CAPITOLO II
La madre di Benedetta si chiamava Lucia, aveva 40 anni e, nonostante vestisse sempre di nero come se fosse in lutto, non era vedova. Teneva i capelli tirati sulla nuca e aveva la pelle bianca coperta di rughe sottilissime, grandi occhi scuri e ciglia folte che le donavano uno sguardo vellutato anche quando era arrabbiata. Sparuti peletti neri le sbucavano appena dalle narici.
Mangiava e beveva poco ma le piaceva dormire; raccontava che la madre, quando era ancora una ragazza e viveva a Palermo, le diceva che da piccola doveva essere stata punta dalla mosca tze-tze. Quando Benedetta, però, le aveva chiesto cosa fosse, non le aveva saputo rispondere, ma il suo sonno era pesante davvero. E russava, anche.
Era arrivata in America nel 1909; aveva compiuto 21 anni durante il viaggio.
Era rimasta incinta con il primo rapporto della sua vita, in un pomeriggio d’autunno sulla spiaggia di Mondello. Lui le aveva detto che era bella, che la sua pelle profumava di viole, che già sapeva si sarebbe innamorato di lei e Lucia, che fino ad allora non aveva mai fatto neanche una passeggiata da sola con un ragazzo, gli lasciò fare quello che pensava si facesse solo con un marito. Ma non fu per i complimenti e neanche per il piacere: lo fece perché non riuscì a dire di no. Rimase scioccata dalla sua stessa debolezza e, quando scoprì di essere incinta, lo fu molto di più. Per prima cosa cercò di uccidersi, senza riuscirci. Allora andò da lui e si accorse che guardarlo e ripensare a quanto era successo le dava il disgusto, ma non aveva scelta: gli disse che era incinta e che doveva sposarla. Lui rispose che gli dispiaceva tanto per lei ma aveva già il biglietto per il piroscafo del mese successivo che l’avrebbe portato in America.
Lucia ripensò al suicidio però poi tornò e gli chiese se poteva portarla con sé. Glielo domandò con voce calma anche se sul viso le scendevano le lacrime. Gli mostrò i soldi della dote che gli avrebbe consegnato se, una volta in America, l’avesse sposata. Fu il gesto più coraggioso della sua vita.
I genitori, sapendo cosa avrebbe significato per lei rimanere a Palermo, non la trattennero. Partirono che il suo stato era già evidente. Pianse per tutto il viaggio e pianse ancora quando lui la lasciò da sola con il neonato nell’appartamento di South Street Seaport. Di tanto in tanto tornava, dicendo che non c’era lavoro e che aveva bisogno di soldi e Lucia, che proveniva da una famiglia di sarte e sapeva cucire e tagliare, gli dava quello che era riuscita a guadagnare facendo piccoli lavori. Non che l’amasse – solo dopo incontrò lui e capì cosa significasse – ma l’idea di rimanere da sola con un figlio le sembrava inaccettabile.
Dopo sette mesi, Lucia rimase incinta per la seconda volta e forse pianse ancora di più della prima. Di matrimonio non si parlava più da tempo ma lei, con Benedetta di pochi mesi in braccio, glielo domandò nuovamente sapendo che sarebbe stata l’ultima.
Gli disse di non tornare mai più. E lui fece così.
Il giorno successivo, venne assunta dalla Triangle Shirtwaist. E conobbe lui: il serio, pulito, rispettabile, Mr Penn.
Mr Penn era il capo del personale della Triangle e passava gran parte della sua vita in azienda tanto che nel suo piccolo ufficio aveva sistemato un divano dove spesso si fermava a dormire. Si sapeva poco di lui, di sicuro che non era sposato.
Il giorno che fece il colloquio a Lucia, la guardò brevemente negli occhi prima di chiederle con voce bassa di mostrargli il punto croce. Lei lo eseguì in un attimo, lui osservò con attenzione il ricamo e poi le domandò di eseguire il punto filza e il punto indietro. Lucia muoveva le dita rapide, con il cuore che le batteva forte nel petto ma le mani sicure. Mr Penn, con un tono leggermente più alto, le domandò infine se conoscesse il punto a catenella doppia e il palestrina. Senza rispondere, Lucia riprese a cucire in silenzio e poi stese il braccio mettendogli in mano il tessuto. Lui, che non sorrideva mai, le sorrise. «Lei è un talento» disse scandendo le parole.
Il loro amore nacque così. Pensavano per punti, entrambi metodici e solitari come un telaio; pronunciavano pochissime parole e lui le affidava mansioni sempre più complesse: qualsiasi punto le chiedesse di realizzare, lei lo eseguiva senza incertezze. Mr Penn parlava con gli occhi e lei capiva senza bisogno d’altro. Per arrivare a lui, si doveva passare attraverso di lei, che filtrava e riordinava fino al risultato che l’uomo avrebbe apprezzato. Avevano lo stesso modo di pensare.
Poi un giorno accadde qualcosa che avrebbe tormentato tutti e due fino alla fine dei loro giorni.
Era mattina e lui l’aveva convocata nel suo ufficio. L’accolse da dietro la scrivania con le mani conserte mentre con la testa le faceva cenno di sedersi davanti a lui. Sottili capelli bianchi gli ondeggiavano sul cranio latteo a ogni movimento.
«Signora Lucia, ho notato che ultimamente è un po’ pallida. Va tutto bene?».
Lei arrossì ma si sforzò di mantenere il suo sguardo vellutato negli occhi chiari di lui. Non sapeva quanti anni avesse, ma sicuramente sembrava più vecchio della sua età. Era alto e magro, non particolarmente bello, ma a lei piaceva. Le piaceva quella pelle pallida seccata dai saponi, le piacevano le mani magre che avevano paura di toccare le persone, le piacevano i vestiti lisi dai continui lavaggi. Le piaceva sentirlo parlare, le lunghe pause tra una parola e l’altra. Era amore. Non aveva alcuna incertezza, sapeva che quello era amore. Se ne era accorta subito, già il primo giorno in cui si erano visti. Di lui avrebbe accolto tutto e per lui avrebbe fatto di tutto, senza riserve.
«Sì, sì, sto bene, grazie».
Mr Penn la fissò negli occhi, poi si alzò per andare alle sue spalle e fece qualcosa che non aveva mai fatto: le poggiò una mano sul braccio mentre lei assaporava il suo profumo di sapone. La donna rimase immobile e tutto si concentrò in quel punto, fra la sua pelle e quella mano calda. Come in un patto di sangue, Lucia gli promise muta amore eterno, fedeltà, devozione.
«Qui abbiamo bisogno di lei» disse.
Fu la prima e l’ultima volta che ebbero un contatto fisico anche se, fino a quando non si persero di vista, seguitarono a dichiararsi silenziosamente i loro sentimenti.
Anni dopo, in una casa in Virginia arredata con pochissimi mobili, lui si chiese se Lucia avesse capito cosa avrebbe voluto dirle. E se lo domandò ancora negli anni successivi in una asettica stanza di ospedale e poi ancora nell’istituto in cui concluse i suoi giorni. Se lo chiese fino a quando il ricordo di quella mano posata sulla spalla di una donna non sbiadì insieme ai suoi ricordi terreni.
Dopo l’incendio del 1911, Mr Penn non volle più che Lucia lavorasse in fabbrica. Le disse che non potevano rischiare le capitasse qualcosa, avrebbe lavorato a casa e lui sarebbe andato a controllarne l’operato. Quando glielo annunciò, le vennero le lacrime agli occhi.
Il lunedì e il giovedì bussava alla porta, puliva le scarpe sul vecchio zerbino ed entrava nel piccolo alloggio. Lucia preparava un bicchiere d’acqua, gli metteva davanti le stoffe e poi rimaneva in piedi con le mani giunte mentre l’uomo toccava il cotone con delicatezza, strusciando i polpastrelli sui punti più complessi. Non nascondeva mai l’ammirazione per il suo lavoro. Una volta lodò anche quello di Benedetta che, dopo qualche tempo, aveva iniziato ad aiutarla.
Per circa un anno, le cose proseguirono in questo modo e sembrava che nulla sarebbe mai cambiato, ma fu proprio il discreto Mr Penn a rimescolare le carte. Un lunedì arrivò con qualche minuto di anticipo. L’aria si intrise subito del suo buon profumo.
«Questo mese abbiamo ricevuto una grossa richiesta dalla Francia, avrà bisogno di qualcuno che la aiuti. Ma solo per questo mese».
«Posso scegliere io?».
«Sì, l’importante è che il punto sia sempre lo stesso».
E fu così che la signora Margherita cominciò a lavorare con loro. E con lei, anche sua figlia Maria.
Il giorno che Maria varcò la porta di casa, si fermò sulla soglia sfiorando appena con lo sguardo annoiato la stanza e le sue occupanti. I suoi occhi vagavano senza soffermarsi su nulla e senza cambiare espressione. Benedetta la osservò e capì subito che era finita: non poteva più fingere, ormai era una donna nuda ed esposta e sarebbe stata consapevole della propria bruttezza, e quindi insicura, per sempre.
Maria avrebbe tormentato ogni suo senso senza che lei potesse farci niente.
La nuova collaboratrice e sua madre impararono presto ma, nonostante ora fossero in quattro, i ritmi non cambiarono: Lucia seguitò a cucire con la stessa lena, rovinandosi la vista e le mani, sempre insoddisfatta della quantità di lavoro svolta.
Anche Benedetta continuò come prima ma, in realtà, per lei più niente poteva essere uguale: era suscettibile, sempre in allarme; gli odori la turbavano e il cibo non le interessava più. Si tormentava chiedendosi se in lei ci fosse qualcosa che potesse interessare gli altri, se potesse piacere a qualcuno.
Perché a lei piaceva Maria.
Il risveglio divenne il momento più bello della giornata: rimaneva in attesa, aspettava che Maria varcasse la porta per poter smettere di aspettare e cominciare a soffrire. Rispetto a lei, le ragazze in strada erano solo brutte copie di qualcosa che non si può copiare. Maria sapeva di essere diversa e di non aver bisogno di dimostrarlo: non era solo una questione fisica, era proprio che non si poteva smettere di guardarla. Non era perfetta, eppure lo era. Benedetta la guardava e non riusciva a capire come le riuscisse, come fosse possibile questa magia. Paragonarsi a lei era un’eresia.
Maria aveva la carnagione scura, gli occhi neri, i capelli lunghi e pesanti. Il suo corpo appariva morbido, ozioso, ingannevole. Benedetta già sapeva che sarebbe stata ingannata e che glielo avrebbe lasciato fare. Questo è l’amore.
Anche Maria non aveva un padre. La signora Margherita aveva detto che, quando aveva la stessa età della figlia, anche lei era incredibilmente bella; ora, però, era grassa e sciatta, con la pelle ispessita e scura. Nessuno, neanche Maria, sapeva fino a che punto si fosse impegnata per diventare così, per trasformare la farfalla in verme: non si era lavata per anni e aveva mangiato di tutto pur non avendo fame; ma che fosse meglio passare inosservati l’aveva capito tardi, troppo tardi. L’aveva capito solo quella notte di dolore che le aveva lasciato Maria come ricordo.
Margherita sembrava inorridire di fronte alla bellezza della figlia, il viso di quella ragazza era un insulto alla sua sofferenza. Quando la ragazza se ne andò, la madre disse che i mostri si nascondono sempre dentro la propria casa.
Dal canto suo, la giovane conosceva bene l’effetto che aveva sugli altri e aveva imparato a difendersene, e così, a diciotto anni, era indifferente alle paure della madre, alle invidie delle altre donne e anche alle lusinghe degli uomini. E aveva già capito che se non si fosse occupata lei di se stessa, non l’avrebbe fatto nessun altro.
Il suo arrivo ebbe un forte impatto su tutti, anche su Giovanni. Il fratello di Benedetta aveva diciannove anni, i capelli rossi sempre pieni di brillantina, la faccia lentigginosa e le orbite cerchiate dalle occhiaie; qualcuno una volta aveva detto che somigliava al padre.
Da ragazzino era stato gracile e ne aveva prese tante perché sembrava un irlandese: era strano un siciliano con i capelli chiari, così lo picchiavano sia gli italiani sia gli irlandesi. Non c’era nessuno a difenderlo e subiva, ma aveva smesso di piangere già a undici anni. A tredici cominciò a frequentare una palestra con un ring e, molto presto, a combattere clandestinamente. Pugni e gelatina per far sembrare i capelli più scuri. Quando entrò nel giro della piccola malavita iniziò il suo vero riscatto dalle offese subite: ora era lui a picchiare e le frustrazioni erano soffocate in luoghi dove non potevano fargli male. Conobbe Maria e ne fu subito turbato. Giudicò quell’emozione come un demone da abbattere e lottò ostinatamente contro se stesso: per quasi un anno la evitò e, quando non ci riusciva, se la prendeva con un pretesto qualsiasi con la sorella e la madre e andava via sbattendo la porta nell’indifferenza totale della ragazza.
Poi però si convinse che il successo di un uomo si misura dalle donne che frequenta e scelse quale tipo d’uomo essere: osservando bene Maria gli fu chiaro cosa avrebbe sancito il suo primato. Il giorno in cui la invitò a uscire, sapeva di aver vinto: di certo, il ragazzino impaurito non esisteva più e ora era pronto ad affrontare anche lei.
Lucia scivolava sui patimenti dei figli indifferente e distante. Un tempo era stata diversa, ma poi era successo qualcosa che l’aveva cambiata. L’ultima illusione che si era concessa – l’ultima, perché da quel giorno non si lasciò sedurre più da niente – si era sbriciolata un martedì, esattamente sei mesi dopo l’arrivo di Maria: le parole pronunciate da quell’uomo con la pelle quasi sfogliata dagli ossessivi lavaggi, misero un punto definitivo alla vita di Lucia.
Mr Penn era in piedi sulla porta, sudava e aveva detto tutto di un fiato. Lucia piangeva e aveva seguitato a farlo anche quando lui era andato via.
«Per lei non cambierà assolutamente nulla, ho dato disposizioni perché possa seguitare a svolgere il suo lavoro come sempre».
Fu l’ultima cosa che disse. Era paonazzo, il colletto della camicia bagnato di sudore.
Lei non disse nulla alla figlia né quel giorno, né quelli successivi. Benedetta si accorse che qualcosa era cambiato quando il lunedì dopo venne un tipo mai visto a ritirare il lavoro. Guardò con aria interrogativa la madre che distolse subito gli occhi.