Prefazione

Degli ebrei si parla molto, in qualche caso anche troppo, perché suscitano sempre interesse, talvolta antipatia, oppure odio, ma mai indifferenza. Eppure restano spesso degli sconosciuti e, forse, in questo alone di mistero che li circonda, si sviluppano, e si sono sviluppati nel passato, molti dei pregiudizi che li hanno colpiti e che ancora oggi aleggiano persistenti, magari inconfessati.

Idee preconcette, qualche volta, almeno in apparenza positive: gli ebrei sono intelligenti. Ma – è possibile dimostrarlo facilmente – senza fondamento: questo vale per ogni gruppo umano.

Idee sottilmente negative: sono attaccati al denaro. Ma – è facile a dirsi – né più né meno di tanti altri cittadini di diversa religione.

È opinione comune, anche tra gli stessi ebrei, che il popolo ebraico sia sempre stato perseguitato, e anche dietro a questa banale affermazione, apparentemente innocente, si nasconde un pregiudizio: se sono sempre stati colpiti dall’odio delle genti, vuole dire che qualcosa avranno fatto per meritarsi un simile destino. Quindi sono colpevoli, magari di aver ucciso Dio.

In realtà nel corso dei secoli i pregiudizi giudeofobici hanno assunto varie forme col mutare delle epoche storiche, e non sono quindi mai stati immutabilmente metafisici. La loro nascita è stata sempre il frutto di dinamiche religiose, sociali, economiche e politiche.

Gli antichi romani, che mal sopportavano le rivolte dei giudei, deridevano i loro riti, le loro credenze e provavano nei loro confronti una grande diffidenza. In poche parole: non li capivano proprio e li consideravano bizzarri. I crociati, che pure avevano distrutto intere comunità in Europa nei primi passi del loro lungo cammino verso la conquista di Gerusalemme, temevano che si sarebbero vendicati della terribile violenza subita. Nel Medioevo, e nei secoli successivi, costretti a prestar denaro per ottenere il permesso temporaneo di residenza, gli ebrei venivano additati agli occhi del popolino come responsabili di ogni calamità. Non ultimo l’avvelenamento dei pozzi.

In nome dell’antigiudaismo cristiano sono stati considerati «perfidi» nel senso latino del termine, cioè privi della vera fede, poi deicidi, capaci di efferati omicidi rituali, usurai e dediti a molte fantasiose perversioni. In ogni caso, sempre un ottimo capro espiatorio.

L’antigiudaismo cristiano, che in forme differenti si è manifestato per ben diciotto secoli, offriva una strada, sia pure scomoda, di salvezza terrena e ultraterrena: la conversione al cristianesimo. Nell’Ottocento la nascita e la diffusione dell’idea di razza e lo sviluppo di un antisemitismo politico virulento hanno cancellato anche questa via d’uscita.

L’emancipazione del mondo ebraico e il suo inserimento a pieno titolo nella società moderna e contemporanea hanno favorito nuovi paradossi. Il successo di alcuni nel mondo della finanza ha trasformato, per qualche zelante antisemita, gli ebrei in tanti Rothschild, mentre la militanza di numerosi altri all’interno del mondo rivoluzionario marxista li ha resi invisi alla borghesia retriva, e non solo a quella, come potenziali pericolosi sovvertitori dell’ordine sociale costituito. Sempre e in ogni caso, pericolosi nemici.

Considerato a torto un fenomeno storico vecchio di centinaia di anni, metafisico, inossidabile, l’antisemitismo, creatura perversa di un impasto illuminista, positivista e romantico, è invece relativamente recente, vecchio solo poco più di cento anni, ma rivelatosi nel XX secolo come un elemento capace, in combutta con i totalitarismi contemporanei, di favorire stermini e violenze che sfuggono alla comprensione della mente umana.

Oggi, dopo la nascita dello Stato di Israele, dimenticando l’uso delle più elementari categorie marxiste di Stato, popolo e governo, molti intellettuali di sinistra, anche ebrei, manifestano un antisionismo preconcetto, virulento e frutto più di un pregiudizio di antica origine che di un vero ragionamento politico costruttivo. Un tema controverso che si aggiunge a molti altri.

Eppure, al di là di superficiali apparenze, gli ebrei non sono sempre stati perseguitati, anzi molto spesso hanno vissuto all’interno delle popolazioni, europee e non, come una minoranza non solo tollerata, ma anche bene integrata. Se non lo fossero stati, infatti, come avrebbe potuto sopravvivere un piccolo popolo senza armi, indifeso? Sono scomparsi grandi imperi, eppure quel piccolo popolo è sopravvissuto, e tutto questo non sarebbe stato possibile se, in molte occasioni, gli ebrei non avessero suscitato solidarietà e simpatia. Che siano stati oggetto di attenzioni particolari, non sempre benevole, è innegabile, ma il loro destino non può essere racchiuso in uno schema angusto, e molto spesso occorre conoscere meglio il quadro storico in cui si sono sviluppate molte vicende drammatiche per coglierne le sfumature e le contraddizioni soggiacenti.

I primi secoli in cui la contrapposizione ebraismo-cristianesimo si è sviluppata sono ben distanti dall’atmosfera plumbea in cui, mille anni dopo, sono nate le Crociate o quando è maturata, nel 1492, l’espulsione degli ebrei dalla Spagna.

I recenti tragici avvenimenti del XX secolo si capiscono certamente meglio alla luce della conoscenza del passato, ma, ciò nonostante, rimangono il frutto specifico della cultura e della politica di quel secolo stesso.

Ogni momento storico ha una sua caratteristica peculiare e, tuttavia, va collegato a un quadro generale. Sarebbe infatti sciocco, per esempio, da un punto di vista metodologico, dimenticare quanti e quali furono i punti di contatto tra la persecuzione degli ebrei e la cosiddetta caccia alle streghe nei secoli in cui l’Inquisizione (altro fenomeno storico complesso) spadroneggiò in Europa.

Ebreo, giudeo, israelita, israeliano, sionista, semita: non è facile cogliere le differenti sfumature o, addirittura, i significati profondamente diversi che queste parole esprimono, anche perché, in modo erroneo, nel linguaggio comune e mediatico sono usate come se fossero intercambiabili.

Le parole, ha scritto Carlo Levi, sono pietre.

Le parole sono sintomo, in qualche caso, di paure immaginarie, e le paure immaginarie possono causare sofferenze reali. Le parole generano opinioni e le opinioni danno forma ai sentimenti. I sentimenti diventano fatti.

Le parole dunque hanno un peso: «ebreo» è un sostantivo che pesa, che ha coinvolto e coinvolge ancora oggi, che suscita emozioni, intense o meno, favorevoli o ostili.

Le parole hanno segnato il destino di milioni di uomini, di donne, di bambini, ebrei o non ebrei.

Coglierne il senso, definire correttamente i differenti aspetti del dibattito sulla questione ebraica, non è solo una utile ricerca storica e intellettuale. Conoscere la storia del pregiudizio contro gli ebrei significa in molti casi far venire alla luce le contraddizioni di un’Europa talvolta convulsa e sofferente.

Capire il destino ebraico significa capire il senso della nostra civiltà e delle nostre attuali debolezze.

R.C.

maggio 2007