CAPITOLO IX

Lucia impose che il matrimonio non venisse celebrato prima di sei mesi di fidanzamento. Durante quel periodo, Benedetta conobbe Frank.

Lui era, a tutti gli effetti, un buon partito, un uomo di venticinque anni – con la testa di un bambino – che aggiustava orologi nel negozio dello zio. Il padre aveva già acquistato un alloggio non troppo distante per la futura coppia. Benedetta si sarebbe affezionata a lui, l’aveva sentito dire da Lucia ai genitori del futuro marito. E aveva ragione: Frank era buono, aveva sempre molte cose da raccontare e ascoltava con interesse qualsiasi cosa lei dicesse.

«Come sei bella, Benedetta. Pensa, quando saremo sposati staremo sempre insieme, dormiremo anche insieme, nello stesso letto! Me lo ha detto la mamma».

Non faceva altro che parlare di quando sarebbero stati sposati e ogni volta si emozionava e cominciava a sudare.

La ragazza, per la prima volta nella sua vita, era al centro dell’attenzione di qualcuno. Le visite del fidanzato diventarono il nuovo perno attorno a cui far scorrere il tempo. Lo sognò, addirittura. Era quasi felice. Cominciò a cambiare anche fisicamente, ingrassò. Con Maria soffriva mendicando qualche attenzione, ora era lei l’oggetto del desiderio. Frank pendeva dalle sue labbra esattamente come aveva fatto lei con l’amica.

«Mi dispiace, Frank, ma ci ho pensato bene e ho deciso che non voglio sposarti più, trovatene un’altra di fidanzata».

Adesso era lei il gatto. Conosceva esattamente il dolore che provocava con quei giochi per averlo provato sulla propria pelle in passato.

«Ma perché, Benedetta? Che ti ho fatto?» chiedeva lui piagnucolando.

«Ho deciso così!».

Protraeva sempre un po’ di più la durata dei suoi scherzi e, sempre più spesso, smetteva solo quando riusciva a farlo piangere; allora l’abbracciava dicendogli di non preoccuparsi, Frank le baciava le mani riconoscente e non si arrabbiava mai.

In poco tempo la trasformazione di Benedetta fu evidente a tutti: era allegra, sempre impaziente di incontrarlo e, quando lui entrava in casa con i genitori, lo prendeva sottobraccio per allontanarlo dagli altri. Voleva averlo tutto per sé.

Quando Frank non c’era, passava il tempo architettando nuove storie sempre più complicate per torturarlo e farlo piangere. Riuscirci era appagante ma, qualche volta, la faceva sentire in colpa e allora gli permetteva di accarezzarle le gambe sotto il vestito. Le bastava immaginare di essere Maria con uno dei suoi amanti: si stendeva sul letto, sbottonava la camicetta e rideva come faceva lei con Giovanni; poi lo fermava, ricordandogli che non erano sposati, ma solo quando era certa del suo desiderio. Faceva e diceva tutto quello che, secondo lei, avrebbe fatto e detto Maria.

Erano passati sei mesi da quel loro primo incontro e la data del matrimonio si avvicinava. Benedetta sentiva crescere sempre di più l’inquietudine. Si era accorta che il suo modo di giocare con il fidanzato diventava sempre più spiacevole. Ma era più forte di lei.

Un pomeriggio in cui erano soli in casa lei, senza neanche troppa convinzione, gli aveva raccontato di essere uscita con un altro uomo che l’aveva portata a bere e poi costretta a stare con lui. Il fatto che Frank ci avesse creduto, la aveva innervosita.

Quando la madre rientrò lo trovò che piangeva ripetendo: «Come è possibile che sia successo? Mi dispiace, mi dispiace» mentre la figlia se ne stava seduta sulla sedia con le braccia conserte, indifferente. La donna andò dritta verso di lei e senza chiedere spiegazioni le diede uno schiaffo. «Vergognati» le disse.

La ragazza non cambiò espressione e rimase immobile sulla sedia fino a quando lui non se ne fu andato.

Dal giorno della sberla, però, Lucia cominciò a fare vaghi discorsi sulla possibilità di rimandare il matrimonio, talmente vaghi che caddero nel vuoto.

Il Central Park era pieno di gente. Frank aveva comprato qualche biscotto e i due fidanzati si sedettero su una panchina per mangiarli. Un lungo sentiero di ghiaia bianca tracciava il percorso in mezzo a un grande prato; gli alberi erano pieni di germogli verde chiaro e in lontananza si sentiva la musica di un’orchestra.

Frank seguitava a chiacchierare da quando erano usciti e lei si guardava intorno in silenzio. Pensava che le sarebbe piaciuto entrare in un caffè e ordinare una di quelle coppe di frutta che aveva intravisto passando vicino ai tavoli con aria falsamente indifferente.

Doveva accontentarsi della panchina.

Giovani coppie, famiglie, vecchi passeggiavano davanti a loro. Si domandò chi di loro fosse felice e se fosse possibile riconoscere la felicità nel momento in cui la si vive. Pensò che gli anni passati con Maria erano stati, nonostante tutto, anni felici. L’idea che il suo amore potesse essere corrisposto non l’aveva mai neanche sfiorata e questa consapevolezza aveva reso tutto più semplice.

Adesso si sentiva solo apatica. Nella sua vita non era cambiato molto: seguitava a cucire con la madre tutto il giorno e la sera prima di cena si vedeva con Frank. Lei, però, era cambiata.

«Frank che ne pensi delle mie cosce, ti piacciono?».

Benedetta aveva rotto il silenzio allungando una gamba davanti a lei. La calza chiara le copriva la pelle.

«Sono bellissime, Benedetta» rispose Frank con la faccia seria. Non mancava molto al giorno del matrimonio.

Durante i loro brevi approcci, Benedetta avevo intuito che fisicamente era un uomo normale e che il ritardo era solo nella testa.

«Tu credi che un uomo potrebbe pagare per venire con me?».

«Sì».

Benedetta sbuffò in maniera plateale coprendosi con un gesto stizzito.

«Ma perché non ti arrabbi quando faccio questi discorsi? Ti sembra normale che la tua futura sposa pensi di andare con altri a pagamento?».

«Ma che dici, Benedetta? Io non ti capisco».

«Lascia perdere».

Si voltò dall’altra parte, una coppia sotto braccio stava per passare davanti alla loro panchina. Fu folgorata, si sentì subito piccola, insignificante.

Maria.

Maria si stava avvicinando con un uomo. Indossava un abito bianco che le stringeva le curve, in mano aveva un piccolo ombrellino. Era splendida, più che splendida.

Camminava piano, conversando e ridendo, e lei era tornata subito la Benedetta di un anno prima: stupida, goffa... e gelosa.

Arrivata proprio di fianco a loro, con la sua andatura lunare, sfiorò appena con gli occhi da gatta i fidanzati sulla panchina; distrattamente, senza vederli, e poi proseguì continuando a parlare.

Sul viso di Benedetta stavano già scendendo grandi lacrime senza che facesse nulla per nasconderle: non passava giorno in cui non pensasse a lei e lei non l’aveva nemmeno riconosciuta.

L’amore è solo sofferenza.

Pensò alla madre, al fratello e anche a Frank. Desiderare è un male subdolo. Bisogna sapersi accontentare, da quel momento avrebbe smesso di farsi domande sulla vita e sulla felicità.

Si girò verso il suo ragazzo e mentì.

«Perdonami. Sarò una buona moglie. Vedrai, Frank».