Ankit
Ankit rimase nel piccolo catamarano mentre Kaev e Masaaraq e Oora e l’orso polare sbarcarono. Lo ormeggiò in un attracco a tempo di fronte alla Grotta di sale.
Sarò io a guidare durante la fuga, pensò, ma sapeva che il suo ruolo in questo colpo era molto meno entusiasmante. Ed esponenzialmente più importante.
Un flusso di dati scorse sul suo schermo, si fece fiume; si fece mare. Il software stava funzionando bene. Fin troppo.
– Soq l’ha avviato prima del previsto, – disse nell’impianto.
– Tipico di Soq, – le rispose Jeong dalla nave.
– È proprio come l’aveva descritto.
– È pazzesco, – disse lui. – Ci saranno almeno cinquecento condomini. Come minimo. E sono rimasti vuoti? Per tutto questo tempo?
– Così pare. Go ne aveva trovati alcuni, dieci o dodici, spendendo un sacco di risorse per identificarli. Ma questo…
– Che stronzi, – disse lui. Sembrava esaltato, sembrava spaventato. Ankit sentì il rumore di fondo, lo sferragliare della nave di Go.
– Così tante persone a vivere come ratti, quando avevano tutto questo spazio ad andare in malora.
– Non in malora. È stata una decisione di affari.
– C’è una linea sottile tra un buon affare e un cazzo di crimine di guerra, – disse lui.
– Mi sembra l’epitaffio perfetto per il capitalismo.
Jeong ridacchiò. – Lo sai che dormo alla rimessa delle staffette? In una capsula in ufficio. A volte passa una settimana prima che riesca a mettere piede fuori dall’edificio. Sarà un mese che non esco dal mio Braccio. E adesso ho intorno tutta questa gente…
La mentalità da politicante empatica di Ankit prese il sopravvento, la spinse a una risata gentile. – Qaanaaq fa questo effetto. Anch’io a volte mi sento agorafobica. Tutto bene, là?
– Questa nave è una cosa da pazzi.
– Lo è già normalmente. E figuriamoci adesso che siete in piena faida, e con un carico di rifugiati psichiatrici.
Lui rise. Sembrava grato. – Sta succedendo qualcosa ai dati, – disse. – Vanno e vengono.
– Sono i sistemi di difesa. Lo immaginavamo. Stiamo facendo dei backup multipli criptati, di cui alcuni su drive partizionati che si scollegano dalla rete non appena un blocco è completo. Se i bot dovessero compromettere qualcosa, spostati su un altro drive.
– Questa è la parte facile, – disse Jeong. Sembrava più forte, più saldo. – Preferisco avere a che fare con un’intelligenza artificiale sociopatica che badare a gente che frigna. Avremo abbastanza informazioni da poter iniziare a distribuire indirizzi e codici nel giro di tre minuti. Abbastanza da dare una casa a tutti i fuggitivi del Ripostiglio e a buona parte dei miserabili dell’Ottavo Braccio…
– Eccellente.
– Ci stanno arrivando messaggi da ogni dove, offerte di alloggi. Una religiosa con una mano sola dice di avere posto per ospitare cinquanta persone.
Ankit, in piedi, guardò al di là del Braccio, dove Masaaraq e Kaev e Liam e Oora stavano affrontando Go e Podlove e Soq. Uno stallo. Parole piene di rabbia. Avrebbe così tanto voluto essere là con loro. Con la sua famiglia, le sue due madri, la macellaia triste e la poeta serafica, accomunate dalla convinzione profonda che il loro amore possa fare miracoli; suo fratello, dolce e infelice; e Soq, col suo orgoglio e la sua rabbia, anche se stavano per morire.
Soprattutto se stavano per morire.
– Dai, mettetevi in fila, – stava dicendo Jeong, e Ankit trattenne una risata al pensiero di quel poveretto terrorizzato che cercava di contenere la folla.
Uno spruzzo dall’acqua accanto a lei. Ankit girò la testa e trasalì, anche se si aspettava di vedere l’orca. Forse era possibile abituarsi a qualcosa di così enorme, di così incredibile, a quella bestia scura e affamata come il mare, ma non pensava sarebbe successo tanto in fretta.
– Ciao ragazza, – disse.
L’immensa testa di Atkonartok si piegò lentamente e maestosamente. Un cenno di saluto. Inquietante, l’intelligenza che suggeriva. Non l’intelligenza dell’umano, ma l’intelligenza di qualcosa di più saggio, di qualcosa che si sforza di capire ed essere capito da queste bestie puzzolenti dotate di un cervello più piccolo. Proprio come adesso, per esempio. L’orca sembrava sapere, solo guardandola, come stesse andando tutto quel piano complicato.
Quanto vede? Ricorda? Sente? Delle persone che hanno massacrato la sua tribù, il suo branco? Degli amici che non ci sono più? Di quello che significa essere soli, e persi?
Come lei era stata tutta la vita. Come lo erano stati Kaev, e Soq. E Masaaraq e Oora, che almeno avevano saputo cosa significasse non essere sole, amare e essere amate, prima di essere gettate di nuovo nel pozzo della solitudine. Tutte queste persone improvvisamente sottratte all’isolamento, che si ritrovano parte di una famiglia… solo per finire a tanto così da perdere tutto di nuovo.
– Bene! – disse Jeong, mentre il caos del rumore di fondo si acquietava. – Ci sarà posto per tutti. A partire da voi.
I fuggitivi applaudirono. Jeong rise. E rise anche Ankit.
Altre risate, dal mondo reale, questa volta, a due ormeggi di distanza. – I barcometri! – disse una paffuta matrona con l’accento di Addis Abeba. – I barcometri non funzionano più!
Era vero. Quello di Ankit, che era a otto minuti l’ultima volta che aveva guardato, adesso lampeggiava uno zero.
– Ormeggi gratis! – urlò qualcun altro.
Merda, pensò Ankit. Se c’era una cosa più impensabile di un’interruzione geotermica, era che i barcometri smettessero di funzionare. Cosa cazzo abbiamo fatto a questa città?
Un urlo dall’esterno della Grotta di sale catturò la sua attenzione Alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere Go estrarre il machete dalla fodera alla cintura, la fodera che tutti avevano sempre pensato fosse vuota, e decapitare il suo amico Barron senza alcuna fatica.