Aquile e corvi veleggiano nel cielo nei pressi di Gardiner nel Montana, a circa otto chilometri dal parco di Yellowstone.
Il giovane dall’aria curata seduto accanto a me sul volo per Bozeman, nel Montana, si presentò dicendo che faceva il venditore di auto usate e che veniva da Memphis, Tennessee. Prima di rivolgermi la parola era intento nella lettura della Bibbia, e mi disse che con un gruppo di concittadini stava andando a un raduno per «imparare come parlare agli uomini per redimerli, così che possano andare in paradiso».
Mi chiese che lavoro facessi. «Studio i corvi» risposi. Ci fu una lunga pausa.
«Come si fa ad andare in paradiso?» gli chiesi.
«Bisogna avere fede nel Signore Gesù Cristo». Poi aggiunse: «Lei è credente?».
«Non ho bisogno di credere, so per certo di essere diretto in paradiso, in questo preciso istante» risposi. «Sto andando al parco di Yellowstone a osservare le interazioni tra corvi e lupi».
Giunti a Bozeman, io e mia moglie Rachel affittammo una macchina e andammo dritti a Gardiner, il paese che si trova all’ingresso nord del parco, per registrarci al motel che avevamo prenotato. Non ero mai stato in un albergo col parcheggio imbrattato di sangue. Accanto alla Nissan bianca che avevamo noleggiato c’erano diversi furgoni e rimorchi che trasportavano carcasse di wapiti sventrate. C’erano anche quattro fuoristrada del Montana Department of Livestock in cui sedevano uomini col fucile e il cappello a tesa larga. Erano i tiratori assunti dallo stato per uccidere i bisonti all’interno del parco. Nella nostra stanza, accanto ai bicchieri di plastica avvolti nel cellophane, c’erano degli stracci con un cartello che diceva: «Gli stracci sono a vostra disposizione. Per pulire i fucili. Per cortesia, riponeteli dopo il vostro fatto (sic). Non portateli via». Non mi sarebbe mai passato per la testa. Il giorno dopo era domenica e ci alzammo che era ancora buio. Le colline tutto intorno erano coperte di neve e la cittadina sembrava deserta. Andammo al Town Cafe per fare colazione. Il titolo a tutta pagina della «Billings Gazette» in vendita all’interno diceva: Tre morti in una rissa in un locale. La notizia del secolo. Sotto il titolo, in caratteri più piccoli, il giornale riportava che fino ad allora erano stati uccisi seicentosessantacinque bisonti, perché gli animali erano usciti dal parco in cerca di cibo. A ucciderli erano stati gli uomini del Montana Department of Wildlife che ogni sera tornavano a dormire al nostro motel. Entro la primavera ne sarebbero stati abbattuti altrettanti. Quasi un terzo della popolazione totale di bisonti del parco.
Nel locale ci saranno state decine di tavoli, tutti vuoti. «Dove sono tutti?» chiesi alla cameriera. «A caccia di wapiti» rispose lei.
I muri del locale erano coperti di trofei di caccia: teste di bighorn, bisonti, cervi mulo e wapiti. Partimmo all’alba, verso le 7.30, dopo aver mangiato i pancake più grossi che avessi mai visto in vita mia. Mentre uscivamo dal locale nell’aria grigia del mattino, un corvo passò in volo sopra le nostre teste, puntando dritto verso la mandria di bisonti che pascolava proprio davanti a noi, accanto alla porta di pietra del parco, l’entrata del paradiso.
I lupi erano presenti nel parco solo dall’autunno del 1994, quando erano stati reintrodotti dalle stesse agenzie federali che solo cinquant’anni prima si erano impegnate in una costosa quanto efficace campagna di sterminio a mezzo di veleno, trappole e dinamite. Ora i lupi venivano reintrodotti a fronte di una spesa di milioni di dollari, anche se col tempo sarebbero senz’altro tornati anche da soli. Ma se si fosse consentito che tornassero da sé, sarebbero ricaduti sotto la protezione dell’Endangered Species Act. Invece, reintroducendoli di proposito, il governo si riservava il diritto di ucciderli legalmente quando si allontanavano dai confini del parco. In questo modo i lupi non sarebbero stati intoccabili, bensì sotto la giurisdizione del governo. I lupi reintrodotti avevano formato dei branchi e presto avrebbero avuto i primi cuccioli. Tantissimi cuccioli. La loro presenza avrebbe tenuto il numero di wapiti, cervi e bisonti sotto controllo e impedito loro di distruggere l’ecosistema del parco. Gli ungulati si erano riprodotti senza controllo e stavano rendendo brullo l’intero territorio del parco. Con i lupi a tenerli a bada, sarebbero ricresciuti i pioppi. I castori avrebbero di nuovo avuto da mangiare. Le loro dighe avrebbero consentito a più anatre, oche e cigni di riprodursi, si sarebbero riformati i prati e i rallidi e gli scriccioli ... e così via. Si sarebbe ricreata una comunità, quella di cui anch’io mi sento parte e che comprende tutte queste specie, ma anche orsi, alci e corvi.
Doug Chadwick, mio amico nonché il mio contatto all’interno del «National Geographic», mi aveva detto che avremmo sicuramente visto i lupi nella valle del Lamar. Erano tutti muniti di radiocollare e, tra i censimenti aerei e quelli di terra, per la maggior parte del tempo si sapeva dove fossero e cosa stessero facendo. Paradossalmente, i lupi del parco (che allora erano novantadue) erano divenuti delle celebrità, mentre fino a qualche tempo prima erano una «specie infestante». Ora invece i particolari della vita di questi animali erano descritti su tutti i volantini per i turisti, come se la loro presenza fosse motivo di vanto. C’era persino una pagina internet dedicata a loro. Si conoscevano l’identità e la storia di ogni singolo lupo, manco fossero animali domestici.
In quel primo giorno nel parco non vedemmo lupi, nemmeno il famoso branco del Druid Peak della valle del Lamar. Nelle valli aperte alle pendici delle montagne innevate avvistammo bisonti e alci che avevano lasciato un fitto reticolo di orme nella neve. A Mammoth Hot Springs i bisonti passavano addirittura per le vie tra gli edifici. Accovacciati sul ciglio della strada parevano non curarsi affatto di noi e ci guardavano coi i loro occhioni scuri e sporgenti. Sembravano letargici. Di tanto in tanto, passavamo accanto a corvi, coyote o bighorn.
Finalmente avvistammo in lontananza quattro coyote accompagnati da dei corvi. Nel giro di pochi minuti mi arrivarono alle orecchie quattro diversi tipi di richiami che non avevo mai sentito prima. I corvi del luogo emettevano richiami simili a rintocchi, ma composti da soli quattro suoni molto più secchi rispetto a quelli fluidi e rapidi dei corvi del Maine, al cui dialetto ero abituato io. Non c’erano lupi in vista, ma trovammo una carcassa recente di wapiti. Ormai non rimanevano che la pelle e le ossa, ma quando ci avvicinammo una dozzina di corvi si alzò in volo. Nei dieci giorni di permanenza a Yellowstone vidi nove carcasse di wapiti (femmine adulte o giovani) uccisi dai lupi. E a ognuna di esse osservai dei corvi.
La mattina seguente, all’alba, ci dirigemmo alla valle del Lamar e più e più volte vedemmo corvi volare in cerchio sopra le nostre teste. A volte erano individui isolati o coppie, altre volte gruppi di un massimo di sei individui. Se erano in coppia, di tanto in tanto uno dei due ritraeva un’ala e poi si sentiva un glug-glug-glug. Nella settimana seguente vedemmo spesso corvi volare in coppia al mattino presto e ci rendemmo conto che quei comportamenti erano comuni in quel contesto. In passato avevo sentito raccontare delle leggende eschimesi in cui i corvi ritraggono un’ala per indicare la preda ai cacciatori, emettendo al tempo stesso un richiamo particolare. Mi chiesi se questo fosse lo stesso comportamento a cui facevano riferimento quelle leggende.
Ancora una volta non vedemmo lupi, ma «seguendo» i corvi trovammo due wapiti morti da poco appena oltre la valle del Lamar. Il branco di Soda Butte, responsabile delle due uccisioni, aveva lasciato gran parte della carne sulle carcasse. Le due femmine di wapiti giacevano a poca distanza l’una dall’altra poco sopra Soda Butte. Una aveva solo una ferita profonda al collo, mentre l’altra aveva il fianco squarciato. Intorno a esse gravitavano dozzine di corvi, quattro aquile testabianca e un’aquila reale. Lì i corvi sembravano non curarsi minimamente delle aquile, ma poco prima, sulle pareti rocciose nei pressi di Mammoth Hot Springs, avevamo visto una coppia di corvi aggredire un’aquila reale e inseguirla per farla allontanare. Due o tre chilometri più avanti sulla stessa strada, vicino a Pebble Creek, trovammo altre tre carcasse di wapiti femmina e impronte di lupo e coyote ovunque. Una delle carcasse aveva un buco scavato nel quarto posteriore, che i corvi stavano utilizzando per raggiungere la carne. A meno di un chilometro trovammo altre due carcasse e anche lì c’erano dei corvi. I lupi del parco tendono a uccidere prede di frequente, mangiano solo la carne scelta e lasciano il resto per puntare subito alla successiva. Per i corvi, è il paradiso.
Quando, al pomeriggio, tornammo a Gardiner, quel lungo fine settimana volgeva al termine. Con esso si concludeva anche la seconda e ultima battuta di caccia al wapiti dell’anno (la caccia ha luogo in un «weekend lungo», da venerdì a lunedì). I cacciatori di bisonti se n’erano andati e il motel Best Western sembrava deserto. Guardando dalla finestra oltre il parcheggio e le case, vidi un gruppo di corvi fare piroette nel vento che si alzava dalle colline a nord-ovest della cittadina. Descrivevano ampi cerchi nel cielo in tutte le direzioni. Non potei resistere e uscii in macchina per osservarli più da vicino. Sulle pendici intorno alla cittadina vidi altri gruppi che piroettavano, scendevano in picchiata, giocavano e volavano insieme alle aquile testabianca sullo sfondo delle nuvole scure cariche di neve. Una delle aquile che volavano in cerchio aveva una targhetta rossa sull’ala sinistra e uno dei corvi la puntava di continuo cercando di beccarla.
Le aquile erano dirette a un dormitorio situato in una valle ricoperta di abeti enormi. I pendii alle spalle della cortina di abeti erano punteggiati di wapiti che, sempre più numerosi, si allontanavano dai confini del parco disegnando un fitto intreccio di impronte. Scendevano in fila, seguendo le tracce lasciate nella neve profonda da chi era passato prima di loro, per conservare energie. Avevano fame.
Le aquile arrivavano una a una planando con le ali immobili lievemente piegate. Appena superato il dormitorio le spiegavano e disegnavano un ampio cerchio nel cielo per rallentare la discesa e atterrare delicatamente su un albero. Una volta posati, emettevano un cinguettio o pigolio simile a quelli dei gabbiani e degli scolopacidi, che secondo alcuni rappresentano richiami per stabilire il contatto con il compagno. I salici sparsi sulle colline coperte di erica erano fittamente tempestati di macchie scure, i nidi delle gazze. Persino lì, a meno di cinque minuti di auto dal motel, nei punti dove i cacciatori avevano trascinato i wapiti sulla strada vidi moltissime strisce di sangue per terra. Da qualche parte c’erano sicuramente molte interiora di animali, ma non c’era traccia di lupi. Chissà se avrei visto dei corvi.
Nel parco, che un corvo poteva raggiungere in volo in un minuto, i lupi di un singolo branco uccidono in media un cervo ogni giorno e mezzo. In questo caso i corvi compaiono immediatamente attorno alle carcasse e si mettono subito a mangiare. Spesso sono in zona ancora prima che i lupi abbiano abbattuto la preda. Quella sera, in città, il documentarista Bob Landis ci mostrò un video in cui un branco di lupi trotterellava per diversi minuti in mezzo a un gruppo di wapiti, come esaminandoli. Poi un lupo accelerava all’improvviso e puntava un wapiti, tenendogli dietro anche quando questo si mescolava in mezzo al gruppo. Il lupo azzannava l’animale alla gola e con l’aiuto di un compagno lo trascinava a terra. Nel mentre si vedevano corvi volare in alto sopra di loro.
Abituati a mangiare con i lupi, i corvi avrebbero ignorato le interiora lasciate dai cacciatori fuori dal parco? Per scoprirlo, il mattino dopo di buon’ora uscii in auto e mi diressi verso Jardine su una stradina non asfaltata. Allo spuntare dell’alba sentii i corvi, poi li vidi arrivare. Volavano per lo più in coppia uno accanto all’altro e passarono da un estremo all’altro del mio campo visivo. Dove erano diretti, e perché?
Seguendo la traccia ormai quasi scomparsa lasciata da un bisonte, mi inerpicai a piedi sui pendii rocciosi e coperti di erica. In breve individuai le tracce rosse lasciate dai cacciatori che avevano trascinato carcasse nella neve e mi misi a seguirle. In tre ore e mezza, trovai ben sedici ammassi di interiora, la maggior parte delle quali contenevano fegato, milza, polmoni, viscere, stomaco e diaframma. Non vidi nemmeno un corvo mangiare, ma parte delle interiora era chiaramente stata rimossa. Perché i corvi non si erano precipitati lì in massa per approfittare del bottino e farlo sparire in un attimo? Ero stupito, ma in effetti le mie osservazioni erano in linea con i risultati degli esperimenti che avevo condotto in Nuova Scozia.
In pieno inverno mi ero recato al Canadian Wolf Research Center di Shubenacadie per osservare un gruppo di dieci lupi semiaddomesticati che vivevano in un recinto boschivo di quarantamila metri quadrati. In un esperimento mirato a stabilire le preferenze dei corvi, avevo lasciato nel recinto due ammassi di carne. I lupi mangiavano in gruppo e solo da una carcassa alla volta. Come nel parco di Yellowstone, anche in questo caso i corvi potevano scegliere di mangiare con o senza i lupi. Immancabilmente sceglievano di mangiare con loro. Mangiavano sempre alla stessa carcassa presso cui si trovavano i lupi o da cui i lupi si erano appena allontanati. Dato che, come avevo osservato in precedenza, i corvi sono estremamente timorosi, i risultati di questo esperimento erano forse la cosa più sorprendente e controintuitiva che avessi mai scoperto o udito riguardo ai corvi. Non aveva nessun senso.
Poi però ripensai ai corvi nel Maine, che si mostravano talmente impauriti di fronte alle carcasse da avermi indotto a pensare che fosse la paura dei predatori di terra a paralizzarli. Forse la mia interpretazione era completamente sbagliata. Forse i corvi avevano paura perché presso la carcassa non c’erano lupi a rassicurarli. L’idea era allettante, dovevo assolutamente raccogliere più dati. Forse i corvi sono «uccelli-lupo»! È possibile che questa forma di cooperazione tra corvi e lupi sia il prodotto di una evoluzione durata milioni di anni, in conseguenza della quale i corvi manifestano comportamenti innati che li legano strettamente ai lupi, al punto da provare disagio senza la loro presenza.
Nel tentativo di trovare altri ammassi di interiora e raccogliere più informazioni, mi spinsi sempre più in alto. Proseguendo attraversai un’area di neve alta, un terreno aperto dove cresceva solo erica e poi un bosco di abeti di Douglas in cui, oltre a quelli dei corvi, sentii il verso dello scoiattolo rosso, del picchio muratore pettofulvo e della nocciolaia di Clark. Sulla neve in mezzo agli alberi trovai macchie di sangue, ma nessun segno di trascinamento e intuii che doveva esserci un animale ferito nei dintorni. Seguii la traccia e trovai ben presto una carcassa di femmina di wapiti con il foro di una cartuccia di fucile nel ventre. Sul sottile strato di neve fresca c’erano tracce di uno o due corvi, che avevano mangiato l’occhio sul lato della testa accessibile e una parte della lingua dell’animale. Visto che lupi e coyote non erano ancora passati di lì, non c’era altro che gli uccelli potessero prendere.
La carcassa non era ancora stata aperta. Feci un’incisione nella pelle con il mio coltello a serramanico e spellai un fianco dell’animale per mettere i quintali di carne a disposizione degli uccelli. Mentre procedevo all’operazione, tre corvi passarono in volo sopra la mia testa e gracchiarono forte. Uno di loro atterrò su un abete lì vicino, mi osservò per un attimo, poi emise aspri gracchi di diversa durata e si allontanò. Rientrai al motel, pensando che al mio ritorno pochi giorni dopo avrei trovato un raduno di corvi alla carcassa.
Nel frattempo nel parco vidi una trentina di corvi arrivare in massa a una carcassa di cerbiatto meno di un’ora dopo che l’animale era stato ucciso dai lupi. E quando Doug Smith, responsabile del progetto di conservazione del lupo nel parco, ci portò a vedere il recinto dei lupi al centro dei guardaparco della valle del Lamar, trovammo corvi in quantità anche se sulle carcasse al suo interno non era rimasto nemmeno un boccone di carne. Quando invece tornai per ben tre volte alla carcassa che avevo squartato, non vidi nessun raduno, nonostante la grande quantità di carne a disposizione.
Una mattina, poco dopo colazione, andammo in macchina a Cooke City. Vicino a Soda Butte ci accostammo a due camioncini parcheggiati, uno dei quali aveva un’antenna radio montata sul tetto, un segno che c’erano ricercatori in zona e che probabilmente i lupi non erano lontani. Ci fermammo per presentarci. Nathan Varley, Lisa Belmonte e Dan McNulty stavano mettendo a fuoco tre telescopi terrestri sul fianco della collina e ci invitarono a dare un’occhiata.
Vidi tutti e cinque i membri del branco del Druid Peak sdraiati nella neve come una famiglia felice nel momento della siesta. Due erano neri, due grigi e uno marroncino. Quella mattina stessa, intorno alle 9.30, avevano catturato e ucciso una femmina di wapiti. Finalmente, ecco la natura selvaggia.
Il wapiti era adagiato sotto un pioppo tremulo. I lupi non avevano mangiato granché fino a quel momento, ma il secondo atto dello spettacolo stava per avere inizio. Tre o quattro corvi e altrettante gazze stavano pasteggiando. I corvi non sembravano curarsi delle gazze. Un’aquila reale scese planando sulla carcassa e vi si piazzò sopra. Corvi e gazze si alzarono in volo per un attimo, poi tornarono a terra, si misero a camminare in cerchio intorno alla carcassa avvicinandosi piano piano e infine ripresero a mangiare. Dopo mezz’ora l’aquila reale se ne andò e venne sostituita da un’aquila testabianca. I corvi e le gazze non si mossero. Non vidi nessun corvo inseguire altri uccelli per rubare loro da mangiare, come avevo visto fare nell’Oregon. Né li vidi esitare di fronte alla carcassa, come fanno nel Maine. La presenza dei lupi faceva sì che non avessero paura. Erano liberi di mangiare direttamente dalla carcassa.
Poche ore dopo prese a nevicare forte. I lupi si rialzarono e si stiracchiarono. Uno di loro si avvicinò alla carcassa e mangiò un boccone, poi si allontanarono tutti insieme camminando in fila e, sparendo dietro una cresta, svanirono come fantasmi nella neve fitta. Il giorno dopo tornai a esaminare la carcassa e trovai tracce recenti di coyote e donnola. Le carcasse venivano sempre utilizzate tutte anche se i lupi ne mangiavano solo una piccola parte. Nutrivano donnole, grizzly, coyote, volpi, coleotteri e corvidi, aquile, larve (di coleotteri) e magari anche l’occasionale ghiottone. I lupi procuravano da mangiare a tutte queste specie, ma in questo caso mi aspettavo che sarebbe rimasto ben poco per le larve di mosca in primavera.
Mi dissero che talvolta i corvi seguivano i lupi, e anche quando non si vedevano star dietro al branco, erano «sempre» a «qualche minuto di distanza». Quelli che fanno ricerca sui lupi, come i semplici appassionati, danno per scontata la presenza dei corvi, e il loro commento abituale è che corvi e lupi stanno bene insieme. La cosa è per loro talmente normale che raccogliere dati a riguardo sembrava inutile. Cercai di convincerli del contrario, facendo loro notare che nessuno sa in realtà fino a che punto i corvi sorveglino o seguano i carnivori, o se essi invece siano solo opportunisti con la vista abbastanza acuta per capire quando una fonte di cibo si rende disponibile e appropriarsene come pensano tutti, cosa che i miei dati mettevano in dubbio. La mia esortazione non restò inascoltata.
Di lì all’inverno seguente Doug Smith avrebbe dato pieno supporto a una ricerca sui corvi condotta parallelamente a quella sui lupi. Dan Stahler, che già si occupava del monitoraggio dei lupi, acconsentì a raccogliere dati sui corvi; il protocollo concordato prevedeva la raccolta sistematica di informazioni per la prima valutazione critica dell’associazione tra corvi e lupi.
Alla fine di novembre del 1997, dopo i primi sette giorni di osservazioni sui quindici lupi del branco Rose, Dan mi fece rapporto. In quel lasso di tempo aveva monitorato ventiquattro periodi di attività del branco e osservato i lupi in movimento, a riposo, a caccia, mentre mangiavano e intorno alle carcasse. In tutte quelle occasioni, a eccezione di tre, i lupi erano accompagnati da corvi. Nel caso dei coyote, invece, i corvi erano presenti in solo due dei nove periodi di attività osservati. A marzo, Dan aveva raccolto dati su più di venti animali uccisi di recente, e in ciascun caso i corvi avevano iniziato a mangiare le carcasse «dopo pochi secondi o pochi minuti». Il numero medio di corvi accanto alle carcasse di animali uccisi dai lupi era trentadue, ma più spesso variava tra quindici e trenta, con un picco di ottanta in un solo caso. I corvi mangiavano regolarmente in compagnia di lupi, coyote e aquile.
Le parole di Dan trasmettevano entusiasmo: «Mercoledì scorso ho visto un grizzly enorme rimanere sdraiato per più di quattro ore su un wapiti che i lupi avevano ucciso da poco, mentre nove lupi e tra i dodici e i sedici corvi cercavano di avvicinarsi per mangiare. Un paio di volte l’orso si è addormentato a zampe divaricate sulla carcassa, con i lupi che si riposavano a meno di trenta metri di distanza. L’orso riusciva facilmente a tenerli a bada, ma era assai irritato dai corvi che continuavano a strappare bocconi, nonostante lui si avventasse su di loro. È stata una delle scene più interessanti che abbia mai osservato sul campo. Doug [Smith] ha iniziato a raccogliere dati durante il censimento aereo [su un velivolo leggero]. L’altro giorno ha visto tre branchi di lupi inseguire dei cervi (in due casi l’inseguimento ha portato all’uccisione). In due di queste cacce i corvi volavano direttamente sopra la zona o erano appollaiati a poca distanza. In un caso otto corvi e due aquile testabianca si libravano direttamente sopra gli otto lupi coinvolti nella battuta di caccia. Stupefacente!».
Sono d’accordo. Sembra proprio che si stia delineando uno scenario in cui i corvi dipendono dai lupi non solo perché squartano le carcasse per loro, ma anche per superare la loro innata diffidenza per le grandi quantità di cibo, siano esse carcasse o mucchi (si veda sopra, cap. 18). Tutto ciò suggerisce che l’associazione tra le due specie abbia radici evolutive antiche.
NOTA. Mentre il libro andava in stampa, Dan, con il sostegno e il permesso delle autorità del parco, ha iniziato a lasciare carcasse di cervi, con carne esposta, nei luoghi in cui almeno trenta volte in passato i corvi erano comparsi nei pressi delle carcasse e avevano mangiato insieme ai lupi dopo pochi minuti. Nei venticinque test con carcasse portate da Dan dove non c’erano lupi nessun corvo arrivato sul posto si era messo a mangiare durante l’ora di osservazione prevista dal protocollo. Nei nove casi in cui la carcassa era stata avvistata da uno o due corvi, questi avevano volato sopra di essa per un breve periodo e poi si erano allontanati.