COMMENTO
Conservare le apparenze per mantenere la propria potenza.
L’alleato non nutrirà sospetti, l’avversario non si muoverà.
Arrendevolezza e ritardo
[conducono, come dice Il Libro dei mutamenti al] «Decadimento».
Spiegazione
«Ingannare il nemico con false apparenze: questa è l’essenza della strategia.»
– ANTICO PRINCIPIO STRATEGICO
Gli antichi cinesi, da sempre attenti ai fenomeni naturali, osservarono la lunga metamorfosi della larva in cicala: l’insetto, fuoriuscito dall’esuvia, abbandona l’involucro vuoto e se ne vola via. È facile lasciarsi ingannare e confondere l’involucro vuoto per la cicala stessa.
Nel corso dei secoli questo fenomeno naturale cominciò a designare uno dei 36 stratagemmi, particolarmente utile in occasioni in cui si cerchi una scappatoia da una situazione ostile, senza insospettire l’avversario.
Lasciando dietro di sé una falsa apparenza strategica, ci si può togliere furtivamente d’impaccio. Come nel caso dell’esuvia della cicala scambiata per l’insetto stesso, la facciata rimane intatta, ma la vera mossa si svolge altrove.
Dunque non si tratta di una fuga a rotta di collo, ma di una fuga camuffata.
Mostrando una forma esteriore («il guscio») privata del contenuto, si calamita l’attenzione dell’avversario, mentre ci si libera dalla situazione svantaggiosa.
Si camuffa la realtà dei fatti, giocando sulla confusione tra contenitore e contenuto. Mantenendo una parvenza di inattività, si agisce al riparo.
Il seminare apparenze ingannatrici per scopi strategici è un espediente psicologico che gioca sulle aspettative dell’avversario. Se questo si aspetta la nostra presenza in un certo posto o suppone il nostro impiego di una certa tattica è possibile creare nella sua mente l’illusione che le cose stiano come egli crede. Nel frattempo, ci si adopra nella realizzazione del nostro piano reale.
Poiché ogni camuffamento non dura a lungo e presto viene scoperto, il principio dello stratagemma s’incardina sul tempismo nell’azione. Appurati i ritmi del combattimento o del duello, si dovrà intervenire al momento giusto e velocemente.
Ogni indugio è, in questo caso, un errore.
Questo stratagemma non è solo un abile mezzo di fuga, ma si rivela efficace anche nella preparazione di contrattacchi celati dietro azioni apparentemente difensive. Inchiodando l’attenzione dell’avversario su un guscio vuoto, si crea l’impressione di rimanere in un luogo, mentre, in realtà, ci si muove in un altro, dal quale si lancia un attacco a sorpresa da dietro le linee nemiche.
Gli ambienti d’elezione dello stratagemma «La cicala dorata abbandona il guscio» sono innumerevoli. In diplomazia una nazione minacciata da una più potente, celandosi dietro una facciata remissiva e accondiscendente, stipula segrete alleanze con altri stati o prepara un attacco in concerto. Nel business un’impresa in difficoltà economica che voglia riconquistare fiducia e credibilità sul mercato rinnova il volto dell’azienda cambiando il consiglio direttivo («il guscio della cicala»), mentre il reale cuore del potere pulsa altrove.
Il fulcro dello stratagemma è la relazione yin/yang tra presenza/assenza, contenuto/contenitore, arretrare/avanzare. Ciò è riflesso dell’esagramma 18, «Il decadimento», del Libro dei mutamenti: a ciò che va in rovina si può riconsegnare nuovo vigore.1 «Il decadimento» deriva dall’immagine di un recipiente di cibo attaccato dai vermi. Rimanendo paralizzati di fronte a tale situazione senza prendere precauzioni, il cibo diverrà in breve tempo pasto per i vermi («Il decadimento»). Al contrario, intervenendo con risolutezza e tempismo, ancorché con calma ponderazione, si potrà fronteggiare la situazione sfavorevole senza tensione, ma neppure in uno stato di rilassatezza estrema. Non si dovrà rinviare l’azione, ma invece cogliere il momento opportuno per agire. Se la cicala, per timore della durezza dell’esuvia, ritardasse la sua fuoriuscita, ne rimarrebbe soffocata, diventando pasto per i vermi. Se, al contrario, agisce con energia e al momento giusto, fuoriuscirà e volerà libera. Dunque, Il Libro dei mutamenti suggerisce che vi sono sempre possibilità di uscire da situazioni difficili, se solo non ci si lascia spaventare da esse.
Illustrazione storica
Sulla fine del XII secolo, con l’ascesa al trono dell’imperatore Ningzong della dinastia dei Song, le ostilità con l’impero Jin si riaprirono in tutta la loro asprezza.
Nel 1206, mentre i conflitti imperversavano furibondi, le truppe dei Song riuscirono ripetutamente a rintuzzare l’invasione dei Jin. Il generale dei Song, Bi Zaiyu, teneva alta la combattività dei suoi valorosi soldati con il rullio incessante dei tamburi di guerra che rinfocolava loro il morale, incitandoli a combattere con maggiore foga.
Tuttavia a un certo punto la situazione divenne molto critica. I Song si trovarono assediati da una forza soverchiante. Impegnarsi nel combattimento in circostanze così svantaggiose avrebbe comportato sicuramente una disfatta. S’imponeva, dunque, la ritirata. Era una posizione realistica, dettata dalle circostanze. Occorreva, però, ritirarsi con sicurezza, furtivamente, senza destare l’attenzione dei Jin. È nota, in campo bellico, la vulnerabilità delle truppe in ritirata, preda ambita per carneficine. Occorreva lasciarsi dietro qualcosa per distrarre o rallentare l’inseguitore. Quella dei Song sarebbe stata, insomma, una ritirata strategica, furtiva.
Sull’altro fronte albergava la perplessità. I soldati, udivano rullare i tamburi di guerra all’impazzata, ma le forze Song non facevano alcuna mossa.
Che cosa stavano escogitando?
I Jin conoscevano l’abilità del generale Bi Zaiyu e del suo arsenale infinito di stratagemmi. Così rimasero cauti. Non si può lanciare i soldati contro un nemico imperscrutabile.
Durante la notte la loro diffidenza crebbe ancor più: il rullo di tamburi ora risuonava indiavolato e centinaia di vessilli e stendardi di guerra sventolavano minacciosi, segno di un attacco imminente. L’armata Jin si allertò, pronta al combattimento, in coraggiosa attesa dell’assalto del nemico.
Tuttavia il tempo passava e dei Song neppure l’ombra. Eppure, quel rullio di tamburi di guerra non lasciava adito a dubbi. Lo spiegamento di forze avversarie doveva essere ingente.
Ma che intenzioni avevano? Perché non sferravano l’attacco?
I Jin trascorsero diversi giorni in questa dubbiosa attesa del combattimento. Poi, a un certo punto, il frastuono dei tamburi cominciò ad affievolirsi.
Che cosa stavano architettando le truppe Song?
Per scoprirlo, vennero inviati alcuni uomini in campo nemico, in perlustrazione. Essi dovevano scivolare cautamente tra le linee avversarie, senza farsi notare.
Ogni precauzione si rivelò però inutile una volta che giunsero nell’accampamento Song.
Ad attenderli c’era una situazione a dir poco sconcertante:
Non c’era nessuno!
Le tende erano deserte. Unica presenza: sugli alberi centinaia di capre appese per le zampe posteriori con gli zoccoli anteriori appoggiati sui tamburi di guerra! Ecco spiegato tutto il frastuono dei giorni precedenti! Ora il vigore delle capre, sfinite per il dimenarsi e lo scalciare incessante, stava scemando e così il loro tambureggiare.
Che onta! Degli ovini che suonano il tamburo come copertura della ritirata dell’esercito nemico ormai irraggiungibile!
Nulla da dire, la mossa strategica «la cicala dorata abbandona il guscio» si rivelò determinante.
1. → I 64 Enigmi, “Decadimento”, op. cit., pp. 42-43.