La «banda dei quattro» impegnata in un pasto conviviale.
Molti studiosi di ecologia comportamentale cercano di scoprire le regole del comportamento come se si trattasse di verità immutabili. In realtà, la parola «regola» applicata al comportamento animale non è che una scorciatoia verbale. Una «regola» è semplicemente una risposta costante. Non si tratta di obbedire a una legge. Se gli animali obbediscono a delle regole, allora noi facciamo lo stesso andando in spiaggia quando ci sono trenta gradi ma non quando la temperatura è sotto zero. Le regole non sono altro che la somma di decisioni individuali che vengono poi esibite dai gruppi, non viceversa. Cioè, le regole sono il risultato, non la causa. Sono il comportamento medio che noi umani, così come altri animali, mettiamo in atto o perché siamo programmati per farlo, o perché l’abbiamo imparato o perché così abbiamo deciso sul momento.
Gli animali esibiscono una costanza nei loro comportamenti solo quando questi sono vantaggiosi per i singoli individui. La necessità di comportamenti costanti nel trattare con altri individui è ovvia tra gli animali sociali, per i quali gli altri membri del gruppo sono parte del contesto così come la temperatura e altri fattori ambientali. Negli animali sociali, quindi, è forse più appropriato parlare di regole nel senso di leggi, visto che alcune risposte comportamentali non sono solo il risultato dell’evoluzione, ma sono talvolta obbligate nelle circostanze specifiche.
Che un certo comportamento sia accettabile o meno può dipendere dal fatto che sia diretto verso altri membri del gruppo o verso estranei. Il gruppo può applicare sanzioni e infliggere punizioni per imporre la propria «moralità», che riflette gli interessi del gruppo. Tra gli esseri umani, soprattutto nell’ambito politico e religioso, la moralità viene persino utilizzata come un’arma per imporre gli interessi di un gruppo specifico o la linea di un partito. Nel corso di anni di studi abbiamo scoperto alcune «regole» del comportamento di gruppo dei corvi. Ad esempio, abbiamo osservato che in media i non residenti si disperdono su un’area molto vasta agendo come singoli individui, formando occasionalmente bande per avere la meglio su coppie residenti che impediscono loro l’accesso a una fonte di cibo.
Talvolta gruppi di uccelli formati da un numero di individui da quattro a dodici si associano in quelle che sembrano delle partnership sociali. Un inverno, Golia e Pennabianca lasciarono addirittura avvicinare giovani non residenti a una carcassa di vitello non lontana dal loro nido. Ho visto gruppi di sei-otto individui arrivare all’improvviso a una carcassa che era stata per settimane proprietà esclusiva di una coppia. I corvi formano gruppi in cui è necessario rispettare determinate regole comportamentali come fanno altre specie? E quali sono queste regole? Per scoprirlo, avevo bisogno di un gruppo consolidato da osservare per lunghi periodi. Golia, Ciuffo, Mancina e Houdi sembravano la soluzione ideale, visto che vivevano insieme da mesi e da tempo avevano smesso di combattere tra loro.
Il 2 febbraio 1995 rilasciai nella voliera un corvo selvatico, una femmina di un anno. Aveva l’interno della bocca a macchie e le penne timoniere e primarie di colore marroncino. Golia e Houdi, che allora erano gli individui dominanti, si lanciarono immediatamente all’inseguimento. Golia costrinse la femmina a ritirarsi in un angolo del capanno e standole addosso si esibì in un display di dominanza («orecchie» alzate, postura eretta, becco rivolto verso l’alto). Di tanto in tanto le tirava una penna delle ali o della coda, scatenando proteste clamorose, ma nessuna reazione fisica. Ciuffo, che era subordinato a Golia, non si avvicinò mai alla nuova arrivata. Houdi invece non la lasciò in pace un istante. Le stava addosso e le tirava le penne delle ali o della coda. Di tanto in tanto la nuova arrivata cercava di tenere lontana Houdi allungando una zampa, ma finiva sempre per arretrare, senza peraltro smettere di gracchiare in segno di protesta contro la tortura che stava subendo. Una volta messa in chiaro la gerarchia di dominanza e stabilito il sesso della nuova arrivata, i quattro la ignorarono completamente.
L’accesso al cibo era tutt’altra storia. Quando posai del cibo sulla neve, la femmina estranea veniva attaccata ogni volta che vi si avvicinava, anche se tutti gli altri si erano già saziati. Appollaiata in disparte mentre gli altri mangiavano, diede in escandescenze. Prese a beccare con violenza il posatoio e le pareti del capanno in cui si era nascosta. La scena si ripeteva ogni volta che vedeva gli altri mangiare. Manifestava la propria rabbia solo quando gli altri si trovavano vicino al cibo che le era negato. Qualche ora dopo, quando gli altri erano altrove, si avventurava fuori del capanno e scendeva a terra per cercare di mangiare, ma ogni volta che si avvicinava al cibo i quattro le piombavano addosso. Quando le si scagliavano contro, assumeva la posizione di sottomissione: scuoteva la coda ritraendo il collo e abbassava le ali. Per un corvo questa è la massima forma di implorazione e serve a dire «per favore...» («... lasciatemi mangiare», «... lasciatemi accoppiare», «... lasciatemi in pace», a seconda del contesto). La banda dei quattro non ne volle sapere. C’era fra loro un grado di coesione e cooperazione eccezionalmente alto per un gruppo di corvi.
La femmina finì per avere più paura dei quattro conspecifici che di me. Si appollaiava tranquilla a meno di cinque metri da me osservando attentamente gli altri uccelli, soprattutto quando nascondevano cibo nella neve. Volava spesso a terra nel tentativo di dissotterrarlo, ma solo quando chi l’aveva nascosto era di spalle o impegnato a mangiare. All’inizio aveva cercato di rubare un boccone subito dopo che il proprietario l’aveva sotterrato ed era volato via per tornare alla carcassa. I quattro però si accorsero ben presto della sua strategia e presero l’abitudine di tornare indietro per scacciarla non appena si avvicinava al loro ultimo nascondiglio. Dopo una serie di tentativi falliti, la femmina imparò a rubare il cibo nascosto qualche tempo prima, al quale quindi i quattro prestavano meno attenzione. Con l’inganno, a volte riusciva a mangiare un boccone prima che gli altri si accorgessero dei furti.
Dopo un paio di giorni gli attacchi di Houdi alla nuova arrivata diminuirono alquanto di intensità. Tuttavia, i quattro continuarono a impedirle di avvicinarsi a ogni mucchio di cibo che portavo loro, al punto che riusciva a mangiare solo quando rubava le loro scorte. Davo per scontato che in breve tempo gli altri avrebbero tollerato la sua presenza presso la carcassa e tutto si sarebbe risolto per il meglio, a patto che vi fosse un surplus di cibo. Quando dovetti tornare nel Vermont, mi assicurai che nella voliera ci fosse cibo a sufficienza, comprese due grosse carcasse di vitello. Data l’abbondanza di cibo, mi aspettavo che, come di solito accade all’interno dei gruppi, la tolleranza avrebbe finito per prevalere.
Al mio ritorno rimasi invece sorpreso e inorridito nel vedere la femmina che giaceva morta nella neve. Aveva sangue rappreso sul petto, lacerazioni alle pelle delle zampe e delle ali e segni di beccate e ferite, oltre che lividi, su tutta la testa e intorno al becco. Aveva sanguinato, e solo gli animali vivi sanguinano. I corvi strappano gli occhi agli animali che intendono mangiare, ma una forma di inibizione sociale, una sorta di «regola», impedisce loro di beccare gli occhi di altri corvi, eppure gli occhi della femmina erano pieni di beccate. Insomma, non c’erano dubbi che fossero stati i miei quattro amici a ucciderla. Era morta sdraiata sul dorso nella neve mentre cercava di difendersi con le zampe. Non avevano mangiato nessuna parte del suo corpo.
Forse la banda dei quattro, tenuti forzatamente insieme più a lungo di quanto accadrebbe in natura, era diventata una sorta di «club esclusivo» i cui membri erano divenuti meno tolleranti nei confronti degli estranei. Ma non era quella la causa del misfatto. Se mai, era uno dei fattori che vi avevano contribuito.
L’uccisione della femmina fu particolarmente scioccante perché in passato avevo visto che i corvi, per quanto affamati, non uccidono mai l’individuo più debole del gruppo. Minacciano regolarmente e aggrediscono ma senza troppa violenza altri individui in procinto di rubare le loro scorte. Avevo anche visto più individui allearsi per attaccare un conspecifico per motivi a me poco chiari. Ma questa uccisione era stata una punizione insolitamente severa. Andava ben oltre il comportamento normale dei corvi che vogliono allontanare un concorrente dalle proprie scorte o che mostrano disapprovazione per una lieve infrazione. Era una censura portata all’estremo.
Probabilmente l’uccisione era una punizione per una serie di infrazioni. Anche tra gli umani, l’oltraggio subito viene spesso invocato per giustificare atti crudeli, una pratica cui sono ascrivibili grandissime sofferenze in tutto il mondo. Non possiamo aspettarci niente di diverso dai corvi.
Gli atti di ritorsione non sono rari tra gli uccelli. Molti tormentano chi ha distrutto il loro nido. Una volta mi recai in visita all’Università di Groningen in Olanda, dove una coppia di gazze aveva costruito il nido sull’edificio sede della facoltà di biofisica, esattamente di fronte a un nido di cornacchie dall’altro lato del parcheggio. Non ci volle molto prima che si scatenassero frequenti battaglie tra le due coppie. Nell’escalation di violenza, le cornacchie finirono per uccidere una delle gazze. Dal punto di vista delle cornacchie, era stata fatta giustizia; per le gazze, invece, era stata commessa un’ingiustizia.
Capita pure che vengano presi di mira individui della stessa specie. Una volta, durante l’inverno nei boschi del Vermont, assistetti all’azione concertata di un gruppo di corvi che cercavano di bloccare e aggredire un singolo individuo. Sia io che altri abbiamo visto le cornacchie fare la stessa cosa. Inizialmente mi era sembrato logico supporre che gli uccelli aggredissero un conspecifico semplicemente perché era un estraneo, non già perché avesse fatto qualcosa che disapprovavano o avesse fatto del male a uno di loro. Ammettere la possibilità che uno del gruppo fosse stato ferito e che per questo motivo gli altri si sentissero oltraggiati significherebbe passare dall’idea di una reazione rabbiosa a quella di comportamenti ispirati da princìpi morali che presuppongono il rispetto delle regole.
Molti uccelli aggrediscono chiunque si avvicini al nido, al partner, al cibo o al territorio. Gli intrusi vengono puniti per le loro presunte intenzioni. Non c’è bisogno di chiamare in causa la moralità per spiegare questo comportamento: gli uccelli difendono semplicemente i propri interessi. Siamo abituati a pensare alla moralità come un insieme di comportamenti volti a difendere non solo il proprio interesse individuale, ma quello del gruppo. Ma la distinzione non è così netta come potrebbe sembrare a prima vista. Ad esempio, una cornacchia che difenda il proprio nido da un corvo si sta di fatto mettendo in una situazione di pericolo a beneficio del partner e degli aiutanti. Gli uccelli che nidificano in colonia tendono a difendere tutta la colonia, oltre che i propri interessi individuali. Un uccello che abbia sorpreso un razziatore di nidi nell’atto di distruggere il suo nido si ricorderà di quale specie si trattava, o addirittura riconoscerà l’individuo responsabile dell’aggressione. Kevin McGowan della Cornell University, ad esempio, si arrampica regolarmente sugli alberi per inanellare i piccoli nei nidi delle cornacchie ed è l’unico tra gli studenti e i professori a essere regolarmente attaccato dalle cornacchie mentre cammina nella zona verde della città universitaria. I primi ad attaccare sono i proprietari del nido più vicino a dove si trova in quel momento, ma poi accorrono in loro aiuto le coppie di uccelli del vicinato.
Un corvo si ricorderebbe di certo di un conspecifico che cercasse ripetutamente di rubare le sue scorte, soprattutto se lo avesse sorpreso ogni volta con le mani nel sacco. Ed è facile che questo accada nello spazio delimitato della voliera, dove il ladro non può sfuggire allo sguardo vigile dei compagni. I corvi prendono nota dei trasgressori e, a quanto pare, si vendicano. Nel loro sistema, come nel nostro, questa è la forma primitiva di giustizia. In un sistema del genere, gli «estranei» – ovvero coloro che per un motivo o per l’altro vengono bollati (o che si presentano) come tali – vengono spesso automaticamente presi di mira.
La mia ipotesi è che la femmina uccisa nell’esperimento menzionato poco sopra avesse rubato dalle scorte di tutti e quattro i corvi addomesticati. E tutti e quattro stavano semplicemente difendendo i propri interessi. In questo caso il loro comportamento non era morale nel senso che noi attribuiamo a questa parola. D’altra parte, se anche solo uno dei quattro non fosse stato derubato, ma avesse comunque preso parte all’assassinio della femmina perché aveva rubato del cibo dalle scorte degli altri, allora, da un punto di vista puramente accademico, quel corvo aveva agito moralmente e aveva cercato quello che gli umani chiamerebbero giustizia, difendendo gli interessi del gruppo ed esponendosi nello stesso tempo a un rischio.
I due esperimenti successivi mi confermarono che l’interesse del gruppo può influenzare le scelte individuali. Nel primo esperimento presentai tre corvi di un anno (che erano cresciuti insieme) al mio gruppo di sei individui che vivevano insieme da ormai due anni. I sei partirono immediatamente all’attacco dei giovani, nonostante nessuno di questi avesse saccheggiato i loro nascondigli. Ancora più interessante fu il fatto che quando uno dei sei corvi attaccò uno dei tre giovani, gli altri cinque si precipitarono ad aiutarlo. Nel secondo esperimento osservai che quando una coppia era pronta a nidificare uno dei due membri di essa di tanto in tanto manifestava aggressività nei confronti degli altri quattro corvi presenti all’interno della voliera. Curiosamente, ogni volta che uno dei due attaccava qualcuno, prima il compagno e poi anche gli altri gli davano manforte. Le precedenti osservazioni mostrano che, quando l’azione oltraggiosa si esercita e viene percepita come violazione della «linea del gruppo», la tolleranza iniziale dei singoli individui viene meno. Inoltre, gli attacchi di gruppo sono spesso lanciati dai leader, mentre gli altri individui mostrano una chiara tendenza gregaria. Il caso estremo di questa reazione, l’assassinio, è di conseguenza un’azione necessaria a livello sociale e, quindi, morale.
I corvi sono ben noti per essere intolleranti. Come descritto in precedenza (si veda sopra, cap. 7), l’intolleranza reciproca è un meccanismo utile a mantenere le distanze tra i nidi. Eppure, seguendo via radio il corvo 8130 (si veda sopra, cap. 8) constatammo che un uccello residente (proprietario di un territorio) poteva tranquillamente attraversare più volte i territori di altre sette coppie persino nella stagione riproduttiva, quando gli uccelli territoriali sono al massimo dell’intolleranza nei confronti dei conspecifici. In inverno, all’inizio della stagione riproduttiva, avevo spesso osservato diverse coppie mangiare una accanto all’altra dalla stessa carcassa e avevo visto Golia e Pennabianca socializzare con i vicini in volo. Tra i resoconti che avevo ricevuto ce n’erano alcuni molto interessanti che suggerivano che i corvi possono tollerare la presenza di altri individui persino nei pressi del nido.
Hans Christensen e Thomas Grünkorn, seguendo ottocento nidiate di corvi nella regione dello Schleswig-Holstein nel nord della Germania dal 1985 al 1996, in cinque differenti occasioni (rispettivamente nel 1991, 1992, 1994, 1995 e 1996) trovarono un nido difeso da tre adulti. L’aiutante, che a giudicare dalla taglia doveva essere una femmina, in genere dava anche lei da mangiare ai piccoli. In Svizzera, Markus Ehrengruber e Hans-Rudolf Aeschbacher osservarono un terzo individuo, probabilmente maschio, nutrire una femmina durante la cova e occasionalmente videro questo «aiutante» vicino al nido o poco lontano, ma alla fine il nido, con i piccoli, venne distrutto. Non si riuscì a stabilire il motivo. Lorenzo Russo, che studiava i corvi nell’isola di Stromboli, mi disse di esser stato aggredito da una coppia mentre si stava arrampicando verso il nido. A un certo punto la coppia si allontanò per fare ritorno poco dopo con tre aiutanti, che si unirono ai due negli attacchi. A Raven Rock, a ovest di Moretown, nel Vermont, Chris Walsh osservò lo stesso comportamento durante il mese di maggio nei pressi di un nido. La coppia residente aggrediva Chris e un suo collaboratore abbassandosi fino a sei metri sopra le loro teste. Chris scrisse: «Lo spettacolo era affascinante e decidemmo di restare». Ma «presto la coppia scomparve dal nostro campo visivo volando a sud sopra la vallata. Pochi minuti dopo, con nostra grande sorpresa, un gruppo di otto corvi comparve dalla stessa direzione e si diresse verso di noi. Insieme, gli otto corvi ripresero la concitata esibizione di poco prima». È stata descritta un’analoga azione di disturbo da parte dei corvi contro un’aquila reale che stava predando un loro conspecifico (Dawson, 1982).
Non abbiamo alcuna idea di chi possano essere gli «aiutanti» al nido, a quanto pare molto rari. Potrebbero essere vicini che hanno a loro volta un nido da difendere, giovani delle nidiate precedenti che non hanno ancora lasciato i genitori, o strani maschi alla ricerca di amicizie con delle coppie nella speranza di accoppiarsi di straforo con la femmina, o ancora vicini che hanno formato una coalizione con la coppia per reciproca protezione.
Carsten Hinnerichs, dell’Università di Potsdam, mi disse che un anno, verso la fine dell’inverno, nel periodo in cui i corvi si preparano a nidificare, vide in varie occasioni nel corso di due settimane sei corvi che volavano regolarmente insieme, divisi in tre coppie. Le coppie avevano le penne della testa arruffate, emettevano dei glug-glug e si comportavano come di solito succede durante il corteggiamento. I gruppi di giovani fanno piroette in volo per tutto l’anno, ma nessuno aveva mai osservato tre coppie esibirsi in un display di corteggiamento; di solito il comportamento si manifestava solo in coppie isolate.
La notizia dei sei corvi che volavano a coppie durante il periodo della riproduzione mi esaltò, perché avrebbe potuto far luce sulla flessibilità delle strutture sociali. Poco lontano, sui pini ai margini di una grossa discarica, Carsten trovò tre nidi recenti che formavano una «piccola colonia». Ad aprile, in ciascun nido c’era una femmina intenta alla cova. Il fatto che i tre nidi fossero così vicini da sembrare quasi una colonia mi sembrò straordinario. Era la prova di una incredibile deviazione dal comportamento territoriale che Grünkorn aveva osservato nella Germania settentrionale (si veda sopra, cap. 7) e da quello a cui io ero abituato nel New England. Apparentemente questi corvi, come alcuni altri che nidificano su isole oceaniche (Nogales, 1996), tolleravano la presenza gli uni degli altri. Nel Maine i corvi difendono con violenza anche la più piccola delle carcasse, ad esempio di lepre, inseguendo per chilometri e chilometri qualunque corvo osi avvicinarsi ad essa. Vengono difese anche carcasse di grandi dimensioni, come quelle di vitello o di cervo, ma, quantomeno all’interno della voliera, una volta che i corvi si sono saziati l’intolleranza – se non altro nei confronti degli individui famigliari – diminuisce fino quasi a sparire. La straordinaria tolleranza dei corvi in Germania nei confronti dei conspecifici potrebbe non essere così insolita. Forse si tratta solo di una risposta normale a una situazione che si verifica di rado.
La discarica di Zehlendorf dove Carsten aveva osservato i tre nidi vicini era una specie di Shangri-La per i corvi. C’era cibo ovunque e i camion ne consegnavano regolarmente in grandi quantità, tutti i giorni dell’anno, un anno dopo l’altro. Forse la fornitura costante di cibo era un motivo sufficiente per convincere i corvi a nidificare gli uni vicino agli altri. Ma nessuno dei tre nidi sopravvisse. Carsten trovò gusci d’uovo sparsi al suolo sotto i nidi, insieme a una parte del rivestimento al loro interno strappato via. I dati raccolti da Lo Liu-Chin, un ricercatore dell’Università di Saarbrücken di origine taiwanese, forniscono un indizio per capire che cosa non aveva funzionato.
Lo studio approfondito compiuto da Liu-Chin su centinaia di nidi di corvi metteva a confronto il successo di nidi situati in due diverse località della Germania nella brughiera di Rostocker e nei pressi della discarica di Grevesmüler. Come Carsten, Liu-Chin trovò una «colonia» di corvi nella pineta a meno di cento metri dalla discarica. Stranamente, nonostante la disponibilità di cibo, il successo riproduttivo dei corvi vicino alla discarica era molto minore di quello dei corvi della brughiera. I corvi nidificavano più tardi, i nidi venivano spesso abbandonati e ben tre quarti dei tentativi di nidificare fallivano completamente. I nidi «di successo» contenevano in media tre piccoli invece dei cinque presenti nelle aree limitrofe. Ma la cosa più strana era che i giovani avevano muscoli della coscia molto sottili, caratteristica degli uccelli non adeguatamente nutriti. Liu-Chin pensò che, nonostante l’abbondanza di cibo, i corvi alla discarica dovessero passare molto più tempo a difendere il nido e di conseguenza avessero meno tempo per procurarsi il cibo.
Ma da chi dovevano difendersi? C’era davvero un conflitto in corso tra le coppie che nidificavano una accanto all’altra? A mio parere, l’ipotesi opposta, cioè che le coppie in realtà cooperassero, era altrettanto plausibile. Forse, addirittura difendevano tutti insieme i «loro» nidi dalle orde di giovani che sono sempre presenti in massa alle discariche. Nello stesso periodo in cui Carsten aveva osservato la distruzione dei tre nidi, alla discarica erano comparsi una cinquantina di giovani che si erano stabiliti in zona. A metà maggio i cinquanta corvi erano divenuti quasi cinquecento. Forse erano stati loro a distruggere i nidi. Forse lo scarso successo riproduttivo dei corvi che nidificavano vicino a grandi quantità di cibo osservato da Carsten e Liu-Chin non era indice di un conflitto tra le coppie, ma di un conflitto con gli onnipresenti giovani. Per cercare di capire se avessi ragione, chiesi a Carsten di mostrarmi la discarica di Zehlendorf e la mia visita al sito nel luglio del 1997 rappresentò il culmine del mio viaggio in Germania.
Analizzando la situazione, c’erano due cose che non mi tornavano. Prima di tutto il fatto che i nidi fossero stati distrutti proprio in coincidenza con l’arrivo di centinai di giovani alla discarica; secondo, l’estrema vicinanza dei nidi alla discarica, quando invece i dormitori dei giovani non residenti erano parecchio più distanti. Contai i passi tra ognuno dei tre nidi e la discarica (da cento a centosessanta passi) ed esaminai con attenzione il terreno al di sotto dei nidi. Nel Maine, in quattro diverse occasioni (e in anni diversi) dopo che in zona era passato in gruppo di giovani avevo trovato il rivestimento interno del nido a terra. Nel Vermont, nella primavera del 1998 un gruppo di giovani si era stabilito per un periodo nei pressi di casa mia ed entrambi i nidi lì vicino erano stati distrutti per la prima volta in anni. Anche in questo caso, come nel New England, il materiale usato per rivestire il nido era sparso ovunque sul terreno. In genere, i predatori si interessano solo al contenuto del nido. Nessun’altra specie si metterebbe a spargere pezzi di rivestimento ovunque, un comportamento piuttosto bizzarro. Era la prova concreta che non era stato il conflitto tra le coppie a causare la distruzione dei nidi, bensì quello tra i giovani vaganti, esclusi dalla riproduzione, e i riproduttori residenti.
Quando visitai la discarica di Zehlendorf c’erano ancora circa cinquecento giovani in zona. Camion pieni di spazzatura passavano rombando proprio di fronte ai pini dall’altro lato del sito costantemente rifornito di cibo e il vento aveva creato una montagna di sabbia su cui gruppi di giovani corvi ben pasciuti e probabilmente non ancora a coppie si radunavano per giocare. Li osservammo schierarsi in fila in cima al banco di sabbia, aprire uno a uno le ali per essere sollevati dal vento, poi chiudere le ali e ricadere dolcemente a terra cavalcando l’aria come surfisti. Altri giocavano con le correnti ascensionali. Arrivavano disegnando cerchi nel cielo da chilometri di distanza. La loro discesa era accompagnata da un gracchiare rauco, poi si tuffavano in picchiata e scendevano piroettando tra i cumuli. Di notte la folla chiassosa si radunava a circa un chilometro e mezzo dal perimetro della discarica, in un dormitorio nella pineta dove per mezzo ettaro il terreno era coperto di penne, borre ed escrementi.
Ma c’era qualcos’altro che non mi tornava. Perché i giovani si spostavano di un chilometro e mezzo ogni sera quando avrebbero potuto dormire alla discarica? E perché invece le coppie passavano la notte alla discarica, quando avrebbero potuto allontanarsi le une dalle altre e dai giovani, a quindici chilometri o più da quel trambusto? Perché uno dei nidi era stato distrutto prima della schiusa delle uova? Doveva esserci un motivo per cui i nidi erano così vicini tra loro e così vicini alla discarica. Come mostrato dai miei esperimenti nella voliera, la tolleranza dei corvi per i conspecifici aumenta in funzione della quantità di cibo e del tempo trascorso insieme dagli individui in questione. Ero quasi sicuro che le tre coppie che nidificavano alla discarica si conoscessero da tempo, il che rendeva possibile una mutua alleanza.
Molto spesso i giovani riescono a sopraffare le coppie. Perché non il contrario? Perché coppie che nidificano le une vicino alle altre non potrebbero allearsi, se non devono competere per le risorse alimentari? Pur rifornendosi tutte alla discarica, le tre coppie avevano comunque più cibo del necessario, ma se fossero riuscite ad allontanare i giovani che distruggevano i nidi il loro successo riproduttivo sarebbe aumentato sensibilmente. Mentre questo libro andava in stampa, Carsten mi comunicò che la piccola colonia di tre coppie di corvi alla discarica era passata a nove coppie! Che le coppie presenti avessero consentito ad altre di unirsi al gruppo, man mano che gli individui, frequentando una fonte di cibo permanente, avevano fatto la conoscenza gli uni degli altri?
L’abbondanza di cibo si traduce in una diminuzione della competizione e delle aggressioni (o in un aumento, a seconda delle circostanze), mentre il diminuire delle risorse alimentari comporta sempre maggiore competizione e più aggressività. Vale la pena difendere una carcassa di dimensioni medio-piccole; nelle foreste del Maine, se due coppie di vicini si incontrano alla carcassa di un coniglio, si batteranno per il suo possesso. La battaglia mina la fiducia reciproca degli individui e impedisce che il cibo venga condiviso. Eppure, condividere sarebbe la strategia migliore nel caso di una risorsa di cibo «di lunga durata» e di grosse dimensioni, come la carcassa di un alce: una coppia che condivida il cibo con un’altra subirà solo effetti negativi minimi e immediati, mentre la coppia ricevente ne trarrà un beneficio immediato enorme. Se in futuro i riceventi si comportassero nello stesso modo di fronte a un’altra carcassa, allora sul lungo periodo tutti gli individui coinvolti trarrebbero beneficio da questo comportamento. I corvi possono vivere decine di anni (Clapp et al., 1983) e nidificano sempre nello stesso posto. Mi chiesi se e come i vicini di casa finiscano per fare conoscenza gli uni degli altri sino al punto in cui il comportamento di condivisione a una carcassa diventa possibile e procura benefici a tutti gli individui coinvolti. Poteva essere che questo accadesse tramite i giochi aerei che avevo osservato tra vicini di casa e che mi ricordano le partite a calcetto tra dipartimenti?