«La teoria della cospirazione» ha detto Karl Popper «esprime quel punto di vista secondo cui tutto quello che si produce nella società, ivi comprese le cose che in generale le genti non amano, per esempio la guerra, la disoccupazione, la miseria, la penuria, sono il risultato dei disegni di alcuni individui o gruppi potenti.» Questa ottica è molto diffusa, anche se rappresenta una superstizione abbastanza primitiva. Nella sua forma moderna è il risultato della laicizzazione delle superstizioni religiose. Is fecit cui prodest: «Ecco» ha scritto Léon Poliakov «riassunta in due parole la visione poliziesca della storia».
L’idea di complotto, sia pure espressa in una forma rozza, emerge così spesso nel corso dei secoli da apparire non tanto una reazione straordinaria ad alcuni avvenimenti quanto una costante nella storia umana, il frutto di un meccanismo mentale molto radicato. Albert Einstein ha colto nel segno quando, osservando con stupore come sia molto diffusa la credenza che i demoni sono dappertutto, ha detto che probabilmente la credenza nell’azione dei demoni è alla radice del nostro concetto di causalità. Post hoc, ergo propter hoc: questa regola non scritta viene applicata più spesso di quanto si creda nell’interpretazione delle vicende del mondo. In qualche caso è una semplificazione pericolosa, che dà l’illusione di aver capito quello che resta oscuro. Spesso è una logica che ha l’attrattiva di essere chiusa in se stessa, quindi inconfutabile, e che, al di là della grossolanità della posizione di partenza, offre un senso di sicurezza e la sensazione di essere approdati a una soluzione razionale.
Come i meccanismi mentali usati in modo non conscio, così anche le grandi idee della mitologia non solo rispondono a questioni cosmologiche eterne, ma sono utili per alleviare la sofferenza di fronte all’impossibilità di comprendere tutto, in particolare il risvolto nascosto degli avvenimenti.
Quando la sofferenza arriva a un livello insopportabile gli antichi miti non riescono a impedire la perdita di controllo individuale e sociale e allora emerge nella società una dottrina della salvezza o millenarista che annuncia verità nuove e valori autentici. È capitato spesso che, nei momenti in cui i turbamenti si sono rivelati molto forti, siano emersi nella società sentimenti «anti», cioè quelle motivazioni antagoniste archetipe che hanno individuato un capro espiatorio, che hanno sviluppato il tema del complotto. L’immagine dell’Anticristo è uno degli esempi di queste aggregazioni fantasmatiche. Anticristo fu Nerone, poi Maometto, il sultano turco, alcuni papi e imperatori, ma più spesso l’Ebreo, inteso non come uomo, ma come eterno errante sovvertitore dell’ordine costituito.
Il tema del complotto è presente in modo evidente nell’Inghilterra elisabettiana. Dapprima fu protagonista Maria Tudor (1553-1558), chiamata, con un soprannome eloquente, Bloody Mary, poi nel 1678 gli inglesi furono assatanati dall’idea di una cospirazione papista, il Popish Plot, che suscitò un odio paranoico nei confronti del papato. Quando Cromwell, in armonia con le sue speranze millenariste, volle accettare nuovamente gli ebrei in Inghilterra, la reazione fu aspra e allora ebrei e gesuiti furono accomunati come artefici di oscure trame. Un fanatico puritano, William Prynn, esclamò: «Sotto il pretesto di ebrei vedremo venire molte centinaia di gesuiti, preti e monaci con il titolo, l’abito, il travestimento di ebrei per minare la nostra religione, la Chiesa e lo Stato e seminare eresie, bestemmie e papismo».
Il tema della congiura si esprime con forza anche negli anni terribili della Rivoluzione francese: la congiura era ordita ovviamente dagli aristocratici. Ma è nella filosofia tedesca che l’arte della diavoleria e del complotto trova il suo fondamento ideologico, che Hegel sviluppò con il metodo dialettico su scala mondiale.
Il mito della cospirazione mondiale ebraica è un adattamento moderno della tradizione demonologica che nel corso dei secoli ha avuto uno sviluppo incredibile: quasi che per diventare credibile il reale debba diventare favola.
Certo gli uomini sono portati a prestar fede a idee fantasiose nel momento in cui sono psicologicamente più deboli e, dopo il trauma della Rivoluzione francese, l’Europa fu percorsa da profonde tensioni sociali, che alle antiche paure aggiunsero, in vasti strati delle popolazioni, nuove ansie frutto di una modernità ancora non compiuta. Credenze antiche e privilegi ereditari furono messi in discussione, mentre nuovi valori democratici e socialisti cercavano di emergere, pur tra difficoltà e tentativi di restaurazione.
Dopo aver ottenuto con l’emancipazione gli stessi diritti degli altri cittadini, gli ebrei entrarono a pieno titolo nella società europea, ma i significati simbolici profondi che per secoli li avevano accompagnati non sparirono, anzi, mentre prima della Rivoluzione erano ai margini della vita sociale e facilmente identificabili, ora, inseriti completamente nello Stato, erano mescolati con gli altri e diventavano per chi li temeva fantasmi sfuggenti e quindi ancor più pericolosi.
Simbolo di un mondo antico, agli occhi di tutti essi erano i più accaniti fautori dei tempi nuovi sia sul piano sociale, perché appoggiavano le forze liberali e molti capi del movimento socialista erano ebrei, sia sul piano economico, perché non potendo entrare nelle grandi strutture degli organi statali (e se vi entravano facevano poca strada) rivolgevano i loro sforzi ai commerci e alle nuove professioni intellettuali e liberali dove lo spirito anticonformista e di iniziativa veniva premiato. Alcuni erano diventati anche molto ricchi e, come in un mucchio di palline bianche l’attenzione è attirata da poche palline nere, così pochi ricchi ebrei riuscivano a far pensare che in realtà lo fossero tutti.
Disprezzati dalla sinistra perché capitalisti (e si pensava solo ai Rothschild e a pochi altri), odiati dalla destra perché rivoluzionari (tra i marxisti gli ebrei erano numerosi), considerati cosmopoliti e poco patriottici, gli ebrei diventarono nell’Ottocento il segno di una temuta modernità, vista come una minaccia che sembrava arrecare beneficio solo a loro e a pochi altri. Gli ebrei inoltre erano una minoranza che usciva da una storia di disprezzo e tragedia e che suscitava sensi di colpa di difficile decifrazione. L’aristocrazia terriera e la parte più retriva della società preferivano pensare che i cambiamenti fossero il frutto non tanto di un processo spontaneo, bensì di una macchinazione di cui occorreva individuare i responsabili.
Queste premesse, sia pure schematiche, sono indispensabili per capire il senso della tragica favola moderna rappresentata da I Protocolli dei Savi di Sion, un pamphlet che tra il 1920 e il 1940 circolò in Europa in milioni di copie e che convinse molti individui che il mito della cospirazione ebraica fosse vero o almeno verosimile. Naturalmente questa storia comincia qualche tempo prima, frutto non improvvisato della lenta sedimentazione di un’atmosfera culturale e politica. I Protocolli sono il momento culminante di una somma di proiezioni psicologiche, che hanno rappresentato in forma laica alcune credenze apocalittiche, un tempo esclusivo bagaglio del mondo cristiano, e che riflettono non solo i vaneggiamenti di alcuni individui, ma anche le paure e gli smarrimenti di milioni di uomini.
Sarebbe stato l’abate Augustin de Barruel, autore nel 1797 di cinque ponderosi volumi, a parlare per primo dei pericoli di una cospirazione mondiale. Alcuni anni dopo, nel 1806, egli ricevette da Firenze una lettera di un suo ammiratore, J.B. Simonini, che parlava di diaboliche sette che stavano preparando la strada all’Anticristo e richiamava la sua attenzione sulla setta giudaica che per le ricchezze e le protezioni di cui godeva in tutti i paesi europei era certamente la più potente. Simonini, la cui identità non fu mai accertata, raccontava nella lettera che molti preti italiani erano ebrei, che gli ebrei erano infiltrati dappertutto in Europa e accennava alle speciali relazioni esistenti tra ebrei e massoni, anche se in realtà i massoni erano in complesso ostili all’idea di accogliere ebrei nelle loro logge. Barruel aveva dimostrato che i massoni erano stati i protagonisti della Rivoluzione e gli ebrei ne avevano goduto i maggiori benefici: un legame tra i due gruppi appariva verosimile e, secondo la legge dell’Is fecit cui prodest, vero. Ma le coincidenze non si fermavano qui: Napoleone aveva convocato nel 1806 un’assemblea di eruditi e rabbini e l’aveva chiamata «Il Grande Sinedrio». Scopo dell’imperatore era di sfruttare gli ebrei, cui aveva dato la libertà in molti paesi, per la sua strategia di conquista, ma a molti parve di scorgere in quegli avvenimenti il segno di una logica cospiratoria. L’abate Barruel, prima di morire nel 1820, si lasciò andare ad alcune confidenze con i suoi confratelli e dalle sue insinuazioni cominciò a nascere in forma concreta il mito della congiura giudeo-massonica.
Nella prima metà del XIX secolo la propaganda antigiudaica non era ancora molto vivace e l’idea cara all’abate francese riemerse in un contesto tutto diverso in Inghilterra, in un romanzo di Benjamin Disraeli dal titolo Coningsby, pubblicato nel 1844. Il ricco aristocratico ebreo Sidonia, protagonista del libro, racconta che, in seguito all’incarico ottenuto dal governo russo che desiderava un prestito dai paesi europei, aveva scoperto che i ministri con cui si era trovato a trattare in ogni capitale erano ebrei. E Disraeli, ebreo convertito, fa dire al suo personaggio: «Dunque, vedi, mio caro Coningsby, che il mondo è governato da personaggi molto diversi da quelli che immagina chi non si trova dietro le quinte». Le sue parole, in seguito, furono prese molto sul serio ed enfatizzate da coloro che vi intravvidero la conferma delle tesi sulla cospirazione mondiale ebraica.
Fu un altro romanzo però che contribuì in modo decisivo a diffondere questa idea e a precisarne i contorni. Piccolo funzionario prussiano, Hermann Goedsche scrisse sotto lo pseudonimo di Sir John Retcliff il romanzo Biarritz, pubblicato nel 1868, che conteneva un capitolo dal titolo Nel cimitero ebraico di Praga: un’opera che, allo pseudonimo inglese dell’autore e alla scelta del cimitero come scenario di misteriosi complotti, aggiunge riti esoterici secondo i canoni classici del romanzo gotico. Retcliff descrive un convegno segreto notturno che si suppone abbia avuto luogo nel cimitero nel corso della festa ebraica dei Tabernacoli. Al rintocco della mezzanotte, Satana arriva e saluta i rappresentanti delle dodici tribù di Israele, e i vecchi savi rispettosamente rispondono: «Ti salutiamo, figlio del maledetto»; così inizia la suggestiva assemblea.
Biarritz ebbe successo in una Germania in cui qualche anno dopo, nel 1871, gli ebrei avrebbero avuto il totale riconoscimento dei loro diritti, ma dove il diffuso nazionalismo e le teorie della razza fornivano la base a un virulento antisemitismo. «Non sorprende perciò» ha scritto Norman Cohn «che la prima versione completa del mito moderno della congiura ebraica sia comparsa in Germania proprio nel momento in cui agli ebrei stava per essere concessa l’emancipazione completa.»
Un romanzo resta tuttavia un romanzo. Furono gli antisemiti russi, nel 1872 a Pietroburgo e nel 1876 a Mosca, a trasformare la fantasia di Goedsche in un documento, l’opuscolo Nel cimitero della Praga cecoslovacca (Gli ebrei sovrani del mondo). Nel 1881 in Francia l’autenticità di questo scritto fu fatta risalire a un testo di un diplomatico inglese, Annals of the Political and Historical Events of the Last Ten Years, che riportava il discorso di un rabbino ad altri ebrei. Il «discorso di un rabbino» si diffuse in breve tempo in Francia, in Germania, in Cecoslovacchia, in Austria e in Russia, con decine di varianti. È probabile che, insieme ad altro materiale di propaganda, esso abbia contribuito nei primi anni del Novecento a fomentare il pogrom di Kišinev in Bessarabia.
In Francia, un anno dopo la pubblicazione del libro di Goedsche, ne apparve un altro che avrebbe goduto di grande fortuna tra gli antisemiti: Le juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens di Gougenot des Mousseaux. Goedsche aveva concluso la descrizione della riunione a Praga con Satana che si trasformava in un vitello d’oro e si offriva all’adorazione degli ebrei. L’autore francese riprende l’idea di Satana, ma arricchisce il racconto ispirandosi alla profezia dell’Anticristo contenuta nella Seconda epistola ai Tessalonicesi di san Paolo. La conclusione tuttavia non cambia: il mondo sta per cadere nelle mani di un misterioso gruppo di adoratori di Satana, figli di Caino e chiamati ebrei cabalistici. La Kabbalàh è il nuovo motivo emergente. Apprezzata da Pico della Mirandola, da Johannes Reuchlin e persino da papa Leone X, è un insieme di testi mistici, in parte oscuri, in parte suggestivi, interpretati dall’autore francese in armonia con gli insegnamenti medievali che consideravano gli ebrei demoni dalle fattezze umane. Gougenot des Mousseaux sostiene che il culto della cabala è il culto di Satana e che il rituale è costituito da orge erotiche tra le più dissolute. I poteri magici degli ebrei derivano dal sangue dei bambini cristiani uccisi durante gli omicidi rituali.
Nel 1881 l’abate Chabauty sviluppò in un libro, Les francsmaçons et les juifs. Sixième âge de l’Eglise d’après l’Apocalypse, la tesi che Satana, aiutato dai giudeo-massoni, stava preparando una cospirazione affinché l’Anticristo ebreo potesse dominare sul mondo. Il solerte abate trovò nella «Revue des études juives» due lettere, poi chiamate Lettere degli ebrei di Costantinopoli, in cui si parlava in termini scherzosi di ciò che gli ebrei, con azioni di forza, avrebbero dovuto fare per evitare le persecuzioni cristiane. Le lettere erano firmate dal rabbino Chamor: peccato che l’abate ignorasse che questa parola in ebraico significa «asino» e prendesse sul serio le ironie ebraiche che sognavano di capovolgere la società cristiana. Egli le considerò espressione di un programma politico e, poiché la rivista era stata fondata dai Rothschild, si lasciò abbacinare dall’idea che questi potenti capitalisti volessero sovvertire l’ordine cristiano. Pochi anni dopo la lettera del rabbino Chamor, opportunamente modificata, diventò un vero documento nel paranoico mondo antisemita. Né del resto mancavano zelanti diffusori o imitatori. Negli anni Ottanta Leone XIII aveva cominciato una campagna contro la massoneria. In questa occasione due ecclesiastici, sulla «Civiltà cattolica», diretta da gesuiti, iniziarono e condussero per dieci anni, dal 1890 al 1900, una violenta campagna antisemita in cui in sintesi si sosteneva che tutti i mali dovevano essere attribuiti agli ebrei, la piovra che soffocava il mondo moderno. Nel 1893 uscì un libro di monsignor Meurin, arcivescovo dell’isola di Maurizio, dal titolo La Franc-Maçonnerie, Synagogue de Satan, che in pratica identificava massoneria ed ebraismo; ancora in Francia Edouard Drumont pubblicò il famoso La France juive (1886) che rese popolari le idee di Gougenot des Mousseaux e di Chabauty.
In Russia la questione ebraica alla fine del XIX secolo era un problema di rilevante importanza; gli ebrei erano circa cinque milioni, il cinque per cento della popolazione mondiale, ma gran parte di essi viveva in una fascia che si estendeva dal Mar Baltico al Mar Nero. Erano sottoposti a interdizioni severe in materia di residenza e di istruzione e venivano detestati perché di religione diversa; la conversione era il passaporto necessario per essere accettati completamente nel corpo sociale. Dal 1880 al 1910, a causa dei pogrom di una violenza crescente, oltre un milione e mezzo di ebrei scelsero la strada dell’esilio. Mentre in Germania e in Francia la propaganda antisemita non era influenzata dai governi, in Russia la polizia politica zarista si dedicava assiduamente a questa attività e diffondeva libelli che creavano le condizioni adatte agli scoppi di violenza antiebraica. Alle traduzioni di libri provenienti per lo più dalla Germania e dalla Francia si aggiungevano spesso pubblicazioni redatte da russi. In particolare Il libro del Kahal di Jacob Brafman (1869) godette di popolarità. Kahal è parola ebraica che significa «comunità», ma la propaganda antisemita la trasformò, le attribuì un significato sinistro. Fu invece Hippolytus Lutostansky, un ex prete cattolico, a sviluppare in Il Talmùd e gli ebrei (1879-1880) il mito dell’onnipotenza dell’organizzazione filantropica ebraica francese, l’Alliance israélite universelle, scrivendo che essa serviva a mascherare le grandiose macchinazioni politiche dei cospiratori.
Un altro ebreo convertito, un avventuriero, scrisse libelli antisemiti fantasiosi e perversi fino alla paranoia, talmente incredibili che finirono per essere creduti. Si faceva chiamare Osman Bey, ma il suo vero nome era Millinger; scrisse racconti in cui gli assassini rituali abbondavano e pubblicò un saggio dal titolo La conquista del mondo da parte degli ebrei. Il suo messaggio è terrificante perché evoca lo sterminio che avrà luogo in Europa appena pochi decenni dopo: in un mondo senza ebrei le guerre sarebbero state meno frequenti e sarebbero cessate le rivoluzioni perché gli sfruttatori sarebbero scomparsi. Manifestando un odio perverso contro se stesso ebbe anche a scrivere: «L’Alliance Israélite Universelle può essere distrutta solo con lo sterminio completo della razza ebraica».
La prima versione de I Protocolli apparve tra il 1919 e il 1921: un centinaio di pagine in cui può essere colta una critica del pensiero liberale, ma soprattutto la descrizione di un complotto ebraico per conquistare il dominio del mondo e dei metodi e dei risultati di questa cospirazione, i cui capi erano gli Anziani di Sion. Fu stampata a Berlino un anno dopo la sconfitta tedesca nella Prima guerra mondiale, ebbe quattro ristampe e ben presto vi furono numerose traduzioni: nel 1919 in Polonia, nel 1920 in Inghilterra e in Italia, dove venne titolata Internazionale ebraica. I Protocolli dei Savi di Sion. Accanto al nome del traduttore appariva sempre il nome di Sergej Nilus, che ne aveva rivelato l’esistenza, ma l’autore era indicato in un grande vecchio che parlava a una fantomatica assemblea di anziani. Nella sua orazione egli ricorda i successi costruiti con pazienza dagli ebrei, la lenta penetrazione nelle società europee, l’uso della loro intelligenza in campo intellettuale ed economico. Tutto, dalla Rivoluzione francese alle teorie di Darwin, veniva ricondotto al ruolo dominante dell’ebreo nella società; dal Settecento in poi, secondo il vegliardo de I Protocolli, ogni momento storico era stato il risultato di un disegno segreto di massoni ed ebrei: il dominio ebraico era prossimo, prima sull’Europa e poi sul mondo intero, e il ciclo del Serpente simbolico sarebbe stato completo.
L’idea che esistesse un progetto ordinato e demoniaco soddisfaceva le esigenze reazionarie di chi voleva credere a simili suggestioni, e permetteva a chi nutriva ansie e timori di uscire dalla condizione di incertezza e individuare il nemico senza esitazione. Questi testi proponevano una rappresentazione a tinte manichee del mondo: da un lato i cattivi e i bugiardi, capaci di ogni cospirazione e di ogni bassezza, dall’altro i semplici, i sinceri, incapaci di fare del male. Gran parte di coloro che leggevano I Protocolli si sentivano infinitamente buoni e potevano darsi una spiegazione di molti avvenimenti di cui non avevano sino ad allora colto i nessi segreti: veniva loro offerta una insperata possibilità di capire tutto, di interpretare tutto con una sola chiave di lettura. Il messaggio era consolatorio per tutti gli sconfitti, fossero militari o nazionalisti, borghesi frustrati o vittime di qualsiasi tipo: essi avevano perduto perché il nemico di fronte a loro era perfido, onnipotente e cattivo e aveva ordito complotti contro i buoni. In questa totale contrapposizione l’elemento razzista era essenziale criterio scientifico di giudizio.
Sergej Nilus aveva trovato questo testo nel 1905 e non vi è dubbio che alla fine della Prima guerra mondiale le sue pagine potessero suscitare domande e far risuonare qualche campanello d’allarme: i Giovani Turchi si erano impadroniti del potere a Costantinopoli nel 1908, Kerenskij, che secondo alcuni si chiamava Adler, era andato al potere in Russia nel 1917, e poi grandi protagonisti della rivoluzione sovietica erano stati gli ebrei Trockij, Kamenev, Zinov’ev, Radek, Ioffe e Litvinov. Naturalmente, secondo i seguaci della teoria del complotto, che non si accontentavano della realtà, ma che desideravano costruire fantasie sempre più ardite, anche Stalin e Lenin erano di origine ebraica. Non era vero, ma tutti sapevano che lo era un grande protagonista della rivoluzione russa, Izrail’ Lazarevič Gel’fand, finanziere, marxista e cosmopolita, noto con lo pseudonimo di Parvus, una figura nascosta, ma certamente di primo piano nello sviluppo degli avvenimenti rivoluzionari. Sempre nel 1917 Lord Balfour aveva promesso agli ebrei un focolare ebraico in Palestina e Herbert Samuel, anch’egli ebreo, era stato poi nominato primo commissario britannico in Medio Oriente.
Nel 1920 la verità de I Protocolli fu messa in dubbio in seguito a una serie di coincidenze: Philip P. Graves scrisse tre articoli da Costantinopoli raccontando di aver conosciuto un russo di nome Michail Raslovlev, il quale aveva scoperto che I Protocolli erano un plagio di un altro libro che casualmente gli era capitato tra le mani, perché un funzionario della polizia segreta zarista, l’Ochrana, glielo aveva occasionalmente venduto, Dialogue aux Enfers entre Machiavel et Montesquieu ou la politique de Machiavel au XIX Siècle, di un certo Joly, un libello antibonapartista pubblicato a Bruxelles nel 1864. Il giornale inglese verificò che una copia del libro era rintracciabile al British Museum, ma in Inghilterra ci fu chi disse subito che Maurice Joly era un ebreo, tale Moses Joel. Il vero Joly invece esisteva realmente e nella sua autobiografia ha raccontato come gli venne in mente di scrivere questo dialogo tra Machiavelli e Montesquieu. In ogni caso il raffronto tra il testo de I Protocolli e il libro di Joly mostra inequivocabilmente che il primo è stato copiato almeno per i due quinti, anche se i ragionamenti non sono spesso conformi. «Il plagiario» ha scritto Norman Cohn «ha ricavato le sue tesi dalle due tesi contrastanti contenute nel Dialogue: quella di Machiavelli a favore del dispotismo e quella di Montesquieu a favore del liberalismo. Attinge soprattutto alla prima: quello che Joly mette in bocca a Machiavelli, il plagiario lo mette in bocca al suo misterioso conferenziere, l’Anziano di Sion, ma con differenze importanti. Mentre Machiavelli, che rappresenta Napoleone III, descrive uno stato di cose già esistente, ne I Protocolli questa descrizione è rimaneggiata e diventa profezia. Inoltre Machiavelli sostiene che un despota può trovare nelle forme democratiche un utile paravento per la sua tirannide, ma il falsario plagia anche certi passaggi di “Montesquieu” e fa sembrare che gli ideali del liberalismo siano stati inventati dagli ebrei che li diffondono al solo scopo di disorganizzare e demoralizzare i gentili.»
Il falsario si era certamente messo al lavoro con un occhio alle pagine di Joly, ma anche a quelle di Goedsche e probabilmente conosceva anche I segreti dell’ebraismo, documenti costruiti a Parigi e poi mandati a Pietroburgo nei quali, come ne I Protocolli, si attribuisce agli ebrei il segreto obiettivo di industrializzare e liberalizzare la Russia per sovvertire le sue strutture autocratiche e la sua economia rurale. Questi testi erano stati fabbricati probabilmente con l’intenzione di attaccare il ministro Sergej Jul’evič Witte, fautore di una strategia di modernizzazione del paese che in qualche modo avrebbe potuto favorire anche gli ebrei.
I Protocolli risentono tuttavia di numerose influenze: per quanto straordinario possa apparire, per esempio, molti antisemiti erano convinti che il governo segreto ebraico fosse composto di maghi orientali (in un’edizione stampata in Spagna nel non lontano 1963 vi sono ancora pagine di commento sugli aspetti orientali e mistici). Questo stravagante aspetto viene mutuato dalle pagine di Gougenot des Mousseaux, così come l’idea di un impero mondiale ebraico retto da un re ebreo, accettato da tutte le nazioni come salvatore, viene rubata dall’ultimo capitolo del libro dello scrittore francese e inserita direttamente ne I Protocolli. Naturalmente i punti di contatto tra i due testi sono numerosi perché entrambi sviluppano la profezia dell’avvento dell’Anticristo e inoltre i capitoli sull’Oro e sulla Stampa sembrano presi di pari passo dall’opera di Gougenot des Mousseaux. Anche il libro di monsignor Léon Meurin, La Franc-Maçonnerie, Synagogue de Satan, fu una fonte diretta perché alcuni concetti dell’uno si ritrovano nell’altro. Per esempio: «Un giorno la storia non mancherà di dire che tutte le rivoluzioni degli ultimi secoli hanno avuto origine nella setta massonica sotto il supremo comando degli ebrei» e più in là: «Il fatto che tutte le rivoluzioni siano preparate nelle logge di dietro sarebbe inspiegabile se non sapessimo che i ministri di tutti i paesi… sono nelle mani dei massoni, diretti in ultima analisi dagli ebrei».
Che l’artefice di questi scritti avesse una buona conoscenza dei testi principali dell’antisemitismo francese non fu difficile da capire: sin dal 1921 fu chiaro che si trattava di un’opera apocrifa, ma solo successivamente, dopo accurate e lunghe ricerche, risultò che il plagiario o i plagiari appartenevano ai servizi segreti della polizia zarista Ochrana, a Parigi diretta da Pierre Ivanovitch Ratchkovsky, un poliziotto singolarmente dedito a complotti e intrighi di corte. Sono state fatte molte ipotesi per dare una spiegazione plausibile ai motivi del falso: si trattò con ogni probabilità di un’operazione inscritta nella lotta di potere all’interno della corte russa, dove forze opposte si stavano combattendo con ogni mezzo e a qualcuno dei servizi segreti parve opportuno giocare come arma politica la carta facile e popolare dell’antisemitismo.
Nilus non fu l’unico a entrare in possesso di queste pagine: egli stampò l’edizione del 1905, ma si seppe poi che I Protocolli, in una versione non troppo dissimile, erano già andati a finire nelle mani di un giornalista, P. KruŠevan, che ebbe parte attiva nei terribili pogrom del 1903 a Kišinev in Bessarabia e a Gomel in Bielorussia. Edizioni successive a quella di Nilus e di KruŠevan apparvero poi a cura di un altro antisemita, G.V. Butmi. KruŠevan e Butmi collaborarono attivamente a fondare un’organizzazione terroristica di estrema destra, I Cento Neri, che aveva lo scopo di attaccare gli oppositori politici e preparare pogrom contro gli ebrei. Nel 1917 Nilus tentò di attribuire la redazione del volume a Theodor Herzl, che l’avrebbe presentato al congresso sionista di Basilea nel 1897. «Di tutte le interpretazioni possibili» ha scritto Sergio Romano «questa è al tempo stesso la più assurda e la più logica. È assurda perché il movimento sionista di Herzl fu anche dettato dal desiderio di smentire, con un progetto laico e nazional liberale, l’immagine di un popolo subdolo e minaccioso di cui gli ebrei soffrivano in forma crescente da più di una generazione. È logica perché era inevitabile prima o dopo che negli ambienti dell’antisemitismo russo il movimento sionista venisse percepito come il volto pubblico di una chiesa segreta.»
I Protocolli ebbero una diffusione e una fortuna incredibili. In quel momento storico gli antisemiti potevano additare molti rivoluzionari tra i cospiratori ebrei, non solo Gel’fand, il già ricordato Parvus, ma anche Rosa Luxemburg assassinata a Berlino nel 1919 e Kurt Eisner, capo della rivolta a Monaco nello stesso anno. Ebreo era un altro leader rivoluzionario in Ungheria, Béla Kun. Il cardine della propaganda antisemita si articolava su un dualismo: gli ebrei non erano solo rivoluzionari, ma anche grandi capitalisti. La figura che più incarnava questo simbolo fu senz’altro Walther Rathenau, scrittore, intellettuale, importante industriale, politico di primo piano e nel 1922 ministro degli Esteri.
Agli occhi dei nazionalisti tedeschi e degli antisemiti che li affiancavano Rathenau era particolarmente odiato perché aveva sottoscritto un trattato che sanciva la collaborazione tra la Germania di Weimar e la Russia comunista. La campagna contro l’illustre uomo politico crebbe d’intensità fino al suo assassinio a opera di due ufficiali di marina. Al processo uno dei due dichiarò che Rathenau era stato assassinato perché era ebreo, perché aveva confessato di essere uno dei trecento Anziani di Sion e perché aveva dato la sorella in moglie al leader ebreo russo rivoluzionario Radek. Quest’ultimo particolare era totalmente inventato. È vero invece che nel 1909 Walther Rathenau aveva scritto sul famoso giornale viennese «Die Neue Freie Presse» che il governo economico dell’Europa era in mano a trecento uomini che sceglievano da soli per cooptazione i loro successori. Si trattava però di una banale osservazione che metteva in evidenza che le élite di potere tendevano a perpetuarsi e non certo che esse erano legate all’organizzazione fantomatica degli Anziani di Sion. Gli antisemiti collegarono le parole del ministro tedesco con quelle contenute nel romanzo di Disraeli e si convinsero che esse fossero rivelatrici dei complotti e delle cospirazioni mondiali che paventavano.
A Londra I Protocolli ebbero fortuna grazie al direttore del giornale «Morning Post», Arthur Howell Gwynne, che li lanciò con una serie di articoli e poi scrisse: «Se accettate per un istante l’ipotesi che dietro tutto questo vi è un piano preciso, allora il documento che avete letto diventa, nei suoi punti principali, molto più ragionevole e comprensibile di quanto non appaia a prima vista».
In Francia I Protocolli trovarono un terreno fecondo. Era noto che gran parte di quel testo era stato preso dal Dialogo di Joly, ma furono in molti a credere che sotto le spoglie di Joly si nascondesse il fantomatico Moses Joel. «Né i lettori cattolici di monsignor Jouin» ha scritto Sergio Romano «né quelli monarchici di Roger Lambelin del resto avevano bisogno di prove. Che la Rivoluzione francese e la Terza repubblica fossero il risultato di una trama ordita dai nemici, massoni ed ebrei, di Dio e del Re, essi lo sapevano da sempre.»
Anche in Italia I Protocolli furono stampati nel 1921 da «La Vita Italiana» di Giovanni Preziosi. Negli ambienti reazionari, ove si confondevano ebraismo, liberalismo e massoneria, essi furono accolti con favore. Monsignor Umberto Benigni, fondatore della «Rassegna sociale» e collaboratore di «Fede e ragione», pubblicò a Firenze nel 1922 il volume Documenti per la conquista ebraica del mondo. I Protocolli dei Savi di Sion. Si trattò in ogni caso, fino al 1938, di reazioni sporadiche e isolate. Prezzolini e Missiroli liquidarono le teorie contenute in quelle pagine con poche sprezzanti righe.
In America il loro destino fu diverso. Prima fu Henry Ford a sostenerne nei suoi giornali l’autenticità. Gli articoli del «Dearborn Independent», giornale di proprietà di Ford, furono raccolti in un volume dal titolo L’ebreo internazionale. Una campagna pubblicitaria enorme ne favorì la vendita di ben mezzo milione di esemplari. Poi le smentite sulla loro autenticità crebbero e si rafforzarono. Nel 1927 Ford scrisse al presidente dell’American Jewish Committee che, pur proprietario del giornale, non ne conosceva i contenuti ed era stato ingannato. Gli antisemiti più irriducibili considerarono la smentita di Ford come una prova dell’assoluta potenza del mondo ebraico, capace persino di piegare un uomo così ricco e così importante come lui.
I Protocolli naturalmente diventarono uno strumento importante nelle mani di Adolf Hitler e non c’è dubbio che in alcuni aspetti, come l’uso della folla e delle informazioni di stampa, egli ne abbia applicato gli insegnamenti. Le comunità ebraiche negli anni Trenta erano ormai preoccupate delle piega degli avvenimenti e in più di una occasione cercarono di reagire alla campagna di minaccia e di denigrazione favorita da questo pamphlet. Nel 1933 il Fronte nazionale antisemita ne distribuì alcune copie a Berna nel corso di una manifestazione pubblica. Gli ebrei svizzeri reagirono alla provocazione e denunciarono il Fronte per la diffusione di «letteratura immorale». Il processo si svolse a Berna e la sentenza fu favorevole all’accusa: I Protocolli erano falsi e la loro diffusione immorale. In appello i giudici ritennero che il libro non fosse immorale nel senso attribuito alla parola dalla legge svizzera e per questo motivo gli accusati non furono perseguiti.
Nonostante una delle più incredibili montature del secolo fosse stata ormai svelata, la pubblicazione di numerose versioni e traduzioni de I Protocolli non cessò mai completamente. Essi rimasero un’arma da usare contro gli ebrei e non solo, come c’è da aspettarsi, nel corso degli anni bui della Seconda guerra mondiale, ma anche negli anni successivi, in funzione cosiddetta «antisionista» in Russia o come arma propagandistica contro lo Stato di Israele nei paesi arabi.
Edizioni in varie lingue sono state stampate nel 1963, nel 1968, nel 1972, nel 1990. Nel 1987 una rivista giapponese ha dedicato al tema della cospirazione mondiale ebraica un numero speciale. Gli Anziani di Sion suscitano ancora paura in un mondo senza pace e alla perenne ricerca di spiegazioni e sicurezze.