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Una nidiata inconsueta, con sette piccoli quasi della stessa età. I becchi dei piccoli hanno macchie bianche di diverse dimensioni. Con il tempo il becco diventa completamente nero.

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L’ADOZIONE

Molti uccelli marini, pipistrelli e altre specie che vivono in colonie lasciano la propria prole in mezzo a quella di altre coppie e dunque il rischio di dare da mangiare ai piccoli sbagliati è in teoria molto alto. Gli individui di queste specie si sono evoluti per poter riconoscere i propri piccoli in mezzo alla folla, così da riservare solo a loro il cibo che si sono procurati. Mi sorse dunque spontaneo il dubbio di come i corvi avrebbero reagito se avessi rimosso o aggiunto piccoli al nido. Sapevano contare? Otto Koehler e i suoi colleghi dell’Università di Friburgo, in Germania, avevano stabilito che i corvi sapevano contare fino a sette avendo addestrato un corvo a trovare del cibo dentro un contenitore sul cui coperchio erano disegnati un determinato numero di puntini, in mezzo ad altri contenitori simili. Decisi di tentare un gioco simile con Houdi nella voliera nel Vermont, quando i suoi quattro piccoli avevano già quasi raggiunto il peso adulto ed erano parzialmente coperti di penne. Quando Houdi si allontanò per andare a procurarsi da mangiare dalla carcassa di vitello che avevo lasciato nel bosco poco lontano, mi sporsi in tutta fretta dalla finestra della camera da letto e prelevai due piccoli dal nido. Erano ancora troppo giovani per spaventarsi. A quell’età non si agitavano, a meno che non sentissero uno dei genitori lanciare segnali di allarme. Poiché Ciuffo, il compagno di Houdi, era sparito, avevo la certezza che nessuno dei genitori avesse visto la mia manovra. Quando Houdi fece ritorno al nido in cui mancava metà della sua prole, nutrì i piccoli per alcuni secondi, poi si spostò verso la ciotola dell’acqua per bere, si appollaiò su un ramo per asciugarsi e lisciarsi le penne e ripartì per andare a prendere un altro carico di carne alla carcassa. Appena sparì dalla mia vista, mi affrettai a scambiare i due piccoli nel nido con i due che avevo tenuto all’interno del bungalow. Al ritorno, Houdi non emise un suono né diede segno di essere agitata o preoccupata. Le offrii un uovo di gallina. Lei accettò l’offerta con entusiasmo, lo ruppe e ne diede un po’ ai due piccoli in tre volte. Quando si allontanò per la terza volta, rimisi anche gli altri due piccoli nel nido in modo da ripristinare il totale di quattro. Houdi non diede segno di aver notato che il numero dei piccoli era cambiato. Sembrava proprio che non sapesse contare, non le importasse quanti piccoli c’erano nel nido e/o che non notasse alcuna differenza tra un nido con due piccoli e uno con quattro.

Come ho già raccontato, in seguito i quattro giovani corvi rimasero orfani. In quel periodo non potevo occuparmi personalmente della nidiata, che richiedeva attenzioni continue. Decisi di scaricare la responsabilità su qualcun altro sperando nel contempo di fare un esperimento. Nella loro voliera, nel Maine, Golia e Pennabianca avevano solo due piccoli, che però erano molto più giovani e ancora implumi. Mi chiesi se avrebbero accettato i quattro orfani di Houdi nonostante la differenza di età.

Il 6 maggio tornai nel Maine in macchina e depositai i quattro piccoli pennuti di Houdi nel nido di Golia e Pennabianca in piena notte, affinché non si accorgessero di che cosa stava succedendo, rimpiazzando momentaneamente i loro piccoli implumi. Tolsi i piccoli di Golia e Pennabianca dal nido nel timore che i genitori li mettessero a confronto con i nuovi arrivati e finissero per rifiutare questi ultimi e far loro del male. All’alba mi nascosi nel capanno da cui facevo le mie osservazioni per vedere cosa sarebbe successo.

Alle 5.10 era già chiaro da almeno dieci minuti e Golia e Pennabianca erano ancora appollaiati in silenzio accanto al nido. Non potevano non aver visto i quattro piccoli dall’aspetto insolito che erano comparsi nel loro nido, né potevano non aver notato che i loro due piccoli mancavano all’appello, ma apparentemente la cosa non scatenò alcuna reazione da parte loro.

Alle 5.29 uno dei piccoli cominciò a pigolare. Pennabianca si stiracchiò. Un altro piccolo si unì al coro. Dieci minuti dopo, quando il sole si alzò al di sopra della montagna e i suoi raggi illuminarono direttamente l’interno del capanno in cui si trovava il nido, tutto d’un tratto Golia e Pennabianca si fermarono e per un attimo rimasero immobili come statue. I piccoli erano in silenzio e aprivano e chiudevano i loro occhi blu con la testa appoggiata sul bordo del nido. Gli adulti erano ammutoliti e sembravano osservarli attentamente. Entrambi muovevano la testa da destra a sinistra con aria interrogativa, guardando i piccoli prima da un occhio e poi dall’altro come per cambiare visuale. Un attimo dopo alcuni dei piccoli si alzarono sulle zampe e cominciarono a pigolare. A quel punto a Pennabianca si rizzarono le penne della testa. Era agitata. Emise dei richiami di allarme, kek-kek-kek, inizialmente esitante, poi con più convinzione. Vedendola in movimento e sentendo i richiami, i piccoli presero a gracchiare ancora più forte. Allora Pennabianca fece come per beccarli sulla testa ma senza effettivamente colpirli, esprimendo tutta la sua rabbia in quel gesto. Aveva ancora le penne della testa arruffate e teneva la bocca parzialmente aperta, come fanno gli uccelli quando sono spaventati o in stato di allerta. Le cose non stavano andando come avevo sperato. Pennabianca era decisamente infastidita. Golia, al contrario, sembrava del tutto indifferente.

Cinque minuti più tardi i due adulti volarono fuori dal capanno emettendo lunghi richiami di allarme in serie ravvicinate, come facevano quando un estraneo si avvicinava al nido. Pennabianca becchettava i rami con rabbia e si appese a testa in giù alla rete metallica. Non l’avevo mai vista fare nessuna di queste cose in passato. Decisi allora di uscire dal mio capanno di osservazione e cercai di calmarli portando loro una carcassa che avevo trovato per strada. I due non sembrarono turbati dalla mia presenza (né da quella del castoro morto) e si misero entrambi immediatamente a mangiare. Poi cominciarono a portare carne al nido. I piccoli continuavano a pigolare senza ritegno e Pennabianca reagì portando loro da mangiare, come se avesse completamente dimenticato il panico di pochi minuti prima. Ero esterrefatto. Sembrava che Golia e Pennabianca avessero finito per adottare gli strani pulli che erano comparsi nel loro nido durante la notte.

A quel punto pensai che i tempi fossero maturi per riportare la prole legittima al nido senza causare danni: i due si sarebbero trovati con sei piccoli da nutrire. Mi chiesi se avrebbero dato più cibo ai propri piccoli che a quelli adottivi. Al contrario, nei primi tredici viaggi al nido (dodici da parte di Pennabianca e uno da parte di Golia) i nuovi arrivati si accaparrarono tutto il cibo. Probabilmente Pennabianca dava da mangiare a chi gridava più forte e con più insistenza, non sapendo resistere a una bocca rosa spalancata. Quando i piccoli smisero di chiedere cibo, Pennabianca si fermò a guardarli sul bordo del nido emettendo più e più volte dei morbidi e sommessi krr-krr, il suono in genere usato per indurre i piccoli ad aprire la bocca. Voleva assicurarsi che avessero mangiato abbastanza. Anche Golia aveva iniziato quasi subito a dare da mangiare ai piccoli. Il mio dilemma era risolto, avevo la risposta alla mia domanda: Pennabianca e Golia avevano accolto i nuovi arrivati. Nei mesi a seguire portai loro altri regali oltre alla carcassa di castoro, ma i due erano per lo più autonomi e si presero cura dei «loro» sei piccoli finché non furono completamente indipendenti.

Nella primavera dell’anno successivo, il 1997, Golia e Pennabianca iniziarono a costruire un nuovo nido nella voliera, ma poi lasciarono il lavoro a metà. Portai alla voliera altri piccoli che stavo allevando per compiere esperimenti e osservazioni sulla loro capacità di risolvere problemi; ero curioso di vedere se Golia e Pennabianca avrebbero accolto anche loro. Inizialmente tenni i piccoli all’interno del bungalow. Quando diedi loro da mangiare Golia li sentì gracchiare e reagì immediatamente. Si avvicinò e si appollaiò sulla betulla fuori dal bungalow emettendo lunghi e acuti trilli a salire che denotavano agitazione. Si avvicinò ripetutamente al bungalow come se volesse cercare di entrare, e ogni volta si esibiva in un display di dominanza con le penne della testa arruffate, sbattendo il becco e chinandosi in avanti mentre apriva a ventaglio le penne della coda e delle ali.

Lo stesso giorno lo avevo visto inseguire una poiana della Giamaica emettendo i richiami scanditi riservati ai predatori in volo. Quando in cielo erano comparsi tre avvoltoi collorosso, era volato al nido vicino alla voliera emettendo acuti richiami di allarme e gonfiando le penne. Erano arrivati in zona anche altri corvi e aveva cacciato via anche loro.

Alla fine mi decisi a portare all’aperto due dei piccoli, ormai grandi quasi quanto un adulto, e a lasciarli saltellare sul tavolo da picnic. Mentre i piccoli pigolavano al mio indirizzo per farsi dare da mangiare, Golia rimase appollaiato in cima a un tronco di betulla non lontano da me, sembrava arrabbiato. Fissava intensamente i piccoli ed emetteva uno dopo l’altro singoli richiami prolungati, acuti e a salire, in genere utilizzati dai corvi per ribadire che ci si trova nel loro territorio. Passò anche in volo sopra i piccoli, che abbassarono la testa e per un attimo smisero di gracchiare. Poi si appollaiò su un abete a una quarantina di metri di distanza, gonfiò le penne e sfogò la sua rabbia contro i rami e le pigne, riducendole a pezzetti. Stranamente, non tentò nemmeno di avvicinarsi al tavolo o fare del male ai piccoli.

 

 

Poiché in natura non accade quasi mai che qualcuno depositi piccoli estranei nel nido, i corvi, come la maggior parte degli altri uccelli, non hanno evoluto la capacità di rifiutare i piccoli, per quanto essi possano apparire strani. Se invece parliamo delle uova, che sono potenzialmente in grado di trasformarsi in piccoli, allora è tutta un’altra storia. Altri uccelli potrebbe deporre le uova nel nido sbagliato e alcune specie si sono specializzate nel parassitare le cure parentali altrui deponendo le proprie uova nel nido dei «genitori adottivi». Le specie in questione non costruiscono nemmeno il nido. Gli esempi meglio conosciuti di questo comportamento sono i cuculi nel Vecchio Mondo e i vaccari testabruna nel Nuovo.

Come è norma nell’evoluzione, a ogni strategia corrisponde il più delle volte una contro-strategia finalizzata a neutralizzarla e così via in un susseguirsi di tit-fortat, che si esaurisce solo al raggiungimento di un equilibrio nel caotico «mondo reale» o in caso di estinzione di una delle due specie. Nel caso degli uccelli la corsa agli armamenti tra i parassiti di cova e i loro «ospiti» si gioca principalmente sul colore delle uova. I parassiti depongono uova il cui colore si avvicina il più possibile a quello delle uova della specie ospite, mentre gli ospiti affinano la loro capacità di individuare le differenze di colore per poter smascherare più facilmente gli inganni, in un caso esemplare di coevoluzione, dove una specie si evolve in risposta a una o più altre specie. La varietà e la bellezza della colorazione delle uova degli uccelli è una delle meraviglie della natura e molto probabilmente è il risultato del conflitto tra parassiti di cova e ospiti, per lo meno per quanto riguarda le specie che nidificano in nidi aperti dove le uova sono visibili (la maggior parte delle specie che nidificano nelle cavità degli alberi o della roccia depongono uova incolori).

A livello di popolazione, l’enorme varietà di colorazioni delle uova delle diverse specie presenti in un territorio rende la vita difficile ai parassiti di cova del luogo, senza contare che le stesse differenze sono in continua evoluzione. Per esempio, se un parassita di cova si specializza nel deporre le proprie uova nei nidi delle specie con uova di colore azzurro, che chiameremo specie A, B, C e D, un individuo della specie C che, a causa di una mutazione, inizi a deporre uova con macchie viola avrà sviluppato una forma di difesa contro il parassitismo. La mutazione si diffonderà rapidamente all’interno della popolazione e farà in modo che, col tempo, tutti gli individui di quella specie depongano uova con macchie viola.

A oggi l’evoluzione ha generato una grandissima varietà di colorazioni nelle uova dei passeriformi. Tra gli esempi più noti nel Nord America ci sono le uova azzurrine del tordo migratore, quelle immacolate del febo orientale e quelle bianche coperte di macchie e puntini viola, neri e lilla dei tiranni. Anche le uova delle specie europee presentano una simile varietà di colorazioni. Il principale parassita di cova in Europa è il cuculo. Il colore delle uova del cuculo si avvicina molto a quello delle uova dell’ospite. Non può che essere così. Se le uova del cuculo in Europa fossero bianche, i cuculi non potrebbero parassitare le specie che depongono uova azzurre; perché queste specie, dopo essere state a lungo parassitate, individuerebbero immediatamente le uova bianche tra le loro uova azzurre e le distruggerebbero, e quindi i cuculi che continuassero a deporre uova bianche in nidi in cui ci sono solo uova azzurre finirebbero per estinguersi. In Europa il risultato della corsa agli armamenti è stato che ogni femmina di cuculo depone uova di un solo colore e solo nel nido della specie «giusta», ovvero della specie che depone uova dello stesso colore delle sue. Nel complesso della popolazione dei cuculi, però, femmine diverse depongono uova di colore diverso e in questo modo i cuculi utilizzano una gran varietà di specie ospiti. Naturalmente, le colorazioni delle uova di ospite e parassita non sono sempre perfettamente uguali e può accadere che uno degli ospiti si accorga che un uovo ha una colorazione leggermente diversa dagli altri e che lo butti fuori dal nido, perché in Europa la probabilità che un uovo dalla colorazione strana sia un uovo di cuculo è piuttosto alta. Se l’ospite a) memorizza l’aspetto del primo uovo che ha deposto e b) fa in modo che le sue uova siano molto simili tra loro, la sua probabilità di fare la scelta giusta (scartare un uovo di cuculo e non una delle proprie uova) aumenta parecchio. E infatti questo è ciò che succede.

Le uova dei corvi sono di color verde-azzurro e sono ricoperte di puntini grigi e neri. Spesso, ma non sempre, le uova di una stessa covata sono piuttosto diverse tra loro e di conseguenza, visto il ragionamento fatto poco sopra, sembra improbabile che nei corvi sia avvenuto un processo di standardizzazione della colorazione delle uova mirato a facilitare l’individuazione di uova estranee alla covata. Poiché in Nord America non esistono parassiti di cova che utilizzino i corvi come specie ospite, non c’è ragione di supporre che i corvi abbiano evoluto un comportamento di rifiuto delle uova. Potrebbero ancora riconoscere un uovo dall’aspetto insolito, ma se anche lo individuassero il rischio di trovarsi ad allevare piccoli altrui sarebbe praticamente inesistente, mentre il costo che comporterebbe il buttar fuori per errore una delle proprie uova è alto. La logica dell’evoluzione impone quindi ai corvi di difendere il nido da femmine estranee che potrebbero deporvi delle uova, ma impone anche di non scartare nessun uovo che si trovi già nel nido, per quanto strano, perché è molto probabile che si tratti di un proprio uovo.

Decisi di fare un esperimento sul riconoscimento delle uova. Per cominciare dovevo provare ad arrampicarmi fino al nido alla fattoria Melcher, dove sapevo che la coppia residente stava covando, e mettere un uovo di gallina nel nido. Al fienile dei Melcher mi fermai a parlare con Paul del nido di corvi, poi attraversai l’enorme campo ondulato ancora coperto di neve e scesi verso il torrente sul lato opposto. L’acqua gorgogliava sonoramente sotto ponti di ghiaccio. Attraversai uno di questi ponti e risalii il fianco della collina di fronte attraversando un bosco ombroso di conifere altissime. Da decine di anni una coppia di corvi nidificava in un bosco di pini strobi quasi in cima alla collina. Poiché in primavera avevo visto la coppia volare in cerchio sopra la collina, mi aspettavo di trovare il nido in quella zona anche quell’anno.

Non appena giunsi in prossimità dei pini, sentii i primi kek-kek-kek di allarme. Con mia grande sorpresa, trovai l’enorme nido di rami esattamente nello stesso punto in cui l’avevo visto anni prima.

Quando finalmente arrivai al nido ero esausto, ma nel vederne il contenuto mi riempii di gioia. C’erano sei uova. Come nella maggior parte dei nidi di corvo, le uova erano sul fondo di una coppa piuttosto profonda fatta di corteccia di cedro sfilacciata e di pelo di bestiame e di cervo, il tutto mescolato ai filamenti dello strato interno della corteccia di frassini secchi. Le uova erano verde-azzurro con macchie e puntini grigi e neri di forma irregolare. Alcune delle macchie scure viravano al verde oliva, mentre altre apparivano vagamente violette. Erano di sfumature variabili dal grigio fumo al nero e ce n’erano di tutte le dimensioni: da più piccole di una capocchia di spillo a più grandi di una mosca. Come quelle di Houdi, le uova erano tutte diverse una dall’altra. Alcune erano chiaramente di color verde-azzurro, mentre in altre il colore di fondo era quasi completamente occultato da grosse macchie di una tonalità scura di verde oliva tutte vicine tra loro. Non riuscivo a immaginare niente di più bello, né mi sembrava possibile avere una prova più lampante del fatto che i corvi con tutta probabilità non erano vittime di parassitismo di cova. Le uova erano troppo diverse tra loro.

Dopo aver fotografato il nido, le uova e il panorama, appesi il mio zaino a un ramo e, trovato provvidenzialmente un buon punto di appoggio per i piedi, ne tirai fuori un uovo di gallina, che avevo avvolto nella carta e sistemato in un contenitore dello yogurt, e lo misi nel nido. Sapevo che i corvi tendono a trattare gli oggetti di forma sferica come potenziali fonti di cibo – in genere lo sono – e sapevo anche che le uova di gallina e di altri uccelli sono tra i loro cibi preferiti. Mi chiedevo se la coppia avrebbe mangiato, covato o buttato via l’uovo, oppure abbandonato completamente il nido.

Non c’è niente di meglio che iniziare una nuova giornata pieni di aspettativa; fu così che il giorno dopo tornai speranzoso a controllare che cosa ne era stato dell’uovo. Qualunque cosa i corvi avessero fatto con l’uovo bianco che qualcuno aveva miracolosamente depositato nel loro nido in cima a un pino, potevo inventarmi una spiegazione. In realtà non avevo la più pallida idea di come avrebbe reagito la coppia. Quando mi avvicinai al nido, i corvi emisero richiami di allarme. Quando arrivai in cima all’albero, le uova erano calde. Tutte e sette.

Ero arrivato preparato all’eventualità che l’uovo di gallina fosse scomparso. Se così fosse stato, mi sarebbe rimasta la curiosità di stabilire se la coppia avrebbe accettato la presenza nel nido di un uovo dall’aspetto meno insolito. In considerazione di questa possibilità, avevo portato con me un altro uovo di gallina, ma dipinto di verde-azzurro e coperto di puntini come le uova dei corvi. Visto che avevano tenuto l’uovo bianco, sembrava molto improbabile che rifiutassero un uovo più simile ai loro. Ero sicuro che l’avrebbero tenuto nel nido. Ma già che c’ero, dopo la faticaccia della salita, non avevo nulla da perdere a fare anche questa verifica e a scambiare l’uovo bianco del giorno precedente con quello che avevo in mano.

Il giorno prima, dopo essere sceso dall’albero ed essermi allontanato dalla pineta, avevo sentito un melodioso glug-glug quando i corvi erano tornati al nido in cui avevo lasciato l’uovo bianco. Questa volta, invece, sentii la femmina gracchiare forte con voce aspra e profonda, un suono in genere associato alla rabbia. La prima volta era rimasta indifferente o semplicemente sorpresa? E questa volta era furiosa perché quell’uovo aveva l’aria di essere un uovo di corvo, e lei pensava che un’altra femmina si fosse intrufolata con cattive intenzioni? Sentii anche dei versi lamentosi provenire sia dal maschio che dalla femmina. Prima di allora non avevo mai sentito un corvo emettere quel genere di richiami vicino al nido. Strano. Visto che la reazione dei corvi al secondo uovo era stata così insolita, sarei dovuto risalire sull’albero ancora una volta, un altro giorno, per verificare se l’uovo era stato accettato o meno. Ma fin dove si sarebbe spinta la tolleranza della coppia? Avrebbero accolto nel nido anche un uovo rosso?

La domenica di Pasqua dipinsi di rosso un uovo di gallina. Sulla base di esperimenti fatti in precedenza sapevo che i tordi migratori accettano la presenza nel nido di uova verdi e blu, ma scartano quelle rosse. Portai l’uovo al nido. Pensavo che la coppia se ne sarebbe accorta in fretta, e avevo ragione. Mi nascosi nel bosco in mezzo alla nebbia e rimasi in ascolto aspettandomi di sentire di lì a poco un gran baccano.

Quando la femmina tornò al nido per riprendere a covare, proruppe in una lunga serie di kek-kek-kek. Si tratta del segnale di massimo allarme normalmente emesso quando un predatore si avvicina al nido. La femmina volò via e i versi diminuirono di intensità. Quindi fece numerosi tentativi di riavvicinamento al nido e ogni volta i richiami ripartivano a tutto volume. Ci vollero cinquanta minuti perché si calmasse. A quel punto sentii una serie di più sommessi e amichevoli gro.

Arrampicandomi ancora una volta al nido il giorno successivo, scoprii che la coppia aveva tenuto con sé anche l’uovo rosso. L’ultimo mio regalo per il nido fu un contenitore per rullini fotografici riempito d’acqua perché pesasse come un uovo. I corvi non ne vollero sapere, anche se come dimensioni non era così diverso dalle loro uova. E non si limitarono a buttarlo giù dal nido, perché quando lo cercai a terra intorno all’albero non lo trovai da nessuna parte.

La tolleranza dei corvi per gli oggetti estranei all’interno del nido ha un limite. Nel nido menzionato poco sopra, e in altri due che osservai in seguito, le uova venivano generalmente accettate anche se avevano colorazioni affatto insolite. In una serie di esperimenti che feci successivamente osservai addirittura che le coppie alla loro prima covata non reagivano per niente alle uova di gallina o alle imitazioni, forse perché erano inesperti e non avevano ancora imparato a riconoscere le proprie uova. A quanto pare, i corvi non hanno evoluto alcun comportamento di rifiuto delle uova, sebbene almeno una delle coppie di lunga data che osservai sembrasse riconoscere uova diverse dalle proprie e manifestasse allarme per la loro presenza. Talvolta il comportamento dei corvi può sembrare ottuso, ma non sempre esso rispecchia la loro intelligenza Anche le bambine coccolano bambole di pezza. Noi diamo sempre per scontato che conoscano la differenza tra una bambola e un bambino vero. Ma sarà davvero così?