CAPITOLO VII

Maria arrivò a casa di Benedetta con un vestitino rosso, leggermente stinto dall’uso, che le lasciava le gambe scoperte. A ogni passo il suo corpo curvava come un’onda con movimenti fluidi simili a quelli dell’acqua. Un alone di sudore le scuriva il tessuto sotto le ascelle, la pelle liscia emanava un sentore selvatico che ti si incollava alle narici. Benedetta inspirò: quell’odore le toglieva le forze.

La giovane scosse i capelli sciolti e la guardò dritta negli occhi facendo segno con la testa di spostarsi da dove si trovava. Benedetta capì che fremeva per dirle qualcosa; gelosa e curiosa, si agitò immediatamente.

«Io e Benedetta oggi non lavoriamo qui» esordì indicando il tavolo. «Fa troppo caldo» proseguì spostando la sedia verso la finestra.

Benedetta la seguì con un accenno di tachicardia.

Maria si chinò verso il suo orecchio e lei socchiuse gli occhi. Fermare il tempo, pensò.

«Devo dirti una cosa... Attacca la sedia alla mia. Zitta, però, eh!».

Abbassò ancora di più la voce.

«Esco con un uomo: ha trentadue anni. Ha la macchina e mi porta in un locale elegantissimo dove si può anche ballare. Poi, guarda...» si piegò a cercare qualcosa nel taschino «è oro vero! Questa sera mi regala anche la catenina. Ti piace?».

Sulla mano le luccicava un piccolo cuoricino dorato. Benedetta lo prese e lo guardò estasiata; l’amica si mosse sulla sedia eccitata dalla sua reazione.

«Sono felicissima!» disse togliendoglielo dalle mani.

Forse così allegra non l’aveva mai vista.

Giovanni uscì dalla stanza ed entrò in cucina. Maria non si voltò per salutarlo, anzi, chinò la testa e si mise rapidamente a cucire. Lui rimase per un po’ fermo a guardarla, poi grugnì e uscì sbattendo la porta. L’aveva ignorato.

Le mani di Benedetta volavano sulla stoffa.

D’accordo con lei, la sera fece di tutto per distrarre la madre mentre Maria si truccava di nascosto. Si strinsero le mani.

«Augurami buona fortuna».

«... Sì» rispose pensando a quanto tempo poteva rimanere così, con le mani nelle sue. Sempre troppo poco, mai sufficiente per goderne.

«Domani ti racconto tutto».

Quella notte la sognò svegliandosi in continuazione. Sognò che la preferiva a suo fratello.

Benedetta e Giovanni erano cresciuti sostenendosi l’uno con l’altra. Quando Lucia aveva cominciato a lavorare, li lasciava tutte le mattine da una signora italiana che si occupava di una decina di figli di operai. Nella casa della balia, loro due rimanevano sempre un po’in disparte, senza lamentarsi, senza piangere. Aspettavano il ritorno della madre in uno stato di rassegnata attesa. Appena Giovanni fu abbastanza grande per badare alla sorella, Lucia li lasciò a casa da soli. Lui era calmo, sempre silenzioso; sembrava costantemente concentrato su un qualche problema. Quando cominciò a uscire da solo di casa, spesso tornava con un occhio nero o con del sangue dal labbro, ma non raccontava mai niente. Si separarono lentamente, quasi senza accorgersene. Benedetta si adattò senza neanche tentare di impedirlo. L’accettazione per tutto ciò che le accadeva intorno era totale. Era cresciuta pensando che la sua volontà fosse ininfluente e che la vita fosse un perpetuo adattarsi.

La rivalità in amore arrivò quando i due fratelli erano già molto distanti.

Il mattino dopo, diversamente dal solito, Giovanni si alzò presto e, senza dire una parola, si sedette ad attendere l’arrivo di Maria. Dal viso si capiva che non aveva dormito. Benedetta si sentì vicina al fratello come non le accadeva da tanto; lei lo capiva, capiva cosa stesse provando.

«Vuoi del caffè, Giovanni?». Parlò con voce dolce, inclinando il corpo verso di lui.

Il ragazzo si alzò di scatto scaraventando la sedia in terra.

«Johnny, cretina, Johnny!» le urlò in faccia. «Fa’ che non te lo debba ripetere più!».

L’aveva scrollata afferrandola per le spalle, un gesto che non aveva mai fatto prima. Benedetta lo guardava con gli occhi spalancati. Ripensò meccanicamente a quando le metteva la mano sulla spalla in un silenzioso gesto di difesa quando qualche ragazzino la prendeva in giro e la balia fingeva di non accorgersene.

Improvvisamente si bloccò: da fuori arrivò la voce alterata della madre di Maria, stava quasi urlando. «Maria, tu non sai! Non lo sai!».

Quando entrarono, pareva che la signora Margherita fosse invecchiata di colpo di dieci anni. Maria, con una decisa aria spavalda, fece l’occhiolino a Benedetta senza degnare Giovanni di uno sguardo. Sul petto le brillava una catenina d’oro con appeso il cuoricino. Il ragazzo la lasciò andare con uno strattone e si rivolse alla giovane.

«Maria, puoi venire un attimo fuori? Devo parlarti». Non era una domanda, le stava ordinando di seguirlo.

«Mi dispiace, Johnny, ma non posso proprio, oggi abbiamo molto molto lavoro. Vero, Be’?».

Mentre parlava lo guardava dritto negli occhi.

«... Sì...».

Benedetta aveva risposto perché Maria si aspettava che lo facesse, ma avrebbe preferito essere dimenticata o trovarsi altrove. Avrebbe preferito essere ancora a casa della balia e dire grazie al fratello per quella mano sulla spalla. Quanto fosse bella quella mano lo capiva solo ora, ma non c’era più tempo per ringraziare. Senza guardarlo, conosceva già quale espressione le stesse rivolgendo.

«Tu fatti gli affari tuoi... deficiente... anormale».

Parlò lentamente, ogni lettera carica di rabbia. Benedetta sentì dentro qualcosa di sconosciuto, un sentimento invadente quanto l’amore: aveva paura del fratello. Alzò gli occhi verso di lui e si chiese come l’avrebbe guardata da quel momento in poi: Giovanni era geloso di lei e, in più, la disprezzava per il modo indecente con cui manifestava i suoi sentimenti per un’altra donna. Benedetta pensò che lo spettro di Maria avrebbe aleggiato per sempre tra di loro.

Il ragazzo uscì di casa senza dire una parola e Maria sorrise mettendo le mani sui fianchi. Lucia fece un segno che mise fine a tutto invitando le donne a mettersi al lavoro.

Sotto la finestra, una accanto all’altra, Maria mostrò a Benedetta la catenina che le aveva già notato al collo. «Guarda quant’è bella! Ha detto che mi farà un regalo ogni volta che ci vediamo».

«Sì, è stupenda».

Benedetta capì che Maria non era stata neanche scossa dall’accaduto: era realmente indifferente a tutto ciò che era successo.

«C’è anche un’altra cosa... ma tu prometti di non fare la matta».

Nonostante fosse ancora profondamente turbata dallo scontro con il fratello, le parole dell’amica la misero in allarme come una preda che ha fiutato il predatore. Divenne pallida alzando gli occhi dalla collanina per guardarla in faccia.

«Te lo dico ma guarda che non voglio scenate».

Dall’espressione di Benedetta, si sarebbe detto che stesse aspettando una sentenza di morte. Fece involontariamente segno di no con la testa e Maria la fissò con aria di rimprovero, poi proseguì un po’ seccata dal non poter raccontare con la giusta enfasi la grande notizia.

«Ha detto... ha detto che posso trasferirmi in un appartamento di sua proprietà dove, quando lui non c’è, potrò ricevere anche degli ospiti. Io gli ho già detto di sì, ma mia madre non vuole saperne... Dai, Be’, pensa! Non dovrò più lavorare e avrò una casa tutta mia. Potrò invitarti a prendere il tè!». L’espressione di smarrimento dell’amica le diede ancora più sui nervi. Sbuffò.

La voce di Benedetta uscì bassissima. «... Quindi, non verrai più a cucire...?».

«No!» rispose l’altra girando seccamente i capelli dietro le orecchie. Poi, più gentilmente aggiunse: «Senti, io non voglio cucire tutta la vita. Questa è un’occasione che non posso lasciarmi scappare, lo capisci?».

«Ti... ti sei innamorata di lui?».

Il suo sorriso lasciò per un attimo tutto in sospeso. «Amore... No, non me ne frega niente, Be’. Io voglio solo vivere bene, divertirmi».

Quella frase. Diceva che non gliene fregava niente e sembrava che dicesse che teneva solo a lei. Maria sapeva quanto le piacesse sentirglielo dire e glielo concedeva, magnanima.

Quella notte Giovanni rientrò molto tardi. Barcollava ubriaco portandosi dietro una ragazzina piccola e gracile, con un viso da bambina troppo truccato, che avrà avuto un paio d’anni più di Benedetta. Indossava un vestitino nero che la faceva sembrare ancora più magra; attorno alla testa portava un sottile nastro di raso rosso. Traballava su dei tacchi vertiginosi sorreggendosi a lui.

«Esci dal letto! Stanotte dormi in cucina». La voce impastata del fratello la fece sgattaiolare fuori dalle lenzuola. Con le mani pallide lui le tirò giù la camicia da notte di flanella e la ragazzina rise tenendosi stretta alla sua vita.

Benedetta cercò di uscire in fretta dalla porta, ma il fratello riuscì ugualmente a fermarla. «A te non ti vorrà mai nessuno perché sei troppo brutta e strana, hai capito?». Mentre parlava non la guardava negli occhi. Ondeggiava un po’ e sembrava fissare un punto dietro di lei.

«Sì» rispose spaventata.

«Adesso sparisci, che io e Betty abbiamo bisogno della camera. La vedi? Lei è normale, non come te». La indicava con un mezzo sorriso mentre una goccia di saliva gli brillava sul labbro inferiore e poi gli scivolava lungo il mento.

«Sì, Johnny, mandala via...». La ragazzina rise di nuovo e si mise sulla punta dei piedi per baciarlo sulla bocca mentre Benedetta ripensava a quella goccia di saliva.

Lui la baciò tenendo ancora ferma la sorella, poi la spinse via e lei corse a nascondersi in cucina. Si accucciò dietro una sedia, nel buio appena rischiarato dalla luce della luna che filtrava dalla finestra. La superficie del tavolo, nel chiarore, appariva incredibilmente lucida, argentata; non pareva neanche lo stesso oggetto attorno al quale lavorava da anni. Anni passati a fare sempre le stesse cose, compiendo sempre gli stessi gesti. Chiuse gli occhi e strinse le gambe fra le braccia poggiando la testa sulle ginocchia. La porta della stanza era rimasta aperta e così, da quella posizione, fu costretta ad ascoltare tutto quello che accadeva di là. La voce del fratello risuonava, irriconoscibile, per la casa. Lo sentiva ansimare e parlare con voce roca. Faceva paura. Non capiva perché la ragazzina non scappasse, come potesse rimanere lì mentre lui la insultava.

Cercò di non ascoltare tappandosi violentemente le orecchie, cominciando a pregare a mezza voce. «Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà...».

I versi disgustosi della coppia le penetravano dentro, rimbombandole nella testa. Schiacciò le mani sulle orecchie fino ad aver male ai polsi; non voleva sentire neanche una parola, si ripeteva, neanche un gemito.

«Padre nostro che sei nei cieli...».

Passarono minuti interminabili.

Cominciò ad allentare leggermente la pressione delle dita, giusto quel poco per far riposare i polsi. Ecco, così poteva anche muoverle un po’... Non poteva credere che fosse proprio lei a diminuire volontariamente la forza sulle orecchie; non poteva credere che le sue preghiere si fossero ridotte a un sussurro per riuscire a capire cosa stessero dicendo, sforzandosi di individuare, fra i cigolii sempre più acuti del letto e la voce del fratello, i gemiti di lei. Per qualche secondo ancora tentò di non cedere, ma quello era il canto di una sirena, qualcosa che non aveva mai udito e neanche immaginato. Non esisteva volontà che gli potesse resistere. Alla fin fine, pensò, nessuno lo avrebbe mai saputo.

Si alzò lentamente dal suo nascondiglio e, in piedi con le mani sulla spalliera della sedia, ascoltò. Non era la prima volta che Giovanni la mandava a dormire in cucina, ma l’aveva sempre “fatto” con discrezione, non aveva mai lasciato la porta aperta.

Voleva punirla per Maria.

Dopo qualche minuto di intensa attenzione per ciò che stava succedendo nella stanza accanto, Benedetta si rese conto di essersi concentrata su un punto di fronte a lei. Mise a fuoco l’immagine e, nel tenue chiarore, capì che stava guardando se stessa riflessa nello specchio poggiato sull’armadio. Con quei suoni nelle orecchie, gli si avvicinò piano. Normalmente evitava di osservarsi ma, in quel momento, le sembrò tutto lecito. Osservava la sua pelle diafana e gli occhi chiari, un po’ infossati nelle orbite; niente di nuovo, ma l’espressione era quella di un’altra. Tremò appena. Non voleva crescere, voleva che si dimenticassero di lei e la lasciassero bambina, ma quella che vedeva non lo era. Con mano incerta, alzò lentamente la camicia da notte sulla pelle nuda al bagliore della luna. Non c’era traccia di femminilità in quel corpo ossuto.

Il pensiero di Maria cominciava a premerle sull’inguine. Maria. Il suo sudore. Sentì caldo, lasciò ricadere la stoffa e premette le mani sulla bocca perché non andassero altrove. Si girò cercando con gli occhi la brandina che la madre, già da qualche tempo, aveva sistemato in un angolo della cucina. Si stese sul letto con la pancia in su.

Si addormentò solamente quando nella casa fu sceso di nuovo il silenzio.

«Che cosa ci fai qui, Benedetta?».

La voce di Lucia la svegliò da un sonno profondo, impiegò qualche secondo per riprendersi. «Giovanni mi ha mandato a dormire di qua» rispose molle scendendo dalla brandina.

«Povera...».

Guardò la madre: i capelli castani, un po’ imbiancati, erano già pettinati e raccolti sulla nuca; indossava un vecchio abito nero che le arrivava sotto il ginocchio. La fissava con un’espressione compassionevole.

«Non ci si può fidare degli uomini».

Benedetta si accorse che aveva le lacrime agli occhi. Quasi si spaventò e si affrettò a rassicurarla: «Non mi fiderò però tu non piangere!».

«Hai ragione» disse asciugandosi gli occhi e girandosi verso il tavolo. «Vieni, facciamo colazione che fra poco saranno qui».

Consumarono la colazione in silenzio. Dopo pochi minuti, aveva già ripreso la sua espressione rassegnata e indifferente di sempre.

Benedetta aveva appena finito di vestirsi quando entrò la signora Margherita. Aveva gli occhi gonfi. «È finita. L’ho persa...».

Le andò incontro spaventata. «Che significa, che vuoi dire?».

«Se ne è andata via ieri sera. È venuta, ha raccolto le sue cose e mi ha detto di non preoccuparmi, che sicuramente sarebbe stata meglio di adesso. È andata a vivere nell’appartamento di un boss italiano...». Singhiozzò. «Era vestita come una prostituta...».

Benedetta fece due passi verso di lei e poi si arrestò.

Non ci sarebbe stato nessun tè insieme. Non ci sarebbe stato più niente. Solo quella casa, sua madre, suo fratello.

Non fece nulla per nascondere le lacrime.

«Che succede qui, che avete tutte da piangere?». Giovanni apparve sulla soglia a torso nudo con i capelli impastati di brillantina secca, tutti scompigliati. Guardò le donne con occhi lividi. «Allora, avete perso tutti la lingua, che succede?».

«Mia figlia se ne è andata via». La signora Margherita si era lasciata cadere su una sedia e fissava il pavimento.

«... E dov’è andata?».

«A... a casa di un uomo».

Rimase impietrito per un attimo, ma poi si scosse e un sorriso più simile a un ghigno gli apparve sul viso. «Quella puttana...».

«Johnniiiii...». La voce della ragazzina arrivò dalla camera da letto.

«Che vuoi, cretina, sbrigati a rivestirti e sparisci».

Il tono era minaccioso e la giovane scese subito dal letto. Dopo poco entrò in cucina e, senza degnare gli altri della minima attenzione, si rivolse a Giovanni in tono lamentoso. «Ci vediamo oggi?».

«Ti ho detto di andartene...».

Senza fare altre domande, se ne allontanò strusciando svogliatamente i tacchi per terra. Sembrava che ci fosse abituata, che desse per scontato l’arrivo di quel momento.

«Portami la colazione».

Benedetta obbedì mentre la madre rimase seduta nell’angolo da dove aveva assistito a tutta la scena senza fiatare. Poi si alzò e, posando una mano sulla spalla della signora Margherita, disse che era ora di mettersi al lavoro.

Quel giorno nessuno scambiò più una parola.