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Corvi selvatici fotografati dall’interno del bungalow nel Maine mentre giocano e camminano impettiti.

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RITORNO ALLA NATURA

I corvi hanno una cultura limitata e sono strettamente e intimamente legati al loro ambiente, fisico e biologico, a differenza di noi che siamo legati alla cultura e solo indirettamente connessi all’ambiente esterno. In tutti i miei studi l’obiettivo è stato quello di comprendere questi animali nel loro ambiente naturale, che fornisce il contesto per la maggior parte dei loro comportamenti. Fuori del contesto, la maggior parte delle loro azioni sembra senza senso, allo stesso modo in cui, fuori del contesto della nostra cultura, le nostre azioni perdono gran parte del loro significato. Ma studiare i particolari più intimi della vita dei corvi è difficile, se non impossibile, in regioni selvagge complesse e multiformi, che si estendono anche per centinaia di chilometri quadrati. A volte ho tenuto gruppi di corvi selvatici in voliera per poterli osservare da vicino. Le voliere erano le più grandi e le più simili all’ambiente naturale che sono riuscito a realizzare. In effetti esse soddisfacevano i bisogni dei corvi (sia gli uccelli che avevo allevato io stesso sia individui selvatici nidificarono con successo e allevarono piccoli dentro le voliere), ma quando arrivava il momento di lasciarli andare ero felice che riprendessero la loro vita libera, anche se molto più rischiosa.

Ricorderete i miei cari amici Golia e Pennabianca. Avevo cresciuto Golia personalmente da quando era un nidiaceo, mentre la sua compagna proveniva da un gruppo di corvi catturati in natura che tenni temporaneamente in voliera. I due legarono immediatamente, per motivi a me totalmente ignoti. Pennabianca e Golia costruirono un nido all’interno della voliera e allevarono i loro piccoli insieme a quelli di un’altra coppia. Anche quando aprii completamente un lato della voliera, i due rimasero sulla collina di casa mia e ne fecero il loro territorio. L’anno dopo il primo tentativo di riproduzione riuscito (dentro la voliera), tornarono da soli nella voliera e iniziarono a costruire un nido, ma poi lasciarono il lavoro a metà, forse per risparmiare energie per l’anno successivo.

Il fatto che Golia e Pennabianca avessero stabilito il loro territorio sulla mia collina nel Maine fu un sogno divenuto realtà. Potevo osservarli da vicino nel loro ambiente, secondo ritmi e modalità dettati da loro. Che cosa si può volere di più dalla vita che essere circondato da amici che non avanzano alcuna pretesa, forniscono continuo intrattenimento e ti fanno da maestri? Nell’estate del 1997 i due mi fornirono anche dati importanti sul comportamento di accumulo delle scorte, che mi permisero di scrivere un articolo scientifico che venne pubblicato su una prestigiosa rivista internazionale. Quei due corvi erano la mia droga. Ogni volta che salivo a piedi sulla collina accanto al bungalow dopo un’assenza di una o più settimane, mi mettevo a gridare «Goliiii-aaa» e nel giro di poco mi arrivava la sua risposta dalla foresta. Poi lo vedevo volare in cerchio sopra la mia testa, scendere al suolo descrivendo cerchi nel cielo e atterrare sulla betulla morta vicino al tavolo da picnic. A quel punto estraevo dalle tasche un topo morto o un qualche altro spuntino delizioso, lui scendeva a terra e si avvicinava con il suo passo lento e misurato. Mia moglie Rachel dice che il momento in cui ha capito di essere innamorata di me è stato quando una mattina mi ha visto fare colazione in giardino condividendo il mio piatto di porridge con Golia. Pennabianca, che allora manteneva ancora le distanze, lo chiamava dal bosco di pini lì vicino. Pigolava all’indirizzo di Golia, che le diede parte del cibo ricevuto da me.

Nel 1997 la collina rimase silenziosa da metà maggio per tutta l’estate e tutto l’autunno. Nessuno rispondeva più ai miei richiami. Mi sentii perso. Forse era successo qualcosa? Chiesi anche al vicino che viveva in una baracca ai piedi della collina. Sì, li aveva visti. Erano passati spesso di lì e si erano messi a «fare baccano» appollaiati sul pino accanto alla sua baracca. Ma non era sicuro delle date e io non ero sicuro che si trattasse effettivamente dei miei corvi, sebbene il vicino mi avesse detto che Golia aveva una voce particolare e che lui aveva imparato a riconoscerla. Erano spariti. Dentro di me coltivavo la speranza che fossero passati di lì quando io non c’ero e che magari in futuro sarebbero tornati a stabilirsi sulla collina. Per gran parte dell’autunno e l’inizio dell’inverno rimasi lontano dall’accampamento di Raven Hill e quando, tra la fine di dicembre 1997 e l’inizio di gennaio 1998, feci ritorno insieme ai tredici studenti del corso di ecologia di campo, dei corvi non c’era ancora nessuna traccia. Persi ogni speranza di rivederli.

La sera del 10 gennaio, proprio mentre tornavo al bungalow appena prima di ripartire, sentii i versi agitati di un corvo. Alzai lo sguardo e con mia grande sorpresa vidi una coppia in volo con un terzo individuo al seguito che volavano dritti verso la voliera sul retro del bungalow. Mi tenni alla larga dalla voliera per lasciarli tranquilli. Dopo un’ora o poco più sentii il richiamo della femmina e una serie di rap-rap-rap. I due, o almeno uno di loro, erano tornati ed erano in stato di agitazione, forse si stavano preparando a nidificare. All’alba del giorno successivo li sentii di nuovo gracchiare e pensai che forse erano davvero tornati per restare. Immersi nei primi bagliori di rosso, blu, giallo e turchese di un’alba spettacolare, gli alberi luccicavano come fossero d’argento, coperti dallo spesso strato di ghiaccio lasciato dalla famosa tempesta durata cinque giorni che aveva pesantemente danneggiato le foreste del New England. Nonostante tutto, però, io ero felice.

Alle primissime luci del giorno sentii richiami agitati provenire dalla voliera. Almeno uno dei corvi era decisamente infastidito. Non avevo voluto avvicinarmi alla voliera in quel momento così delicato per paura di interrompere la nidificazione, ma non potevo non indagare sul perché fossero tanto agitati. Che cosa poteva essere successo? Per scoprirlo mi avvicinai di soppiatto dal bosco e alla fine scorsi tre corvi che si alzavano in volo da sopra o da dentro la voliera. Vedendomi, uno dei tre fece marcia indietro nell’aria e volò via. Il secondo lo seguì. Il terzo mi venne incontro e atterrò vicino a me. Golia! Inizialmente sembrò nervoso, forse perché non ci vedevamo da maggio, cioè da otto mesi. Rimase accanto a me, ma sembrava dimesso e del tutto disinteressato alla mia presenza, anche quando gli parlavo. Andai a controllare nella voliera e trovai tracce fresche nella neve vicino al nido dell’anno precedente. Non avevo dubbi. Erano tornati! E si stavano preparando a nidificare.

Quel giorno sentii almeno due corvi nella voliera in altre due occasioni. La sera, i richiami dei corvi mi arrivarono dai margini della pineta poco a nord del bungalow, dove Golia e Pennabianca dormivano spesso in passato. Partimmo quel giorno, e dovetti rimanere lontano per il resto dell’inverno e l’inizio della primavera a causa del fatto che dovevo insegnare e per via di altri impegni che avevo nel Vermont, dove avevo anche in programma di fare degli esperimenti con i corvi che tenevo nella voliera. Glenn Booma si fermò al bungalow verso la metà di marzo e mi chiamò per comunicarmi bellissime notizie: c’erano corvi nella voliera. Non si era avvicinato per paura di disturbarli, ma era proprio il periodo in cui i corvi iniziano a costruire il nido o a riparare quello dell’anno precedente. Ero sicuro che il vecchio nido (che Golia aveva costruito ma che Pennabianca non aveva completato) sarebbe finalmente stato foderato con peli di cervo e corteccia di frassino e di cedro e presto sarebbe stato pieno di uova.

Quando il 29 aprile tornai finalmente al bungalow, corsi subito alla voliera e mi trovai davanti una triste sorpresa: il nido era esattamente nello stesso stato in cui l’avevano lasciato un anno prima – avevano a malapena spostato qualche rametto –, era ancora privo di rivestimento interno e ormai era troppo tardi per deporre uova. Non sentii alcun richiamo. Deluso, mi avvicinai alla pineta in cui Golia e Pennabianca passavano spesso la notte, che avevo ripulito di recente lasciando però in piedi gli alberi più grossi. Se fossi un corvo, pensai, costruirei qui il mio nido. Alzai lo sguardo. Una massa scura di fronte a me: un nido! Non appena lo vidi, un corvo arrivò in volo con del materiale per il nido nel becco.

Ero al colmo della felicità ora che i miei corvi stavano costruendo un nido in natura. Nello stesso tempo mi chiesi subito come fosse possibile che nidificassero così tardi. Non avevo mai visto un nido di corvi che alla fine di aprile non contenesse piccoli, e in alcuni casi in quel periodo i piccoli erano già pronti per lasciare il nido! Quello era il tentativo di nidificare più tardivo che avessi mai osservato in quell’area su un totale di circa un centinaio di nidi. Forse Golia e Pennabianca non si erano trovati d’accordo su dove costruire il nido e per questo avevano iniziato in ritardo. Golia, che era cresciuto nella voliera, avrebbe ricostruito il nido dell’anno prima, mentre Pennabianca, che era cresciuta in libertà, era d’altro avviso. L’anno precedente Golia aveva cominciato a costruire una struttura nella voliera, ma Pennabianca evidentemente non era d’accordo sulla collocazione, visto che non l’aveva aiutato a completare l’opera. Non aveva fatto la sua parte, che sarebbe consistita nell’aggiungere un rivestimento interno di pelo perché il nido fosse pronto ad accogliere le uova. Il risultato era stato che non avevano avuto piccoli. Quest’anno avevano di nuovo dato un’occhiata al posto. Probabilmente il disaccordo era durato a lungo, ma alla fine lei l’aveva avuta vinta. Avevano scelto un pino, com’è tradizione tra i corvi della zona. Ma avevano perso del tempo prezioso. Per i corvi, l’avere relazioni di lungo termine porta dei vantaggi, soprattutto quando i due membri della coppia provengono da tradizioni differenti e quindi hanno anche aspettative diverse. Nel nord della Germania, ad esempio, i corvi nidificano per lo più sui faggi; nel Maine, sui pini strobi; nel Vermont, sulle pareti rocciose.

L’8 maggio tornai nel Maine per una settimana intera e andai subito a controllare il nido. Già da oltre settanta metri di distanza vidi la testa scura di Pennabianca che spuntava dal nido: stava covando le uova. Lasciò il nido senza emettere un suono e volò verso Alder Stream nel fondovalle con le ali aperte solo parzialmente. C’erano sempre e solo al massimo due corvi nei pressi del nido. Nessuno dei due mi si avvicinò, ma nessuno dei due sembrava allarmato dalla mia presenza. Erano entrambi silenziosi.

Questo fatto mi sorprese. Ma due giorni dopo, alle 15.30, sentii un vociferare agitato provenire dal nido. Aveva appena smesso di piovere, le nuvole si stavano alzando e c’era una brezza leggera. Forse i corvi erano contenti di poter finalmente volare. Corsi fuori dal bungalow e giù per il sentiero e alzai lo sguardo: eccoli lì che veleggiavano nel vento. Erano in quattro, però, e volavano in formazione come stessero giocando amichevolmente. Non ci furono inseguimenti, né i richiami aggressivi tipici di quando i corvi individuano un invasore e lo vogliono tenere lontano.

Una coppia si separò e volò verso nord oltre la collina dove, a meno di tre chilometri da lì, avevo appena visto quattro piccoli già coperti di penne appollaiati su un ramo vicino al nido di Braun Road. Golia e Pennabianca tornarono al loro nido. Io corsi in cima alla cresta più in fretta che potevo e mi arrampicai su un abete altissimo per guardare i due volare uno accanto all’altro gracchiando di continuo, descrivere ampi cerchi nel cielo, sterzare, scendere in picchiata e poi volare di nuovo in cerchio. Era il tempo perfetto per volare e io gioivo di riflesso delle loro acrobazie. Vedevo le macchie verde pisello dei pioppi con le foglie ancora arrotolate nella valle sotto di me. Nella trama della foresta, le velature leggere di verde brillante dei pioppi contrastavano con il marrone giallastro e rossastro degli aceri rossi che si risvegliavano alla vita. Larghe pennellate verde scuro di pini e abeti risaltavano sulla collina contro l’azzurro pallido del cielo tempestato di cumuli bianchi che si spostavano veloci. Un pensiero mi attraversò la mente: forse i corvi erano euforici perché le uova si erano schiuse. Mi precipitai giù dall’albero quasi rotolando. Dovevo arrampicarmi fino al nido, ma arrampicarsi sui pini non è affatto facile, soprattutto senza ramponi; ci provai fino a esaurire le energie e alla fine lasciai perdere. Alle 19.30, i corvi erano tornati al nido da un po’, ma di tanto in tanto sentivo ancora dei rap-rap-rap. Qualunque fosse il motivo della loro esaltazione, la cosa li aveva talmente colpiti che dopo quattro ore erano ancora sotto l’effetto della sorpresa.

Il giorno dopo, alle 6.30, una poiana della Giamaica passò accanto al bungalow e sopra la vallata sottostante e volò in direzione del nido. I corvi irruppero in una serie di kek-kek-kek di allarme, che si interruppero non appena la poiana li superò. Più tardi, sette avvoltoi collorosso sorvolarono una carcassa di vitello che avevo lasciato nel bosco. Entrambi i corvi si alzarono in volo, andarono loro incontro e li fecero scappare. Di nuovo i due emisero i tipici kek-kek-kek e si zittirono pochi secondi dopo che gli invasori si erano allontanati.

Mi infastidiva non sapere il motivo dell’euforia del giorno prima. All’apparenza era stato l’arrivo dell’altra coppia. Ma perché i due erano venuti in visita? E perché Golia e Pennabianca erano ancora euforici quattro ore dopo che i vicini se n’erano andati? Dovevo assolutamente guardare nel nido. Forse i due erano euforici perché le uova si erano schiuse e la visita dei vicini quel giorno era stato solo un caso.

L’albero oscillava scosso dal vento, ma non mi importava. Ero deciso. Strinsi le braccia intorno al tronco e inizia ad arrampicarmi rompendo i fragili rami secchi man mano che salivo. Una volta raggiunti i rami più resistenti, divenne tutto più semplice. In pochi minuti riuscii ad arrampicarmi fino ai rami freschi appena al di sotto del nido. Golia e Pennabianca si erano allontanati in silenzio. Girai intorno alla base del nido fatta di rametti di pioppo spessi quanto il mio pollice. Allungai il collo e buttai lo sguardo nel nido con grande impazienza.

Ho visto moltissimi nidi di corvo, ma trovarmi lassù è sempre un’esperienza emozionante, soprattutto dopo un’arrampicata difficile e pericolosa. C’erano quattro uova! Erano le uova più belle che avessi mai visto. Il colore di fondo era un verdino simile a quello delle foglie ancora chiuse delle betulle misto all’azzurro di un cielo limpido di primavera o della celastrina, una farfalla che in quel periodo vola rasente al sottobosco. Erano coperte di macchie di una tonalità scura di verde oliva, il colore degli abeti, e di un marrone grigiastro simile a quello della corteccia dei pini. C’erano anche qualche macchia viola e macchie grigie e nere in abbondanza. A differenza di tutte le altre, una delle uova aveva più macchie all’estremità appuntita. Le uova erano poggiate su una spessa fodera di pelo bianco probabilmente prelevato dalla coda di un cervo, filamenti di corteccia di cedro e di frassino, zolle di muschio color verde pisello e ciuffi di peli neri di orso.

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Il nido di Golia e Pennabianca su un pino.

Mentre fotografavo il nido e le uova, ripensai all’esperimento con le uova di gallina. Non c’era bisogno di ripeterlo, sapevo già che se i corvi trovano uova di gallina nel nido le covano, ma se le trovano all’esterno le mangiano. Ma quanto avrebbero impiegato a mangiare un uovo trovato per terra direttamente sotto il nido?

Quello stesso giorno lasciai due uova bianche su due tronchi di pino tagliati, uno appena sotto al nido e l’altro a una decina di metri di distanza verso sud. C’erano mille motivi validi per pensare che non sarebbe successo nulla. Una cornacchia avrebbe avvistato l’uovo immediatamente e sarebbe scesa a terra a mangiarlo. Non avrebbe fatto alcuna differenza che l’uovo fosse a terra o che levitasse a trenta centimetri dal suolo. Un corvo si accorgerebbe di qualcosa di «strano», anche se il qualcosa in questione fosse posato su un tronco. I miei corvi avevano paura di un ramo all’apparenza semovente, mentre erano attratti dagli oggetti tondeggianti, anche se un palloncino legato a uno spago li terrorizzava a tal punto da indurli a rimanere nascosti per un giorno e mezzo. Che cosa ci fa un uovo su un tronco al di sotto del nido? I corvi sanno cosa aspettarsi nel loro ambiente. Un uovo che compaia all’improvviso su un tronco di pino non può certo essere uno dei loro. Fa lo stesso effetto che un’arancia sospesa a mezz’aria farebbe a noi: è inquietante. E sapevo per certo che liquidare il comportamento come una manifestazione della neofobia dei corvi non sarebbe bastato a spiegarlo. Mi allontanai di corsa per arrampicarmi sul solito abete in cima alla collina e osservare la scena.

Ci vollero meno di due minuti perché uno dei corvi facesse ritorno, mandando insoliti richiami aspri e prolungati. Poi sentii dei richiami acuti e dall’intonazione a salire che suonavano come una domanda, una specie di «Peeeerché?». Non avevo mai sentito richiami del genere. Quando raggiunsi la cima dell’albero i due stavano già volando verso Gammon Ridge continuando a emettere quello strano richiamo. Erano inquieti. Volarono per circa un chilometro e mezzo fino alla collina. Persino con il mio potentissimo binocolo riuscivo a malapena a intravedere i loro profili scuri uno accanto all’altro su un pioppo. Trentun minuti dopo, alle 17.45, presero il volo schiamazzando e sparirono dalla mia vista. La loro reazione era stata molto più strana di quanto mi aspettassi.

Fui preso da un timore irrazionale: e se avessero abbandonato il nido per colpa delle uova di gallina?! Potete immaginare con quale inquietudine mi alzai il mattino dopo per apprestarmi a tornare in Vermont. Dovevo controllare se almeno uno dei due fosse tornato al nido. Alle 5.30 andai a controllare. Lungo la strada passai accanto alla carcassa di vitello che avevo lasciato sul sentiero per loro. Un avvoltoio collorosso si alzò in volo; doveva essere finalmente riuscito a sfuggire ai loro sguardi. In men che non si dica un corvo arrivò dalla direzione in cui si trovava il nido e si mise a inseguire l’avvoltoio verso il fondovalle con rumorosi kek-kek-kek.

 

 

Il sabato successivo, il 23 maggio del 1998, tornai nel Maine in auto per controllare il nido. Speravo di trovare dei piccoli nel nido e poter dimenticare una volta per tutte la storia delle uova di gallina. Il viaggio durò per una mattina intera e non appena arrivai al bungalow intorno a mezzogiorno andai dritto al nido. Silenzio assoluto! Il silenzio mi colpì come una mazzata. Le uova di gallina erano esattamente dove le avevo lasciate. A quel punto non avevo altra scelta, dovevo arrampicarmi fino al nido. Nessun segno dei corvi. Cominciai a salire. Mentre mi avvicinavo al nido, sentii un corvo gracchiare, poi due, e poco dopo la coppia passò in volo in alto sopra la mia testa, protestando ma senza troppa convinzione. La speranza di vedere i piccoli appena nati nel nido con la loro pelle rosa rinacque in me. Quando finalmente guardai dentro il nido, rimasi senza parole. Non c’erano né i piccoli, né le uova. Solo il rivestimento interno del nido. Il nido era meno profondo e il rivestimento stranamente poco compatto. Forse il nido era stato abbandonato e poi qualcuno era venuto a rubare le uova? Quasi senza pensarci, smossi la fodera e lì, sotto una coperta di pelo e corteccia vidi le uova! Erano state nascoste di proposito perché non fossero visibili o per evitare che si raffreddassero troppo in fretta mentre i genitori si prendevano una pausa dai loro doveri di cova. Le toccai, erano fredde al tatto. Non avevo mai osservato un simile comportamento. Ma era una giornata abbastanza calda e forse Pennabianca poteva permettersi di fare una pausa. Era in grado di sentire il caldo e il freddo e di capire se le uova erano visibili o nascoste? Erano giusto passati ventun giorni dall’inizio della cova, era il momento della schiusa. I piccoli sarebbero nati a stagione inoltrata, ma trattandosi del primo tentativo di riproduzione di Golia e Pennabianca in natura non era così male come inizio; alla fine però anche quell’anno il loro tentativo di riproduzione fallì.

Avevamo già moltissimi ricordi preziosi in comune. Chissà che cosa ci avrebbe riservato il futuro. Come mi capita di fare alla fine di un’arrampicata particolarmente difficile, mi fermai a riflettere e a guardarmi indietro. Talvolta l’ascesa è dura, ma i risultati sono sempre estremamente soddisfacenti. Come allora mi trovavo in una posizione ideale per osservare la foresta, oggi mi sento di aver raggiunto attraverso le mie ricerche un punto di osservazione privilegiato sulla mente dei corvi, avendo avuto l’opportunità di osservare alcuni dei loro paradossi e delle loro apparenti contraddizioni. Come la foresta, la loro mente non ha confini. Più è complessa più la si può definire mente, così come più sono gli alberi, più si può parlare di foresta. Né l’una né l’altra possono essere comprese nella loro interezza.

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Un corvo si prepara ad atterrare riducendo la velocità.

Ma la cosa più importante è che ho potuto intravedere il mondo e gli affanni di un essere completamente diverso da me eppure affine, la cui esistenza mi fa sentire meno solo. Ho visto un’infinità di albe e tramonti, ho gioito dell’essere vivo sotto la pioggia e la neve, ho percepito l’eterno alternarsi di vita e morte, energia e silenzio, ho instaurato nuove amicizie, dimenticato i traumi passati e assaporato la passione e la quiete.