XIII

STRATAGEMMA

Battere l’erba per spaventare i serpenti

COMMENTO

Nel dubbio, ricercare la realtà [dei fatti]. Muoversi solo dopo averla vagliata scrupolosamente.

In tal modo «Il ritorno» mette in evidenza lo yin.

Spiegazione

«Conoscere se stessi e l’altro: vittoria senza pericolo.

Conoscere il Cielo e la Terra: vittoria totale.»

ANTICO DETTO CINESE

L’espressione dello stratagemma allude al metodo utilizzato durante le passeggiate in aperta campagna: battendo l’erba alta, si spaventano i serpenti rannicchiati nei paraggi, che fuggono via.

Quando il rivale è riservato, silenzioso e non si riescono a percepire i suoi reali intenti, occorre prestare attenzione e vagliare scrupolosamente tale comportamento. Nella penombra (yin) egli potrebbe elaborare un piano o un tranello.

Lo stratagemma suggerisce di non avanzare incautamente, ma di capire se e da dove partirà il colpo dell’avversario. Si scandagli il terreno, provocando, disorientando, sorprendendo, spaventando e mettendo in guardia l’avversario con un finto attacco o una mossa inattesa. Nell’intervallo di tempo di reazione all’elemento sorpresa, l’avversario rivela la sua psicologia, le sue intenzioni e la sua strategia, rimaste sino allora celate (yin). A quel punto, avendo una conoscenza approfondita del contendente, ci si muove con una strategia offensiva.

Lo stratagemma attinge la sua linfa dall’esagramma 24, «Il ritorno», del Libro dei mutamenti, la cui immagine è il tuono nella terra.1 La filosofia cinese del potere, nata da un’osservazione empatica della natura, della società e della mente, vedeva in quest’immagine il solstizio invernale, cioè quel momento in cui le forme di vita ancora avviluppate dal freddo e dall’oscurità (yin) si preparano a rivivificarsi («Il ritorno»). Così, come l’inverno cede il passo alla primavera, in campo bellico nel silenzio e nel riserbo l’avversario può covare un piano d’attacco o un’imboscata. Sono opportuni, dunque, la circospezione e l’attento scandaglio della situazione («battere l’erba»).

Lo stratagemma nasce dall’aneddoto verificatosi durante la dinastia Tang. Stanca dei soprusi e delle vessazioni dell’avido governatore distrettuale, la popolazione fece una petizione pubblica contro il suo assistente, accusandolo di corruzione e minacciò il governatore che presto sarebbe arrivato il suo turno. Terrorizzato dalla piega che stava prendendo la situazione, il governatore scrisse d’impulso una lettera di supplica alla popolazione: «Voi avete semplicemente battuto un colpo sull’erba. Ora io sono un serpente spaventato».

Si tratta di una strategia dalla grande efficacia psicologica. Certi detti e racconti pedagogici di varie tradizioni, non solo sino-giapponesi, sono impiegati soprattutto per mettere alla prova le persone, per sondarne la natura e addestrarle. Nell’ambito del buddhismo cinese «battere l’erba per far scappare il serpente» ha il significato di creare effetti shock nella mente dell’allievo per mettere in luce i lati nascosti della personalità e prepararlo all’illuminazione.2

Nell’ambito di negoziazioni diplomatiche, politiche o di semplici discussioni, «battere l’erba per spaventare i serpenti» significa indurre l’avversario a parlare, limitandosi ad ascoltarlo con fare sereno e semplici gesti ordinari. Senza interromperlo, se non con essenziali considerazioni utili a sciogliergli la lingua, si potrà studiare il suo comportamento e comprendere la sua reale opinione. Un fiume di parole, nel suo corso frenetico, tende a divenire irriflessivo, a mettere in luce i punti deboli, le reali motivazioni di chi parla, se non addirittura ciò che questi avrebbe fatto meglio a sottacere.

Se la situazione lo rende necessario, a quel punto, conoscendo la psicologia dell’avversario, si può provocarlo facilmente, irritandolo, facendogli perdere la bussola, confondendolo, continuando a mantenere un atteggiamento calmo e sereno. Se l’avversario agirà impulsivamente, in preda alla collera, commetterà sicuramente degli errori, prestando il fianco. Si approfitti della momentanea instabilità del suo stato d’animo. Non gli si permetta di riprendersi e si reagisca opportunamente al ritmo della sua azione. A quel punto, in posizione di vantaggio, sarà semplice trionfare.

Una variante dello stratagemma consiste, al contrario, nel ritardare il momento in cui si «batte l’erba per far scappare il serpente». La s’impiega quando si sta preparando un attacco a sorpresa. In questo caso, provocare l’avversario sarebbe tutt’altro che strategico. Il serpente potrebbe scappare, sentendosi minacciato. Lo stratagemma si ritorcerebbe contro chi lo impiega, funzionando come un avvertimento di pericolo per l’avversario e l’elemento sorpresa sfumerebbe. Sarebbe come commettere l’imprudenza di svegliare il cane che dorme. Tutto ciò va esaminato a fondo.

Illustrazione storica

Nel 627 a.C. il duca Mu di Qin volle inaugurare una campagna militare contro il lontano regno di Zheng, che rappresentava un boccone prelibato. Il consigliere militare Jian Shu tentò di scoraggiare una simile impresa: la sua attuazione richiedeva una programmazione accurata degli elementi in gioco. Un’attenta pianificazione della campagna militare era più che mai doverosa: la distanza era enorme e il territorio sconosciuto. Il duca però fu irremovibile. Aveva ormai preso la decisione di soddisfare le sue enormi mire imperialistiche e non aveva tempo da perdere in ponderazioni accurate!

Jian Shu si recò dal generale Meng Mingshi, comandante in capo della spedizione, per metterlo in guardia dal valico montuoso di Xiao presso Jin, via obbligata per giungere nel regno di Zheng. La zona era ricca di alti valichi montani e gole impervie, il luogo ideale per un’imboscata. Ma Meng Mingshi, uomo impulsivo e bellicoso, non prestò il minimo ascolto alle parole di Jian Shu e, alla testa di un’imponente armata, partì alla volta del lontano regno di Zheng.

Dopo una lunga marcia, le truppe Qin giunsero finalmente al valico di Xiao. Sentendosi forte del suo vigoroso esercito, Meng Mingshi ritenne sufficiente schierarlo in quattro colonne, una dietro l’altra. Premunire l’avanzata con un drappello in avanguardia fu ritenuta una precauzione inutile. Così, senza truppe avanzate in ricognizione, l’esercito proseguì la marcia attraverso il valico di Xiao.

La colonna in testa fu accolta da un piccolo battaglione nemico in agguato, che, dopo qualche schermaglia, batté in veloce ritirata.

Questa sarebbe dovuta essere l’imboscata da temere secondo il consigliere militare Jian Shu?

Quella schermaglia non fu sufficiente a chiarire al generale Meng Mingshi il rischio a cui stava andando incontro. Egli sottovalutò la situazione senza intuire che l’avversario aveva messo in atto lo stratagemma «Battere l’erba per spaventare i serpenti». Servendosi della scaramuccia il nemico poté tastare il terreno, vagliare la forza dell’avversario e la sua linea coordinatrice.

La schermaglia si preparava a diventare strategia.

In agguato tra i cespugli sulle alture da parecchi giorni, i soldati Zheng erano pronti a ghermire l’avversario di sorpresa e a bloccargli ogni tentativo di fuga.

Meng Mingshi, anziché vagliare scrupolosamente il terreno, compiaciuto della ritirata nemica e fiero del suo notevole spiegamento di forze, agì d’impulso e s’inoltrò lungo la stretta gola, senza alcun contingente in avanscoperta.

Dalle alture non giungeva segno di vita. Solo un flebile fruscio tra i cespugli segnò l’incipit dell’imboscata.

Una volta nella gola, per le milizie di Meng Mingshi fu come gettarsi in pasto a cani rabbiosi, pronti a impossessarsi della preda! Una selva di dardi micidiali cominciò a saettare contro l’armata, impreparata a una tale offensiva. Sparpagliati e confusi, in un attimo i combattenti si trovarono allo sbando.

Il poderoso esercito Qin fu travolto selvaggiamente. Circondato, fu sgominato fino all’ultimo uomo. Mentre i suoi soldati gli cadevano accanto a migliaia, il generale Meng Mingshi fu centrato mortalmente da una freccia. Ebbe appena il tempo di pentirsi per non avere fatto meglio i suoi calcoli: se avesse impiegato a sua volta lo stratagemma XIII e inviato in avanscoperta un plotone di ricognizione, le sorti della guerra sarebbero state ben diverse.

Ma ormai il dado era stato tratto! E Meng Mingshi non poté che sperimentare una fine ignominiosa.

1. → I 64 Enigmi, “Ritorno”, op. cit., pp. 54-55.

2. Per l’utilizzo delle storie didattiche come forma di training psicopedagogico si vedano i miei: Il tesoro nascosto, Sperling & Kupfer; La Via dell’Umorismo, Il Punto d’Incontro, Vicenza 2008.