha dimostrato di avere le qualità giuste. Ma non è un po’ troppo giovane? Voglio dire, è strano guardare un comandante dall’alto in basso. No? Non fraintendermi, Ildefonso!’

‘Questo si risolverà presto’ disse Elias. ‘I librovori crescono in fretta’.

‘Io ci sto’. Questo era Closo.

‘Anch’io’ disse Eudip.

‘Anch’io’ fecero gli altri.

‘Ci serve un giuramento’ decise Estra.

‘Giusto’ disse Elias. ‘Senza giuramento non se ne fa niente. E dovrebbe richiamare il nostro voto di segretezza’.

‘Allora ne ho uno io’ esclamò Estraco.

Lo guardammo tutti curiosi.

Estra si schiarì di nuovo la gola: ‘So di non sapere’ proclamò con voce tremante.

‘È perfetto’ lo lodò Closo, e gli altri annuirono.

Quando, con fare solenne, mettemmo le nostre mani una sopra l’altra, fui preso a un tratto da una strana sensazione.

Poi Estra esclamò di nuovo, con ancora più fervore: ‘So di non sapere!’

‘So di non sapere!’ ripetemmo a una sola voce il nostro nuovo motto.

Poi ridemmo impacciati, ritraemmo le mani e imboccammo la galleria che portava alla grotta di pelle».