Ne l’abbandono il caro luogo ancora

sorriderà, se tu sorriderai.

Ti dirò come sia dolce il sorriso

di certe cose che l’oblío afflisse.

Che proveresti tu se ti fiorisse

la terra sotto i piedi, all’improvviso?

Tanto accadrà, benché non sia d’aprile.

Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento

sol di settembre; e ancor non vedo argento

sul tuo capo, e la riga è ancor sottile.

Perché ti neghi con lo sguardo stanco?

La madre fa quel che il buon figlio vuole.

Bisogna che tu prenda un po’ di sole,

un po’ di sole su quel viso bianco.

Bisogna che tu sia forte; bisogna

che tu non pensi a le cattive cose . . .

Se noi andiamo verso quelle rose,

io parlo piano, l’anima tua sogna.

Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto

tutto sarà come al tempo lontano.

Io metterò nella tua pura mano

tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita:

in una vita semplice e profonda

io rivivrò. La lieve ostia che monda

io la riceverò da le tue dita. [. . .]

52. Croce (1866–1952): Breviario di estetica

Alla domanda: «Che cosa è l’arte?» si potrebbe rispondere celiando (ma non sarebbe una celia sciocca): che l’arte è ciò che tutti sanno che cosa sia. E, veramente, se in qualche modo non si sapesse che cosa essa è, non si potrebbe neppure muovere quella domanda, perché ogni domanda importa una certa notizia della cosa di cui si domanda, designata nella domanda, e perciò qualificata e conosciuta. Il che riceve una riprova di fatto nelle idee giuste e profonde, che si odono sovente manifestare intorno all’arte da coloro che non fanno profes-

In its abandoned state the dear place will still

smile if you smile.

I shall tell you how sweet is the smile

of certain things that forgetfulness has saddened.

How would you feel if the ground

beneath your feet suddenly blossomed for you?

That will happen, though it isn’t April.

Let’s go out. Don’t cover your head. It’s a mild

September sun; and I don’t yet see silver

in your hair, and the part in it is still narrow.

Why do you refuse with that weary look?

A mother does what her good son wants.

You need to have a little sunshine,

a little sunshine on that pale face.

You need to be strong; you need

to stop thinking about bad things . . .

If we walk over to those roses,

I’ll speak softly, your soul will dream.

Dream, dream, my dear soul! All,

all will be as in those far-off days.

I shall place in your pure hands

all of my heart. Nothing is destroyed yet.

Dream, dream! I shall live on your life:

in a simple, profound life

I shall revive. The light Host that cleanses

I shall receive from your fingers. [. . .]

52. Croce (1866–1952): Breviary of Esthetics

To the question, “What is art?” one could reply jokingly (but it wouldn’t be a foolish joke) that art is that thing of which it can be said that everyone knows what it is. And truly, if to some degree we didn’t know what it was, we couldn’t even ask that question, because every question posits a certain knowledge of the thing being asked about; it’s designated in the question, and thus described and known. This is factually verified by the correct, profound ideas we often hear stated about art by those who make no profession of philosophy or theory, by laymen, by artists not fond of

sione di filosofia e di teoria, dai laici, dagli artisti non amanti del ragionare, dalle persone ingenue, perfino dalla gente del popolo: idee che talvolta sono implicite nei giudizi che si recano intorno a singole opere d’arte, ma che tal altra prendono addirittura forma di aforismi e di definizioni. Accade di pensare che si potrebbe fare arrossire, sempre che si volesse, ogni orgoglioso filosofo, il quale stimasse di avere «scoperto» la natura dell’arte, mettendogli sotto gli occhi e facendogli risonare agli orecchi proposizioni scritte nei libri più comuni e sentenze della più ordinaria conversazione, e mostrandogli che già contengono, nel modo più chiaro, la sua vantata scoperta.

E il filosofo avrebbe ben motivo, in questo caso, di arrossire, se cioè avesse mai nutrito l’illusione d’introdurre, con le proprie dottrine, qualcosa di tutto suo originale nella comune coscienza umana, qualcosa di estraneo a questa coscienza, la rivelazione di un mondo affatto nuovo. Ma egli non si turba e tira diritto per la sua via, perché non ignora che la domanda sul che cosa sia l’arte (come, del resto, ogni domanda filosofica sulla natura del reale, o, in genere, ogni domanda di conoscenza), se anche nelle parole che si adoperano prende aspetto di problema generale e totale, che si pretenda risolvere per la prima volta e per l’ultima, ha sempre, effettivamente, un significato circostanziato, riferibile alle particolari difficoltà che si fanno vive in un particolare momento della storia del pensiero. Certamente, la verità corre per le strade, come l’esprit nel noto proverbio francese, o come la metafora, «regina dei tropi» secondo i retori, che il Montaigne ritrovava nel «babil» della sua «chambrière». Ma la metafora della cameriera è la soluzione di un problema espressivo, proprio dei sentimenti che agitano in quel momento la cameriera; e le ovvie affermazioni, che di proposito o per incidente tuttodì si ascoltano sulla natura dell’arte, sono soluzioni di problemi logici, quali si presentano a questo o quell’individuo che non fa professione di filosofo e che pure, come uomo, è anche lui, in qualche misura, filosofo. E come la metafora della cameriera esprime di solito una breve e povera cerchia di sentimenti rispetto a quella del poeta, così l’ovvia affermazione del non filosofo risolve un lieve problema rispetto a quello che si propone il filosofo. La risposta sul che cosa sia l’arte, può suonare simile in apparenza nell’uno e nell’altro caso, ma si diversifica nei due casi per la diversa ricchezza del suo intimo contenuto; perché la risposta del filosofo, degno del nome, ha né più né meno che l’assunto di risolvere in modo adeguato tutti i problemi che sono sorti, fino a quel momento, nel corso della storia, intorno alla natura dell’arte, laddove quella del laico, aggirantesi in un àmbito ben più stretto, si chiarisce impotente

logical reasoning, by simple people, even by lower-class people: ideas that are sometimes implicit in the judgments they give on individual works of art, but at other times even take the form of aphorisms and definitions. One comes to think that, whenever one wished, one could bring a blush to the cheek of every proud philosopher who deems he has “discovered” the nature of art, by placing before his eyes and dinning into his ears statements written in the most everyday books and opinions spoken in the most ordinary conversations, and showing him that they already contain, in the clearest way, his boasted discovery.

And the philosopher would have every reason to blush, in this case; that is, if he had ever fostered the illusion that he could introduce with his own doctrines something original of his own into our common human awareness, something extraneous to that awareness, the revelation of a totally new world. But he isn’t upset, he continues along his way, because he knows that the question of what art is (furthermore, like every philosophical question on the nature of reality or, in general, every question about knowledge), even if in the words employed it assumes the aspect of a general, universal problem that one claims to solve for the first and last time, always actually has a circumstantial significance referring to the particular difficulties that arise at a given moment in the history of thought. Certainly, truth walks every street, just as “wit” does in the well-known French proverb, or as metaphor does (that “queen of figures of speech,” according to the rhetoricians), Montaigne having found it in the “chatter” of his “housemaid.” But the housemaid’s metaphor is the solution of an expressive problem, proper to the emotions that are stirring the housemaid at that moment; and the obvious assertions, which intentionally or accidentally are heard daily about the nature of art, are solutions to problems of logic as they occur to this or that individual who doesn’t profess to be a philosopher and yet, being a human, is to some extent also a philosopher. And just as the housemaid’s metaphor usually reflects a narrow, impoverished range of feelings compared to a poet’s metaphor, thus the obvious assertion made by a non-philosopher solves a lightweight problem compared to what a philosopher hopes to accomplish. The answer to the question of what art is may sound seemingly similar in both instances, but differs in the two instances in the differing richness of its inmost content; because the answer given by any philosopher deserving of the name has the purpose, neither more nor less, of solving adequately all the problems that have arisen in the course of history up to that moment, as to the nature of art, whereas the layman’s answer, moving in a much narrower orbit, is clearly powerless outside of those limits. This is verified factually by the strength of the eternal