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Houdi in atteggiamento sicuro e rilassato, con le «orecchie» leggermente sollevate.

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FARE DA PADRE A UN CORVO

La prima regola per poter studiare un qualsiasi animale è riuscire ad avvicinarlo. Solo così è possibile osservarne nel dettaglio il comportamento senza che lui percepisca la nostra presenza. Se vi trovate nel nord-est degli Stati Uniti e volete osservare i corvi in natura, il vostro non sarà un compito facile. Nella parte del paese in cui abito, le risorse alimentari sono distribuite su grandi distanze e ogni giorno un corvo può spostarsi su un’area di più di duecentocinquanta chilometri quadrati in cerca di cibo, senza contare il fatto che i corvi volano via al primo segno di presenza umana. Sono più timidi e vigili di tutte le altre specie che conosco, il che rende ancora più difficile osservarne il comportamento nel loro ambiente naturale.

Viste le premesse, pensai che il modo migliore di studiare i corvi fosse prelevare dei piccoli da un nido e diventare il loro surrogato paterno. Era forse l’unico modo di osservare gli aspetti più intimi del comportamento sociale della specie. Certo, procurarsi dei pulli e conviverci ha i suoi inconvenienti, uno dei quali è doversi arrampicare ad altezze vertiginose per prelevarli dal nido. Ci sono alberi su cui mi diverto ad arrampicarmi, ma non sono gli stessi alberi su cui ai corvi piace fare il nido.

All’ombra degli abeti c’erano ancora gli ultimi sprazzi di neve. Lo strato di ghiaccio che ricopriva Hills Pond, nel Maine, si era sciolto da poco e i primi silvidi della stagione erano già arrivati. Era la fine di aprile del 1993 e ci sarebbe voluto ancora un mese prima che gli aceri mettessero le foglie, ma i pulli di quell’anno erano già coperti di penne nere. Avevo adocchiato due nidi. Mi aspettavo di trovare da quattro a sei piccoli in ogni nido e l’idea era di prelevare due piccoli da ognuno di essi. Avrei poi dovuto occuparmi di loro in tutto e per tutto.

Quel giorno nevicava e il pino enorme dove si trovava uno dei due nidi su cui avevo messo gli occhi oscillava al vento che soffiava da nord in direzione del lago. Avrei voluto mettermi a correre, ma mi trattenni per risparmiare energie per l’arrampicata. Mi era già successo più volte di essere preso dal panico quando, mentre salivo su un pino privo di rami, mi ero ritrovato senza forza nelle braccia. Man mano che la mia presa si faceva meno sicura, le cime degli abeti sotto di me sembravano farsi sempre più lontane.

Al di sotto del nido il terreno era coperto di escrementi di colore biancastro, a indicare che i piccoli avevano superato la fase della formazione delle penne. Negli anni precedenti mi ero spesso avvicinato a quel nido per osservarlo, e solo il maschio aveva reagito in modo aggressivo; la femmina si era sempre allontanata. In altri casi, entrambi i genitori aggrediscono, o entrambi si allontanano, oppure uno solo o tutti e due rimangono a osservare da una certa distanza.

Indossai i ramponi, mi sistemai lo zaino sulla schiena e cominciai ad arrampicarmi stringendo le braccia intorno al tronco. Mi ripetevo di continuo di procedere lentamente, poco alla volta. Cercavo di non guardare in basso. Proprio quando stavo per raggiungere i primi rami più grossi e resistenti, fui preso dalla stanchezza. Per fortuna era tutto l’inverno che facevo trazioni alla sbarra e riuscii a sostenere lo sforzo. Quando finalmente mi issai su un ramo in grado di sostenere il mio peso, fui preso dall’euforia. Ancora una volta ero scampato al destino di molti altri ornitologi. George Miksch Sutton era precipitato da una parete di roccia mentre si arrampicava per raggiungere un nido di corvi e si era salvato solo grazie a una cengia che aveva fermato la sua caduta. Il collega ricercatore Thomas Grünkorn, anche lui esperto di corvidi, era caduto dalla cima di una betulla di venticinque metri danneggiandosi la colonna vertebrale in ben due punti. Miracolosamente, Thomas riuscì a sopravvivere e riprese anche a scalare (si veda sotto, cap. 7). Gustav Kramer, esperto di colombi, aveva perso la vita a seguito di una frana mentre scalava una parete di roccia per raggiungere un nido. Scalare pareti di roccia mi sembra un’impresa difficilissima; al confronto, con dei rami a cui aggrapparmi mi sento quasi al sicuro.

L’albero oscillava scosso da forti colpi di vento, ma era rimasto in piedi in burrasche ben peggiori e non c’era pericolo che si spezzasse o cadesse proprio in quel momento. In ogni caso, non c’era niente che potessi fare a riguardo, quindi era inutile preoccuparsi.

Nel nido trovai rintanati quattro pulli. Pioveva senza sosta da due giorni, e il nido era talmente inzuppato di pioggia da essersi inclinato da un lato perché uno dei rami di sostegno era troppo sottile per reggerne il peso. I piccoli erano tozzi e goffi e facevano una gran tenerezza. Quando ne sollevai due per infilarli nella mia sacca, vidi che avevano l’addome rigonfio. Non opposero resistenza e nel ritorno a terra non ebbi alcuna difficoltà.

 

 

Mi avviai verso casa per depositare i miei protetti nel loro nuovo nido, un cestino che avevo riempito di erba e foglie secche quasi fino all’orlo così che i piccoli riuscissero ad appollaiarsi sul bordo e defecare all’esterno. Non appena mi rivolsi a loro sussurrando, ruppero immediatamente il silenzio per rispondermi con le loro vocine rauche. I pulli mi guardavano con i loro occhi blu acceso; presto, prima che le penne ricoprissero interamente il corpo, i loro occhi sarebbero diventati grigi e poi marroni prima dell’arrivo dell’inverno. Sollevando le testoline ricoperte di penne ancora in formazione, spalancarono la bocca mostrandone l’interno rosa (l’interno della bocca e la lingua diventano nere dopo un periodo che varia da uno a tre anni o più, a seconda della posizione dell’individuo nella gerarchia sociale). Volevano da mangiare! Che un uccello di più di un mese di età dimostrasse tanta fiducia, soprattutto subito dopo essere stato prelevato dal nido, era davvero cosa rara! Ed è ancora più sorprendente se si considera che i corvi sono naturalmente timidi e sospettosi di fronte alle novità. Nel Maine, i corvi adulti sono tra le specie più diffidenti. I piccoli in questione erano fino ad allora entrati in contatto solo con i loro genitori e fratelli, eppure reagirono alla mia presenza come se niente fosse. C’era qualcosa nella mia voce che li aveva tranquillizzati?

I loro richiami mi intenerirono e mi misi all’opera. Tra me e i piccoli si era creato un legame; da quel momento mi misi a tagliare a pezzetti tutta la carne che riuscivo a procurarmi (in genere carcasse di animali investiti da auto) e a servirla ai piccoli a intervalli regolari di circa un’ora, come avrebbero fatto i loro genitori. I piccoli dei corvi e delle cornacchie hanno bisogno di una combinazione di proteine, vitamine e minerali. Io davo loro topi tritati, larve, uova, pesci e rane a pezzetti. Ho visto gente allevare cornacchie come fossero bambini, a pane e latte. Gli animali avranno sicuramente sofferto di rachitismo o qualche altra condizione menomante, sempre che siano sopravvissuti.

L’abilità di una specie di crescere i propri piccoli in natura si è affinata e diversificata nel corso di milioni di generazioni grazie alla selezione naturale. I dettagli sono importantissimi e discostarsi da ciò che è norma per la specie comporta, il più delle volte, un danno. Durante la crescita, i passeriformi necessitano di una dieta ad alto contenuto proteico e di nutrienti essenziali in proporzioni ben precise. La crescita muscolare, nervosa e ossea dei piccoli è così rapida che in alcuni periodi il loro peso aumenta del 50 per cento ogni giorno. Per questo motivo hanno bisogno di essere nutriti di frequente.

Il primo giorno i quattro piccoli mangiarono sei topi, quattro uova di gallina, due lattine di cibo per gatti da 170 grammi, 280 grammi di cibo per cani e un paio di manciate di fagioli che avevo premasticato per loro. Dopo aver ingerito 8100 grammi di cibo, erano aumentati di peso di 600 grammi ognuno.

Se volete farvi un’idea della quantità di cibo che una coppia di corvi deve procurarsi per la famiglia, ecco il menù di un gruppo di sei piccoli di cinque settimane che adottai qualche anno dopo:

 

Primo giorno: una marmotta e una lepre (trovate morte sulla strada, congelate, fatte a pezzetti con pelle, ossa, interiora e tutto il resto, e poi decongelate).

Secondo giorno: tre scoiattoli, un tamia, sei rane, otto uova frantumate (col guscio).

Terzo giorno: tre scoiattoli grigi, cinque rane, sei uova, sei topi.

Quarto giorno: il quarto posteriore di un vitello frisone.

 

Nel giro di pochi giorni i piccoli si fecero ancora più famelici: in un solo pasto erano in grado di mangiare sei rane e due topi ognuno in rapida successione, e in meno di due ore erano tutti pronti per ricominciare da capo.

 

 

Per quanto allevare i piccoli sia sempre stato un piacere per me, fare da padre a dei corvi ha le sue difficoltà. Fermarsi per strada a raccogliere carcasse e farle a pezzi è il minore dei problemi. Tralasciamo anche il fatto che un corvo non imparerà mai a non sporcare in casa. E dimenticatevi delle passeggiate il sabato pomeriggio! I corvi devono essere nutriti a intervalli di poche ore e richiedono attenzioni quotidiane. Se farete loro mancare queste attenzioni, tra voi e gli animali non si creerà alcun legame e i piccoli cresceranno selvatici e impudenti. In sostanza, vi ritroverete a vivere con i peggiori coinquilini che possiate immaginare. Può darsi che per alcuni di voi questi non siano che piccoli inconvenienti. Ma vale la pena ricordare ai miei lettori qual è il prezzo da pagare.

E non dimentichiamo il punto di vista degli animali. Se integrati nella nuova famiglia, svilupperanno un senso di appartenenza e saranno animali soddisfatti. Senza un legame con un membro della famiglia, che dovrà essere sempre a disposizione, si sentiranno invece in gabbia. Dal punto di vista legale, infine, non è necessario essere qualificati per avere un bambino, che si sia o meno preparati per essere genitori. Ma con i corvi non è così semplice. Bisogna ottenere un permesso sia dallo stato che dalla federazione e per avere i permessi è necessario fornire motivazioni ben fondate.

Se volete adottare un uccello selvatico che vi si affezioni, vi «parli» (o addirittura impari a cantare) e che sia facile da tenere, vi consiglio di provare con uno storno. Mozart ne aveva uno, e ci era molto affezionato. Durante il periodo della riproduzione il piumaggio nero degli storni è più iridescente di quello dei corvi. Gli storni sono più bravi ad imitare i suoni, e sono più facili da allevare. Se non bastasse, per averli non è necessario alcun permesso, visto che negli Stati Uniti sono considerati specie invasiva che compete con le specie autoctone. Il lato negativo è che i piccoli di storno non smettono mai di gridarti nelle orecchie e ci infilano pure il becco, come stessero sollevando un sasso per vedere se sotto ci sono dei vermi. Le oche selvatiche, d’altro canto, vi seguono in volo se partite in macchina, come se foste parte di uno stormo, quindi dovrete evitare le zone trafficate. Ogni specie animale manifesta comportamenti innati che si sono evoluti in natura nel corso di milioni di anni.

Allevare animali selvatici non è affatto semplice, e non è raro che qualcosa finisca per andare storto. Forse soprattutto per questo motivo, la pratica viene oggi scoraggiata. Quando ero ragazzino, io e i miei amici allevammo cornacchie, ghiandaie, tordi migratori, passeri, puzzole, procioni, falchi, rapaci notturni, oche e uno storno. L’esperienza non solo ci insegnò qualcosa riguardo a questi animali, ma fu soprattutto una lezione di rispetto, pazienza e tolleranza.

Le responsabilità non si esauriscono con il procurare il cibo ai piccoli, anzi si moltiplicano. Per ogni boccone di carne ingerito i piccoli producono un volume equivalente di escrementi. I corvi ingeriscono gli escrementi dei piccoli per evitare che si accumulino nel nido. Quando i piccoli raggiungono una o due settimane di età e il volume di escrementi aumenta, invece di ingerirli i genitori si limitano a trasportarli lontano dal nido.

Io ero stato fortunato. I miei piccoli erano già abbastanza grandi e prima di defecare si spostavano per rilasciare gli escrementi all’esterno. Issavano il posteriore oltre l’orlo del nido e sventagliavano la coda da un lato come fosse un tergicristallo. Solo allora rilasciavano i loro escrementi con un getto che arrivava anche a sessanta-novanta centimetri di distanza.

Nel corso della crescita il controllo della defecazione diminuisce e appena prima di mettere le piume i piccoli lo perdono del tutto. Da quel momento in poi defecano quando ne sentono il bisogno, e sembra che facciano a gara a chi fa arrivare il getto più lontano. Quando poi lasciano il nido, sembra facciano ancora meno attenzione. Ecco perché è impossibile pensare di tenere dei corvi in casa.

Come fanno i corvi adulti a ingerire gli escrementi dei piccoli (una combinazione di materiale di scarto dell’apparato digerente e dell’apparato urinario)? Vale la pena specificare che gli escrementi dei corvi non hanno un cattivo odore, a meno che i piccoli non siano malati o nutriti in eccesso e quindi il cibo non venga completamente digerito. Sono per lo più costituiti da cristalli di acido urico provenienti dall’apparato urinario. Le deiezioni dei polli, invece, hanno un odore disgustoso; eppure vengono mischiate con la segatura e utilizzate come mangime per il bestiame per cui indirettamente va a finire che le mangiamo pure noi.

Il metabolismo proteico genera prodotti di scarto maleodoranti contenenti azoto che il corpo elimina diluendoli in grandi quantità di acqua. Per questo motivo, più proteine sono presenti nella nostra dieta, più acqua dovremmo bere. Paradossalmente, pur vivendo di carne, i corvi sono in grado di sopravvivere senza bere (eccetto quando la temperatura dell’aria è molto alta e necessitano di acqua per favorire la traspirazione dalla bocca e dalle superfici respiratorie). Ciò è possibile grazie alle caratteristiche delle loro escrezioni. A differenza dell’urea, il principale prodotto di scarto dell’apparato urinario dei mammiferi, l’acido urico contenuto nelle escrezioni degli uccelli è atossico e poco solubile in acqua. Di conseguenza, gli uccelli possono eliminare grandi quantità di acido urico in pochissima acqua. Invece che sotto forma di un liquido giallognolo, i prodotti di scarto vengono espulsi sotto forma di una pasta biancastra e inodore. Ecco perché i corvi possono sopravvivere con poca acqua e la pulizia del nido da parte dei genitori è un compito meno disgustoso.

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Gli adulti spingono il cibo in profondità nella gola dei piccoli.

A parte la scocciatura della pulizia degli escrementi, tenete presente che i piccoli di corvo sono alquanto rumorosi e, per essere uccelli canori, non sono nemmeno tanto melodici. Proprio perché i piccoli sono così insistenti nel richiedere cibo, i corvi sono spesso ingiustamente accusati di essere genitori inadeguati o distratti. Con la fame i piccoli si fanno più rumorosi, ma il volume dei loro richiami è comunque un prodotto della selezione naturale. Chi urla più forte ha più probabilità di ottenere l’attenzione dei genitori prima dei fratelli, ma rischia allo stesso tempo di attirare predatori. È il rischio di essere predati a stabilire la soglia massima di volume dei richiami dei piccoli. Se il nido è ben nascosto, la soglia più essere anche piuttosto alta.

La selezione naturale ha fatto sì che i corvidi, così come molti altri uccelli, crescano molto rapidamente e imparino a volare poco dopo la nascita. I passeri raggiungono il loro peso adulto in soli dieci giorni, mentre i corvi impiegano circa quaranta giorni. A una settimana di età, i piccoli dormono per la maggior parte del tempo e sono accuditi principalmente dalla madre. Sono ancora privi di piume e incapaci di regolare la propria temperatura corporea. Ogni qualvolta uno dei genitori si muove ed emette brevi richiami nasali che suonano come dei «gro», i piccoli sollevano la testa e pigolano per chiedere da mangiare. Dopo che la femmina smette di covarli, si risvegliano ogni volta che uno dei genitori si avvicina al nido e pigolano con insistenza.

All’età di tre settimane i pulli hanno finalmente le penne e l’attività all’interno del nido è incessante. Un piccolo dorme con il becco infilato sotto le penne del dorso, mentre un altro si stiracchia distendendo le zampe e un’ala, per poi magari grattarsi la nuca con una zampa. Un altro ancora è appollaiato sull’orlo del nido e sbatte energicamente le ali; un quarto ha afferrato un rametto che spuntava dal nido con il becco e lo tira con tutte le sue forze, mentre un quinto è impegnato a cantare. Quest’ultimo ha un’aria persa e sognante e a tratti gonfia le piume della testa e solleva le «orecchie» e le penne della gola. Si comporta in tutto e per tutto come un maschio adulto dominante e sicuro di sè. Solleva la testa, chiude parzialmente gli occhi ed emette vocalizzi e gorgoglii senza un ritmo preciso variando di continuo l’altezza e il volume del suono. Basta che passi una mosca perché tutti si distraggano. Sollevano la testa in contemporanea e osservano con attenzione i movimenti dell’insetto. Dopo pochi secondi, però, tornano tutti alle loro occupazioni. A intervalli di alcuni secondi o un minuto al massimo, i ruoli si scambiano e chi faceva stretching inizia a lisciarsi le penne o a sbattere le ali o si mette a dormire, a giocare con un rametto o a scuotere le penne. All’apparenza, ciò che un piccolo decide di fare non ha la minima influenza su quello che fanno gli altri.

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A sinistra, un pullo poco dopo la schiusa.

A destra, circa una settimana più tardi: gli occhi sono ancora chiusi, le penne sono in formazione.

Un bambino della stessa età non è ancora in grado di girarsi, e riesce a malapena a tenere la testa sollevata. Se non riesce a raggiungere il seno della madre, viene aiutato premurosamente. I piccoli di corvo, invece, devono tenere la testa ben alta per richiedere il cibo sin dal momento della schiusa. L’alternativa è non essere nutriti affatto. A sole tre settimane di età, catturano zanzare e mosche in volo, sfoggiando un’ottima coordinazione motoria occhio-becco. Ancora prima di lasciare il nido, sono capaci di raccogliere bocconi di cibo e nutrirsi da soli, ma se possono preferiscono aspettare di essere nutriti dai genitori. Si grattano la nuca con la zampa, dormono in piedi e fanno lunghe sessioni di grooming.

 

 

I piccoli che avevo prelevato dal nido erano due maschi e due femmine.

Già nel nido, i maschi erano più grandi delle femmine. Decisi di chiamare uno dei maschi «Golia». Una delle due femmine, che aveva un unghia rotta sulla zampa sinistra, divenne «Mancina». Dopo essere ripetutamente scappata dalla voliera, la seconda femmina si guadagnò il nomignolo «Houdi», in onore del famoso illusionista Harry Houdini.

Quando, intorno al 10 maggio, sugli alberi comparvero da un giorno all’altro le prime foglie, i piccoli saltellavano da soli sul bordo del nido che avevo costruito per loro sul melo accanto al bungalow. Mi «parlavano» di continuo con la loro voce rauca e gutturale.

Una settimana più tardi non erano ancora in grado di volare, ma spesso sbattevano freneticamente le ali. Le loro teste erano coperte di morbide piume, e sul corpo, sulla coda e sulle ali erano comparse le penne. I ciuffi alle estremità delle penne della testa tipici dei nidiacei erano spariti, eccetto in uno dei maschi, che ne aveva ancora due sulla sommità del capo. Lo battezzai «Ciuffo».

Il 17 maggio li lasciai liberi di scorrazzare a terra. I tenui grr che emisero in risposta mi dissero che i piccoli erano a loro agio. Sembrarono entusiasti della novità, e si misero a sbattere le ali e a saltellare qua e là, becchettando foglie, rametti ed erba. Il grosso husky bianco che un amico aveva portato con sé sembrava non preoccuparli affatto. Ma quando uno dei corvi selvatici che nidificavano nei pressi di Hills Pond passò in volo sopra di noi lanciando dei richiami di allarme, kek-kek-kek, verso di loro, i quattro si zittirono, si fecero piccoli piccoli e rimasero fermi sul posto; tremavano tanto che sembrava avessero i brividi, nonostante splendesse il sole. Nel tono più rassicurante possibile dissi: «Caaalma, è tutto a posto» e loro si rilassarono immediatamente. Gonfiarono le penne, smisero di tremare e ripresero a pigolare insistentemente per avere da mangiare.

Erano davvero adorabili, ma davano l’impressione di non essere particolarmente acuti. Infilavano bocconi di carne nelle fessure come se volessero nasconderli, ma non si preoccupavano minimamente di ricoprirli. Spesso poi riprendevano immediatamente la carne nel becco solo per ripetere l’operazione una o due volte.

Nei primi giorni dopo che avevano lasciato il nido sembravano non aver voglia di volare, sebbene fossero perfettamente in grado di farlo. Se si trovavano su un albero e avevano fame, anziché sforzarsi di volare verso di me, lanciavano pigolii pietosi al mio indirizzo per avere del cibo. Dopo un po’ raccoglievano finalmente il coraggio e prendevano il volo, il più delle volte andando a finire sull’albero a fianco, su un ramo ancora più alto. Una volta lì, saltavano sul ramo che appariva loro più vicino, finendo regolarmente più in alto e più lontano dal cibo che avevo portato per loro.

Dal momento in cui lasciarono il nido, Golia e Ciuffo, i due maschi, si rivelarono subito dominanti, mentre Mancina e Houdi erano decisamente meno sicure di sé. La loro non era però una gerarchia statica, a differenza di gran parte delle gerarchie nel mondo animale. Nei mesi a seguire assistetti a due lotte per il potere, una tra Golia e Ciuffo, l’altra tra Mancina e Houdi. Golia rimase al primo posto per diversi mesi. Il 27 agosto, all’improvviso e senza apparente motivo, Ciuffo assunse la posizione di individuo dominante del quartetto. Da quel momento in poi fu sempre il primo ad avere accesso al cibo, e prese ad aggredire regolarmente tutti i compagni. Quando la fonte di cibo era particolarmente grande, o sospetta, concedeva agli altri di mangiare per primi, e solo in un secondo momento li cacciava via. Poco dopo che Golia aveva perso la posizione dominante, scrissi nel mio taccuino: «I suoi occhi sono strani. Sembra quasi che abbia le palpebre inferiori cadenti, tanto da esporre la sclera, dà l’impressione di avere gli occhi fuori dalle orbite. Prima era l’unico dei quattro a posarmisi sul braccio, ma ora non lo fa più. Sembra disturbato e la sua voce ha assunto una nota acuta, mentre quelle degli altri sono rimaste com’erano. Non viene più a mangiare direttamente dalle mie mani. Il più coraggioso del quartetto è diventato da un giorno all’altro il più timido».

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I pulli subito dopo aver aperto gli occhi.

Golia si distingueva anche per un’altra ragione. Poco dopo che era uscito dal nido, il 17 giugno, cominciò ad acquattarsi davanti a me in atto di sottomissione, tenendo le ali basse e sventolando la coda. Per più di un anno ripeté questo stesso display a intervalli regolari, mentre nessuno degli altri tre fece mai nulla di simile. Non so perché, ma fin da quando era ancora un nidiaceo mi ero sempre sentito particolarmente vicino a Golia. Avevo l’impressione che cercasse di proposito di guardarmi negli occhi. Che il mio sentimento fosse ricambiato?

Il 9 settembre Golia aveva perso la sua strana espressione. Aveva riacquistato la posizione dominante all’interno del gruppo, ma il suo comportamento nei miei confronti rimase immutato. La sua dominanza era evidenziata dal numero di interazioni vittoriose con gli altri individui (in un conteggio, ventisette volte contro le nove di Ciuffo) e dalla posizione che occupava sulle carcasse. Prima dell’improvviso cambiamento di status si era guadagnato il posto migliore diciassette volte rispetto alle quindici di Ciuffo (e le quattro di Mancina e l’unica volta di Houdi). Dopo che era tornato a occupare la posizione dominante nella gerarchia, invece, Golia ebbe la meglio in ben trentaquattro occasioni, Ciuffo soltanto in tre, Houdi una sola volta e Mancina mai.

Golia rimase dominante per tutto l’inverno: a intervalli regolari «sollevava le orecchie» e gonfiava le penne intorno alle zampe come fanno i corvi di rango elevato, che sembra indossino dei calzoni troppo larghi. Ciuffo si esibiva raramente in simili manifestazioni di superiorità e le due femmine non lo fecero mai. Spesso, però, si esibivano in spettacolari inseguimenti in volo, che facevano parte della lotta per il terzo posto. Nella maggior parte dei casi (ventuno contro tre) fu Mancina ad avere la meglio.

Verso la fine di febbraio le manifestazioni di dominanza di Golia divennero ancora più evidenti. Ogni volta che portavo loro da mangiare, sollevava le penne del capo e gonfiava le penne intorno alle zampe, poi si avvicinava lentamente con aria spavalda e si impossessava del cibo. Gli altri rimanevano sempre in disparte con le penne della testa abbassate, e solo quando gli si avvicinavano si inchinavano e gonfiavano le penne del capo. La gerarchia non era più in discussione, la superiorità di Golia era palese, indiscussa, incontrastata. Ciuffo, al contrario, pigolava come un nidiaceo ogni volta che comparivo portando da mangiare.

All’età di due anni Ciuffo continuava a sbattere le ali e a richiedere cibo emettendo i versi acuti dei piccoli ogni volta che mi avvicinavo, mentre gli altri tre non si comportavano così dal settimo mese di età. Da padre apprensivo, iniziai a notare le loro personalità; di lì a poco avrei avuto l’occasione di osservare comportamenti che non avrei mai potuto osservare nel campo. Uno di loro finì per scegliersi come compagna una femmina selvatica e nidificò in natura nei pressi del bungalow.