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Un corvo intento a risolvere il rompicapo del pezzetto di carne attaccato allo spago.

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METTERE ALLA PROVA L’INTELLIGENZA DEI CORVI

Sebbene i corvi abbiano un cervello relativamente grande e facciano molte cose che sembrano intelligenti, non c’era ancora la prova sperimentale che siano effettivamente dotati di intelligenza. Avevo bisogno di idee nuove per uscire dall’impasse in cui mi trovavo, ma raramente le idee davvero innovative si presentano pensandoci su. In genere arrivano mentre combiniamo i peggiori pasticci, o cerchiamo di evitarli. Fu mentre stavo sfogliando una copia della rivista per bambini «Ranger Rick», un regalo per mio figlio Stuart che allora era piccolo, che mi venne un’idea su come mettere alla prova in modo nuovo l’intelligenza dei corvi.

Nella rivista c’era un breve articolo che descriveva le cose «intelligenti» che gli uccelli sono in grado di fare, come recuperare del cibo legato a uno spago tirando il filo stesso. Non credevo che le cince potessero fare una cosa del genere. Se la fanno, pensavo, è perché sono state addestrate. Ma in questo caso la capacità di visualizzare la corretta sequenza di azioni non è presente prima che le cince affrontino il test. L’intelligenza, come in molte altre storie che avevo sentito, non aveva nulla a che fare con questo comportamento delle cince!

Il mio pensiero successivo fu che se i corvi sono davvero intelligenti come sembrano, allora era possibile che alcuni rari individui fossero in grado di capire come recuperare del cibo appeso a uno spago senza dover passare per una lunga trafila di tentativi ed errori. In tal caso il ragionamento precederebbe o accompagnerebbe l’apprendimento. In questo scenario un animale esamina la situazione, visualizza una sequenza di gesti nella propria mente e sulla base di questa rappresentazione mentale compie rapidamente l’azione.

Visto che qualunque azione compiuta da un animale prevede una combinazione di risposte innate e di apprendimento, cercare di provare sperimentalmente il ragionamento (ovvero la capacità di valutare mentalmente diverse opzioni senza doverle mettere in atto) potrebbe risultare impossibile. Né le risposte innate né l’apprendimento possono infatti essere eliminati dal cervello dell’animale.

Ogni comportamento è il prodotto di programmi innati che danno luogo a rispose automatiche messe in atto inconsapevolmente, di apprendimento e di ragionamento. Ad esempio, nell’uomo le preferenze sessuali sono per lo più innate, ma la decisione di regalare fiori come forma di corteggiamento (meglio un mazzo di margherite che di assafetida!) presuppone un ragionamento modificato dall’apprendimento. Anche i comportamenti innati o appresi possono essere estremamente complessi, a patto che siano applicati nelle stesse condizioni in cui la specie si è trovata regolarmente ad agire nel corso di migliaia di anni. Il ragionamento richiede consapevolezza, ma non è solo questo. Esso consiste nel visualizzare opzioni alternative in base alle quali effettuare le proprie scelte in una situazione nuova che si verifica nel presente. Potrebbe essere comune a molti tipi di comportamento, ma possiamo affermare che un comportamento è probabilmente frutto di un ragionamento solo se risponde a tre criteri: primo, per escludere la componente innata deve essere molto raro e non avere nulla a che vedere con ciò che l’animale fa o a cui è esposto normalmente; secondo, deve servire a risolvere un problema; terzo, non può essere una risposta appresa.

In natura, i corvi non trovano mai cibo attaccato a qualcosa che assomigli a uno spago. Di conseguenza, la capacità di tirare un filo per recuperare un boccone non può essersi radicata per selezione naturale nel repertorio di comportamenti innati della specie in milioni di anni di esperienze di foraggiamento. Naturalmente, il comportamento potrebbe essere appreso un po’ alla volta in una serie ripetitiva di passi in cui l’animale viene ricompensato dopo aver compiuto correttamente il primo passo, poi dopo aver compiuto il secondo, e così via finché non mette in atto la serie completa di dieci o più azioni. I miei corvi non avevano mai visto uno spago. Era l’occasione giusta per fare un esperimento. Dubitavo fortemente che sarebbero riusciti a completare il test, ma se così fosse stato avrei potuto escludere in buona parte sia l’ipotesi di una risposta innata sia quella dell’apprendimento, e le uniche spiegazioni possibili sarebbero state il ragionamento o il caso.

Mentre riflettevo su come un uccello avrebbe recuperato un boccone appeso a un filo, intravidi una rara opportunità per testare l’esistenza del ragionamento, una capacità mentale alla base di almeno uno dei tipi di intelligenza comunemente accettati (Gardner, 1983). Innanzitutto, il cibo dovrebbe costituire un incentivo sufficiente per spingere un uccello a cercare di recuperare il boccone nel modo più semplice e rapido. L’uccello potrebbe cercare di rompere il filo, prendere il boccone in volo o cercare di farlo cadere. Ma se esso fosse ben fissato al filo, ci sarebbe un solo modo semplice e sicuro per prenderlo: tirare il filo un po’ alla volta, raccogliendolo nelle zampe man mano.

Recuperare il cibo appeso a un filo comporta una serie di azioni che devono essere eseguite in una sequenza ben precisa e niente affatto casuale. L’uccello deve: 1) appollaiarsi sopra il filo a cui è appeso il boccone, 2) sporgersi oltre il posatoio, 3) afferrare il filo con il becco, 4) tirarlo verso l’alto, 5) mettere il pezzo di filo sollevato sul posatoio, 6) sollevare una zampa, 7) posare la zampa sulla parte di filo tirato, 8) tenere la zampa premuta in modo che il filo non sfugga, 9) aprire il becco per mollare la presa sul filo, ma solo dopo aver trattenuto il filo con la zampa e 10) ripetere l’intera sequenza un numero di volte variabile a seconda della lunghezza del filo e della sua tendenza a scivolare via.

Arbitrariamente, decisi di presentare ai miei corvi un filo lungo circa ottanta centimetri perché mi sembrava che questo li avrebbe messi di fronte a un problema sufficientemente complesso. Avrebbero dovuto ripetere la sequenza almeno cinque o sei volte, o forse anche di più se il filo fosse sfuggito. In totale, i corvi avrebbero dovuto assemblare dozzine di passaggi in una sequenza esatta che doveva essere costantemente aggiornata. Ogni passaggio avrebbe potuto essere innato e/o appreso, ma nessuna delle singole fasi presa singolarmente sarebbe bastata a raggiungere lo scopo. Solo combinando tutti i passaggi in una sequenza ben precisa i corvi avrebbero potuto risolvere lo specifico problema che si trovavano di fronte. Era altamente improbabile che decine di passaggi finissero per essere ordinati nella sequenza corretta per puro caso.

La bellezza di questo esperimento stava nel fatto che 1) la possibilità che i corvi potessero arrivare alla soluzione per puro caso era molto scarsa, 2) era altamente improbabile che quel particolare comportamento, del tutto innaturale, fosse stato programmato geneticamente, visto che non c’era alcun motivo per cui potesse essersi evoluto in natura e 3) i miei corvi erano cresciuti in cattività all’interno di una voliera e non avevano nessun esperienza pregressa nel campo; non avevano mai visto uno spago e di conseguenza non potevano aver appreso quel comportamento.

Davo quasi per scontato che non sarebbero riusciti a recuperare il boccone di carne. Ma anche se non ce l’avessero fatta, che cosa sarebbe cambiato? Non si sarebbe perso nulla. D’altra parte, se fossero riusciti fin dall’inizio nell’impresa, il guadagno sarebbe stato notevole. Facendo appello al rasoio di Occam, la regola secondo la quale la spiegazione più semplice è sempre preferibile a una più complessa, se un uccello avesse avuto successo avrei potuto dedurre che i corvi sono in grado di risolvere problemi. Sarebbe la prova di un ragionamento e, se si ammette che il problema in questione è difficile, allora anche la sua soluzione è una misura di intelligenza corrispondente. Inoltre, risolvere un problema con il ragionamento presuppone consapevolezza. E non mi serviva altro che un pezzo di carne e un po’ di spago, una spesa tutt’altro che esagerata. Valeva la pena provare.

Quando pianificai l’esperimento, mi vennero in mente due possibili complicazioni. Prima di tutto, i corvi sono animali assai volubili. Sarebbero sicuramente stati diffidenti nei confronti dello spago. Feci prima una prova in campo appendendo a un ramo un boccone di carne attaccato a un pezzo di spago bianco vicino a una carcassa di vacca congelata dura come una roccia, dove più di cinquanta corvi venivano a mangiare a quasi −30 gradi. I corvi dovevano lavorare a lungo per staccare dalla carcassa minuscoli pezzetti di carne e ogni mattina arrivavano in zona all’alba e rimanevano lì a scalpellare per ore. Un pezzetto di carne già staccato era una vera fortuna, da prendere all’istante, ed era oggetto di lotte furiose. Ed ecco che un boccone di carne squisito comparve loro davanti appeso a un filo. Cosa accadde?

Come sempre, ero ben nascosto dietro il mio riparo di rami d’abete. Avevo appeso la carne quando era ancora buio. All’alba, i corvi fecero la loro comparsa, ma invece di scendere a terra e iniziare a mangiare come facevano di solito, rimasero sugli alberi mandando richiami di allarme aspri e pieni di rabbia, come fanno sempre di fronte a tutto ciò che è insolito e li spaventa. Solo dopo un’ora un individuo si avvicinò alla carcassa, trascinandosi dietro tutti gli altri. Guardavano la carne appesa al filo come fosse un’apparizione. Nessuno si avvicinò. La lasciai dov’era. Due giorni dopo era ancora lì.

Speravo che i miei corvi in voliera non si sarebbero spaventati tanto alla vista di tale stranezza, ma mi aspettavo che sarebbero stati diffidenti, non avendo mai visto del cibo appeso a uno spago. Se anche avessero escogitato un modo per recuperare il boccone, era possibile che non lo mettessero in atto per paura di avvicinarsi allo spago. La cosa migliore sarebbe stata metterli alla prova uno a uno, ma per fare questo avrei dovuto catturarli e costruire una sezione della voliera per poterli separare, il che avrebbe comportato disagi e un dispendio di denaro e di tempo. Un corvo in isolamento avrebbe probabilmente impiegato giorni ad avvicinarsi a un oggetto insolito come quello. In gruppo, sarebbero stati molto meno spaventati. Lo svantaggio del testarli tutti insieme era che se uno di loro fosse riuscito a recuperare il boccone, gli altri avrebbero semplicemente potuto imitarlo e/o l’individuo in questione avrebbe potuto tenere lontani tutti gli altri. Tuttavia, il primo individuo sottoposto alla prova non avrebbe avuto nessuno da imitare, e a me interessava più il fenomeno in sé che quanti corvi fossero in grado di mettere in atto la sequenza di azioni. Non faceva nessuna differenza che fosse l’un per cento o il novantanove per cento degli individui a saper risolvere il problema. Se anche uno solo vi fosse riuscito, significava che i corvi sono dotati di questa capacità – che vogliamo chiamarla genio, ragionamento o intelligenza. Se anche si trattasse di un’abilità rara nella specie, non sarebbe per questo meno interessante.

Il salame stagionato fu fondamentale per l’esperimento. Ne diedi prima un pezzo a ognuno dei corvi per essere sicuro che fossero interessati; lo mangiarono avidamente. Se avessi usato della carne più morbida e un corvo avesse cercato di prenderla in volo, sarebbe probabilmente riuscito a strapparne un pezzo col becco. Ottenuta una ricompensa per questo comportamento, sarebbe stato spinto a riprovare, e sarebbe venuta meno la necessità di tentare una strategia diversa. Il mio esperimento sarebbe fallito.

Avevo lasciato il salame in frigorifero per tre mesi per farlo indurire. I corvi non sarebbero riusciti a staccarne un pezzo avvicinandosi in volo, afferrandolo nel becco e poi rimanendovi attaccati, tutte strategie che ero sicuro avrebbero provato se avessero superato la paura iniziale.

Tagliai una fetta di salame e la legai al fondo di un pezzo di corda resistente, poi la legai a uno dei posatoi orizzontali all’interno della voliera in modo che il boccone di carne rimanesse sospeso a poco meno di due metri dal suolo e a circa ottanta centimetri dal posatoio stesso. Poi corsi in casa per sedermi alla scrivania di fronte alla finestra in attesa.

Tutti i corvi mostrarono interesse per la novità. I due membri della coppia dominante si avvicinarono e con la testa inclinata rimasero a osservare la fetta di salame. Guardarono il cordino avvolto intorno al legno, poi si misero a saltellare nervosamente sul posatoio come facevano di fronte a una carcassa di cui avevano timore. Lo spago e il salame oscillarono. Dopo aver osservato la novità un po’ più a lungo, si avvicinarono con cautela. Uno di loro diede una beccata allo spago avvolto intorno al posatoio, poi fece un balzo all’indietro. Continuavano ad allungare il collo per guardare giù. Uno di loro diede qualche strattone al filo come se cercasse di strapparlo via dal posatoio. La fetta di salame oscillò di più, ma lo spago era resistente e non si ruppe. Poi i corvi persero interesse. Uscii per andare a portare via il pezzo di spago e il salame. Avrei dato loro un’ulteriore possibilità un altro giorno. «Come prevedevo» pensai. «Non ce la faranno mai».

Quando feci un secondo tentativo, i due osservarono di nuovo la carne con diffidenza, ma sembrarono meno nervosi della prima volta. All’improvviso Matt, uno dei corvi, volò sul posatoio e con mia grandissima sorpresa mise in atto l’intera sequenza di azioni con solo qualche incertezza. Mi misi a gridare dalla gioia e battei contro il vetro della finestra per spaventarlo e fare in modo che mollasse la presa. Volevo assicurarmi che ripetesse l’operazione pur avendo ricevuto solo una ricompensa mentale. Avrebbe ripercorso immediatamente l’intera sequenza di azioni pur non essendo riuscito a mangiare?

Matt sapeva perfettamente che cosa aveva fatto. Dopo che lo lasciai scappare, tornò nel giro di pochi secondi e in tutta fretta tirò il filo. Per ben sei volte lo feci scappare prima che avesse il tempo di mangiare. Non cercò mai di volare via con il pezzo di salame dopo averlo tirato su. Oltretutto, lasciò sempre cadere il boccone sia quando lo facevo spaventare sia quando, poco dopo, dovetti letteralmente spingerlo via dal posatoio visto che aveva già la carne nel becco. Di solito, quando un corvo riesce a prendere un pezzo di carne se lo porta sempre via.

Dopo averlo visto ripetere il comportamento per sei volte, ero sicuro che non si era trattato di un colpo di fortuna. Matt sapeva come recuperare un pezzo di carne legato a uno spago. Dopo tutti quei tentativi «a vuoto», lasciai che mangiasse il pezzetto di salame come ricompensa. La ricompensa per me invece erano la scarica di adrenalina e l’opportunità di fare una serie di esperimenti basati su queste osservazioni preliminari. Ero affascinato. Ero sicuro di aver trovato uno spiraglio da cui poter osservare come ragionano i corvi.

Dopo Matt, vidi altri corvi inesperti ripetere la stessa operazione in meno di trenta secondi ed entro sei minuti da quando avevo presentato loro il pezzo di carne attaccato allo spago, sebbene per loro si trattasse di una novità assoluta. Poiché molti dei corvi erano diffidenti alla vista dello spago, il tempo impiegato a recuperare la carne era probabilmente sovrastimato rispetto a quello effettivamente necessario per completare l’operazione. La presenza di altri individui si rivelò un grosso problema (che risolsi in un’altra serie di esperimenti con un altro gruppo di corvi), perché ogni volta che un individuo dominante che sapeva come recuperare la carne vedeva un subordinato vicino allo spago, lo cacciava via.

Nel complesso, sottoposi a test cinque gruppi di corvi e due cornacchie. In nessun caso gli uccelli inesperti si mostrarono interessati a uno spago a cui non era attaccato niente di commestibile né vi si avvicinarono. Ad eccezione delle cornacchie, in tutti i gruppi di uccelli vari individui adulti eseguirono la sequenza di azioni corretta senza o con pochissime esitazioni fin dal primo momento. C’erano due tecniche differenti. Con la tecnica del «sollevamento verticale», il corvo rimaneva nello stesso punto e sollevava con cautela la zampa ogni volta che, dopo averlo afferrato col becco, tirava un pezzo di spago verso di sé. Con l’altra tecnica, «il passo laterale», il corvo tirava il filo lateralmente sul posatoio prima di fermarlo con la zampa spostandosi su di esso, poi tirava nuovamente, e così via. Per contro, quando misi alla prova un gruppo di quattro corvi di tre mesi, nessuno di loro, come le due cornacchie, fu in grado di recuperare la carne nonostante non avessero alcuna paura dello spago.

Un punto mi parve particolarmente convincente nel dimostrare l’esistenza di un ragionamento nei corvi (poiché era esclusa sia la possibilità dell’apprendimento sociale sia quella dell’apprendimento per tentativi ed errori): gli individui che non avevano recuperato la carne da sé ma l’avevano afferrata, attaccata al filo, dopo che l’avevo tirata su io o un altro uccello, cercavano sempre di volare via con il boccone. Naturalmente, poiché era ancora attaccata allo spago, e questo era legato al posatoio, la carne finiva per venir loro strappata bruscamente dal becco non appena si allontanavano. In genere ci volevano almeno sei tentativi prima che capissero. Al contrario, in migliaia di prove, nessuno degli individui che avevano recuperato il pezzo di carne volò via con il boccone, a patto che venissero lasciati da soli. Scacciarli dal posatoio dopo che avevano recuperato la carne non era facile, ma quando riuscivo ad allontanarli lasciavano quasi sempre cadere il boccone prima di volare via. Quei corvi si comportavano come se sapessero, fin dal primo tentativo, che se avessero cercato di volare via con quel pezzo di carne se lo sarebbero visti strappare dal becco appena partiti. Il fatto di non volare via era ancor più straordinario perché si trattava di un comportamento nuovo, sviluppatosi senza alcun processo di apprendimento. I corvi si comportavano come se avessero avuto modo di sperimentare il comportamento in passato. La spiegazione più semplice è che l’avessero fatto davvero, nella loro testa.

Il passo successivo fu dimostrare sperimentalmente che un comportamento (scegliere lo spago giusto quando ce n’erano due uno accanto all’altro) poteva essere il risultato di due processi mentali distinti. In questo esperimento, inizialmente presentavo agli individui che si erano mostrati abili nel recuperare la carne un solo pezzo di spago con della carne attaccata. In una gara sfrenata si precipitavano tutti per essere i primi a raggiungere lo spago e lo tiravano rapidamente. In sostanza, grazie a questo addestramento, si aspettavano di trovare della carne tutte le volte che tiravano lo spago e di conseguenza esaminare attentamente quest’ultimo prima di tirarlo divenne inutile se non addirittura una perdita di tempo. Poi presentai loro due pezzi di spago, uno a cui era attaccato un sasso e uno con la carne. I cinque corvi fecero di nuovo a gara a chi recuperava la carne per primo. Come nel caso precedente, si svolse tutto molto in fretta e inizialmente alcuni corvi fecero l’errore di precipitarsi sui due pezzi di corda e di tirare il primo che si trovavano davanti. Ma si rendevano conto molto presto dell’errore, se era quello sbagliato. A quel punto lasciavano cadere lo spago, davano una rapida occhiata e poi iniziavano a tirare quello giusto. Li avevo riaddestrati a prestare attenzione. Come previsto, dopo qualche tentativo impararono a guardare, prima di tirare un filo. Ora bisognava scegliere, ed essi impararono presto a tirare solo il filo giusto. Poi incrociai i fili così che (a differenza di prima) un corvo appollaiato direttamente sopra il boccone di carne tirando il filo sotto di sé avrebbe recuperato il sasso e non la carne. Per recuperare la carne, il corvo adesso doveva posizionarsi sopra il sasso e tirare il filo che si trovava sotto di lui, il che costituiva una situazione completamente diversa da quella in cui si era trovato durante tutte le esperienze precedenti.

Nel corso dell’esperimento, tre su quattro dei corvi esperti tirarono prima il filo sbagliato, ovvero quello legato al posatoio esattamente al di sopra del boccone di carne. In sé, l’errore non era strano né rivelava niente di particolarmente interessante perché in passato quella era sempre stata la scelta corretta; ciò che trovai sorprendente era che non impararono mai dai propri errori. In decine di tentativi continuarono a tirare prima il filo sbagliato, ovvero quello direttamente al di sopra del boccone di carne, e si spostavano solo dopo aver capito di essersi sbagliati, ovvero quando il sasso si muoveva. Quello che pensavano di sapere aveva cioè la precedenza sull’apprendimento per tentativi ed errori, che si verificò in tempi geologici persino per questa operazione tanto semplice.

Una dimostrazione di consapevolezza ci fu offerta da un solo individuo, che fin dall’inizio fece sempre la scelta corretta. Prima di questo esperimento, si era comportato esattamente come gli altri. Aveva cioè sempre tirato il filo a cui era attaccata la carne, come li avevo addestrati a fare. Nell’ultimo esperimento, invece, si comportò da subito in modo completamente diverso e lo stesso fece nei test successivi. Tirò il filo che era legato al posatoio esattamente al di sopra del sasso, cioè quello a cui era attaccato il boccone di carne. Invece di tirare per primo il filo sopra la carne come avevano fatto e continuarono a fare gli altri tre, fin dal primo tentativo aveva tirato il filo a cui era attaccata la carne. Naturalmente, gli uccelli non usavano la parola, ma di fatto la parola non è necessaria al pensiero. (Se i corvi si fossero evoluti per comunicare ai loro discendenti come tirare un filo o compiere altre azioni utili, ovviamente avrebbero dovuto evolvere la capacità di parlare e per comunicare a parole avrebbero poi avuto anche bisogno di pensare a parole).

Negli esperimenti seguenti misi alla prova gli individui esperti dando loro bocconi di carne appesi a fili di colore, spessore e consistenza diversi rispetto a quelli a cui erano abituati o legando un sasso a un filo uguale a quelli alla cui estremità erano soliti trovare una ricompensa. Se erano stati condizionati a tirare lo spago marrone, ad esempio, avrebbero dovuto continuare a preferirlo rispetto alle stringhe da scarpe verdi che non avevano mai visto prima, anche se il cibo era attaccato alle stringhe, un oggetto che non era mai comparso nel corso degli esperimenti. Cosa accadde? Fin dal primo tentativo, tutti i corvi scelsero la stringa che non avevano mai visto né era mai stata associata a una ricompensa. Ignorarono completamente lo spago a loro ben noto che in passato era stato associato al cibo. In sostanza, erano in grado di trovare la soluzione a compiti nuovi e diversi senza dover fare alcun tentativo. Di fronte a un’alternativa, sceglievano l’opzione più adeguata e non quella a cui erano stati addestrati; quello che avevano in mente talvolta aveva la precedenza sull’esperienza. Ricollegandomi alle precedenti osservazioni, che mostravano come i corvi siano in grado di seguire mentalmente ciò che non vedono, conclusi che manifestano una qualche forma di consapevolezza e la utilizzano per pianificare al fine di prendere decisioni. Che si tratti o meno di «intelligenza» è in fondo una questione soggettiva, ma gran parte delle persone sarebbe d’accordo con me nel considerarla tale.

 

 

Raccolsi i miei dati, aggiungendo una serie di ipotesi sul loro possibile significato, e inviai il manoscritto a una rivista scientifica, dove le varie proposte vengono esaminate da esperti i cui nomi sono noti soltanto all’editor. Questi prende in considerazione i commenti dei revisori e decide se accettare o meno l’articolo, e se dev’essere pubblicato in genere chiede all’autore di rivederlo tenendo conto delle osservazioni dei revisori. Le critiche costruttive al proprio lavoro sono utilissime, perché in genere individuano errori o sviste di cui non ci eravamo accorti. Ero convinto che in questo caso non ci sarebbero stati grossi problemi. Il mio lavoro era una novità e certamente lo scritto sarebbe stato accolto con entusiasmo e andato in stampa rapidamente. La vicenda, in verità, prese una piega del tutto diversa.

Secondo uno dei revisori non avevo tenuto in debito conto i precursori filogenetici di quel comportamento. Lo stesso revisore fece un ulteriore commento: «Anche Freud ha mostrato che gran parte dell’attività mentale è inconscia e che molta immaginazione creativa umana non richiede la consapevolezza». Certo. Va bene. Significa che non ha senso indagare oltre? E comunque, che cos’è l’attività mentale? E quali saranno mai i precursori filogenetici del tirare uno spago? L’editor non accettò l’articolo, ma si offrì di riesaminarlo e di sottoporlo a un nuovo giro di consultazioni dopo che avessi fatto delle modiche. Lo riscrissi e glielo mandai.

Qualche mese più tardi ricevetti un altro rifiuto. Uno dei revisori sosteneva che avessi «operato una chiara dicotomia considerando l’apprendimento e la genetica come due cose completamente distinte, un’idea superata da almeno vent’anni». Naturalmente, in parte aveva ragione! Non esiste una tale dicotomia. Ma il mio intento era stato quello di crearla. L’esperimento consisteva in quello. Una ventina di anni prima avevo pubblicato diversi articoli sulla relazione tra l’apprendimento e i comportamenti innati delle api, proprio per mostrare l’esistenza di una relazione tra programmazione genetica e apprendimento. Pareva strano che si pensasse che fossi convinto dell’esistenza di una «chiara dicotomia» tra i due fenomeni. Ma lo scopo dell’esperimento era trovare il punto debole del sistema, infilare un cuneo nell’ingranaggio, come un fisiologo sperimentale chiude un vaso sanguigno per scoprire quale organo esso vada a irrorare. L’esperimento era interessante perché vi venivano minimizzati sia gli effetti della genetica sia quelli dell’apprendimento, per vedere cosa resta del comportamento. La mia impressione era che mi stessero rimproverando i punti forti della ricerca, invece che i suoi punti deboli. Un altro revisore utilizzò espressioni quali «assurdo atto di fede» e «sentimentalismo». A mio parere, questo commento, come altri che preferisco non ripetere, erano sintomo di una reazione emotiva e poco razionale. Forse avevo infranto un tabù. Poteva sembrare che il mio attaccamento ai corvi mi spingesse ad attribuire loro motivazioni umane. Forse era così. Anche se il più delle volte mi stavo chiedendo la cosa opposta: quali meccanismi inconsci spingono un animale a rifiutare una cosa nuova e insolita – un comportamento peculiare dei corvi. Alla fine, l’articolo venne respinto cinque volte. Essere pesantemente criticati può essere il prezzo da pagare per essere liberi di fare ciò che sentiamo come gratificante e davvero innovativo.

Diversi anni dopo la pubblicazione dell’articolo ripetei l’esperimento con un altro gruppo di sei corvi, questa volta quando i giovani avevano solo nove o dieci mesi e in una forma più articolata. Costruii una nuova voliera, che potevo separare in due zone tramite un divisorio opaco per poter mettere alla prova un individuo alla volta, in modo da escludere la possibilità di un apprendimento sociale. Inoltre, poiché in passato la diffidenza nei confronti dei fili aveva rappresentato un problema, avevo fatto sì che i corvi si abituassero alla loro presenza legandone alcuni tra i rami nella voliera e alle pareti verticali della gabbia in modo che i corvi li vedessero ma non avessero modo di esercitarsi a tirarli. I risultati degli esperimenti furono esattamente gli stessi, se non che cinque dei sei individui in isolamento recuperarono la carne in tempi che variavano tra quattro e otto minuti dal primo contatto con il filo. Prima di tirare il filo verso di sé, però, i corvi tentarono una serie di metodi alternativi, tra cui beccare il filo, strattonarlo e attorcigliarlo. I corvi più giovani, quindi, sperimentavano apertamente le diverse opzioni. Come nel primo gruppo, anche in questo caso un solo individuo cercò di prendere la carne in volo senza mai nemmeno provare a tirare il filo.

In futuro, quando mi capiterà di avere un altro gruppo di corvi a disposizione, li metterò alla prova appendendo del cibo sotto di loro ma facendo in modo che possano prenderlo solo tirando un filo che scende dall’alto.1 La mia ipotesi è che i corvi senza esperienza non riusciranno a compiere questo gesto controintuitivo senza prima effettuare una lunga serie di tentativi, sempre che ci riescano. Quelli che invece sanno già tirare il filo potrebbero imparare velocemente, come ci si aspetterebbe sulla base di un fenomeno che gli psicologi chiamano transfer dell’apprendimento.

 

 

Un fenomeno può essere spiegato contemporaneamente muovendo da diverse ipotesi alternative. Lo scienziato cerca allora di confutarle una per una. Se tutte le ipotesi plausibili si dimostrano infondate tranne una, questa viene in genere considerata la risposta più probabile, almeno finché qualcun altro non raccoglie dati ulteriori che forniscano una spiegazione migliore. La spiegazione correntemente accettata dipende alla fine dalle alternative disponibili in partenza. Se si nega a priori l’esistenza del ragionamento, esso non comparirà mai tra le possibili alternative e di conseguenza non potrà mai essere la spiegazione migliore di un dato comportamento.

È difficile immaginare che l’uomo sia qualitativamente diverso da tutti gli altri animali. Gli psicologi che hanno studiato l’apprendimento nei ratti e nei piccioni sono partiti dal presupposto che esistano somiglianze tra specie, poi confermate dagli esperimenti stessi. Se questo è antropomorfismo, allora mi dichiaro a favore. Non esistono dati a sostegno dell’ipotesi che gli uomini siano dotati di un’essenza vitale misteriosa e assolutamente nuova che manca a tutti gli altri animali. Anzi, alla base dello studio degli animali c’è il presupposto implicito che i risultati si possano poi applicare anche agli uomini. Altrimenti, chi finanzia la ricerca non avrebbe speso somme incalcolabili per lo studio dei ratti.

L’apprendimento, la consapevolezza, il ragionamento e tutte le altre abilità associate alla capacità di risolvere problemi e all’intelligenza si basano fondamentalmente sull’attivazione dei neuroni. I neuroni sono i mattoni su cui si costruiscono intelligenza e creatività, ma non possiamo pensare di sondare un singolo neurone e poi esclamare: «Ecco. È qui che si accende la lampadina!». Pensare di poter definire criticamente queste capacità mentali esaminando i neuroni è come pensare di definire la struttura della costa del Maine esaminando nei minimi dettagli i granelli di sabbia sulle sue spiagge. A volte per osservare un fenomeno nel suo complesso bisogna fare un passo indietro e guardarlo da un punto di vista diverso, più ampio.

Spesso mi capita di vedere l’«intelligenza» dei miei corvi nelle cose più stupide che fanno. All’inizio di novembre del 1992 mi imbattei in un gruppo di corvi in una pineta. Erano radunati intorno alla scapola spolpata di una vacca e schiamazzavano con le loro voci roche. Riunirsi intorno a un osso senza carne può sembrare «eccentrico». Cince, ghiandaie e cornacchie non farebbero mai una cosa del genere. Non sono animali sciocchi come i corvi. Dopotutto, pochissime specie oltre ai corvi imperiali (e alcuni pappagalli) beccano le ali degli aeroplani, strappano tergicristalli, rubano palline da golf o ancora si procurano da mangiare dai cassonetti della spazzatura fuori da un ristorante, da sacchetti dell’immondizia sigillati o tirando pezzetti di spago, o ancora fanno scivolate nella neve o avvitamenti nell’aria mentre tornano da soli al dormitorio per la notte.

Fare cose assurde come rubare tergicristalli o danzare intorno a un osso di vacca è, al pari di un’attività dispendiosa come il gioco, uno dei prezzi da pagare per un’intelligenza elevata. È un po’ come l’«intelligenza» del sistema immunitario. Il nostro sistema immunitario produce migliaia di tipi di molecole che per la maggior parte del tempo non servono a nulla. Potrebbe sembrare uno spreco. Se però per caso una di queste molecole strane e all’apparenza inutili neutralizza un patogeno penetrato inaspettatamente nell’organismo, allora la molecola viene identificata e memorizzata dal sistema immunitario e ricreata in grandi quantità. Il corpo «apprende» attraverso un processo di selezione. Le reti neurali funzionano nello stesso modo, ma, a parte qualche eccezione, devono essere tutte sempre presenti. Quelle che vengono utilizzate o ricompensate si attivano e si rafforzano, finendo per essere preferite alle altre. Sappiamo tutti per esperienza che possiamo provare mentalmente se qualcosa «funziona», prima ancora di passare fisicamente all’azione. Ad esempio, se vogliamo prendere una mela che pende da un ramo sopra la nostra testa possiamo immaginare di allungare il braccio per stabilire se è a portata di mano. O possiamo cercare di prenderla saltando, salendo su una sedia, utilizzando una scala, brandendo un bastone, chiamando i pompieri, prendendola a sassate o tirandole contro dei bastoncini, o ancora sparando al ramo per farlo cadere. Prendiamo in considerazione e scartiamo infinite possibilità in una frazione di secondo. Se ci imbattiamo in una strategia che alla nostra mente sembra soddisfacente continuiamo a scorrere mentalmente la sequenza di azioni prima di metterla in atto. E se la nostra mente fosse quella di un corvo? Saremmo costretti a mettere in pratica più alternative e avremmo di gran lunga meno possibilità, e meno complesse, tra cui scegliere.