V

STRATAGEMMA

Approfittare dell’incendio per darsi al saccheggio

COMMENTO

Se un disastro colpisce l’avversario, questa è

l’occasione per trarne vantaggio.

[Il Libro dei mutamenti dice:]

«Il forte esercita la sua potenza sul debole».

Spiegazione

«Allorché il nemico si trova in difficoltà, allora si può sconfiggerlo.»

SUNZI

In linea generale, il termine «incendio» rappresenta tutta una serie di pastoie che prostrano l’avversario e che possono nascere da due fattori: la crisi interna e la minaccia esterna. La crisi interna indica vari tipi di problemi, dalle difficoltà economiche sorte da fenomeni naturali, alla corruzione o al doppiogioco di collaboratori che turbano i piani d’azione, al malcontento dell’entourage dell’avversario. La minaccia esterna indica invece tutta una serie di pericoli che proviene da fuori.

È pur vero che lo stratagemma non deve essere letto troppo letteralmente. L’idea chiave è quella di afferrare un’opportunità nel momento in cui questa si presenta. L’incendio è una metafora visiva forte che allude a un periodo di confusione, di difficoltà e di problemi che affligge l’avversario.

L’espressione «darsi al saccheggio» indica l’azione fulminea e determinata con cui si trae vantaggio dalla situazione, con il minimo sforzo o a un basso prezzo.

Come suggerisce l’esagramma 43, «La determinazione», del Libro dei mutamenti, queste sono occasioni favorevoli per agire con decisione, esercitando la nostra potenza sull’avversario in situazione di debolezza.1 Come insegna la polarità yin/yang, nessuna situazione è definitiva o assoluta: il forte può diventare debole, il debole può diventare forte. Così accade sul terreno di confronto, ove lottano forze opposte. La nostra forza non è mai assoluta, ma relativa. La superiorità va commisurata in relazione al contendente. Nell’arte del combattimento è un errore imperdonabile quello di lasciarsi sfuggire il momento esatto in cui l’antagonista è sul punto di cedere. Perdere quest’opportunità preziosa di potenziare la propria forza, significa correre il rischio che l’avversario si riprenda e torni forte e pericoloso quanto prima.

Tutto è relativo. Così, «darsi al saccheggio» è un modo per privare l’avversario della possibilità di guadagnare una posizione di superiorità su di noi. Al primo accenno di difficoltà, gli si deve assestare un colpo micidiale, senza lasciargli il tempo di riprendere il fiato e senza dargli la possibilità di recuperare.

Si tratta di una strategia riprovevole da un punto di vista etico, ma senza dubbio legittima nell’arte del combattimento.

Se lo stratagemma «Attendere riposati l’avversario affaticato» poneva l’accento sulla pazienza, qui l’attenzione viene posta, invece, sulla rapidità, sull’immediatezza, sulla determinazione con cui non ci si lascia sfuggire un’occasione propizia.

L’immagine di una facile preda, che dopo essere stata localizzata da un falco cade tra i suoi artigli, illustra efficacemente l’assunto dello stratagemma.

Illustrazione storica

Il periodo delle Primavere e degli Autunni fu insanguinato da lotte di potere. Complotti e violenza gratuita rappresentavano la norma. I quasi duecento stati feudali in cui era suddiviso il Regno di Mezzo (l’antico nome della Cina) si trovavano in perpetuo dissidio.

Sull’ultimo scorcio di questo periodo, nel 499 a.C., tra i due feudi di Wu e Yue, si aprirono le ostilità, inaugurate dalle consuete esortazioni belliche.

Dopo lo scontro decisivo, Gou Jian, principe di Yue, ebbe la peggio. Fu Chai, principe di Wu, non giustiziò Gou Jian. Lo voleva umiliare. Così, lo depose dal trono e lo graziò spedendolo a lavorare nelle stalle reali come addetto alle pulizie.

Trascorsero tre anni. Mentre il principe di Yue accresceva i suoi territori di conquista, l’arroganza e la presunzione, il febbrile desiderio di vendetta non smise di ardere un attimo nel cuore di Gou Jian. Risoluto, egli attendeva il momento propizio per agire. Nel frattempo, fingendosi riconoscente per la grazia ricevuta dopo la sconfitta, si mostrava un suddito deferente di Fu Chai.

Dopo i tre anni di esilio nelle stalle reali, a Gou Jian fu permesso nuovamente di tornare a governare il suo paese, in qualità di vassallo dello stato di Wu.

Gou Jian preparò lentamente e accuratamente la resurrezione del suo regno, nonostante i pesanti tributi che ogni anno versava allo stato di Wu. In sette anni di governo illuminato, riuscì a far risorgere l’economia e le forze del suo paese dalla sconfitta di dieci anni prima. Si riguadagnò i favori popolari. Consiglieri militari e amministrativi e comandanti militari iniziarono ad affluire alla sua corte per offrire i loro servigi.

Qualche anno più tardi il regno di Wu fu colpito da una siccità particolarmente feroce. Mentre la canicola estiva bolliva i gamberi nei fiumi, bruciava le campagne e prosciugava le risaie, Fu Chai indulgeva sempre più nei piaceri, trascurando gli affari di governo, le questioni amministrative e le necessità del suo popolo. Cominciarono a serpeggiare irritazione e malcontento generale. Il reggente perse sempre più i favori del suo popolo e cominciarono a manifestarsi nelle campagne i primi disordini, forieri di rivolte e tumulti.

Gou Jian, uomo riflessivo e acuto, conoscitore dell’arte della guerra, prese atto dell’intera situazione e cominciò a tramare. Approfittando della difficile situazione in cui languiva lo stato di Wu, ne corruppe il ministro con donne bellissime e cospicui emolumenti. Poi, fece in modo di far ricadere sul consigliere reale di Wu infamanti accuse che lo portarono al suicidio. Inoltre, continuava a incoraggiare Fu Chai nel depauperamento della casse dello stato di Wu: sfruttando la sua vanagloria, lo allettava a costruire palazzi fastosi e raffinati per quanto inutili, con l’invio alla sua corte di abilissimi artigiani e architetti.

Gou Jian aveva atteso a lungo il momento propizio per agire. L’occasione di «approfittare dell’incendio per darsi al saccheggio» gli venne offerta allorché Fu Chai, al seguito della sua poderosa armata, si diresse a nord per contrarre vantaggiose alleanze con altri potentati. Il presidio della capitale fu consegnato a una sparuta guarnigione.

Non era tempo di indugiare.

Gou Jian approfittò della circostanza per un veloce colpo di mano, senza dare all’avversario il tempo di accorgersi della minaccia.

Tutto si svolse rapidamente senza che Fu Chai sospettasse il pericolo e senza che potesse immaginare che presto avrebbe perso la vita.

Gou Jian sferrò un attacco lampo allo stato di Wu e fece il suo ingresso trionfale nella capitale. Come nella trasformazione delle forze yin e yang, ove l’una si ribalta nell’altra incessantemente, così il rapporto di potere si capovolse. Ora Gou Jian si era trasformato in padrone, accantonando i panni del servo.

Egli aveva giocato d’astuzia e Fu Chai, tornato in patria a elemosinare clemenza, si trovò di fronte a una sola alternativa: l’esecuzione capitale o il suicidio. Scelse il secondo, concludendo l’applicazione dello stratagemma.

1. → I 64 Enigmi, “Determinazione”, op. cit., pp. 92-93.